Un sogno lungo vent’anni

Avevo nella mente e nel sentire un gruppo di persone adulte nella comprensione, autonome nell’identità, mature nella relazione che, vivendo le loro vite e le loro sfide, fossero capaci di generare conoscenza di sé, consapevolezza, condivisione, atteggiamento contemplativo.
Avevo, e ho avuto lungo questo arco di tempo così impegnativo e vitale, nella mente e nel sentire la consapevolezza di una possibilità: che persone laiche, lontane dalle religioni e dalle appartenenze percorressero una via originale, semplice, in continua revisione e approfondimento, scoprendo e vivendo in sé la dimensione archetipa del monaco, di colui/ei che si carica il proprio essere sulle spalle e va incontro all’unità dell’essere e dell’esistere.
Ho avuto nella mente e nel sentire la possibilità di edificare una comunità nel sentire che fosse testimonianza visibile di un’altra vita, di un’altra declinazione dell’umano.
Tutto questo nel tempo ha preso una forma e oggi un organismo comincia ad avere una vita sua, sembra potersi alimentare di una forza propria, non indotta.
Il sognatore intravvede ora la possibilità di riposarsi dal sogno.
E’ stanco, il cammino è stato faticoso, i veli negli occhi dell’umano molti; alla fine del suo sogno una commozione lo pervade, lascia che la stanchezza possa fare il suo corso.

Immagine da: http://goo.gl/6xAdB8


Il dialogo interreligioso e la comunione dei sentire nella contemplazione

Afferma Enzo Bianchi in Deontologia del dialogo (Dialogo Interreligioso Monastico):
3. Definire se stessi a partire dalla propria identità culturale e religiosa. Questo è particolarmente importante per noi cattolici che – sovente sotto il pretesto di universalità e di sympatheia – tendiamo all'”et-et” piuttosto che all'”aut-aut”, siamo tentati di non collocarci mai: in questo caso non ci sarà dialogo ma solo un indifferentismo o un relativismo che si manifesteranno in consensi irreali, specchietti per allodole… Senza sentire le proprie radici non si è autentici interlocutori: essere fedeli alla propria confessione di fede ed esserne oggettivamente portavoce è condizione del dialogo autentico.
Credo di comprendere ciò che Bianchi dice e mi sembra che abbia senso nel mondo delle identità, là dove noi e l’altro siamo entità ben distinte: così è certamente nel mondo, nelle mille relazioni che gli uomini e le donne intessono tra loro.
Se guardo a questo incontrarsi e dialogare dall’interno dell’esperienza della contemplazione così come a noi è dato sperimentarla, debbo dire che quella prassi per noi non ha alcun senso.
E’ per questa ragione forse che non ci occupiamo di tessere relazioni e occasioni di dialogo con altre esperienze spirituali.
Anche quando, nelle situazioni di accompagnamento personale, qualcuno ci chiede una parola e dovremmo rimanere confinati in un ambito più identitario, sempre il nostro interesse è per il superamento di quella limitazione a favore di un incontro sul piano del sentire.
In effetti, non coltiviamo il dialogo, non ci interessa l’incontro tra identità, timida rappresentazione dell’incontro autentico che supera l’essere due, noi e l’altro.
Questa è la questione: il dialogo postula l’essere due.
La comunione dei sentire azzera il postulato e realizza l’incontro autentico: le due identità sfumano e scompaiono nell’ambito del sentire dove, anche quando non c’è comunione di sentire, c’è comunque la neutralità del “ciò che è”.
Si osserverà che questo è possibile ad alcuni e con alcuni.
Può darsi che sia possibile solo ad alcuni, ma se questi vivono la dimensione operante della contemplazione nella loro ferialità, l’incontro con l’altro non si ferma mai sul piano identitario: indipendentemente dall’altro e dalla sua disposizione, la persona che vive lo stato contemplativo usa le proprie parole, il proprio agire, la propria disposizione interiore per incontrare l’altro nel sentire.
Non c’è alcun dialogo in questa prassi: c’è l’aprirsi di un mondo spazioso e neutrale nell’intimo di sé che è ventre per tutto l’esistente, qualsiasi forma questo assuma.
Concludendo: atteggiamento contemplativo e dialogo hanno poco a che fare perché la contemplazione realizza l’incontro su un piano diverso da quello delle identità interessate al dialogo.

Immagine da: http://goo.gl/tsspMx


 

Senza forma

Tutto ha una forma, può un cammino interiore sfuggire a questa regola?
Non credo, una qualche forma la si ha sempre; nel nostro caso la perdita della forma è stata una costante della nostra ricerca.
In che cosa si traduce? In una disarticolazione nella percezione di sé e in una profonda relativizzazione del proprio cammino.
La conseguenza è che l’immagine che si propone all’altro non è catalogabile, non è collocabile negli archivi del conosciuto.
La persona del Sentiero, colui/ei che nel proprio intimo ha lasciato affiorare l’archetipo del monaco, è un senza casa;
nessuna appartenenza può scaldargli il cuore, la disponibilità a vivere in sé l’uno-in-tutto lo apre all’incontro con la realtà dove non porta un immagine ma solo la radicale evidenza del “ciò che è”.
Il Sentiero è un’evidenza per chi lo percorre ma è invisibile a chi non ne conosce i passi.

Il nostro cammino laico

E’ possibile procedere lontano da tradizioni, religioni, mode, influenze che giungono da ogni direzione?
E’ questo il nostro tentativo ed è reso e rimane possibile solo se mai distogliamo lo sguardo dal nostro quotidiano, da ciò che attimo dopo attimo la vita ci presenta.
In quei fatti minuti possiamo trovare la direzione, l’ispirazione, il necessario che ci illumina il cammino.
Ogni fatto ci svela e parla di noi, delle resistenze, del non compreso; ogni fatto relativizza le nostre credenze, le nostre adesioni, le nostre fughe.
L’aderenza al presente quotidiano e feriale ci rende profondamente laici, non legati ad alcuna filosofia, ad alcun paradigma, sufficientemente disincantati, radicalmente neutrali rispetto a ciò che la mente afferma.
E’ un lavoro lungo e paziente che richiede discernimento, consapevolezza, grande fiducia in ciò che accade e che mai è contro di noi.

La foto è tratta da www.ilpost.it

L’insieme è più ampio della parte

A sei giorni dall’intensivo ci sono robusti segni di un ridimensionamento nell’ampiezza del sentire, come se ora l’aereo cominciasse le manovre di atterraggio.
Angoscia e senso di solitudine sono le emozioni prevalenti.

continua..

Nel dono dell’unità

Nella grazia dello Spirito, direbbe un cristiano.
“E’ stato per me il più intenso intensivo fra tutti quelli fatti. Ho trovato la piattaforma…finalmente l’ho compresa”. Questo scriveva Roberto D’E. stamattina quando ha mandato le foto

continua..

Immagini della giornata di fondazione della Comunità del Sentiero contemplativo

Le immagini in sequenza descrivono la giornata del 27 aprile da prima dell’alba al tramonto. Eravamo a Fonte Avellana dal 24 e abbiamo terminato l’intensivo il 28. Lo zazen, le lodi con la comunità dei monaci, la sessione del mattino, la passeggiata meditativa, il pranzo, la fondazione della comunità cui ha partecipato il priore della comunità camaldolese di Fonte Avellana, Gianni, il vespro serale.

Le immagini sono di Roberto D’E.

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