Figli e genitori. Dizionario del Cerchio Ifior
Negli anni le Guide sono ritornate spesso a parlare del rapporto tra genitori e figli, ritenendolo estremamente importante sia per l’esperienza evolutiva di entrambe le parti sia per lo sviluppo della società umana nel tempo.
Nelle loro parole l’accento è messo principalmente sui figli e sulle loro esigenze, anche per il fatto che questi, non avendo ancora strutturati adeguatamente i corpi astrale e mentale (la cui struttura definitiva sarà ultimata – è bene ricordarlo – intorno ai ventun anni) risultano essere più vulnerabili, più condizionabili e in una certa misura più modellabili dalle influenze a cui sono sottoposti.
Messaggio esemplificativo (1)
A proposito dei bambini più o meno piccoli e del loro rapporto con gli adulti, o meglio ancora sarebbe dire il rapporto che gli adulti hanno con i bambini più o meno piccoli, avevo analizzato quali erano i rapporti piuttosto strani che gli adulti hanno nei confronti dei bambini piccoli, prendendo come adulti tutte le persone di una certa età, le persone cosiddette mature che in qualche modo avvicinano e abbordano i bambini. Vorrei, ora, analizzare il problema sotto un altro punto di vista, prendendo degli adulti molto ma molto particolari, quelli che per il bambino sono i genitori: la madre e il padre.
Madre e padre che non è necessario che siano i genitori biologici del bambino, ma madre e padre quali figure di educatori del bambino.
Avevo affermato, in quel vecchio messaggio, che il rapporto tra genitori e figli è un rapporto molto particolare e che il discorso che avevo fatto allora non lo comprendeva.
Infatti, se il bambino si spaventa nel sentirsi urlare negli orecchi dagli estranei, se il bambino si agita nel vedere le facce «strane» che fanno gli adulti, se il bambino può restare turbato, impaurito o, in casi limite, terrorizzato, dalle «boccacce» che gli fanno gli adulti a pochi metri di distanza dal suo volto, non resta vinto da queste emozioni e da questi sentimenti quando questi adulti sono i genitori.
Quindi si può dire che un genitore, un padre o una madre, purché sin dall’inizio sia riuscito a stabilire un buon rapporto con la propria creatura, può fare qualsiasi cosa che il bambino non soffre, non ne risente in modo particolare.
Questo perché, se l’adulto è stato in grado di stabilire fin dall’inizio (e questo è importante e basilare direi) un buon rapporto con la propria creatura, questo figlio comincerà ad avere nei propri genitori un’estrema fiducia, fiducia che gli permetterà di lasciarsi fare dai genitori qualsiasi cosa. Ma vediamo questi genitori come se la cavano nei rapporti con il loro figliolo; generalmente il genitore proietta sulla propria creatura tutti i sentimenti migliori, proietta sul proprio figlio quello che pensa sia l’amore, proietta quello che pensa sia la purezza, l’ingenuità, la nobiltà d’animo, l’onestà e cose del genere. Ma purtroppo, se questa sua creatura ad un certo punto riesce (e molto spesso ci riesce anche bene) a stancare il genitore e farlo adirare, a fare i «capricci» al punto da fargli perdere la pazienza, ahimè, il genitore comincia col proiettare sul proprio figlio tutta la sua aggressività.
Ah, l’aggressività che si scaglia contro la propria creatura, o con il classico «sculaccione», o con le parole dette con tono di voce «alterato», o addirittura con «urla», o con rabbia, o con sentimenti che fanno pensare quanto sia fragile, in realtà, l’amore che il genitore crede di provare per la propria creatura.
Oh, sei stato colto in fallo, Francesco; questo non l’avresti dovuto dire perché le Guide stesse hanno sempre affermato, e continueranno ad affermarlo, che chi ama veramente sa essere anche duro.
Questo è vero, mi sta bene, lo accetto, lo sottoscrivo e lo confermo: soltanto chi ama veramente, soltanto chi conosce l’Amore sa essere severo, duro con la persona che ama. Ma da lì, cioè dal saper essere duri con le persone che si amano, all’essere aggressivi la differenza è enorme.
Certo che anche il Cristo, almeno dalle cose che sono state raccontate su di lui, sembra che ad un certo punto, esasperato, esacerbato da certi comportamenti, abbia veramente perso la pazienza e sia andato – come si suol dire – un po’ «fuori di testa», facendo qualcosa di non certamente attribuibile ad un «illuminato», o ad un «figlio di Dio», o ad una persona che sembrerebbe avere raggiunto veramente una evoluzione così elevata da costituire una meta per tanti altri individui. Ed è qua che sorge il grande problema!
Perché, vedete, è molto importante fare delle distinzioni; è molto importante scegliere, distinguere tra quella che è pura e semplice aggressività, e quindi un bisogno dell’individuo di scaricare le proprie tensioni accumulate magari per chissà quali motivi, e durezza usata quale arma per favorire la comprensione della persona che si sta amando.
Quindi, cerchiamo di distinguere per questi genitori i vari momenti per cercare di fare un po’ di luce in questo discorso.
Mettiamo che io sia un padre; ho la mia creatura qua davanti, la mia creatura sta compiendo un’azione che potrebbe alla lunga arrecare a lei un danno. Prendendo come punto di partenza la favola di Ananda (2), il mio comportamento dovrebbe essere quello di dirgli:
«Bada bene, figlio mio; sta’ attento» e poi ridirglielo, e poi ridirglielo ancora, poi ancora, ancora, e, alla fine, passare alle cosiddette maniere forti, affinché il bambino arrivi alla comprensione. E fin qua penso che siate tutti d’accordo, e la cosa mi sta benissimo, così come sta benissimo ad ognuno di voi.
Questo rientrerebbe nel giusto comportamento e sarebbe molto simile al comportamento tenuto dal Cristo in quel famoso tempio.
Ma io purtroppo sono una creatura umana, ho i miei momenti di rabbia, ho i miei momenti di tensione, tensione accumulata perché, chissà, magari in ufficio, dove lavoro, mi sono andate male le cose, perché il mio capoufficio ha trovato da ridire sul lavoro da me fatto, oppure perché non riesco a comunicare e a capirmi con la mia compagna, oppure perché, sempre in ufficio, è passata qualche signorina che mi è parsa un po’ più bella della mia compagna e mi frulla quindi qualcosa per la testa che non riesco a capire, o qualsiasi altro motivo si voglia.
Ecco così che il mio bambino, la mia creatura, la creatura che io ho ardito di mettere al mondo, fa qualcosa che mi infastidisce soltanto, qualcosa che – anche alla lunga – non arrecherebbe alcun danno, e questo stimola la mia reazione aggressiva.
Per essere ancora più chiaro: io arrivo a casa alla sera con una miriade di pensieri per la testa, di preoccupazioni, e quindi di tensioni, e trovo la mia creatura che si diletta nel suonare la trombetta.
La mia creatura suona la trombetta e si diverte e ride; quel suono di trombetta disturba il corso dei miei pensieri, mi innervosisce, mi fa saltare su i nervi, ed allora ad un certo punto accade che io uso la durezza nei confronti della mia creatura, durezza che non è motivata dal desiderio di far comprendere qualcosa a mio figlio, ma è durezza che nasce soltanto da un bisogno mio, egoistico, personalissimo, di avere un momento, due momenti, tre momenti, magari anche l’intera serata, di tranquillità per continuare il corso dei miei pensieri. “Sì certo – direte voi – ma d’altra parte non è giusto che il bambino continui a suonare la trombetta per ore ed ore.» Ma sono d’accordo, ci mancherebbe altro; non solo infastidirebbe voi ma anche tutto il vicinato; ma da lì ad usare i metodi duri, utili soltanto per scaricare la propria aggressività su quella creatura, il passo, cari miei, è effettivamente enorme, perché lo stesso risultato – cioè far smettere il proprio figliolo di suonare la trombetta facendogli comprendere quanto quel suono possa stancare non soltanto me ma anche tutte le altre persone che restano vittime di questo suono fastidioso – si sarebbe potuto ottenere usando altri metodi senza trovare l’innesco, la famosa goccia, per far uscire tutta la propria aggressività, per scaricare tutte le tensioni nate da problemi personali e non coinvolgenti quindi il proprio figliolo.
E questi errori, e queste cose, purtroppo, sono molto comuni ai genitori, sia le madri che i padri (e direi che, osservando gli uomini, questi comportamenti sono distribuiti in egual misura tra le madri e i padri, anche se correnti di pensiero tendono ad attribuire una maggiore aggressività agli uni piuttosto che agli altri), agiscono frequentemente in questo modo, anche se purtroppo (mi tocca dirlo ancora una volta) sono mascherati alla mente stessa dei genitori come comportamenti strettamente necessari affinché la loro creatura possa arrivare alla comprensione.
Eh no, cari miei; distinguete: io non voglio dirvi, intendiamoci bene, che dovete essere così evoluti nei confronti dei vostri figli da non avere mai il momento in cui perdete la pazienza; voglio dire che dovete stare ben attenti a come vi comportate nei momenti di durezza nei confronti dei vostri figli, per osservare quanto questa vostra durezza nasca veramente dalla necessità di far comprendere qualcosa alla vostra creatura, o nasca invece dal bisogno vostro di scaricare una tensione su quella creatura che in quel momento è lì davanti a voi e che così facilmente vi offre l’opportunità di farlo.
Questo è il punto molto importante, anche perché osservando gli uomini (ho lasciato il mondo fisico da parecchio tempo e quindi sto osservando gli uomini da tanto tempo sotto una prospettiva molto diversa, così ho potuto comprendere molte cose che prima non capivo) ho potuto vedere quanto queste forme di severità, di durezza nell’educazione, siano molto spesso associate a forme di lassismo senza limite quasi.
E questo è uno dei danni peggiori.
Ho notato, per esempio, che la trombetta suonata per ore in un momento di tensione stimola la reazione aggressiva, la reazione di durezza compiuta all’unico scopo di scaricare la propria tensione interiore; in un momento, invece, di rilassatezza, in un momento di tranquillità, in un momento in cui il genitore si trova in condizioni ideali perché tutto gli sta andando a gonfie vele, magari anche con quella signorina che suscitava pensieri un po’ strani, lascia che il proprio figliolo suoni la trombetta per alcune ore. Anche perché, tutto sommato, quel suono potrebbe apparire al genitore un inno di gioia proprio perché le cose gli stanno andando bene, dimenticandosi quindi di quanto fastidioso possa essere quel rumore, anche se suono, alle orecchie del vicinato.
Quante volte adottate una linea di durezza per certe azioni e, magari il giorno dopo, per quelle stesse azioni adottate una linea di accondiscendenza! Accondiscendenza e durezza devono andare di pari passo, essere equilibrate, date, usate al momento giusto e nelle condizioni giuste.
Se voi siete infastiditi per quella famosa trombetta e se ritenete che quella famosa trombetta possa danneggiare altre persone, se non proprio vostro figlio, allora ogni volta che lui suona la trombetta dovreste sempre cercare di fargli comprendere che non è giusto che lo faccia perché potrebbe disturbare qualcuno; e questo non sempre accade.
Così questo povero genitore che si trova di fronte a quella piccola creatura che è suo figlio, che ha avuto l’ardire di fare nascere, che l’ha desiderato, che l’ha aspettato per tanto tempo, che l’ha visto venire al mondo così piccolo ed indifeso, bisognoso di cure, e che l’ha visto crescere ogni giorno, sviluppare le sue capacità fisiche, mentali, emotive; così, questo povero genitore, a volte, e con una certa frequenza in particolari ambienti, trova nella propria creatura un alleato per dare sfogo alla propria immaturità, alla propria insoddisfazione, alla propria incostanza, alla propria infelicità, infelicità che si sta costruendo da solo, quasi come se imputasse al figlio stesso di essere la causa di queste sue emozioni interiori; emozioni che egli prova e continuerà a provare finché non riuscirà ad amare veramente anche soltanto quella sua piccola creatura. Francesco
Se si pensa, infatti, ai propri figli, dei quali ogni genitore ha il dovere di assumersi ogni responsabilità, soprattutto quella di impartire loro una sana educazione, risulta evidente che è impossibile non compiere sforzi per superare certi dettami dell’Io che altrimenti farebbero agire l’individuo a danno dei propri figli.
Per quanto risulti pressoché automatico per dei genitori maturi e consapevoli andare contro il proprio Io per il bene dei figli, si creano spesso tra genitori e figli delle situazioni in cui il genitore si trova in difficoltà per far tacere i propri bisogni, con conseguenti sensi di colpa o momenti di aggressività verso se stessi per non essere riusciti a «controllarsi» e a dare quell’immagine di serenità e tranquillità tanto necessaria in una sana educazione.
A parte il fatto che impartire una buona educazione ai propri figli non è per niente un compito facile, e a parte anche il fatto che reazioni di questo tipo sono molto più comuni di quanto si possa pensare (certo questo non deve servire da consolazione), è anche vero che l’avere verso i propri figli delle reazioni «stizzite», o «di rabbia» e anche «aggressive» (senza cadere ovviamente nell’eccesso) può essere loro molto utile, poiché si permette loro di conoscere il genitore nella sua totalità e non si corre il rischio che il genitore venga idealizzato troppo; senza contare poi che in questo modo si infonde in loro il dubbio che anche i genitori, forse, hanno dei bisogni.
Certo se si guarda agli elevati insegnamenti d’amore delle Guide, quanto ho appena detto può apparire una contraddizione, ma non è così; perché l’insegnamento etico-morale che vi viene proposto vi indica come dovrete diventare e non vi giudica per quello che attualmente siete.
A consolazione posso ancora dirvi che i famosi «sacrifici» (soprattutto quelli fatti a danno del proprio Io) compiuti nei confronti dei propri figli per il loro benessere e la loro felicità, sono tra i primi passi più importanti per raggiungere l’annullamento dell’Io, e vedrete che dopo aver esperito questi momenti con i vostri figli, sentirete spontaneamente l’esigenza di fare i primi vostri tentativi anche nei confronti degli altri vostri fratelli, e chissà se, in questo caso, i risultati non saranno più immediati… Federico
Volevo aggiungere qualcosa a proposito dei figli per mettervi sull’avviso e ricordarvi di stare bene attenti a come vi comportate con essi, perché anche in questo caso l’Io molto spesso gioca dei brutti scherzi.
È molto facile infatti, come vi era già stato detto, vedere nei figli una continuazione del proprio Io, e quindi molto spesso e volentieri si tende a pretendere da essi che facciano tutto ciò che non si è stati in grado di fare, e può accadere che tutti quei «sacrifici» di cui parlava poco fa Federico non siano fatti così spassionatamente, ma che alla base di essi esista un forte bisogno egoistico.
Accade molto spesso, ad esempio, che un individuo sia molto orgoglioso del fatto che il proprio figlio studi – e magari frequenti un corso di laurea all’università – e riponga in questo fatto molte speranze e aspettative dagli esiti di questo sacrificio (anche perché mantenere un figlio all’università in molti casi è un compito gravoso). Poi di punto in bianco, per una scelta personale, questo ragazzo non si sente di continuare e di andare avanti negli studi.
Questa situazione è molto frequente (non stiamo certamente ad analizzare in questa sede le motivazioni che spingono molti giovani ad abbandonare le aule dell’università) ed essa arreca, in genere, un grande dolore nei genitori, che vedono in questa azione sfumare tutte le loro speranze.
Al di là del fatto che questo dolore possa essere motivato da vari tipi di preoccupazione circa il futuro del giovane in questione, è purtroppo molto frequente che questa reazione sia motivata da una reazione dell’Io, proprio perché l’Io del genitore si sente ferito dalla «ingratitudine» dimostrata dal figlio nei confronti degli sforzi e dei sacrifici compiuti per mantenerlo agli studi, poi perché in questo modo il motivo di orgoglio si è sciolto improvvisamente come neve al sole, poi perché non potrà più «far mostra» delle capacità del proprio figlio (capacità che sente sue come suo sente quel figlio) e così via sotto altre sfaccettature, che tutte – inevitabilmente – conducono ad un’unica conclusione, quella cioè di un Io forte che cerca una gratificazione indiretta a spese di altri.
Lo stesso discorso lo si potrebbe adattare ai figli dei propri figli, che rappresentano una doppia fonte di orgoglio, ma non mi sto a dilungare su questo perché ritengo che da soli, dopo quanto detto precedentemente, immaginiate dove voglio andare a parare.
Il genitore consapevole e maturo dunque non dovrebbe pretendere mai nulla dal proprio figlio e, ancor prima di considerarlo il «proprio» figlio, dovrebbe ricordarsi che egli è un individuo e, come tale, con delle esigenze, dei bisogni da rispettare e soddisfare. È vero che è stato detto che un individuo, quando si assume la responsabilità di essere genitore, dove assumersela fino in fondo, anche quando i figli non sono più bambini, ed è quindi giusto che segua, consigli, indirizzi la propria creatura, ma ciò che assolutamente non dovrebbe mai fare è star male, sentirsi «distrutto» quando il proprio figlio compie una scelta consapevole che cozza contro le aspettative del genitore. State attenti al vostro Io nel corso dei rapporti con i vostri figli, poiché non vi è nulla di peggio (come sofferenza) che restare delusi da ciò che con tanto amore si è cullato, curato, seguito, fatto crescere; abbandonate la possessività nei loro confronti, perché essi non sono «vostri» ma appartengono soltanto a se stessi anche se, quando erano piccoli, bisognosi di cure, indifesi, incapaci di agire, vi hanno dato l’illusione di essere a voi legati per sempre. Massimo
Il bambino, soprattutto quello piccolissimo, data la sua struttura fisica nuova e non avendo, possiamo dire, allacciato ancora del tutto i suoi nuovi corpi (il corpo astrale, il corpo mentale) è più in diretto contatto con il mondo spirituale che ha lasciato da poco; inoltre, da un punto di vista psicologico il suo Io è in via di formazione e quindi non è del tutto strutturato.
Si sa che il bambino piccolo tende alla spontaneità, è aperto alle esperienze, è desideroso e talvolta anche impaziente di imparare, ma via via che cresce potrete notare che questa freschezza, questa spontaneità, questa apertura si attenua fino a scomparire quasi del tutto; e via via che la sua personalità si costituisce e si solidifica, vedrete che i suoi primi attributi ne risentono e in questo modo si allontana dalla Realtà e dalla Verità.
Questo accade sia perché i corpi cominciano ad allacciarsi e quindi entrano in campo fattori nuovi che servono soltanto a complicare la struttura della personalità del piccolo, sia perché entrano in gioco gli adulti che, sentendosi forse degli dei, tendono a modellare quella creatura a propria immagine e somiglianza, per non parlare poi degli educatori, che, per il solo fatto di aver studiato, tendono a stigmatizzarli, a generalizzarli, a generalizzare ciò che, a mio avviso, per nessuna ragione può essere chiuso in rigidi e, scusatemi il termine un po’ forte, stupidi schemi.
Porto un esempio: se si dà un elaborato grafico di un bambino di pochi anni ad uno studioso – o magari per rendere più interessante l’esperimento a più studiosi, noterete che ognuno di essi dà un’interpretazione diversa dall’altro – vi sentirete dire le più esilaranti corbellerie, esilaranti almeno per me, che dalla mia parte posso vedere alcune cose che dall’altra non si possono vedere.
A volte si vede, si nota che chi afferma, chi si mette dalla parte dello studioso, quindi colui che afferma, non si rende conto, nel momento stesso in cui interpreta, ad esempio, un test proiettivo, di interpretare quello che l’eventuale «paziente» voleva significare, e non si rende conto – dicevo – (proprio non può) che la proiezione la sta facendo lui stesso e proprio nel momento in cui interpreta. Vi sentirete dire le più grandi assurdità – dicevo – e, con una certa tristezza, mi tocca anche dire le più preoccupanti affermazioni di modificare a tutti i costi, quella personalità che si sta costituendo.
Quello che vivifica i bambini, ricordo quindi ancestrale di amore ed energia, contatto più vicino, più diretto con tali forze, viene così manomesso, manipolato, a volte persino a scopi egoistici, sfruttato in taluni casi e miseramente soffocato. Se volete che almeno una minima parte di quel ricordo d’Amore, di energia, rimanga intatto, tenete in considerazione il fatto che quelle strane creature che sono i bambini hanno una personalità che è una e diversa da quella degli altri bambini, ed in quanto tale, proprio per il fatto di essere unica, è inconoscibile anche se complementare alle altre.
Rispettate quindi questa loro individualità, e non gettate su di loro i vostri problemi, le vostre paure, i vostri sensi di colpa, le vostre ansie, lasciateli crescere naturalmente: l’esistenza, la vita, l’amore, pensano già (e vi assicuro molto meglio di quanto possiate fare voi) a creare per questi piccoli, le esperienze necessarie alla loro maturazione.
Non allontanatevi con le più strane fantasticherie dalla realtà solo perché essa fa paura a voi, non imbottiteli di concetti assurdi la cui esistenza ha come unica giustificazione la tranquillità o il tacitarsi della vostra coscienza.
Essi diventeranno adulti, certo, senz’altro cresceranno e non saranno più com’erano da piccolissimi in diretto contatto con l’Amore e l’Energia, ma se voi cercherete di non modellarli secondo la vostra volontà e i vostri desideri, secondo i vostri personali bisogni, secondo i vostri scopi per compensare le vostre frustrazioni, essi avranno senz’altro, ve lo posso assicurare, qualche spiraglio di luce in più rispetto a quelli che i vostri genitori vi hanno concesso di avere.
È quindi molto importante cercare di mantenere un senso di sincerità, di spontaneità, di freschezza nei rapporti con i bambini.
Nella mia esperienza di «guardone» (infatti dal mio piano di esistenza ho avuto occasione di osservare a lungo il mondo degli uomini e i loro comportamenti) ho notato che molte madri colte, istruite, magari pure laureate, hanno commesso più errori nell’educazione dei propri figli della casalinga ignorante che aveva soltanto la prima elementare. Perché questo?
Perché la madre colta, istruita, piena di teorie di qua e teorie di là (e qua i nomi sono tanti, perfino troppi sinceramente), ha finito con il confondere quella che era la sua parte naturale, istintiva di madre con le cose che dicevano i luminari della pedagogia (che poi, non avevano avuto nella loro vita neanche un figlio!), mentre la madre ignorante, quella che – al limite – si è ritrovata madre per caso senza sapere come ha fatto a diventarlo, ha provato subito per la sua creatura qualcosa di diverso ed ha continuato a mantenere con questa sua creatura quel cordone ombelicale invisibile che suggerisce tutte le risposte giuste ad ogni problema, cordone ombelicale che dovrebbe in ogni caso continuare a legare una madre con il proprio figlio.
E sì, per quanto possa sembrare esagerato, vi assicuro che la madre colta, istruita, laureata magari, preoccupata perché il proprio figlio non mette il dentino tra il sesto e l’ottavo mese (come tutti i manuali di puericultura che si rispettino indicano) è capacissima di portare la propria creatura dal «chirurgo» per fargli incidere le gengive, mentre la madre ignorante, quella che, magari, ha fatto soltanto la prima elementare dice tra sé e sé: «Prima o poi lo metterà!». E come ha ragione la seconda se soltanto fosse possibile intuirlo da parte vostra.
Se solo pensate che ogni cosa che vi accade è predeterminata e governata dalla Legge Universale, potreste capire che anche la crescita ritardata di un dentino ha una sua motivazione che va oltre le ragioni fisiologiche dell’individuo.
Voglio con questo ricordare che tutto quello che accade nel mondo fisico, nella materia fisica, tutto quello che accade ad un corpo fisico, fin dal suo nascere, è necessariamente legato a dei bisogni evolutivi: sì, questo è chiaro, ma a quale bisogno evolutivo può corrispondere ad esempio la crescita ritardata di un dentino?
Vi posso rispondere soltanto che se voi riusciste a capire e sapere quante implicazioni ci sono e quanti individui quindi restano coinvolti per l’azione di una sola persona, avreste capito la Realtà.
Solo in questo caso – peraltro molto sciocco – quello della ritardata crescita del dentino nel momento giusto, restano implicati: la creatura stessa, i genitori del bambino, il medico del bambino, tutte le persone che danno consigli più o meno gratuiti, per non parlare poi di tutte le altre persone che trovano un’occasione in più per «malignare».
Succede così che molte persone, spinte dal desiderio di conoscere, di sapere, corrono il rischio di allontanarsi da quella che è la «parte di cuore» del rapporto con gli altri – e in particolare coi bambini – parte più naturale, più spontanea e quindi più vera.
Avevo affermato che i bambini, soprattutto poi quelli piccolissimi, sono le persone più spontanee, più aperte, le più semplici e le più naturali e non possono essere trattate che allo stesso modo di come esse si presentano agli altri. Quale deve essere quindi questo rapporto con quelle creature, se non quello di essere altrettanto spontanei, sinceri, altrettanto naturali?
È certa una cosa: quando ci si trova di fronte ad un bambino di tre, di quattro, di cinque anni e lui, con la sua spontaneità fa una domanda particolare, che può essere quale esempio quella di «come nascono i bambini» (che mette sempre in crisi gli adulti!) se si comincia a pensare: «Ah, il Tal Dei Tali direbbe così, ma quell’altro ha detto che bisogna far così, ma quell’altro ancora ha detto che è meglio agire così!» (e se poi si va a ben guardare sono sempre modi l’uno diverso dall’altro se non addirittura in contrasto tra di loro) allora non riuscite mai a dare niente a quella creatura che si sta aspettando qualcosa da voi, ma se voi riusciste a risponderle così istintivamente, naturalmente, così come vi viene in quel momento, senza badare se quello che viene detto rientra nei canoni della pedagogia e della psicologia ufficiale, allora veramente, riuscireste a dare una mano a quella creatura, non deludendo le sue aspettative.
E non c’è nulla di peggio del deludere le aspettative di un bambino. Francesco
1 La ricerca nell’ombra, pag. 68 e segg.
2 AI lunedì il padre disse alla figlia: “Figlia mia, sarebbe bene che tu non lasciassi sempre in mezzo alla stanza la tua bambola preferita di porcellana, dopo aver finito di baloccarti con essa”.
AI martedì raccolse lui stesso la bambola e, attirando l’attenzione della figlia, la rimise a posto.
AI mercoledì chiamò la bimba e con dolcezza la sgridò.
AI giovedì si fermò davanti alla bambola finché la figlia non la ripose.
AI venerdì le ripeté la raccomandazione, aggiungendo che – oltre tutto – la bambola avrebbe anche potuto rompersi.
AI sabato le disse che prima o poi qualcuno avrebbe potuto, inavvertitamente, calpestarla.
Alla domenica aspettò che la figlia lo guardasse e, intenzionalmente, attraversò la stanza spezzando la bambola con il piede.
La bimba pianse e si disperò ma, finalmente, comprese. (Ananda)
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior