Cultura e intelligenza. Dizionario del Cerchio Ifior
Il principio di ambivalenza è applicabile a qualsiasi cosa, pensiero, emozione, azione, in quanto connotati positivamente o negativamente da chi li osserva, li percepisce, li mette in atto.
È applicabile in maniera evidente anche al concetto di cultura: la cultura è un fattore positivo quando la persona che la possiede usa ciò che sa per comprendere in maniera più approfondita se stesso e ciò che vive, ma diventa negativo quando viene usata per porre barriere nei confronti di chi è meno colto, per ergersi al di sopra degli altri, per fare, insomma, della cultura un tratto distintivo di merito e di superiorità nei confronti delle persone con una cultura inferiore.
Molto spesso chi ha una grande cultura finisce con il farsi sovrastare da essa e col perdere di vista l’umiltà, quell’umiltà che, dicono spesso le Guide, deve sempre portare ad avere presente il fatto che per ogni cosa che si sa (o si crede di sapere) ce ne sono un’infinità che neppure sono state sfiorate dalla nostra conoscenza.
Messaggio esemplificativo
Il Buddha definì la prima via della sua dottrina la «giusta conoscenza». Ma cosa intendeva il Buddha con queste due parole, così semplici? Scifo
La giusta conoscenza non è solo comprendere cosa sia il bene e cosa sia il male, ma è arrivare a riconoscere cos’è che li crea all’interno dell’uomo. Colui che comprende il bene e il male comprende che essi scaturiscono dal tentativo di evitare la sofferenza o dal fatto di cercare di non esserne preda, ma la giusta conoscenza non può fermarsi agli effetti; così deve risalire alla radice della sofferenza, che va riconosciuta nel desiderio, in quanto la sofferenza nasce dal desiderio inappagato.
Ma il desiderio, figli, non appartiene all’uomo, appartiene al suo Io, il quale, con esso, si veste di panni sfarzosi per alimentare se stesso; la giusta conoscenza è, così, quella che porta a conoscere non solo il bene e il male, non solo la sofferenza, non solo il desiderio, ma ciò da cui essi nascono, cioè l’Io. Conosci e comprendi a fondo il tuo Io, e il desiderio non ti muoverà più, e la sofferenza non ti strazierà più, e il bene e il male non si combatteranno più dentro di te.
Non è forse ciò che noi in altri termini, adeguati al vostro sentire attuale vi proponiamo?
Com’è facile, per chi non comprende, recepire questo insegnamento in questa forma come una rinuncia alla vita, un’istigazione all’abulia, all’inoperosità, alla passività, all’annullamento interiore… mentre, per chi comprende, esso appare nella sua giusta luce di comprensione della realtà e di espansione della coscienza individuale ben oltre i ristretti confini del proprio Io.
Ascoltiamo ancora le parole del Buddha: Chi ha espugnato la fede e la saggezza viene portato avanti dal suo essere armonioso come se fosse in un carro.
La coscienza lo indirizza, la mente lo serve, la rettitudine lo tiene unito e l’estasi lo sorregge, l’energia lo fa muovere e la calma lo rende stabile, la mancanza di desiderio lo infiora, la benevolenza, la dolcezza e la serenità lo rendono invincibile, e la comprensione lo difende nel suo cammino verso la pace. Questo carro immenso e ineguagliabile ogni uomo lo può costruire da se stesso evolvendo il proprio Io. Moti
Cultura e intelligenza
Il pensiero delle Guide sul reale rapporto tra cultura e intelligenza è chiaro e semplice: i due termini non sono sinonimi e non necessariamente avere cultura significa essere intelligenti e viceversa.
Messaggio esemplificativo
Parliamo per un poco di tutta quella folla di persone che in questi anni hanno riempito le aule delle università alla ricerca e alla conquista di una «laurea».
Osservando scrupolosamente queste persone, mi sono ritrovato molto spesso a chiedermi quante di esse si siano trovate a varcare la soglia delle aule universitarie perché spinte veramente dal desiderio di imparare, conoscere, approfondire, esercitare una professione di importanza sociale che soltanto attraverso la laurea è possibile esercitare; e quante, invece, si sono trovate in quei lidi soltanto perché pensavano che il possedere una laurea fosse anche qualcosa che ispirasse fiducia e, soprattutto, reverenza da parte degli altri.
Mi sono divertito in questo periodo ad osservare nell’intimo di tutte queste persone ed ho visto che (nonostante tutte le mie speranze), purtroppo, il numero di coloro che intraprendevano questa via, mossi dal desiderio di adoperarsi nello studio per il bene degli altri, per il bene della società stessa, era esiguo.
Infatti, ho potuto notare, in questi anni di osservazione (e, credetemi, sono stati tanti!) come la corsa all’università sia stata dettata per un buon numero di persone dal desiderio di avere un certo prestigio, reverenza, rispetto e l’onore di essere chiamato «dottore».
Già… l’onore di essere chiamato «dottore», al di là delle proprie reali capacità intellettive, al di là delle proprie possibilità di attuazione pratica degli studi compiuti. Perché tutto questo?
I motivi che hanno spinto e, forse per molto tempo ancora, spingeranno questi poveri ragazzi, sono molti, ma io ne vorrei prendere in considerazione soltanto uno: quello per cui una buona parte della gente comune ritiene che avere una «laurea» significhi, necessariamente, essere persone intelligenti.
Eh no, cari miei! Se così fosse, considerando il numero dei laureati, le cose nel vostro mondo andrebbero senz’altro molto meglio. Eh no, cari miei! Perché in tutti questi anni di osservazione posso dire che ho notato più «stupidità» tra i laureati che non tra le persone poco colte.
Già un tempo avevo affermato che cultura non è uguale a intelligenza, e sottoscrivo ora quanto avevo detto allora, dicendo che «laurea» non è uguale a »intelligenza».
Non staremo certo ad analizzare che cosa significhi intelligenza, anche perché definire in breve tempo l’intelligenza è un compito molto difficile; cercheremo, piuttosto, di analizzare come mai ad un certo punto dell’evoluzione, l’uomo comune tende a confondere l’intelligenza con la cultura e con la laurea. Non entreremo senz’altro in polemica con l’attuale sistema di insegnamento universitario e con la struttura stessa dell’attuale università perché, in realtà, il problema non ci riguarda da vicino, almeno per quello che vogliamo adesso dimostrare; caso mai quello è un problema sociale che potremmo analizzare in un’altra occasione. La laurea non è sinonimo di intelligenza, a mio avviso, per diverse ragioni, non ultima quella per cui la laurea altro non è che un attestato di preparazione (per lo più) culturale di una persona in una determinata disciplina; che poi questa persona dimostri di aver compreso quanto ha studiato e riesca a metterlo in pratica (dimostrando così in questo modo di avere una certa intelligenza) è tutto da verificare, da sperimentare. Se la laurea, dunque, dà soltanto la conoscenza, la preparazione teorica, un bagaglio culturale non indifferente, non è detto che dia anche la certezza che quella persona sia in grado di mettere in pratica quanto conosce teoricamente (unico indice, a parer mio, di intelligenza).
Ve lo ripeto: se il numero dei laureati aumenta, aumenta di conseguenza il livello culturale (questo è un dato di fatto di una certa importanza), ma non aumenta senz’altro il livello intellettivo.
L’intelligenza non si misura con la preparazione culturale (altrimenti pensate a come dovrebbero essere considerati coloro che di lauree ne hanno due: dei geni!… eppure, molto spesso, la realtà dimostra esattamente il contrario), ma è qualcosa che si misura nelle azioni di tutti i giorni, anche in quelle in cui non è necessaria una preparazione culturale.
Gettate via, quindi, quella sudditanza psicologica che a volte vi fa avvicinare i laureati come se fossero «Colui che Tutto sa», è che vi fa dire: «Se l’ha detto anche lui che è dottore…».
Non me ne vogliano per queste parole i sostenitori della cultura in genere e della laurea: il mio non vuole essere un inno all’ignoranza, il mio vuole essere semplicemente un discorso che vi aiuti a cacciare certi preconcetti, certi fantasmi della mente, e che vi dia una mano a considerare ogni cosa che fa parte del vostro mondo fisico nella sua giusta luce.
Lo studio, la conoscenza, la cultura, sono senz’altro elementi positivi nel cammino dell’individuo (fosse anche solo per il fatto che aiutano l’individuo stesso, se li vive nella giusta misura, a mantenersi attivo, elastico, aperto mentalmente); anche la laurea, considerata sotto questo punto di vista quindi, è senz’altro uno stimolo in più per la mente. E perbacco, se questo non è un aspetto positivo!
Ma, e qui mi ripeto, l’intelligenza è qualcosa di pratico, di immediato, di intuitivo, qualcosa che si verifica nelle azioni di tutti i giorni, oserei dire in ogni momento della vita individuale, e che nessuna università può certificare, nessun test psicologico può valutare, ma ogni uomo può scoprire, relativamente a se stesso, in ogni istante della sua vita, grazie alle esperienze cui l’Esistente lo sottopone.
Ma, come mio solito, mi sono perso un po’ per strada; lo scopo di questo discorso era quello di dimostrare che identificare l’intelligenza con la laurea è tipico dell’uomo di media evoluzione. L’individuo di media evoluzione è quello che vive in un modo raffinatamente egoista, non è quello che è terribilmente egoista e non si cura degli altri né positivamente né negativamente; è quello che maschera il suo forte egoismo, il suo Io al culmine della maturità, in azioni apparentemente altruistiche. Ma quest’uomo comincia a sentire dentro di sé il desiderio di fare qualche cosa per vincere quell’egoismo di cui, almeno in parte – soprattutto nelle azioni che hanno del macroscopico – si rende conto; è quello, quindi, che si sforza di limitare la spinta egoistica che, purtroppo, è ancora dentro di lui.
L’uomo di media evoluzione dice: «Studio ingegneria per aiutare la mia società», oppure ancora: «Divento chirurgo per dare una mano ai miei fratelli», oppure ancora: «C’è tanta gente che soffre di solitudine ed ha bisogno di comunicare, parlare… mi laureo in sociologia», e così via.
E voi credete che tutti, tutti coloro che diventano medici, ingegneri, architetti, fisici, psicologi, sociologi, etc., etc., lo abbiano fatto perché veramente mossi da intenzioni altruistiche? Se rispondete di sì non continuate a leggere questo messaggio, perché io vi dirò che non è così (naturalmente non in tutti i casi: noi ci occupiamo di casi limite, anche se abbastanza frequenti).
Quell’uomo, ragazzo prima, che si è trovato nelle aule universitarie è stato mosso da bisogni egoistici che così riassumo: il bisogno di avere importanza (e la laurea ne dà), il desiderio di fagocitare conoscenza (“Per essere più preparato» dice lui «Ma per poter in futuro far mostra di sé» dico io), in taluni casi – i più disperati – il piacere di indurre sudditanza psicologica negli altri perché – anche se i tempi sono veramente un po’ cambiati, ma non abbastanza – la laurea continua ad esercitare un certo fascino.
Non entriamo in particolare analizzando poi coloro che fanno sforzi – a volte sovrumani – per raggiungere la laurea a pieni voti: è un problema secondario e una logica conseguenza di tutto questo. La laurea soddisfa quindi i propri bisogni egoistici e li soddisfa abbastanza pienamente, anche se non a livello pratico – infatti non tutti i laureati riescono, malgrado i loro sforzi, ad esercitare un’attività degna della loro preparazione – per lo meno a livello psicologico e, credetemi, è più gratificante la soddisfazione morale (questo per l’Io) di quella materiale.
Però la laurea riesce sempre a dare l’impressione, almeno all’esterno, di generosità, di altruismo, di apertura verso gli altri, insomma dà tutta l’impressione che colui che l’ha raggiunta, toccata, sia un uomo che è votato alla causa degli altri.
Ecco il motivo di tanta corsa: se considerate, infatti, che coloro che sono attualmente i vostri fratelli incarnati sono tutti più o meno al vostro stesso livello evolutivo, capirete il perché di tanta folla nelle università.
Non siamo pessimisti, quello che sta accadendo non è un cattivo segno, credetemi; anzi, al contrario è proprio un buon segno perché, anche se mosso ancora dall’impulso di soddisfare i propri bisogni, quest’uomo, in un modo o nell’altro, sta facendo veramente qualcosa per gli altri (e qualcuno ci riesce anche abbastanza bene), si adopera per i suoi fratelli, tende quindi ad agire verso l’esterno, verso il non-Io.
Quindi, anche se alla base vi sta sempre la propria gratificazione personale per colui che riceve – come vi hanno insegnato le Guide – non ha importanza la quantità di egoismo contenuta in quell’azione ma ha importanza invece il fatto che quella stessa azione sortisca degli effetti per lui positivi.
Forse – a questo punto – vi ho confuso le idee; vi chiederete che senso ha questo messaggio, vi starete dicendo che siamo dei nichilisti. No, se avete pensato queste cose significa che non avete capito nulla del nostro gran parlare.
È chiaro che tutto ciò che vi circonda, che ogni azione umana ha un duplice aspetto, ha una sua importanza soggettiva ed una oggettiva. Guardate, quindi, ogni vostro movimento, ogni vostra azione alla luce di questa dualità, sempre presente e, forse, riuscirete a capire qualche cosa di più di voi stessi.
Allora, per concludere: ci si deve laureare oppure no? Certamente, se un individuo sente il desiderio di farlo lo faccia, non c’è problema; ma cerchi anche di comprendere quali sono le vere motivazioni del suo agire, e si guardi davanti allo specchio, e se le dica con la massima sincerità.
D’altra parte, considerate che se uno è egoista, è egoista sia che sia un perfetto ignorante sia che sia un emerito laureato, e che l’egoismo non si supera non facendo ciò che ha tutta l’aria di essere un’azione «ioistica»; fatelo pure! Fate tutto ciò che sentite di fare purché riusciate sempre a vedere dentro di voi la vera motivazione; poi, a poco a poco, a forza di guardarvi, di criticarvi, di scoprirvi, l’egoismo stesso si attenuerà da solo, senza bisogno di compiere sforzi che attualmente non siete in grado di fare.
Anche per quello che riguarda il vostro attaccamento all’esteriorità (e la laurea rientra anche in questo aspetto), è valido lo stesso discorso: siatene consapevoli e cercate di scoprirne i motivi, le cause: il resto verrà in seguito da solo, automaticamente.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 94-100, Edizione privata