Meditazione sull’attenderti

Ti aspettavo.
Ero un bambino schivo
e fuggivo nei campi quando
veniva qualcuno in casa.
Lunghe giornate nella solitudine,
nell’ombra, pronto a nascondermi.
Ti aspettavo e non lo sapevo.
Sono venuti poi gli anni
dell’allenamento più intenso;
oggi mi fa tenerezza guardare
a quel ragazzo e a quella lotta
così dura con la mente.
Ti aspettavo
e cominciavo a vedere che cosa
mi separava da te.
Ricordo un campo di raccolta stracci
e la mente che cominciava ad ordinarsi.
Ti aspettavo
e la vita bussava.
Anni e anni con lo sguardo,
rivolto verso il fuori
a discutere di una possibilità nuova.
Ti aspettavo
ma non sapevo da dove saresti venuta.
Poi lo sguardo ha cominciato
a farsi interiore,
a tentoni ti ho cercato.
Ti aspettavo,
non eri lontana.
Ho incontrato lo zen
e mia figlia quasi insieme,
ho riconosciuto il tuo bussare,
ero a casa mia.
Da allora lo sguardo si è fatto
ogni giorno più chiaro
e, da allora, ho iniziato a perdere,
consapevolmente, pezzi di me.
Ho perso, forse sono un po’ distratto,
tutto quello che avevo incontrato,
ma non ho più tolto lo sguardo da te.
Man mano che le esperienze passavano,
non ti aspettavo più, eri li,
potevo cominciare a detendermi.
Avevo vissuto in una tensione continua
verso un qualcosa, un senso,
ed ora quel senso cominciava a prendere forma.
Ti ho incontrata in tutti i miei giorni,
in tutte le mie notti,
in tutti coloro che sono arrivati qui
con una domanda.
Ti incontro ad ogni respiro,
ad ogni movimento dell’aria,
in ogni ombra,
in ogni fruscio tra l’erba.
Non ho più quell’ansia
che mi rodeva,
non ho bagaglio,
non ho direzione,
sono qui e tu sei qui
e io non so proprio chi sono,
ma so abbastanza bene
chi sei tu.

Dedicato a tutti coloro che ti aspettano
perché possano perseverare.

Meditazione sul determinante

Accade proprio ora
quel piccolo fatto
che, parlando di sé,
ti interroga.
In sé, quel fatto,
è solo un fatto
e racconta solo di sé;
quando lo interpreto,
e sempre lo interpreto,
allora inizia a parlare di me.
E cosa dice di me?
Poche o tante cose,
dipende, ma in tutti i casi
mi offre una possibilita’
di vedermi, di sentirmi,
di seguire un processo
o di lasciarlo andare.
Da chi è portato quel fatto?
Da quella persona
che lavora accanto a me,
da quel figlio, da quel partner,
da quell’inciampare in un gradino.
Una processione quasi infinita
di piccoli insignificanti fatti
e tutti mi indicano la via.
Sempre. Consapevole
o inconsapevole che io sia,
quel fatto che accade ora
è il determinante.
Quel fatto, apparentemente
insignificante,
in quel quotidiano,
apparentemente senza sostanza.

Meditazione sull’ordinario

Torno qui,
risiedo qui.
Mi capita
di avvertire
un movimento dell’aria,
un profumo intenso;
mi capita
un pensiero penetrante
o, a volte, sciocco;
mi capitano molte cose,
semplici, ordinarie.
Mi capitano nel senso
che si presentano
e poi scompaiono.
Cammino
e una processione
interminabile di fatti
mi scorre a fianco
e mi attraversa.
Non ho sostanza,
sono privo di consistenza
e mi è piuttosto chiara
l’espressione ” la realta’
è solo rappresentazione”.
Credo di sapere anche
che tutto questo
è privo di senso.
Cosa significa?
Che per quanto ci sforziamo
di interpretare,
un gioco rimane un gioco,
pura gratuita’
priva di finalità,
senza scopo e,
alla fine, senza senso.
Semplicemente accade.
Ecco, mi capita di accadere;
mi capita che la vita
accada attorno a me,
mi capita di non essere altro
che vita che accade.

Canto dello zazen

Fin dall’origine tutti gli esseri sono dei Buddha.
Come acqua e ghiaccio:
senz’acqua non c’è ghiaccio.
Fuori degli esseri viventi non ci sono Buddha.
Non conoscendo ciò che è vicino,
essi cercano la verità lontano.
Come uno che immerso nell’acqua urli “Ho sete!”,
come il figlio di un uomo ricco che vaghi su questa terra fra i poveri.
La causa del nostro circolare fra i sei mondi
è che noi siamo sugli oscuri sentieri dell’ignoranza.
Da oscuro sentieri a oscuro sentiero,
come possiamo sfuggire alla ruota del samsàra?
La meditazione zen del Mahàyàna va al di là delle nostre lodi.
Il dono, la moralità e le altre perfezioni [pàramità],
la ripetizione del nome [nenbutsu] e la disciplina,
gli innumerevoli meriti, tutto viene dalla pratica della meditazione.
Con il merito di una singola pratica
distrugge gli innumerevoli peccati accumulati.
Dove saranno allora i cattivi sentieri per lui?
Il paradiso della Terra Pura non è lontano.
Chi ascolta questa verità anche per una sola volta
con il cuore umile e riconoscente,
la loda e l’abbraccia,
acquista cumuli di meriti infiniti.
E se si volge all’interno e coglie la vera natura del Sè,
– quel vero Sè che è il Non-Sè –
va oltre la conoscenza basata su astute parole.
Le porte si aprono, causa ed effetto non sono più:
non c’è dualità nè triade, a la Via corre dritta.
assume come forma l’aspetto di non-forma.
Va e torna, ma non lascia mai la casa.
Assume come pensiero la forza del non-pensiero.
Cantare e danzare, tutto è voce del Dharma.
Com’è vasto il cielo della concentrazione infinita!
Irradia la luna piena della quadruplice Saggezza!

Poesia di Hakuin Ekaku Zenji 1685-1768