Un video Unicef pone la questione dello nostre reazioni di fronte ad una persona bisognosa: nello specifico vengono registrate le reazioni di fronte ad una bambina sola per strada, ma ben vestita e curata, e di fronte alla stessa bambina truccata da povera. La prima bambina viene accudita, la seconda ignorata.
Perdonate, ma in sé il video non dimostra niente se non che abbiamo paura e diffidenza rispetto a tutto ciò che può comportare un problema, o un’aggiunta di complicazione nella nostra vita.
Di fronte ad una bambina sola, ma curata e ben vestita, noi sappiamo che la soluzione non sarà complessa; stessa certezza non abbiamo di fronte alla bambina sola e in cattive condizioni: qui si può spalancare un mondo che non consociamo, che possiamo avere difficoltà nel gestire, che ci richiederebbe forze che non abbiamo, o che non vogliamo mettere in campo. Poi, magari, non sarebbe così e la gestione del primo caso e del secondo richiederebbero, alla prova dei fatti, lo stesso impegno, ma noi abbiamo paura della situazione che si configura come più complessa e meno gestibile.
L’altro da sé
Vero e necessario l’amore che vivono le persone?
Vero e necessario l’amore che vivono le persone?, chiede Samuele nel commento al post Oltre il vedere, la realtà sentita.
Necessario ai loro cammini esistenziali, senz’altro; vero direi che lo è con molte riserve.
Se per vero intendiamo qualcosa che esiste al di là dei bisogni, dei desideri e degli istinti, direi che l’amore di quella natura è sperimentato, nelle coppie e fuori di esse, da ben pochi umani.
Provate a togliere da ciò che vi lega al vostro partner, il senso di appartenenza, l’appartenervi e possedervi reciprocamente.
Provate a togliere il desiderio e il sesso.
Quando non abbiamo più un progetto
Prendo le mosse da questo manifesto europeista lanciato da Nicola Zingaretti che vi invito anche a sottoscrivere.
L’umano senza progetto muore: finisce la sua creatività, finisce la sua socialità, finiscono la sua cultura e la sua vita interiore.
Muore interiormente perché, essenzialmente, quello che noi chiamiamo umano altro non è che la rappresentazione di un processo del sentire che si mostra in divenire nel tempo: il processo che da ego conduce ad amore, quello è l’umano che viene rappresentato ogni giorno, ad ogni latitudine.
Il limite della comunicazione cognitiva
Mi è accaduto più volte, nella mia attività, di trovarmi nella situazione in cui i miei interlocutori si sono eccessivamente focalizzati sulla dimensione cognitiva della nostra relazione, o di una questione in ballo, ed io sempre ho reagito dicendo che non era quella la via e, in seguito, mi sono ritratto dal confronto.
Questo mio comportamento ha provocato sconcerto nei miei interlocutori e, non di rado, è stato motivo di allontanamento.
Mi risulta insopportabile la predominanza della mente nella relazione: mi sento prigioniero in una stanza chiusa e e senz’aria con l’altro che parla e parla attorcigliandosi nei suoi pensieri.
L’atmosfera vibratoria e la sua percezione
Dice Leonardo in Domande e Risposte: Vorrei sottoporre al tuo giudizio un’esperienza che mi è successa ieri a lavoro.
Giunto al ristorante, ieri dopo l’intensivo, si è mantenuta in me per tutta la durata del servizio quella predisposizione interiore di cui ho parlato nella sessione di domenica e a pranzo: una vibrazione di fondo in cui era radicato il piano del divenire, del soggetto. Questa vibrazione di fondo si è chiarita via via che lavoravo, come un profondo silenzio vibrante che avvolgeva tutto, come se da quel silenzio tutto nascesse: dai miei gesti e parole, al rumore di una forchetta che rimbalzava a terra, alle urla dei bambini, al vociferare alto dei clienti.
La radice del lamento
Sono passato ieri davanti alla stazione di Marotta, una località turistica della costa, e ho visto che nelle due misere aiuole l’erba era alta un metro e sono rimasto basito.
Ho telefonato a mio fratello, che a Marotta abita e che ha ancora, a differenza di me, alcuni contatti nell’amministrazione comunale, per chiedergli se poteva fare qualcosa.
Avrei potuto brontolare, lamentarmi, ingiuriare gli amministratori disattenti, e forse anche incapaci, e chiuderla lì. Ma non è nella mia natura, se c’è un problema, tendo a farmene carico.
La vicinanza che aiuta
In una coppia, se i due affrontano la vita leggendola alla luce dello stesso paradigma, tutto è più facile: quando in una officina gli operai sono esperti ed affiatati, il lavoro scorre molto più agevolmente e con meno fatica per tutti. La presenza di un apprendista che non conosce il lavoro, richiede uno sforzo e una dedizione particolari ma, in genere, l’apprendista impara e quello sforzo è ripagato dalla suddivisione futura dei compiti e dei carichi.
Quando in una coppia, uno dei due non ne vuol sapere di condividere il paradigma, la cosa si complica: un apprendista lo puoi anche licenziare, un partner pure, ma è più complicato.
La radice della tenerezza
L’esperienza della tenerezza si colora di emozione e di affetto, ma la sua natura è altra: c’è tenerezza quando si comprende il fattore esistenziale in gioco.
C’è tenerezza perché c’è comprensione e quindi accettazione senza condizione.
Che l’esperienza della tenerezza sia suscitata da qualcosa che accade in noi, o nell’intimo dell’altro, poco cambia: se comprendiamo il processo esistenziale in atto, se a quella comprensione segue un inchinarsi e un ammutolire, lì sorge l’esperienza del così è, avvolto nel manto della tenerezza.
I fatti, l’oggettività, il dubbio
Si può coltivare senza sosta il dubbio e la relatività del proprio e altrui dire e fare?
Se il nostro quotidiano appoggia sul dubbio e sulla relatività di ogni accadere, su cosa appoggia?
Sul simbolo. Non dunque su quella frase, né su quel gesto presi alla lettera, soppesati e misurati, ma sul loro portato simbolico.
Dubitiamo dunque delle parole, delle certezze, delle oggettività, di ciò che la mente e i sensi ci raccontano, ma rimaniamo vigili nel cogliere il portato esistenziale e simbolico di ogni accadere.
La realtà soggettiva
Esempio del mendicante – Supponiamo che in una serie di fotogrammi siano rappresentate due creature: un mendicante ed uno che passa a lui di fronte.
A questo punto nasce una variante: la creatura che passa di fronte al mendicante può scegliere tra fare l’elemosina o non farla. Fare l’elemosina è un fatto materiale, cioè togliere, da una certa quantità di monete in una borsa, una moneta e passarla nelle mani del mendicante.
Ecco della variante la prima serie di fotogrammi: la creatura passa davanti al mendicante e fa l’offerta, cioè toglie delle monete dal suo portamonete e le passa al mendicante.
Le mancanze che aiutano
Le mancanze nostre aiutano l’altro, quelle dell’altro aiutano noi. Attraverso la privazione si mostra, si svela il nostro bisogno.
Se l’altro è scorrevole e sempre pronto, non riusciremo a capire, a sapere, a comprendere che cosa veramente ci necessita, cosa è importante e necessario e cosa no.
L’assenza, il limite, la mancanza dell’altro fanno emergere il nostra lamento, a volte il nostro grido di bisognosi e mentre questo accade abbiamo la possibilità di divenire consapevoli di quella nostra modalità e inclinazione, di lavorarla e disconnetterla.