Tutto ciò che accade nel tempo e nello spazio, nel divenire, assume una forma, di qualunque materia essa sia.
Ogni forma è il simbolo visibile di un processo.
Ogni processo conduce da ego ad amore.
Nel divenire, ogni fatto/forma accade nel presente e svela comprensioni e non comprensioni.
La persona della via interiore e spirituale è quella che non si ferma alla forma esteriore, ma di essa coglie il simbolo, il processo che indica.
Conoscenza di sé, consapevolezza e lotta interiore
[…] La lotta spirituale mira, secondo la tradizione cristiana, a custodire la “sanità spirituale” del credente. Disciplina indubbiamente faticosa, ma capace di trasformare la fatica in bellezza, qualità della vita autentica e della convivenza. Le è necessaria la resistenza spirituale nei confronti di pulsioni, suggestioni, ossessioni che sonnecchiano nel profondo del nostro cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una prepotenza aggressiva che le rende per noi tentazioni seducenti. Se il fine della lotta spirituale è l’apatheía, questa va intesa non nel senso dell’impassibilità, ma dell’assenza di patologie: così questo combattimento quotidiano mette in atto la valenza terapeutica della fede. Essendo la vita spirituale una realissima e concretissima vita, essa deve essere nutrita e corroborata per poter crescere e dev’essere curata quando è minacciata nella sua integrità.
La responsabilità delle proprie scelte e il karma
Le cronache parlano di una giovane donna che si è tolta la vita non reggendo il giudizio mediatico conseguente alla pubblicazione di materiale molto personale. Parlano anche, le cronache, dell’accanimento contro di lei sui social quando quel materiale uscì, un anno addietro.
E’ un dramma che ci ricorda l’importanza del discernimento e la responsabilità che sempre accompagna ogni nostra scelta.
Qualunque scelta io operi, ho la capacità e una struttura identitaria sufficientemente stabile da reggere le conseguenze che dalla mia scelta possono derivare?
Atteggiamento meditativo, disposizione contemplativa, azione
– Atteggiamento meditativo: la disconnessione da ogni identificazione attraverso il ritorno a zero attuato con un impulso volitivo.
– Disposizione contemplativa: la risultante di una vasto complesso di comprensioni unite al frutto della disconnessione e del superamento organico dell’identificazione; non comporta impegno volitivo. La disposizione contemplativa attraversa l’essere vuoto di soggetto.
– Azione: l’attitudine al fare, all’operare, al controllare e al modificare la realtà.
Contemplazione e noia
Conosce la noia il contemplativo? Non Credo.
L’esperienza della noia viene generata dall’identità e siccome l’identità non è un corpo ma una interpretazione di sé, se quell’interpretazione è stata vista e sviscerata, conosciuta e disidentificata, i suoi frutti non crescono più, o crescono marginalmente, sull’albero delle esperienze.
La persona della via spirituale conosce il racconto su di sé e sulla vita che narra la sua identità; l’esperienza che gli deriva dalla lunga frequentazione l’ha portata a non credere, a non aderire a quel racconto: se la persona non ha più come campo base il narrato identitario, dove mette i picchetti della sua tenda?
Nel sentire di coscienza e da quella postazione osserva l’ampio panorama sottostante.
Le crisi interiori cicliche
Definisco crisi lo smarrimento dovuto alla perdita di senso di ciò che si vive.
Negli affetti, nel lavoro, nella via interiore questo è comune e, direi, anche sano. Perché?
Perché è fisiologico e naturale perdersi. Chi si perde? L’identità.
Chi si ritrova? L’identità.
La crisi è dinamica dell’identità che trova nutrimento in ciò che vive, o lo perde e si smarrisce.
Una coscienza non va in crisi, non è identificata con ciò che sperimenta e su quello non coltiva aspettative o sogni, non proietta desideri e bisogni.
L’operaio della via interiore conosce il lavoro quotidiano
Quando l’operaio della via si alza il mattino, non ha bisogno che qualcuno gli ricordi l’opera che l’attende: sa che le ore che ha davanti gli presenteranno ciò di cui abbisogna per conoscere, divenire consapevole, comprendere.
E sa che tutto il necessario a lui verrà portato dalla presenza dell’altro: la persona con cui vive, i figli, i colleghi di lavoro, i genitori, gli amici.
L’operaio della via, quando si alza, non pensa già alla sera, quando il suo turno sarà finito e potrà riposarsi; non pensa a domani, non vede domani nel suo orizzonte perché sa, ha compreso, che tutta la realtà è rappresentazione e le basi della rappresentazione di domani si gettano nella presenza di oggi.
Perdonare se stessi
[…] L’unico giudice di voi stessi, figli nostri, un giudice al cui cospetto anche i più grandi inquisitori si sono sentiti tremare in maniera irrefrenabile le ginocchia non è altri che voi stessi.
Voi stessi siete giudici e carnefici, voi stessi vi condannate al tormento, voi stessi vi crocifiggete con una valanga di «se avessi voluto», «se avessi cercato», «se avessi fatto non fatto» e fate fatica a perdonarvi, finendo con rendervi impossibile cercare di porre rimedio a ciò che siete stati diventando dei voi stessi diversi, preferendo le mille corone di spine dei vostri sensi di colpa al cambiamento che, solo, potrebbe porre rimedio, per la vostra coscienza, a ciò di cui vi incolpate.
Ricominciare l’opera senza fine
Non è l’estate la stagione della chiarezza: la forte esposizione solare non è elemento che nell’umano possa portare lucidità di sguardo e di analisi.
Settembre è un mese di transizione: dalla dominanza della luce e del calore, ad un maggiore equilibrio. Settembre annuncia e prepara l’autunno, il gesto introversivo che culmina nel solstizio d’inverno, alle porte del Natale.
Usciamo dall’estate frastornati ed anche smarriti: lontane sembrano le certezze, le chiarezze, le consapevolezze su sé e il cammino.