Chiede Nadia in Domande e Risposte: “Perché l’umano si contraddice? Perché dice una cosa e ne fa un’altra?”
Perché quello che dice non è che una delle rappresentazioni di una delle spinte interiori che avverte.
Quante sono le spinte interiori di una persona e quante le possibili rappresentazioni per ciascuna spinta?
Prenderei in considerazione le spinte proprie di almeno tre ambiti:
– le spinte che provengono dal sentire, quelle con caratteristiche esistenziali che portano la necessità di fare esperienze e di estrarre dati da esse;
– le spinte che vengono dalle convinzioni, ovvero dagli archetipi transitori cui si aderisce;
L’altro da sé
Non è l’odio dell’altro il problema
Mai ricordiamo a sufficienza che nulla accade senza una ragione.
Come può una sola persona, in pochi minuti, porre fine a così tante vite e non indurci a ponderare attentamente il simbolo che ci porge?
Non avendo cognizione della legge del karma, brancoliamo nel buio: ciò che non hai compreso si presenta e ripresenta, finché non comprendi, questo è il processo di apprendimento regolato dalla legge del karma.
L’odio dell’altro bussa nella nostra esistenza e porta un messaggio, quale?
L’idea della realtà quotidiana
Scrive Nicola Lagioia, commentando l’incidente ferroviario di Bari: “Che viaggiate a bassa velocità ad Andria come a Gallarate, avrete a che fare con uomini, donne, ragazze e ragazzi i cui volti sono totalmente diversi da quelli che potreste ritrovare in una fiction televisiva, in un reality, in un talent. Sono spesso i corpi e i volti di chi è stato lasciato indietro, di chi lotta con le unghie e con i denti per non essere sbattuto definitivamente fuori dal consesso sociale”.
Conosciamo qualcosa di questo paese, dei suoi mille volti che emergono ad una parziale evidenza solo quando accade qualcosa?
Dove arriva la responsabilità dei genitori?
Commentando il post Il tempo e il modo di morire di ciascuno, Natascia si chiede: “Perché la vita mi ha posto di fronte a certe scene, quali resistenze, incomprensioni e limiti hanno determinato quelle scene? E non potevo davvero far nulla per evitarle? Se davvero, come dici, la vita ci pone in più occasioni la possibilità di comprendere, qual’è la mia responsabilità nel non aver compreso?”.
A volte i nostri figli hanno cammini complessi e dolorosi e questo loro procedere inevitabilmente ci interroga e, non di rado, ci suscita un senso di inadeguatezza ed anche di colpa.
Il totem della competizione
Di fronte al rito dei rigori, ieri sera durante Italia-Germania, ho visto il non senso.
La legge della competizione vuole che qualcuno vinca e, siccome è legge partorita in una visione ristretta, vince chi fa più goal.
E’ la stessa ristrettezza di visione cui facevo riferimento qualche giorno fa in merito all’istituto del referendum: si o no; un goal in più di te, uno in meno a me.
“Fammi le cose semplici sennò mi confondo”, questo sembra il mantra dominante, o forse è solo il risultato di non comprensioni molto vaste e di una mancanza di alternative impossibili perché nemmeno si riesce ad immaginarle.
La paura e le basi per il cambiamento
Un video Unicef pone la questione dello nostre reazioni di fronte ad una persona bisognosa: nello specifico vengono registrate le reazioni di fronte ad una bambina sola per strada, ma ben vestita e curata, e di fronte alla stessa bambina truccata da povera. La prima bambina viene accudita, la seconda ignorata.
Perdonate, ma in sé il video non dimostra niente se non che abbiamo paura e diffidenza rispetto a tutto ciò che può comportare un problema, o un’aggiunta di complicazione nella nostra vita.
Di fronte ad una bambina sola, ma curata e ben vestita, noi sappiamo che la soluzione non sarà complessa; stessa certezza non abbiamo di fronte alla bambina sola e in cattive condizioni: qui si può spalancare un mondo che non consociamo, che possiamo avere difficoltà nel gestire, che ci richiederebbe forze che non abbiamo, o che non vogliamo mettere in campo. Poi, magari, non sarebbe così e la gestione del primo caso e del secondo richiederebbero, alla prova dei fatti, lo stesso impegno, ma noi abbiamo paura della situazione che si configura come più complessa e meno gestibile.
Vero e necessario l’amore che vivono le persone?
Vero e necessario l’amore che vivono le persone?, chiede Samuele nel commento al post Oltre il vedere, la realtà sentita.
Necessario ai loro cammini esistenziali, senz’altro; vero direi che lo è con molte riserve.
Se per vero intendiamo qualcosa che esiste al di là dei bisogni, dei desideri e degli istinti, direi che l’amore di quella natura è sperimentato, nelle coppie e fuori di esse, da ben pochi umani.
Provate a togliere da ciò che vi lega al vostro partner, il senso di appartenenza, l’appartenervi e possedervi reciprocamente.
Provate a togliere il desiderio e il sesso.
Quando non abbiamo più un progetto
Prendo le mosse da questo manifesto europeista lanciato da Nicola Zingaretti che vi invito anche a sottoscrivere.
L’umano senza progetto muore: finisce la sua creatività, finisce la sua socialità, finiscono la sua cultura e la sua vita interiore.
Muore interiormente perché, essenzialmente, quello che noi chiamiamo umano altro non è che la rappresentazione di un processo del sentire che si mostra in divenire nel tempo: il processo che da ego conduce ad amore, quello è l’umano che viene rappresentato ogni giorno, ad ogni latitudine.
Il limite della comunicazione cognitiva
Mi è accaduto più volte, nella mia attività, di trovarmi nella situazione in cui i miei interlocutori si sono eccessivamente focalizzati sulla dimensione cognitiva della nostra relazione, o di una questione in ballo, ed io sempre ho reagito dicendo che non era quella la via e, in seguito, mi sono ritratto dal confronto.
Questo mio comportamento ha provocato sconcerto nei miei interlocutori e, non di rado, è stato motivo di allontanamento.
Mi risulta insopportabile la predominanza della mente nella relazione: mi sento prigioniero in una stanza chiusa e e senz’aria con l’altro che parla e parla attorcigliandosi nei suoi pensieri.
L’atmosfera vibratoria e la sua percezione
Dice Leonardo in Domande e Risposte: Vorrei sottoporre al tuo giudizio un’esperienza che mi è successa ieri a lavoro.
Giunto al ristorante, ieri dopo l’intensivo, si è mantenuta in me per tutta la durata del servizio quella predisposizione interiore di cui ho parlato nella sessione di domenica e a pranzo: una vibrazione di fondo in cui era radicato il piano del divenire, del soggetto. Questa vibrazione di fondo si è chiarita via via che lavoravo, come un profondo silenzio vibrante che avvolgeva tutto, come se da quel silenzio tutto nascesse: dai miei gesti e parole, al rumore di una forchetta che rimbalzava a terra, alle urla dei bambini, al vociferare alto dei clienti.