Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
[…] Fintantoché siamo vivi, che ci pensiamo oppure no, siamo il me originario ma, nello stesso tempo, abbiamo il karma di produrre molteplici illusioni, ed è un fatto reale che non ci possiamo separare dall’idea che abbiamo di noi come io che esiste di per sé, come ente autonomo.
Meditazione
La vita come meditazione.
Tutti e tutte le cose non sono altro da me [Antai-ji10]
Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Un termine che Dōgen nello Shōbōgenzō mette sempre in evidenza è jin: una piccola parola dai molteplici significati, perché esprime il senso di andare fino in fondo senza residui, esaurire senza lasciare niente, arrivare al non plus ultra.
Cos’è il volto originario? [Antai-ji9]
Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
C’è un kōan che parla del mio “volto originario prima nella nascita di mio padre e mia madre”: verrebbe da pensare allora che ci sia qualcosa di speciale che sarebbe questo “volto originario”, ma non è così. È semplicemente lì dove è aperta la mano del pensiero. Nessuna speciale misteriosa frontiera o sembianza.
I sei tipi di zen da non praticare [Antai-ji8]
Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Non sono uno come quei maestri zen colonialisti che pensano basti semplicemente andare all’estero a imbonire la gente. Invece è molto importante produrre testi per far conoscere davvero agli stranieri il vero zazen. È per questo che io, durante gli ultimi dieci anni, mi sono impegnato qui ad Antai-ji a formare persone e scrivere testi.
Guadagno è illusione, perdita è risveglio [Antai-ji7]
Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Zazen deve operare concretamente nella nostra vita quotidiana: dobbiamo mettere in pratica il motto: “guadagno è illusione, perdita è risveglio”, attuare due pratiche (la pratica del voto e la pratica del pentimento) e perseguire tre atteggiamenti mentali (una mente lieta, amorevole, magnanima).
In zazen: il fondo dell’Essere oltre il pensiero
Quando si scende nella profondità dello ‘stare’ in zazen, accade che sorge una consapevolezza simultanea di due stati: uno stato registra il sottile scorrere dei pensieri e l’altro la pienezza del risiedere nell’Essere, in Cio-che-È.
Il vero maestro non può essere una persona [Antai-ji6]
Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
Lo stesso vale per il “vero maestro”. È scritto: “Se non c’è un vero maestro non c’è modo di apprendere”*. Ma cos’è il vero maestro? Se uno pensa “Ecco, ci siamo, lui/lei è il vero maestro” senz’altro si sbaglia. Pensare “Questa persona è il mio vero maestro” non va oltre a prendere per buono un proprio pensiero.
Zazen è il ‘Buddha Venerato’ [Antai-ji5]
Kōshō Uchiyama rōshi. Discorso d’addio ad Antai-ji.
In giapponese si indica con il termine Honzon la statua di Buddha al centro dell’altare principale di un tempio, che simbolizza l’oggetto di venerazione. Rappresenta ciò che è davvero da venerare e per noi questo è sedere in zazen aprendo la mano dei pensieri. Aprire la mano del pensiero è il valore supremo, che chiamiamo honzon, Buddha Venerato.