Morale e armonia col sentire

Il discorso di Scifo vi sarà forse apparso troppo duro e ironico, in alcuni punti addirittura eccessivo, ma questa è una delle sue caratteristiche: quella di stimolarvi non indirettamente o con dolcezza come posso fare io o altri che a voi si presentano, ma mettendovi di fronte a concetti e argomentazioni che possono, a prima vista, apparire anche «scomodi», ma che in realtà proprio per questo provocano una riflessione più immediata e un rivolgimento interiore, che finisce sempre col gettare qualche utile semenza nei vostri terreni interiori.
Per quanto riguarda il concetto di moralità, può essere interessante esaminare nel suo significato etimologico la parola «moralità». Essa proviene dal latino e significa: «agire secondo le usanze e i costumi». È dunque evidente che la moralità è davvero una cosa relativa, per lo meno all’evolversi della società, al suo mutare nel tempo, cosicché non è possibile fissare un ideale morale e ritenere che esso sia valido sempre per ogni epoca, per ogni civiltà, per ogni individuo.
È sempre accaduto, infatti, che ideali morali che sembravano eterni ed inalienabili per l’intera umanità si siano trovati a decadere improvvisamente non appena la società da cui erano scaturiti mutava, anche solo di poco. Non sono passati molti decenni da quando il concetto di «patria» veniva considerato un’alta idea morale, così radicata nell’intimo di ogni uomo da provocare grandi sommovimenti sociali, grandi rivoluzioni, grandi lotte.
Eppure, dov’è finito, attualmente, il concetto di «patria»? Dove sono, oggi, i giovani che si riuniscono segretamente, infocandosi nello scorgere le ferite che la patria riceve? E questo, malgrado gli oppressori esistano ancora, anche se in maniera diversa e, forse, meno diretta.
Quanto è labile l’ideale morale se ciò che ieri era una concezione acquisita fermamente è oggi caduto nel dimenticatoio! Non intendo certo, con queste mie parole, affermare che l’uomo ha commesso un errore o ha subìto una perdita al decadere dell’idea di patria; tutt’altro: la patria dell’uomo è l’intero Creato e ridurla, invece, a un piccolo territorio, a un pretesto per acquisire vantaggi economici e politici, non è certo la meta del cammino del l’uomo; il quale, invece, deve arrivare ad abbattere i confini angusti che lo rinchiudono, fino a superare il concetto stesso di confine, di limite, di demarcazione, di separazione tra se-stesso e non-se-stesso.
Così come la moralità muta da un periodo all’altro, altrettanto accade, logicamente, per l’immoralità.
Per fare un esempio concreto e immediato, basta ricordare che l’incesto – ovvero il rapporto sessuale tra stretti consanguinei – è ritenuto immorale e disgustoso; eppure sono esistite società in cui l’incesto era considerato normale; anzi per certe caste sociali, esso costituiva addirittura la norma, al fine di mantenere «puro» il sangue di una famiglia.
Certo, ora voi sapete che dietro alla proibizione dell’incesto esiste una ragione che non è di tipo morale ma di tipo pratico, in quanto i caratteri genetici negativi hanno maggiori possibilità di evidenziarsi se son presenti in entrambi i genitori di un individuo; e che la probabilità è più alta se questi genitori sono strettamente imparentati tra di loro. Così, in questo caso o in altri simili, la moralità o l’immoralità non è data solo da principi astratti ma ha, alla base, un fatto reale e concreto, anche se solo in termini di maggiore o minore probabilità nel verificarsi di un evento.
Malgrado questo, Scifo ha affermato che la morale non è un bene per nessuno, e ciò può apparire in perfetta contraddizione con l’esempio di cui ho appena parlato.
In effetti non vi è contraddizione: egli stava esaminando l’ideale morale come forma di critica del singolo nel confronto di azioni e di situazioni, non secondo l’utilità o il concetto pratico che l’ideale morale ha alla base. Nel caso che abbiamo esaminato egli affermerebbe certamente che, se l’incesto è nocivo perché può provocare conseguenze dannose nell’eventuale frutto del rapporto sessuale, è assurdo nascondere questo fatto dietro a una falsa concezione morale, e che molto meglio sarebbe sfrondare il fatto dalla pretesa immoralità e presentarlo, invece, come un dato di fatto materiale, rischioso ma – ripeto – in se stesso non immorale, lasciando poi alla coscienza del singolo la possibilità di agire nel modo a lui più congeniale e non in base a una moralità imposta dall’esterno.
Anzi – aggiungo – il connotare qualcosa come immorale, in realtà finisce con l’essere più di danno che di utilità, perché l’alone di «proibizione», di «immoralità», provoca nell’individuo l’accentuarsi a livello mentale di certe idee, facendo scattare in lui il desiderio di compiere quell’azione, cosicché finirà o col compierla proprio alla ricerca di quell’esperienza proibita, o con l’inibirla tracciando solchi e contrasti dannosi dentro di sé. Finché la pornografia – per esempio – sarà ritenuta immorale e condannata, essa continuerà a proliferare e a provocare nevrosi; ma non appena sarà accettata e spogliata dall’idea di immoralità – cosicché il singolo potrà o non potrà, secondo il suo sentire, decidere di sperimentarla – passato il primo momento di curiosità, essa diventerà indifferente e non più ricercata per il suo sapore di frutto proibito.
Che fare allora, figli? Seguire la morale o diventare immorali? Non sta certo a me dirvi ciò che è meglio per voi stessi, poiché io parlo per tutti e non per il singolo, mentre questa questione va invece risolta proprio dal singolo e all’interno del singolo. Ciò che io posso dirvi è che, per lo meno, dovreste cercare di sfrondare il vostro giudizio nei riguardi degli altri uomini, poiché non sapete ciò che per un individuo è morale o immorale, in quanto il suo concetto di moralità o di immoralità non è certo esattamente uguale al vostro… e non è detto che sia il vostro quello giusto o che dobbiate essere voi a decidere per lui ciò che è giusto o ciò che è sbagliato. Moti

Così, creature, se proprio volete un nostro parere – ma tenete conto del fatto che noi parliamo da un punto di vista diverso dal vostro e che, quindi, può non andare bene con la vostra attuale realtà – noi vi diciamo che è sbagliato sia essere morali che immorali, proprio perché entrambi i termini sono dipendenti da fattori transitori e non assoluti. Molto meglio – e più utile all’individuo – è essere «amorali», cioè al di fuori di ogni morale, cioè non legato e condizionato dagli influssi derivanti dagli usi e dai costumi dell’epoca e della società in cui si trova a vivere.
Con questo, non vi diciamo certo di fare tutto ciò che vi va di fare, senza minimamente preoccuparvi del fatto che ciò possa nuocere agli altri: affermiamo semplicemente che dovreste fare ciò che sentite di fare, al di là del condizionamento e della morale, perché solo svincolandosi dalle imposizioni delle usanze e dei costumi potrete trovare quell’agire correttamente con l’Assoluto, quell’essere un tutt’uno con l’intero Creato, che è l’unico, vero e giusto modo d’essere. Scifo