Le emozioni: osservarle per conoscersi e comprendersi

Questo, a mio parere, è un punto importante: il comprendere che non è necessario sviscerare le proprie emozioni (anche se riuscire a farlo in maniera obiettiva è, certamente, la via migliore per aiutare se stessi) ma basta porre loro un po’ di attenzione. Così come è importante comprendere che non è il corpo mentale (e quindi il pensiero e il ragionamento che esso mette in atto) colui che ha la possibilità di comprendere, bensì il corpo akasico. Il corpo mentale, infatti, soggiace anch’esso ai bisogni dell’Io e, perciò, ha un’attendibilità decisamente poco rassicurante, anche se talvolta, sotto un desiderio di comprensione molto sentito certi elementi vengono compresi anche con la propria mente e non solo con la propria coscienza.
Giustamente certe dottrine orientali mettono l’accento sul concetto di attenzione, giustamente perché è il passaggio essenziale per poter dipanare il proprio groviglio interiore. Ma stiamo… attenti: porre attenzione alle proprie emozioni non significa operare perché esse siano moderate, o trattenute, o rese meno evidenti, o modificate perché queste sono tutte azioni che è l’Io a mettere in moto per cercare di mascherare, non soltanto agli occhi degli altri ma anche ai propri, ciò che gli sta succedendo; significa invece, lo ripeto, osservare quanto ci sta accadendo e, più ancora, quali sono le nostre reazioni agli avvenimenti, senza necessariamente elaborarli mentalmente ma aiutando il corpo akasico a raccogliere dalla situazione vissuta il maggior numero di elementi possibili per poter mettere in atto la sua capacità di elaborazione al fine di trovare nuovi punti che si vadano ad inserire nel mosaico che, nel corso di un grande numero di vite, va pazientemente mettendo assieme.
Questa può essere la risposta a quanti tra di voi hanno sempre trovato grandi difficoltà e sofferenze nel momento in cui hanno cercato di applicare il «conosci te stesso» e si sono, magari, macerati nel tentativo di arrivare a comprendere quale era la loro realtà più intima: se si possiede ancora un Io molto forte, usare gli strumenti dell’Io (in particolare la mente) per andare in profondità e cercare di svelarne le manchevolezze provoca una immediata reazione da parte dell’Io stesso che cerca di auto-conservare se stesso, alterando gli equilibri interiori dell’individuo e, quindi, aumentando le sue possibilità di sofferenza. Se cercare di comprendere voi stessi vi risulta faticoso e vi fa soffrire, non insistete più che tanto, poiché vuol dire che non siete ancora pronti per poterlo fare direttamente e, allora, limitatevi ad osservare le vostre reazioni emotive, a prenderne atto e a lasciare che le vibrazioni sotterranee della vostra parte migliore lavorino nel vostro corpo akasico e, perciò, al di fuori del vostro Io. Sarà, forse, un cammino apparentemente più lento ma sarà, comunque, un cammino ed è importante continuare a camminare.
Un antico testo druidico diceva pressappoco così:

«Se il coniglio si fermasse a chiedersi perché l’aquila che sta volteggiando sopra di lui lo spaventa la sua vita sarebbe lunga come un battito d’ali.
Se l’uomo si fermasse a chiedersi perché sta piangendo o sta ridendo fermerebbe le sue lacrime o interromperebbe la propria risata e avrebbe perso l’occasione per ridere o piangere fino in fondo.
La struttura dell’esistenza dà al coniglio la paura per arrivare a non essere più un coniglio e all’uomo il pianto o il riso per arrivare alla fine del suo essere uomo.
Per questo motivo, coniglio, devi vivere la tua paura. Per questo motivo, uomo, devi ridere o piangere.» Rodolfo

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior