Diceva Uchiyama Roshi che il bastone durante lo zazen era un giocattolo, un trastullo per il praticante: serviva a rompere la monotonia delle interminabili ore di pratica, una consolazione alla fine ricevere una bastonata!
Quando un insegnamento diviene un trastullo? Quando non è sorretto da una pratica adeguata.
Cos’è una pratica? Dedizione e perseveranza nella frequentazione, nella meditazione, nello studio, nella costruzione di un tessuto di relazioni.
Ciascuno secondo le proprie possibilità, che significa non irregimentati all’interno di un insieme di doveri, ma consapevoli che la trasformazione interiore richiede una molteplicità di approcci.
Il quotidiano
Una ecologia esistenziale
Gettare le basi di una ecologia personale fondata sulla consapevolezza del sentire che ci guida e delle dinamiche dell’identità che ci condizionano: una ecologia esistenziale.
Quali spinte ricevo dalla coscienza? Dove mi conduce attraverso le scene del quotidiano che mi propone, le persone che mi permette di incontrare, i successi e gli insuccessi che mi accompagnano nel quotidiano?
Ho un contatto con il sentire? Se non lo ho, non posso pensare a nessuna ecologia esistenziale, devo costruirlo, devo imparare ad ascoltare ed osservare l’interiore e i simboli attraverso cui si manifesta nel quotidiano.
Questo è il primo passo: divenire attenti, consapevoli, dediti all’osservazione, all’ascolto, alla non aspettativa, al non giudizio.
Le buone abitudini nella via spirituale
Le buone abitudini si inscrivono nell’interiore.
La coltivazione della consapevolezza diviene un’attitudine e un’abitudine.
La disconnessione diviene un’abitudine.
L’interrogarsi sul tasso di egoismo che ci attraversa, diviene un’abitudine.
Il considerare se ti ho ferito, danneggiato, usato diviene un’abitudine.
La consapevolezza del limite e dell’errore
Quando una coscienza abbandona il corpo fisico e dà luogo all’esperienza della morte, il processo più significativo che l’attende è quello di una revisione della vita appena vissuta.
Questa verrà analizzata nei suoi tanti risvolti: dalle scelte fatte al loro perché; dall’egoismo all’altruismo vissuti e praticati; dalle relazioni intessute con coloro che hanno condiviso le scene della vita, al rispetto o alla sopraffazione dimostrati o patiti.
Una volta usciti dalla grande, e spesso inconsapevole, officina del vivere, si entra nell’officina del riflettere, del divenire consapevoli, del sistemare i dati relativi al compreso e al non compreso.
La necessità di una pratica meditativa quotidiana
Può un cammino interiore, spirituale ed esistenziale, non appoggiare su una pratica meditativa quotidiana?
Non credo, non fino ad un certo punto almeno. Vedo, purtroppo, molta approssimazione e molto dilettantismo su questo tema; molta superficialità.
Se si ha caro il proprio cammino, si è anche compreso che è necessario un ancoraggio quotidiano, un fermarsi e risiedere, un azzerare i contenuti della mente e di tutto ciò che l’identità tende ad aggiungere al reale, al ciò che è.
I nostri piccoli mondi
Il cammino della trasformazione del sentire che chiamiamo vita, prende forma e si nutre di tutte le relazioni: da ciascuna riceve dati e possibilità di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Premesso questo, va detto che ci sono relazioni primarie e altre secondarie, relazioni che rappresentano la nostra officina esistenziale principale e altre che sono laboratori occasionali e transitori.
La dimensione del poco
Considero un gesto appartenente alla dimensione del poco il cenare frugalmente stasera e coricarsi non tardi.
L’ecologia delle parole, dei pensieri, dei gesti la considero appartenente alla dimensione del poco.
Il non discutere senza sosta di sé, dei propri guai e problemi, appartiene al poco.
Gli assoluti, la compassione, l’amore
Cosa sono gli assoluti? Quei valori alti ed ultimi di cui parlano la morale, l’etica, la religione.
Una delle grazie di questa vita è stata per me la possibilità di crescere lontano da una formazione religiosa.
La mia era una famiglia di contadini e di comunisti; sono cresciuto nella fascinazione dell’anarchia e del Cristo di San Francesco. Più tardi lo zen è stato casa.
Tutto il cammino è avvenuto e avviene lontano dagli assoluti, dalle adesioni, dalle promesse, dai doveri.
Darsi del tempo
Ci sono persone per le quali il tempo è un tiranno. Ce ne sono altre che ne hanno maggiore disponibilità ed è a queste che mi rivolgo.
Darsi tempo significa concedersi degli spazi vuoti, privi di finalità e di scopo: spazi di semplice stare.
Significa andare lenti, certamente, ma non solo: non desiderare nessun altrove, risiedere consapevolmente nel piccolo insignificante che sta accadendo.
La vita è fatta di niente
Nei gironi della bulimia dei rapporti, delle parole, degli alimenti, delle retoriche si mostra il tentativo dell’umano di riempirsi e di circondarsi di senso.
Non so quale sia il risultato: per chi scrive, in un lontano remoto, era miserevole.
Le scelte ripetute di rottura e di estrazione dalla ritualità hanno, nel tempo, svelato la natura del tentativo bulimico, la sua illusorietà, la sua vacuità.