Il cammino dalla protesta e dalla ribellione, alla compassione

Una sorella nel cammino scrive: E poi ti sale una rabbia spaventosa, inutile, nociva, gli altri da noi non vogliono rabbia, vogliono sorrisi e assertività.
E sale il mostro, un mostro rosso che rivendica diritti, peraltro tutti giusti.
Ma perché non taci? Fai buon viso a cattivo gioco. Ti conviene. E invece no, lui esce come una vampata di un drago, un lanciafiamme. Rivendica giustizia, denuncia, dice.
Perché non taci? Guarda, osserva la miseria dell’uomo e non ti curare.

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L’essenza dell’amore vero è rendere felice l’altro?

“Quando ami sul serio, fai tutto in funzione della felicità dell’altro”.
Desidero commentare questa espressione, non conosco personalmente il suo autore e il suo pensiero e non intendo polemizzare con lui, mi interessa solo la sua espressione in quanto comune a molti in ambiente cristiano-cattolico.
Ad una prima analisi superficiale, l’espressione è condivisibile soprattutto perchè sottende un principio: non della mia felicità mi curo, ma della tua; anzi, realizzo la mia servendo te.
Ad un’analisi più approfondita, l’espressione mostra i suoi limiti: se ti amo opero, agisco, mi muovo con la finalità, con lo scopo di renderti felice?

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Consapevolezza di sé, ascolto profondo, uso della volontà di cambiamento

Per cambiare bisogna sempre tendere al gradino superiore del proprio sentire, e per raggiungere questo gradino occorrono piccole violenze al proprio sentire.
Riporto questa frase del Cerchio Ifior perché ben risponde all’argomento sostenuto da molti che affermano di non poter cambiare perché quello è il loro sentire.
Persone che hanno comportamenti e intenzioni ritenute da altri discutibili, che in sé soffrono un disagio esistenziale della cui natura non sanno chiaramente capacitarsi, che si vedono e avvertono anche che potrebbero cambiare sebbene senza sapere chiara la direzione, e che infine si siedono sull’affermazione che quello permette loro il sentire che hanno conseguito, e dunque lì stanno.

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Lo sguardo egocentrico e il processo per superarlo

Egocentrismo In psicanalisi, atteggiamento di chi tende a porre sé stesso al centro di ogni evento, per cui la propria percezione delle cose e i propri giudizi assumono un valore pressoché assoluto, rendendo difficile l’accettazione del punto di vista degli altri e quindi la comunicazione sociale. Fonte: Enciclopedia Treccani on line

Lo sguardo egocentrico ammorba anche le persone delle via interiore che, spesso, nel loro procedere in una certa solitudine ed introversione, coltivano anche quella disposizione non certo facilitante il cammino.

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Accompagnarvi nel quotidiano

Utilizziamo due strumenti per accompagnarvi nel quotidiano: questo sito, Il Sentiero contemplativo, e il sito Cerchio Ifior.
I contenuti pubblicati su Cerchio Ifior provengono da un ampio e approfondito insegnamento e si occupano prevalentemente della sfera della conoscenza di sé e dell’essere della realtà, con particolare attenzione alle dinamiche dell’Io, alla natura della coscienza e alla relazione tra i due.
Ci occupiamo della pubblicazione dei contenuti del Cerchio Ifior perché pensiamo che siano fondamentali per la formazione di un nuovo paradigma del reale e della stessa via interiore: quell’insegnamento è tale da ridisegnare l’intera antropologia umana e da ridefinire lo scopo e il senso dell’esistenza di ogni essere.

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Sostenersi reciprocamente nella conoscenza/consapevolezza

La vita mi ha fatto il dono di una compagna di via oltre che di vita; so che non tutti hanno questa benedizione e a maggior ragione sono grato per la mia situazione.
Dopo due mesi di silenzio, voglio ricominciare parlando dell’importanza del sostegno reciproco: in famiglia, nella comunità, in ogni ambiente caratterizzato dalla relazione.
Qui tratterò della via spirituale, ma il discorso è estendibile a qualsiasi ambito del vivere personale e sociale.
Molte sono le modalità del sostegno reciproco:
– attraverso il consiglio e il suggerimento;

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L’amore, il suo processo, la gratuità

“Se sarai capace di amare senza essere riamato” dice Kempis.
Nei vangeli abbondano i detti di Gesù che invita all’amore senza attendersi ritorno.
Voi sapete che io non amo gli assoluti e dunque della espressione di Kempis sottolineo il processo che implica, lasciando la perfezione che prefigura a Dio.
In quante situazioni la complessità del rapporto ci induce a dare, ad offrirci senza avere una corrispondenza nel ricevere?
Stiamo dando per ricevere? La questione potrebbe essere molto più complessa: potremmo dare nel tentativo di instaurare una relazione, uno scambio, una possibilità di crescita comune. Potremmo investire in un rapporto convinti di voler realizzare una officina esistenziale con l’altro e continuare a dare anche quando l’altro è reticente, vivendo inevitabilmente una frustrazione conseguente.

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Possiamo recare danno ai nostri figli?

Commenta Maria al post Amare non è dire si, non è soccorrere, non necessariamenteMi Chiedo quali siano i risvolti di tutto ciò in ambito educativo: come posso non influenzare con il mio comportamento un piccolo? È rassicurante pensare che comunque tutto serve alla sua evoluzione, ma ciò non deve frenare la spinta a migliorare dei comportamenti che avvertiamo inadeguati.
Due livelli di interpretazione sono possibili:
– un figlio è sempre nella famiglia che gli è necessaria e nella relazione che gli è funzionale;

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Amare non è dire si, non è soccorrere, non necessariamente

Ciò che cerchiamo di dare, o di non dare, all’altro comunque parla sempre di noi.
Osservo con molta attenzione l’impulso a dare, come la paura di farlo: qui voglio parlare dell’attitudine interiore che porta alcuni a dare ripetutamente e con apparente naturalità.
Comunemente affermiamo che il dare, il prendersi cura, il sostenere siano espressioni dell’amore che ci muove e attraverso quelle disposizioni e quei gesti prende forma: può darsi che sia così, ma non sempre e non comunque.

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