Confusione interiore. Dizionario del Cerchio Ifior
Come sempre le Guide cercano di trasmettere, con le loro parole, elementi di positività. Infatti anche nel parlare dello stato di confusione interiore dell’individuo (che per l’incarnato è quasi sempre sinonimo di ansia, paure e forte travaglio interiore) hanno sempre sottolineato l’utilità di questo stato interiore, in quanto denota l’inizio di un cambiamento nello stato di coscienza dell’individuo o, quanto meno, l’insorgere di uno stimolo (appunto la confusione interiore) che spinge l’essere umano a cambiare invece di cristallizzare sulle posizioni che pensa di aver raggiunto. Infatti, affermano, nel suo cammino l’individuo deve sempre tendere ad una maggiore comprensione e questo comporta fare esperienze e non «accontentarsi» oltre il lecito di quanto si è riusciti a raggiungere.
Messaggio esemplificativo
Non si può riuscire a raggiungere nessuna certezza se prima non si riesce ad abbattere tutti i preconcetti che l’individuo ha dentro di sé; se prima, cioè, egli non riesce a piombare nella confusione più completa, se prima non riesce a mettere in discussione dentro di sé anche i valori che riteneva più acquisiti, più sicuri, e sui quali fondava la sicurezza, l’equilibrio e la stabilità della sua stessa esistenza.
Ogni ricercatore deve essere pronto a fare questo, deve essere conscio che vi saranno dei momenti in cui tutto ciò che prima gli appariva sicuro e acquisito diventerà in un attimo incerto, e franerà sotto il peso delle nuove esperienze.
Certo, vi sarà spesso, allora, la tentazione di afferrarsi al vecchio – perché il nuovo non dà sicurezza, perché c’è sempre la paura di non sapere affrontare le nuove esperienze, di non saperle capire, di non saperle rendere fruttuose – ma, passati quei momenti di panico e compreso che ciò si rende necessario se si vuole andare avanti, constatato il beneficio e il miglioramento che segue alla confusione, sarà poi facile affrontare gli altri momenti di difficoltà di cui è lastricata la via della ricerca spirituale.
Potete stringervi a ciò che vi sembra di avere acquisito, alla sicurezza che dà la costanza e la ripetitività delle vostre giornate, alle vostre vite tranquille, ai vostri affetti e nessuno può biasimarvi per questo: ciò significa semplicemente che non siete ancora pronti, maturi, per affrontare esperienze di quel tipo; significa che il vostro Io è ancora così forte da attaccarsi a ciò che gli dà senso di sicurezza, di potenza. Ma non pensate che ciò sia un fermarsi: anche se non ve ne rendete conto avanzerete lo stesso – magari illusoria- mente in modo più lento di altri che si gettano a capofitto in esperienze quasi traumatiche – tuttavia, prima o poi, in questa o in altre vite, anche voi arriverete al punto in cui vi tufferete non nel fiume tranquillo della vostra vita, ma nelle onde impetuose della vostra interiorità.
Potete accontentarvi di cose meravigliose alla ricerca di una compensazione a quella che vi sembra essere la mediocrità del vostro vivere, ma anche per questo nessuno può biasimarvi perché, anche attraverso a ciò, farete esperienze che, prima o poi, vi porteranno a ricercare quella confusione interiore che è sempre sorgente di mutamento e di evoluzione.
Ogni cosa e ogni uomo è un Maestro, che voi lo vogliate o meno, che ve ne rendiate conto o che non vogliate accorgervene. Di una cosa sola vi preghiamo: accettate ogni insegnamento, da qualunque parte provenga e non accada mai che pensiate: «Il mio Maestro è il Maestro migliore», poiché non vi è migliore o peggiore Maestro ma vi sono, invece, migliori o peggiori discepoli. Quale che sia il metodo di un Maestro per il suo insegnamento la meta è sempre la stessa, cosicché il metodo finisce col non avere alcuna importanza: forse che ha importanza piantare un chiodo con un martello o con un sasso? La tecnica è diversa ma il risultato è lo stesso.
Quindi non attaccatevi alla tecnica, ma tenete solo presente il risultato a cui volete tendere; non esiste una via che porta a Dio ma esiste Dio dentro ad ognuno di voi, cosicché il seguire una via per unirsi a Lui non è altro che un’illusione dell’uomo che non ha aperto abbastanza gli occhi per scorgere Dio, e brancola all’intorno, credendo di fare molta strada per avvicinarsi a Lui, mentre – se si fermasse e aprisse gli occhi – si accorgerebbe che Egli è lì, accanto a lui, e che lo tiene per mano. Moti
Non può conoscere la gioia chi non ha conosciuto il dolore,
non può apprezzare la felicità chi non è mai stato infelice,
non può sapere cos’è l‘amicizia chi non ha avuto nemici,
non può riconoscere l’amore, chi non ha provato odio,
non può trovare certezze chi non è stato confuso,
non può avere fede in Dio chi non è stato il diavolo.
Come la fiamma della candela dà dolore a chi vi posa le labbra
così la sua luce dà gioia a chi ha paura del buio. Labrys
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 82-84, Edizione privata
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior