Lo sbocciare del fiore della contemplazione: la fine del ricercare

Alla luce di questo si comprende che nel sentiero non c’è un’ascesi, una disciplina, un dover fare questo piuttosto che l’altro: niente da “dover fare” per cambiarsi, per trasformarsi, per raggiungere quello o quell’altro stato, magari la realizzazione finale.
C’è solo un osservare, un osservare senza fine, che dà luogo ad una conoscenza, ad una consapevolezza ed una comprensione nuovi e, mentre ciò accade, è sostenuto da un fermo disporsi all’essere trasformato.
La persona che si avvicina ad una via interiore è sempre mossa da un impulso alla ricerca, a volte questo impulso porta con sé un’ansia.
Man mano che ci si addentra nel sentiero e nella pratica della meditazione e della contemplazione, quest’ansia e questa spinta si placano e sorge dell’altro, sorge un lasciar andare, un quietarsi, un abbandono a come la vita si presenta giorno dopo giorno. Molte cose che riempivano la vita della persona semplicemente non interessano più, le amicizie cambiano, a volte viene meno anche il bisogno di leggere e riempirsi leggendo.
Sempre di più la persona è mossa nell’interiore da qualcosa che non sa definire ma che la conduce ora di qua, ora di là, incontro alle esperienze della vita.
Più l’abbandono è coltivato più la parola sorge dal silenzio e l’azione dalla stasi.
Il meditare diviene lo sguardo sul presente: il mare dell’emozione si placa, la persona vive il suo mondo interiore con le sue sensazioni ed emozioni, coi suoi pensieri, senza esserne più travolto.
Sorge un distacco ed una tenerezza per sé e per l’altro, per qualunque manifestazione di sé e dell’altro.
Giunti a casa non c’è più impulso alla ricerca, possiamo posare lo sguardo nella pace interiore; dalla sponda del fiume osservare.

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