Il desiderio, il suo superamento, il ruolo dell’identità

Siccome è inevitabile il fatto che cercare di conoscere se stessi porti a scoprire propri difetti, manchevolezze ed errori, è anche inevitabile che il vostro Io reagisca a queste scoperte poco gradite mettendo in moto meccanismi di contrasto interiore tra la verità personale che si va scoprendo e la verità che, invece, l’Io vorrebbe che fosse. Da questo contrasto nasce, appunto, la sofferenza a cui va incontro, inevitabilmente, chi cerca di conoscere se stesso.
«Ma allora chi me lo fa fare?» potrebbe obiettare qualcuno tra voi.
Nessuno, rispondo io, anche perché nessuno può obbligarvi a percorrere una strada se non la volete percorrere. O meglio: voi stessi, perché, giunti a un certo punto dell’evoluzione individuale è dal proprio corpo akasico che arriva la spinta alla comprensione di se stessi, spinta alla quale non si può sfuggire perché è una spinta personale, naturale ed inevitabile.
Il Budda predicava l’assenza di desiderio, si dice.
Non è vero. Queste sono interpretazioni ed elaborazioni successive delle parole di quel Maestro. Egli diceva che la meta è l’assenza del desiderio, e che si deve cercare di operare nel mondo tenendo presente qual è la meta da raggiungere.
Volere l’assenza di desiderio, miei cari, equivale a desiderare e, quindi, diventa una contraddizione in termini, oltre a essere causa di problemi interiori: volere un’assenza di desiderio che non si è pronti a raggiungere provoca frustrazioni e forti reazioni dell’Io, alla stregua di quei religiosi che si ritirano dal mondo per fuggire le tentazioni della carne, quasi che potessero lasciare le loro incomprensioni al di fuori da un convento o ai piedi di una montagna. L’unico risultato che, con un grande sforzo di volontà, possono ottenere è quello di crearsi una forte maschera che copre per una vita intera il loro modo di essere ma che, non essendo coscienza raggiunta, non sortirà altro effetto che quello di sfuggire un’esperienza che, evidentemente, dovevano affrontare perché solo così poteva essere risolto ciò che il corpo della coscienza doveva arrivare a comprendere.
«Se il mio desiderio di trovare la luce – disse una volta il maestro Nanak – fosse una candela, io non potrei fare a meno di continuare ad accenderla fino a quando, avendola consumata tutta, mi renderei conto che ho faticato tanto per avere la luce quando essa era già accesa dentro di me ma non avevo gli occhi abbastanza aperti per scorgerne la luminosità.» Rodolfo

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

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