Ci divengono comprensibili scampoli di realtà, in frammenti di specchi si rifrange una comprensione.
Ci sembra di poter parlare dell’Assoluto e non avvertiamo il frastuono del raglio che si leva.
Forse dovremmo solo occuparci di come togliere veli dagli occhi, rimuovere escrementi dal sentiero garantendoci un passo stabile nella precarietà delle ore che passano.
L’umiltà è la piena consapevolezza del raglio, lo splendore del non sapere e del non aver compreso, lo stupore di non avere bisogno alcuno.
L’esperienza dell’umiltà ci consegna nelle mani dell’irrilevanza, del non poterci prendere sul serio, del non riuscire a calcare la scena con la convinzione necessaria all’attore.
Se l’attore non crede alla propria parte, cosa accade di lui? Può solo fare un passo indietro e confondersi nella vita.
Un nuovo monachesimo
Il tirocinio nella via spirituale
Quando non conosci, indaghi. Se qualcosa ti preme, cerchi, chiedi, studi, pratichi.
Discorsi di un vecchio e forse di un altro tempo; non so, sono disorientato.
Ho molti ricordi, l’esporli mi fa sentire un po’ patetico. Come i vecchi, appunto.
Quando negli anni ’80 mi sono avvicinato allo zen, andavo agli intensivi a Genova e stavo via tre, quattro giorni; così pure quando andavo a Figline Valdarno: Catia rimaneva da sola con la bambina piccola, nella casa sperduta tra i campi, la stufa da accendere, i cani, l’orto.
Sullo zen hanno scritto in tanti e tanti erano gli insegnanti: la vita mi ha dato dei segni che ho indagato e poi ho conosciuto, approfondito, studiato e praticato senza risparmio.
Dopo lo zen sono venute altre indagini e altre occasioni e sempre lo stesso è stato l’atteggiamento: cogliere i segni, conoscere, approfondire, studiare, praticare, spendersi senza riserva.
Una ecologia esistenziale
Gettare le basi di una ecologia personale fondata sulla consapevolezza del sentire che ci guida e delle dinamiche dell’identità che ci condizionano: una ecologia esistenziale.
Quali spinte ricevo dalla coscienza? Dove mi conduce attraverso le scene del quotidiano che mi propone, le persone che mi permette di incontrare, i successi e gli insuccessi che mi accompagnano nel quotidiano?
Ho un contatto con il sentire? Se non lo ho, non posso pensare a nessuna ecologia esistenziale, devo costruirlo, devo imparare ad ascoltare ed osservare l’interiore e i simboli attraverso cui si manifesta nel quotidiano.
Questo è il primo passo: divenire attenti, consapevoli, dediti all’osservazione, all’ascolto, alla non aspettativa, al non giudizio.
La relazione tra sentire di coscienza
Vorrei sviluppare quanto emerso nell’Essenziale di ieri.
Le menti-identità leggono i frammenti della realtà, per loro natura non colgono l’insieme ma il particolare e sono mosse da un bisogno di presenza, di manifestazione, di relazione con le loro pari.
Hanno, giustamente, l’esigenza di calare un impulso, una conoscenza, un assaggio di comprensione nella loro vita, di incarnarli, di trovare il modo per farli divenire vita nel quotidiano.
Le buone abitudini nella via spirituale
Le buone abitudini si inscrivono nell’interiore.
La coltivazione della consapevolezza diviene un’attitudine e un’abitudine.
La disconnessione diviene un’abitudine.
L’interrogarsi sul tasso di egoismo che ci attraversa, diviene un’abitudine.
Il considerare se ti ho ferito, danneggiato, usato diviene un’abitudine.
Domanda, discepolo, maestro, realtà
E’ il sentire relativo, quello proprio degli umani e degli altri esseri viventi, che crea la realtà.
Quel sentire contiene nel suo dna un programma che lo orienta: “provengo da un sentire più limitato e sono in continuo ampliamento”.
I sentire relativi costituiscono il sentire assoluto il quale non ha quel programma, ma è la realtà compiuta, infinita ed eterna del sentire.
Il sentire assoluto non diviene e non crea, non ha domande, non cerca risposte.
Il sentire relativo, in virtù di quella sua disposizione-programma di fondo, genera il divenire e le domande, cerca le risposte.
Il mito e la fine della religione
Mi interroga il rapporto delle persone con le tradizioni e con i miti, ne ho parlato in questo post recente.
Riconosco il valore del mito: oltre la lettera rivela una realtà più profonda e significativa per l’umano in genere.
Il mito svela alla mente una realtà vasta che solo in parte da essa può essere indagata.
E’ una specie di segnale direzionale, indica dove va condotta la ricerca ma, questa, va portata avanti con gli strumenti propri della mente (1), o con altri strumenti?
La ricerca esistenziale e la sua responsabilità
Una ricerca esistenziale sorge da una duplice spinta:
– quella della coscienza che ha bisogno di dati, di comprensioni;
– quella dell’identità che avverte una mancanza, una frustrazione, una alienazione.
La ricerca può essere consapevole o inconsapevole. Non c’è essere umano che non persegua la via della conoscenza: tutto il vivente sviluppa la consapevolezza di sé e della scomparsa di sé, che lo voglia o no, che ne sia consapevole o no.
La tradizione e la fiducia nel cammino spirituale
Ho letto con interesse questa intervista a Raphael. Ho anche evidenziato delle parti: quelle in cui c’è piena condivisione di sguardo; quelle dove c’è perplessità e infine quelle che mi sono sembrate approssimative.
Ad esempio, trovo approssimativo quello che, in genere, dice in merito al cristianesimo.
Raphael riconosce una funzione insostituibile alla tradizione nella via spirituale: solo conoscendo l’esperienza degli altri sedimentata nel tempo, puoi sapere dove sei ora, dove è l’altro a cui magari ti affidi.
Quel che è trasmissibile nella via spirituale
In un cammino interiore non puoi trasmettere il sentire: è il frutto del lungo processo esistenziale del conoscere-divenire consapevoli-comprendere.
Può capitarti di condividere un sentire, di vibrare all’unisono con un sentire di ampiezza prossima alla tua, questo può accadere.
Puoi trasmettere un sapere, una visione, un paradigma: gli strumenti per affrontare sè e la vita. Questo è possibile.