La nascita in una nuova incarnazione. Dizionario del Cerchio Ifior
Di recente, qualcuno tra voi voleva sapere se le incarnazioni precedenti influenzano l’ultima incarnazione ed eventualmente quali tracce lasciano sull’ultima vita di un individuo, come possono condizionarlo e via dicendo.
Ad ognuno di voi può essere capitato di sentire un’attrazione particolare per qualche paese, di sentire quasi il bisogno fisico di recarsi a visitare certi posti, o di avvertire internamente una repulsione per certi luoghi o per determinate epoche del passato. Questi, spesso, sono segni che quei luoghi o quelle epoche sono stati teatro di un’incarnazione di quell’individuo nel corso della sua evoluzione, incarnazione vissuta felicemente o infelicemente.
Accade che quando l’ultima incarnazione ha dei punti di contatto, come carattere, con quelle vite trascorse in altri luoghi e altre epoche, è facile che avvengano dei passaggi di emozioni, di sensazioni, di ricordi provenienti da quella vita del passato; è più facile, cioè, che vi sia un passaggio di vibrazioni fra quello che è rimasto di quella vita e ciò che quella vita, in qualche modo, ha posto in essere con la vita appena vissuta.
Questo sta a significare che le vite passate pongono le basi di quella che è ora la vita, e le pongono in modo così complesso che è molto difficile poter dire ad ognuno di voi quale vita attualmente stia influenzando ciò che vivete. Tutto questo in qualche modo coinvolge, ricorda, quella che viene generalmente definita come legge del karma, ovvero la famosa legge di causa ed effetto, per la quale un’azione compiuta in una vita passata porta a una reazione nella vita successiva. Attraverso queste reazioni, sia piccole sia grandi (non pensate, infatti, che il karma sia solo fatto di grosse malattie, di grosse influenze), si può affermare che ogni giorno che vivete, ogni attimo che vivete, è nato dall’effetto di tutto ciò che avete subito, positivamente o negativamente, giustamente o sbagliando, nelle vostre passate esperienze.
Naturalmente, adesso mi sto riferendo soltanto alle vite umane, ma per farvi comprendere che la cosa è molto più complessa, vi ricordo che non soltanto le vostre precedenti vite umane hanno posto in essere ciò che ora voi siete, ma anche tutte le altre incarnazioni vissute come animali, come piante, addirittura come minerali. Perché dovete considerare tutte le vostre incarnazioni, tutte le incarnazioni di un individuo, non come ognuna a sé stante, ma come una catena che lega molti anelli l’uno all’altro e che non può essere rotta, altrimenti la catena non avrebbe più significato. Moti
Se voi osservate un bambino nei suoi primi mesi di vita, per non dire addirittura nei suoi primi anni di vita, potete vedere che questo piccolo essere ha bisogno di attraversare determinate esperienze al fine di imparare a non commettere più certi errori. Infatti il bambino, solitamente (e direi addirittura sempre) nei suoi primi mesi di vita, ha la tendenza – per esempio – a cadere. Se voi osservaste quante volte nel corso del suo primo anno un bambino cade, vi spaventereste al pensiero di quante volte è stato vicino a morire, di quante volte i genitori si sono spaventati o preoccupati inutilmente per queste cadute; ma in realtà è sempre ben difficile che accada qualche cosa di grave, tranne casi limite. Queste cadute potrebbero sembrare degli errori, errori di comportamento dovuti all’inesperienza del bambino, errori di attenzione dovuta all’inettitudine di genitori disattenti, ma in realtà hanno una loro funzione ben precisa, ovvero quella di far imparare al bambino che non è ancora padrone del suo corpo, del senso dell’equilibrio, delle distanze, delle proporzioni, affinché in seguito – allorché le sue capacità percettive e reattive si sono sviluppate maggiormente – non commetta più quel tipo di errori e passi ad altre esperienze.
L’esempio del bambino è molto significativo per spiegare e per dare un’idea un po’ più aderente alla realtà del cammino evolutivo che un individuo compie nel corso di varie e varie incarnazioni.
Il cammino di un’individualità, il cammino di un’anima – come molto spesso si è soliti dire – comporta una specie di evoluzione da uno stadio infantile ad uno stadio più maturo; e i passaggi da uno stadio di «sentire» e di evoluzione sempre più grandi sono molto simili al percorso compiuto da una persona dal momento in cui nasce al momento in cui muore.
Cioè, vi è la necessità di compiere determinate esperienze al fine di prendere le misure dell’esistenza, prendere le misure del suo sentire, affinare i suoi strumenti, ed ottenere un’evoluzione maggiore. Ecco, quindi, che, per imparare – ad esempio – a non uccidere, è necessario sempre, e dico sempre, passare attraverso all’omicidio, perché soltanto dopo aver fatto un’esperienza di quel tipo in prima persona (e molto spesso dopo averla ricevuta da altri, sempre in prima persona) si arriva alla fine a comprendere che quel tipo di azione, quel tipo di esperienza, non bisogna più compierla.
Può colpire il fatto che stiamo parlando di omicidio, ma questo in realtà è valido per qualunque altro aspetto dell’evoluzione dell’individuo, da quello più grande come può essere appunto l’omicidio, a quello più semplice come può essere ad esempio quello di portare via una penna lasciata incustodita in un ufficio postale, atto che sembra insignificante: anche la morale comune, in fondo, non è certo pronta a stigmatizzare un comportamento del genere!
Ma, d’altra parte, ricordate anche che la morale comune non è la morale dello spirito, e che l’individuo che alla sua morte osserva poi le sue azioni è sempre un giudice molto severo ed osserva non soltanto le azioni gravi, molto gravi, che ha fatto, ma anche quelle piccole.
E questo perché, in realtà, per poter procedere non basta superare le azioni gravi, ma bisogna, un po’ per volta, superare tutte le proprie percezioni, affinare tutti i propri aspetti del sentire, fino ad arrivare ad un sentire più completo, un sentire che – ripeto – non è fatto soltanto dalla comprensione dei grossi errori fatti, ma anche di quei tanti piccoli errori che, molte volte, son di più difficile soluzione degli errori grossi, perché sfuggono facilmente all’attenzione ed è più facile ignorarli, cercando di dimenticarsene. Scifo