La bellezza del tacere

Una parola in meno, un silenzio in più.
Alcuni di noi hanno la necessità di dire e di fare e quando questa è un’esigenza di completamento della propria rappresentazione, del proprio personale diritto a dire “io” non c’è nulla da eccepire.
La stagione della propria centralità non dura per sempre e, quando si è dei buoni osservatori, si comprende quando la propria è finita, o volge al termine.
Allora in casa, in ufficio, nelle amicizie possiamo cominciare a coltivare una discrezione e a limitare l’esposizione del nostro esserci.

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La necessità delle esperienze

Si chiede Caterina: “La coscienza ha bisogno di attingere ai dati che le servono. Può aver bisogno di attingere da un’adozione, da un bambino di zero giorni, o dalla vendita di organi. Se regolamentiamo qualcosa possiamo cambiare i dati che servono alla coscienza di qualcuno? A quella coscienza servono i discorsi su cosa è giusto? Nel divenire un venditore di organi può attingere dati dai discorsi di qualcuno e cambiare idea? Anche sì, anche no. Quindi non si può far nulla. All’infuori che rispettare tutte le esperienze che servono alla coscienza. E aspettare che le esperienze si esauriscano?”
Una coscienza è spinta dalla necessità di acquisire comprensioni e in questo suo tentativo non è la morale a trattenerla.

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Produrre crisi

La crisi è il frutto della relazione tra coscienza ed identità all’interno dei processi del vivere.
Quando l’identità resiste e cerca di imporre una sua direzione, prima o poi sopraggiunge una crisi, un attrito, un rompersi dell’equilibrio deviato: questa crisi evolve spesso nel dolore e nella fatica.
Quando coscienza ed identità sono sufficientemente allineate, la crisi è continua, l’equilibrio raggiunto viene sistematicamente scalzato: questo processo può provocare disorientamento, ma non necessariamente dolore e fatica.
Sempre la crisi rompe un equilibrio, o un pseudo equilibrio; sempre ciò che era credibile non lo è più, ciò che era stabile vacilla.
Che si tratti di affetti, di lavoro o della via spirituale poco importa: tutti sperimentano la crisi, ma quasi nessuno ne possiede il paradigma, o la sa maneggiare, eppure la vita delle persone, dei paesi, del pianeta è una crisi senza fine, è l’esperienza più prossima a ciascuno di noi, più quotidiana e feriale.

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Il tasso di dolore nella via spirituale

Chiede Maya: Spesso osservando le persone che non si fanno troppe domande e che sembrano molto inconsapevoli mi sembra che facciano una vita più serena e meno dolorosa della mia. Vanno al lavoro e fanno quello che devono fare e basta. Magari si lamentano, ma sembra un lamento così tanto per fare due chiacchiere. Perché chi cerca invece soffre così tanto? O è il contrario, chi soffre è “costretto” a cercare?

Non sappiamo mai cosa c’è nell’intimo del nostro prossimo, sappiamo invece che nella cosiddetta normalità i rapporti avvengono all’ombra di maschere più o meno velanti.
In ogni persona avvengono processi di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Alcune incarnazioni sono caratterizzate da una maggiore intensità, in genere una incarnazione intensa si alterna ad una meno intensa.
Allo stesso modo ci sono stagioni, in una vita, in cui la macerazione è maggiore: una persona attorno ai 40 anni è certamente immersa in un passaggio esistenziale rilevante.

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Quando un insegnamento diviene un trastullo?

Diceva Uchiyama Roshi che il bastone durante lo zazen era un giocattolo, un trastullo per il praticante: serviva a rompere la monotonia delle interminabili ore di pratica, una consolazione alla fine ricevere una bastonata!
Quando un insegnamento diviene un trastullo? Quando non è sorretto da una pratica adeguata.
Cos’è una pratica? Dedizione e perseveranza nella frequentazione, nella meditazione, nello studio, nella costruzione di un tessuto di relazioni.
Ciascuno secondo le proprie possibilità, che significa non irregimentati all’interno di un insieme di doveri, ma consapevoli che la trasformazione interiore richiede una molteplicità di approcci.

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Una ecologia esistenziale

Gettare le basi di una ecologia personale fondata sulla consapevolezza del sentire che ci guida e delle dinamiche dell’identità che ci condizionano: una ecologia esistenziale.
Quali spinte ricevo dalla coscienza? Dove mi conduce attraverso le scene del quotidiano che mi propone, le persone che mi permette di incontrare, i successi e gli insuccessi che mi accompagnano nel quotidiano?
Ho un contatto con il sentire? Se non lo ho, non posso pensare a nessuna ecologia esistenziale, devo costruirlo, devo imparare ad ascoltare ed osservare l’interiore e i simboli attraverso cui si manifesta nel quotidiano.
Questo è il primo passo: divenire attenti, consapevoli, dediti all’osservazione, all’ascolto, alla non aspettativa, al non giudizio.

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Le buone abitudini nella via spirituale

Le buone abitudini si inscrivono nell’interiore.
La coltivazione della consapevolezza diviene un’attitudine e un’abitudine.
La disconnessione diviene un’abitudine.
L’interrogarsi sul tasso di egoismo che ci attraversa, diviene un’abitudine.
Il considerare se ti ho ferito, danneggiato, usato diviene un’abitudine.

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La consapevolezza del limite e dell’errore

Quando una coscienza abbandona il corpo fisico e dà luogo all’esperienza della morte, il processo più significativo che l’attende è quello di una revisione della vita appena vissuta.
Questa verrà analizzata nei suoi tanti risvolti: dalle scelte fatte al loro perché; dall’egoismo all’altruismo vissuti e praticati; dalle relazioni intessute con coloro che hanno condiviso le scene della vita, al rispetto o alla sopraffazione dimostrati o patiti.
Una volta usciti dalla grande, e spesso inconsapevole, officina del vivere, si entra nell’officina del riflettere, del divenire consapevoli, del sistemare i dati relativi al compreso e al non compreso.

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La necessità di una pratica meditativa quotidiana

Può un cammino interiore, spirituale ed esistenziale, non appoggiare su una pratica meditativa quotidiana?
Non credo, non fino ad un certo punto almeno. Vedo, purtroppo, molta approssimazione e molto dilettantismo su questo tema; molta superficialità.
Se si ha caro il proprio cammino, si è anche compreso che è necessario un ancoraggio quotidiano, un fermarsi e risiedere, un azzerare i contenuti della mente e di tutto ciò che l’identità tende ad aggiungere al reale, al ciò che è.

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