Il confine tra sé e l’altro: fusione ed egoismo

Dice Natascia commentando il post Amare non è una esperienza fondata sul sentimentoMi rendo conto che faccio fatica a comprendere fino in fondo qual’è il senso vero dell’amore ed è un tema su cui rifletto proprio in questi giorni. Per me si declina in compassione, accoglienza, mancanza di giudizio, ma è sempre così? E se questa mia modalità per alcune tipologie di persone può risultare non utile, se non addirittura dannosa? Non è nuovo questo tema per me, devo approfondirlo e capire perché la vita mi fa incontrare spesso con persone che mettono in crisi il mio modo di pormi in relazione.

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La sfiducia nella possibilità di cambiare la propria realtà

Dice Maria B. commentando il post I piccoli fatti e il nostro modo di viverliMi rendo conto di vivere una specie di saturazione del fare, con un senso quasi fisico di nausea. La mente s’infrange nei tanti, troppi compiti di cui è spesso artefice. Ciò che resta è solo un grande desiderio di abbandono e leggerezza. Eppure se io arrivo a varcare il mio limite, a tirare troppo la corda, è per sfiducia che la vita provvederà comunque? In altre parole se io sono esausta e non mi concedo al fare, devo sperare che qualcuno preparerà la cena?
Si Maria, “se io arrivo a varcare il mio limite, a tirare troppo la corda, è per sfiducia che la vita provvederà comunque?“, è per sfiducia.

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Accompagnare i figli nella conoscenza di sé

Commentando il post Rimanere, senza fine, in ascolto del sentire, Paolo chiede come possiamo aiutare i nostri figli nella conoscenza di sé.
Direi che possiamo senz’altro aiutarli attraverso:
– la testimonianza del nostro cammino esistenziale;
– i codici/simboli del nostro linguaggio;
– l’offerta del nostro paradigma.
Vivendo testimoniamo il compreso e il non compreso: i figli sono immersi nell’ambiente vibratorio che sta tra i due estremi della comprensione, essi respirano il compreso come i nostri conflitti, ciò che possiamo offrire loro è la nostra consapevolezza sui nostri processi, sul nostro procedere ed, ovviamente, anche sul loro.

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Niente più dell’ordinario ci interroga e ci insegna

Come sapete, la lunga stagione dell’insegnamento attivo nel Sentiero è finita: ciò che rimane e permane nel tempo, è il lavoro sottile di un gruppo di persone attente al quotidiano e ai movimenti del loro interiore.
Da cosa è costituito l’ordinario quotidiano?
Da ciò che la nostra coscienza crea e che, in quei termini, è percepibile e sperimentabile solo da noi e sempre narra del compreso, del non compreso e dei dati di cui essa necessità per procedere nel compito di ampliare il sentire che la costituisce.
Quando è chiamato in causa il compreso, il nostro operare sarà facile e nella gratuità; quando è il non compreso che bussa, è probabile che vi sia un certo tasso di attrito, di fatica e di condizionamento generato dall’identificazione.
La persona non è mai pienamente consapevole della portata dell’ordinario che la impatta: provenendo da un passato in cui si interpretava come vittima, mai finisce di imparare, di considerare, di compenetrare il presente come possibilità e come specchio di sé.

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La vita che mai riconosciamo abbastanza

Qual è questa vita che mai riconosciamo abbastanza? Quella che abbiamo.
Se la riconoscessimo non cercheremmo senza sosta altro e scenderemmo nel ventre di quello che ogni ora ed ogni giorno si presenta.
Se la riconoscessimo porremmo fine al rosario dei lamenti sulle altrui inadeguatezze e ci porremmo il problema di come accoglierle e di come valorizzarle per quello che sono.
Non metto in dubbio che esistano delle limitazioni, in noi come nell’altro, come nelle scene che bussano e chiedono di essere affrontate: esiste qualcosa che non contenga un limite nel divenire?
La questione non è il limite in sé, ma la sua funzione: ciò che viene, ciò che l’altro porta, nella sua limitazione assolve alla principale delle sue funzioni; quale?

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Basti il poco, il semplice, ciò che ogni giorno viene

La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando riuscirai a tendere un filo continuo
che collegherà la tua coscienza e la tua vita.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando non subirai quello che stai vivendo
ma quello che stai vivendo ti servirà come stimolo
per cercare di comprendere quello che veramente vuoi.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando riuscirai a trasformare la sofferenza
in una fonte di comprensione e, quindi, di felicità.

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L’interesse per l’altro, l’amore oltre sé, la gratuità

Fai per l’altro senza aspettarti nulla in cambio;
non dare per ricevere;
sia il tuo interesse per l’altro qualcosa
che da solo basta per la tua felicità;
se davvero lo ami, sii vicino all’altro
qualunque cosa 
pensi o faccia,
perché il vero amore non ha bisogno
di essere corrisposto e,
quando tu ti aspetti di ricevere qualcosa,
allora stai attento a quello che
pensi,
perché già lì potresti trovarti in faccia
al tuo egoismo mascherato d’amore.
Scifo

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L’impossibilità di giudicare: alcune ragioni

I corpi dell’individuo incarnato, come ormai dovreste sapere, non vengono costruiti lasciando al caso o alla natura e ai suoi processi fisiologici il compito di formarli, ma hanno uno stretto legame sia con il percorso evolutivo compiuto nel tempo dall’individualità che si incarna, sia con i suoi bisogni di sperimentare il mondo fisico per acquisire quelle piccole o grandi comprensioni che il suo corpo della coscienza non è ancora riuscito a sistemare al suo interno nel corso del suo incessante tentativo di adeguamento alle norme con cui la Vibrazione Prima ha pervaso il Cosmo in cui l’individuo incarnato si trova a essere inserito.

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L’illusione di poter ricevere senza dare

Asserragliati troppo spesso nei nostri fortini di canne!
Questa è l’immagine che mi sorge quando penso alla relazione tra dare e ricevere, al condizionamento dell’egoismo, alla paura per tutti coloro che, ignoti, abitano oltre l’effimera barriera che abbiamo eretto.
L’immagine del fortino di canne è applicabile a tutti gli ambiti della vita: da quello economico a quello politico; da quello religioso a quello culturale; da quello relazionale a quelle personale.
La cifra che caratterizza il fortino è l’egoismo, il suo condizionamento non compreso e non superato.
Tutto nel nostro intimo e nella società ci parla, narra e descrive questo morbo che ci paralizza: facciamo difficoltà ad aprire il cuore, ad allungare una mano, a compiere gesti di rottura dal condizionamento, a buttarci fiduciosi che la vita mai ci lascerà da soli e senza il necessario.

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