Inconscio e conscio. Dizionario del Cerchio Ifior
Negli anni le Guide hanno parlato spesso di psicoanalisi, cercando di indicarci cosa c’è di valido in essa e cosa c’è di sbagliato.
Riassumendo al massimo quanto ci hanno detto credo che il punto principale sia questo: se non si dà una vera disponibilità all’analisi non c’è nessuno che possa davvero aiutare la persona in difficoltà. D’altra parte, se davvero si «sente» che è giunto il momento di comprendere la propria interiorità, non c’è bisogno di intermediari con la propria coscienza, ma il lavoro può essere fatto dalla persona stessa, anche se un terapeuta che faccia da guida al paziente può rivestire una certa utilità, quanto meno per fornire al paziente stesso un metodo di autoanalisi e una sorta di «obbligo» a continuare.
Secondo le Guide resta il grande merito della psicoanalisi di aver individuato ed esaminato il gran numero di meccaniche interiori dell’individuo e le complesse interazioni tra di esse.
Messaggio esemplificativo (1)
Ciò che noi prospetteremo nel futuro è un inconscio da comprendere: un inconscio da sfrondare dal falso moralismo, dal perbenismo interessato, da tutti questi fronzoli che ponete voi stessi a voi stessi, sforzandovi in tutti i modi, attraverso quella creatura fittizia che è il vostro Io, per ricacciare dentro di voi quell’Amore che sentite premere e che vi fa paura.
Eppure giorno verrà che questo Amore riuscirà ad arrivare alla superficie e allora, in quel momento, non avrete più bisogno dell’Io, non avrete più bisogno dell’inconscio, non avrete più bisogno neppure della realtà fisica. Vi basterà quell’Amore ed esso sarà tutto per voi, così come voi sarete tutto per Lui. Scifo
Mi scuso anticipatamente per il mio imbarazzo e le mie difficoltà in quanto ho lasciato il mondo fisico da poco tempo e non sono molto abituato a questo tipo di cose.
Anche se qualcuno di voi ormai mi conosce (in quanto ho seguito insieme a voi l’insegnamento dei Maestri) io sono Willi. Sono stato invitato a venire e a parlare di quella che è stata la mia esperienza con una psicanalista.
Come avevo già detto, le Guide mi hanno detto di raccontare quelle che erano state le mie reazioni e le mie difficoltà nell’affrontare questo approccio con una persona che, in qualche modo, scava dentro di te e cerca di far affiorare quella che, apparentemente, sembra essere la tua vera personalità… questo per quanto riguarda la psicanalista, perché noi sappiamo che il discorso può essere diverso. Io cercherò di farlo, stasera, però ho bisogno di tutta la vostra collaborazione.
La cosa più difficile è stata il fatto che le Guide mi hanno suggerito di non dire quello che era il mio problema reale in quanto questo, secondo loro, non ha importanza, ma ha importanza, invece, il fatto di parlare di come io mi sentivo nel trovarmi di fronte a una persona che, per lo meno le prime volte, era completamente sconosciuta.
Non posso dire che questo approccio con la mia psicanalista sia stata una cosa facile, per due ragioni precise: prima di tutto perché non era stata una vera e propria scelta, in quanto andare dalla psicanalista è stata una soluzione da me adottata per acconsentire ad un desiderio, ad un bisogno dei miei genitori. La seconda difficoltà l’ho trovata nel fatto che, sebbene io fossi noto a tutti (ai miei fratelli, ai genitori, ai professori, a tutti coloro che in qualche modo mi conoscevano) come un irriducibile chiacchierone, quando mi sono trovato di fronte a questa persona non riuscivo a tirare fuori neanche una parola, le mie risposte erano molto concise e, molto spesso, si limitavano a dei sì o dei no. Questo, per lo meno, per quanto mi accadeva le prime volte.
Quando l’analista, che era una donna ed aveva un’impostazione tipicamente freudiana, mi faceva delle domande dirette e ben precise che toccavano un pochino quello che era il mio problema, riuscivo a sottrarmi dal dare delle risposte dicendo che non avevo capito che cosa mi aveva chiesto, oppure cercavo di prendere tempo facendomi cogliere da degli accessi di tosse che erano più o meno lunghi a seconda della domanda difficile che mi aveva posto, o della sua intensità emotiva.
Mi rendevo conto che, insomma, si stava creando praticamente, tra me e lei, un muro altissimo e, spesso, invalicabile e che non si riusciva ad abbattere; era quasi come se io fossi «geloso» della mia parte interiore. Gli incontri, che si svolgevano in sedute di un’ora due volte alla settimana, non erano i classici incontri che ognuno di voi può conoscere, col paziente sdraiato sul lettino e l’analista alle spalle, come osservatrice. No: i primi incontri erano fatti con noi seduti su comode poltrone che chiacchieravamo come se fossimo amici da lungo tempo. Inoltre questa persona, quest’analista, era un individuo che ispirava simpatia ma, nonostante questo, non riusciva a farmi parlare e questo andava contro a quello che io ero a conoscenza di me stesso, in quanto ero un tipo che facilmente parlava con chiunque, anche con degli sconosciuti, e parlavo proprio perché mi piaceva parlare; ma si era creato questo muro.
Da questa situazione io mi rendevo sempre più conto che questi incontri, questi colloqui, erano totalmente inconcludenti, non mi servivano a niente, e tutto questo portava la sfiducia in quello sforzo che io facevo nell’andare due volte alla settimana dall’analista a… chiacchierare.
Allora, un bel giorno, preso il coraggio a quattro mani, le ho detto che, secondo me, era perfettamente inutile continuare in quanto sentivo che tutto ciò non mi sarebbe servito praticamente a niente. Lei non ebbe nessuna reazione particolare e mi rispose semplicemente che se la mia impostazione era quella della sfiducia era veramente perfettamente inutile che io mi presentassi da lei.
Non vi dico la mia gioia quando mi disse queste parole, la salutai affettuosamente come se fosse una carissima amica e me ne andai convinto che non ci saremmo rivisti più, almeno per questo tipo di incontri. Ma, dopo una settimana, mi sono accorto che quell’incontro mi mancava; mi sono accorto che tutto sommato le sue parole (forse più delle mie) mi servivano veramente a qualche cosa. Allora sono stato io a ritornare da lei perché avevo capito che, tutto sommato, a lei non importava granché di come, in realtà, io ero fatto interiormente, di quelli che potevano essere i miei reali problemi: a lei importava, semplicemente, ricondurmi ad un comportamento «normale»; a lei importava che io superassi, e qua dico le sue parole, «quella attività fantasmatica più o meno organizzata che sta alla base del comportamento dell’uomo, dell’individuo, un comportamento non reale e che va al di là delle stesse aspettative dell’individuo».
Da quel momento incominciai a frequentarla con una certa regolarità e, poverina lei, cominciai veramente a parlare molto più apertamente, anche se devo ammettere che altre difficoltà, poi, mi si presentarono. Ma penso che per questa sera possa bastare e spero di essere stato chiaro. Vi saluto tutti, ciao. Willi
L’attività fantasmatica, per dirla alla Freud, o «i fantasmi della mente» come usiamo chiamarli noi, costituiscono una scena immaginaria in cui l’individuo si immerge come attore, o solo come spettatore, in conformità con quelli che sono i suoi bisogni o le sue pulsioni diverse. L’attività fantasmatica freudiana vuole dirci che l’individuo crea un comportamento fittizio non reale nel quale, appunto, tende a soddisfare i desideri o i bisogni repressi. Questi fantasmi che danno origine a tali comportamenti possono essere inconsci, preconsci (per dirla sempre alla Freud) e, a volte, consci, anche se esistono sempre dei «fantasmi originari» che hanno un’origine atavica. L’analisi e lo studio di questi fantasmi può aiutare a comprendere quelle che sono, appunto, le cose represse, le proiezioni… in poche parole, i problemi dell’individuo.
Ma cerchiamo un attimo di vedere in linea di massima (anche perché non possiamo certamente spendere delle ore a parlare delle teorie freudiane) com’era costituita la personalità secondo il caro amico Sigmund. In particolare cerchiamo di vedere che cos’era l’inconscio.
In una prima fase dei suoi studi l’inconscio rappresentava un complesso psichico che racchiudeva le pulsioni, i bisogni che non riuscivano a trovare l’estrinsecazione e una manifestazione a livello di comportamento, quindi tutto ciò che veniva dall’individuo represso fin da bambino.
In un secondo periodo, susseguente ad altri studi che Freud aveva fatto, l’inconscio non indicava più la sfera d’un complesso psichico, ma era soltanto un attributo di alcune (di due in particolare) delle tre istanze che costituivano il vero complesso psichico dell’individuo.
Questo complesso psichico era costituito da una prima istanza da lui chiamata Es o Id che non era propriamente l’inconscio anche se aveva le stesse caratteristiche della definizione da lui stesso data di inconscio nella fase precedente: l’Es rappresentava il serbatoio delle pulsioni dell’individuo, pulsioni che, in linea di massima, non riuscivano ad avere un’estrinsecazione e, quindi, ad arrivare alla fase precosciente e, ancor meno, alla fase cosciente. Tutto ciò che fa parte di questo serbatoio, di questo Es è inconscio, cioè inconsapevole.
La seconda istanza è rappresentata dall’Io: l’Io, secondo il buon Freud, è ciò che si vede praticamente dell’individuo; l’Io è preposto all’attività logico-mentale, l’Io è legato alle percezioni, quindi all’attività fisica del corpo, tuttavia anche l’Io ha una parte inconscia. Questo Io ha una certa autonomia anche se è strettamente legato all’Es da cui riceve gli impulsi per l’azione e all’altra istanza chiamata Super-Io che controlla la qualità di queste azioni.
L’ultima istanza, come vi ho appena detto, è quella da lui chiamata Super-Io. Il Super-Io sarebbe, per dirla proprio semplicemente, una specie di coscienza che si erge a giudice dei comportamenti messi in atto dall’Io.
Non vado oltre, anche perché diventerebbe una cosa noiosa, però voglio fare un piccolissimo raffronto con quanto noi siamo andati dicendo in questi lunghissimi anni.
L’Es di Freud potrebbe essere assimilabile ad una interazione tra il corpo fisico con i suoi bisogni e le sue pulsioni e il corpo astrale, in quanto sede del desiderio. Il Super-Io potrebbe essere paragonabile all’interazione tra la parte più sottile del corpo mentale e il corpo akasico, mentre l’Io potrebbe essere la risultante delle interazioni tra questi quattro corpi.
Freud nei suoi studi non poteva tenere conto di quelle che noi sappiamo essere le altre componenti dell’individuo, ovvero il corpo astrale, il corpo mentale e il corpo akasico, lasciando perdere gli altri corpi sugli altri piani per non complicarci le cose.
Ma ancora precedentemente era stato detto che ciò che noi abbiamo definito come «inconscio» se poi è possibile trovare questa definizione esiste sia a livello fisico, sia a livello astrale, sia a livello mentale, sia a livello akasico. Allora, io dico: «È possibile, a questo punto, che esistano un Es, un Io, e un Super-Io a livello fisico, un Es un Io un Super-Io a livello astrale, uno a livello mentale ed uno a livello akasico? Vito
Voi avete discusso, pensato, cercato in qualche modo di comprendere quanto io e Vito abbiamo affermato in precedenza, ed è evidente che questo ribaltamento della prospettiva in cui osservare il discorso riguardante l’inconscio, il conscio e il preconscio ha portato al vostro interno un vero e proprio sbilanciamento, creandovi delle difficoltà a fare delle connessioni logiche fra questa nuova prospettiva e quanto siamo andati dicendo nel corso degli anni precedenti.
È proprio per questo motivo che ho pensato bene di lasciare per qualche tempo da parte l’affrontare il discorso attraverso questa prospettiva, in quanto evidentemente non possedete ancora l’elasticità mentale giusta per poter mettere in atto alcuni degli insegnamenti più spesso ripetuti nel corso degli anni precedenti.
“Quali insegnamenti?», direte voi.
Uno di questi insegnamenti è sempre stato quello di ricordarvi di essere pronti a rinunciare, a mettere da parte le cognizioni acquisite, in quanto a mano a mano che si procede lungo il cammino della verità necessariamente certe verità, ampliandosi, assumono prospettive e connotazioni diverse, così diverse che a un certo punto possono apparire quasi in contrasto con quanto si sapeva fino a un momento prima: quella stessa cosa che fino a un momento prima sembrava una verità assoluta, certa, acquisita, risulta in qualche modo differenziabile.
Quindi l’insegnamento dell’essere pronti a rinnovarvi, a nascere ogni giorno diversi, ad accettare a mano a mano che vi si presentano questi allargamenti di orizzonte, perché è soltanto attraverso questi allargamenti di orizzonte, alla rinuncia del vecchio per arrivare ad una nuova verità, che veramente «il sentire» riesce ad acquisire quegli elementi sempre più complessi, quelle sfumature sempre più difficili da precisare che sono necessarie per completare la sua costituzione, il suo allargamento, il suo ampliamento all’interno della vostra coscienza; in quanto, senza questo ampliamento, senza questo allargamento, non riuscireste ad uscire da quel continuo morire e nascere che costituisce la croce individuale che ognuno di voi si porta a spasso da parecchie migliaia di anni.
Uno dei punti di maggior difficoltà è nato da due definizioni apparentemente diverse che abbiamo fornito a proposito di questi argomenti. Noi affermiamo che, partendo dal piano fisico, l’inconscio era tutto ciò che era «prima» del piano fisico; partendo dal piano astrale l’inconscio era tutto ciò che era «prima» del piano astrale; e tutto questo, insomma, era relativo a che cosa? Al punto del piano di esistenza sul quale l’individualità aveva la sua consapevolezza.
Ecco quindi che, a mano a mano che la consapevolezza dell’individualità si sposta attraverso i vari piani di esistenza, diventa inconscio tutto ciò che è al di fuori della sua consapevolezza; cosicché colui che ha la consapevolezza stabilita all’interno – che so io – del piano akasico, è inconsapevole in gran parte, o totalmente, di ciò che è sui piani precedenti, per arrivare alla famosa Scintilla e quindi, naturalmente, anche all’Assoluto.
A quel punto io, sempre «la pietra dello scandalo», sono arrivato affermando che se – come dicevamo nella prima definizione (e questo è un punto di contatto fra le due definizioni) – si può definire conscio tutto ciò che appartiene alla coscienza, che arriva alla coscienza, allora poiché noi per coscienza intendiamo il corpo akasico dell’individuo, cioè quel corpo nel quale le comprensioni si iscrivono dopo aver tratto i frutti utili dall’esperienza, ne conseguiva che il conscio non era sul piano fisico, ma che si poteva definire conscio ciò che è sul piano akasico.
E questo chiaramente ha cozzato contro la vostra rigidità mentale arrivando a mettervi in difficoltà e anche in imbarazzo in quanto, ad un osservatore esterno al Cerchio che non avesse la fede che voi potete nutrire – più o meno – per questi lunghi anni di insegnamento, quanto abbiamo affermato può sembrare un momento di pazzia delle Entità, un momento di auto contraddizione e quindi un momento di dubbio, cosicché certamente – se una persona esterna vi chiedesse spiegazioni su questo comportamento e queste apparenti contraddizioni – sono sicuro che la maggior parte di voi si troverebbe in imbarazzo nel dare una risposta comprensibile o accettabile.
In effetti il fatto che nella prima definizione avrei definito come conscio ciò che era sul piano fisico prima di tutto, e inconscio tutto ciò che non arrivava al piano fisico e quindi corpo astrale, corpo mentale, corpo akasico, e via e via, mentre invece ultimamente ho affermato che in realtà conscio è ciò che è alla coscienza, quindi ciò che appartiene al corpo akasico dell’individuo può sembrare una contraddizione.
E, certamente, potremmo continuare su binari molto più normali, continuando a fare lezione sulla psicanalisi ed esaminando qua e là quei punti che possono o meno avere dei contatti con il nostro insegnamento, prendendo – che so? – il discorso sulla libido e rapportandolo all’energia, alla vibrazione così come noi la concepiamo; possiamo prendere l’istinto di vita e di morte e rapportarlo alla spinta reincarnativa dell’individuo, e via dicendo, però al di là di questo confronto forse non riusciremmo ad andare.
È necessario, invece, cercare di vedere, nella realtà dell’individualità, del suo cammino, «come» questi elementi funzionano, come danno queste spinte, quali sono le meccaniche che aiutano l’evoluzione secondo gli schemi che possiamo aver dato.
Proviamo, adesso, a interpretare quel poco che è stato detto a proposito delle teorie freudiane cercando un raffronto, un parallelo, un punto di contatto o di distinzione da quanto noi abbiamo affermato in questi anni.
Conscio, naturalmente, è tutto ciò che è alla coscienza quindi, in teoria, esattamente all’opposto di inconscio. Ora diciamo che la terminologia usata in questo caso da Freud può essere usata anche da noi poiché come schematizzazione può avere un suo valore, tuttavia vi sono alcune cose che non coincidono, non combaciano con le teorie freudiane.
D’altra parte, come capiremo andando avanti, è impossibile che vi sia esattamente questa coincidenza in quanto Freud ha costruito il suo castello teorico non soltanto su osservazioni sperimentali (e per questo, in realtà, spesso soggettive) ma anche senza tenere conto, senza poter tenere conto di quella parte della realtà dell’individuo che non è riconosciuta dalla scienza e, quindi, naturalmente, ottenendo una visione parziale e restrittiva di quella che è la realtà individuale di ognuno di voi. Ora, ciò che noi intendiamo per conscio è sì qualche cosa che è alla coscienza dell’individuo, ma il problema è la diversa connotazione di questa frase. Infatti, quando noi diciamo «ciò che è alla coscienza dell’individuo» non intendiamo ciò che è alla mente dell’individuo, non intendiamo ciò che egli pensa o riesce a pensare o crede di aver capito ma, veramente ciò che appartiene alla coscienza dell’individuo, ovvero a quella sua parte più elevata nella quale vanno inscritte tutte le sue esperienze e le capacità di comprensione che egli ha acquisito nel corso delle sue varie vite. Quindi una capacità di coscienza che non passa necessariamente attraverso la comprensione mentale e, quindi, non necessariamente si affaccia all’interno del piano fisico.
Questo, se ci pensate bene, non è altro che ciò che noi andiamo affermando da molto tempo allorché diciamo che la comprensione che porta poi all’allargamento del sentire di ognuno di voi non necessariamente viene da voi riconosciuta, compresa e accettata nel corso della vostra vita, ma che la comprensione può esservi stata ed essersi inscritta nel vostro corpo akasico senza che voi ve ne rendiate conto.
A questo punto, naturalmente non può che essere diversa anche la definizione di ciò che è preconscio, ovvero la fase in cui i vari corpi elaborano i dati ricevuti (senza che, magari, l’individuo a livello fisico se ne renda conto se non attraverso a una sensazione di confusione interiore) e cercano una risposta. Nel momento in cui vi è questa ricerca da parte dell’individuo, ecco che si può parlare di fase preconscia, in quanto la risposta è lì, sta per essere trovata, può essere trovata ma… non è detto che lo sia, cosicché può restare preconscia senza riuscire, per lo meno in quel momento, ad iscriversi nel corpo akasico.
Mi sembra che il discorso sull’inconscio non possa essere che una logica conseguenza di tutto questo: se abbiamo definito come conscio la comprensione che si trascrive nel corpo akasico e che quindi diventa attiva, scritta, fissa nella coscienza, se abbiamo descritto come preconscio tutta quella zona in cui vi è il lavorio alla ricerca della comprensione, non può essere che definito come inconscio tutto l’insieme dei vari stimoli che provengono dai vari corpi dell’individuo prima di poter arrivare alla sua coscienza, ovvero quegli stimoli che influiscono attraverso l’esperienza, all’interno del piano fisico attraverso le situazioni (e che, quindi, stimolano qualcosa nell’individuo), quegli stimoli che muovono le emozioni e i desideri del suo corpo astrale mettendo in moto le forze che alterano l’equilibrio dell’individuo e che, quindi, gli fanno avvertire quella tensione, a volte dolorosa e insoddisfacente, che lo spinge a muoversi, a cercare una risposta per mutare la propria condizione, infine, quegli stimoli che smuovono le energie del suo corpo mentale facendo sì che, grazie a queste energie, egli esamini tutte le componenti che gli stanno arrivando e cerchi, veramente, di arrivare alla comprensione.
Senza dubbio il discorso è abbastanza rivoluzionario in confronto alle teorie solitamente divulgate e senza dubbio, anche, pur avendo la sua utilità, il dover schematizzare per aiutare la vostra comprensione, può far correre il rischio di far sembrare quanto noi diciamo un insegnamento settoriale, parziale, in cui le varie bamboline si incastrano automaticamente l’una nell’altra per formare quell’insieme che è l’individuo. In realtà, e noi ve lo diciamo sempre, le parole che noi usiamo sono fatte (così come gli esempi) per fornirvi un supporto mentale su cui poter ragionare, ma parlare dei vari corpi dell’individuo, parlare di corpo fisico, astrale, mentale e akasico, non significa parlare di quattro parti dell’individuo ma significa, invece, parlare di un’unica parte che è l’individualità la quale ha queste componenti.
Quindi quattro parti (anche se ve ne sono altre) che hanno delle influenze all’interno dell’intera individualità, ma che non sono a sé stanti, sono interagenti, ed è quello il punto che è difficile da farvi comprendere, da abituarvi a considerare, ovvero che queste varie parti dell’individualità (così come per quella schematizzazione che abbiamo dato in conscio, preconscio e inconscio) non sono settoriali, o ben definite tra di loro, ma sono interagenti, e quello che importa è la sintesi che questa loro interazione provoca, ciò che esce come risultato della sintesi della loro azione all’interno dell’individuo.
Per aiutarvi a entrare meglio nella prospettiva che cerchiamo di farvi comprendere posso aggiungere che dovete pensare che in realtà, non vi è nulla per l’individuo che possa mai essere per sempre preconscio o inconscio solamente, ma che vi è questo passaggio della comprensione dall’inconscio al preconscio al conscio; quindi uno stesso elemento passa attraverso questi tre «settori».
Il che significa che vi è uno scambio.
Il che significa che qualcosa che apparteneva al settore inconscio appartiene poi al settore preconscio, portando con sé qualche cosa; e, lo stesso, ciò che appartiene al settore preconscio passa poi al settore conscio; quindi vi è un movimento di energia, uno scambio di attività, per cui non vi è né chiusura né separazione di alcun tipo ma è un mescolarsi di fattori che si scambiano tra di loro interazioni. Scifo
(1) L’Uno e I molti, vol. I, pag. 386 e segg.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata