L’epica della sequela

Prendo le mosse da questo commento di Enzo Bianchi. Nella visione cristiana c’è qualcosa di epico nella scelta che la persona si trova a compiere quando si sente interpellata dal messaggio-sentire di Gesù.
A me sembra che non ci sia alcuna epicità nella scelta: le persone che sono pronte nel loro sentire ad accogliere un altro sentire, evidentemente prossimo al loro, non fanno alcuna difficoltà. Ciò che si presenta appare loro naturale, in fondo già conosciuto anche se non in quella forma.
Quelle persone, in effetti, non hanno alcuna scelta: quel sentire è già in vario modo loro patrimonio e possono dire si o no ad una certa forma che lo rappresenta, ma non dicono si o no a quel sentire, lo dicono alla forma in cui si presenta loro.

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Senza pratica meditativa il cammino spirituale è fragile

Intendo per cammino spirituale il percorso esistenziale consapevole che da ego ci conduce ad amore, di comprensione in comprensione.
Intendo per pratica un complesso di disposizioni, attitudini e attuazioni:
1- calare nel proprio quotidiano il paradigma che si va seguendo e perseguendo e di questo, in particolare, il superamento della disposizione della vittima;
2- divenire artefici consapevoli e responsabili di ogni aspetto della propria vita;
3- cercare la coerenza possibile a sé, che è sempre in divenire, tra il sentire, il pensare, il provare e l’agire evitando accuratamente di dire e professare quanto non si è in grado di applicare;

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L’ecologia della mente nella via spirituale

Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Genesi 3, 9-10
Il “dove sei” non è certo rivolto alla collocazione fisica, la domanda investiga dove l’uomo ha appoggiato la propria attenzione, la consapevolezza e la relazione che intrattiene con sé e il proprio interiore.
“Ho paura e sono nudo”: nudo davanti ai miei limiti, bisogni, desideri, giudizi, aspettative; pieno di paura perché privo di strumenti per governarli e temo di esserne travolto.

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Terremoto, simbolo, karma

Chiede Nadia attraverso la sezione Domande e Risposte: Giorni fa, ho letto che la terra, Gaia, periodicamente ha bisogno di purificarsi, di guarire dalle ferite che l’uomo le infligge. In quanto coscienza divina, Gaia si ripulisce e lo fa attraverso quelle che noi definiamo calamità naturali. Non so se questo corrisponde al vero, ma oggi, in questo giorno di terremoto, anche queste frasi lette mi hanno risuonato. Qual è la simbologia di questo evento?
La tesi che Nadia ha letto porta con se lo sguardo e i linguaggi del mondo New Age, qualcosa di decisamente lontano da noi per approccio e visione; non commenterò dunque quelle tesi e mi limiterò ad un tentativo di analisi del simbolo.

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I passi dell’unificazione

La funzione di un cammino come il Sentiero è quella di accompagnare incontro a sé: dal processo di conoscenza-consapevolezza-comprensione scaturisce poi l’esperienza dell’unificazione.
Ogni persona incontra il cammino, la via adatta a sé: la coscienza la conduce là dove è bene per essa.
Nel Sentiero non ci occupiamo dei primi passi, normalmente giungono persone che hanno già nel sentire i codici di base della via interiore.
Se una persona non ha le basi della via, se le procura là dove le è possibile e necessario. Per parte nostra offriamo un percorso introduttivo Le basi della conoscenza e della consapevolezza.

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L’amore e il destino del sesso e dell’affetto

Commentando il post Amare non è possedere, Elena afferma: Ciò che mi fa riflettere è quando si divide il concetto di amore per il partner e l’idea di “fare solo sesso” con un altro che non sia il partner e che “non conta nulla”. Ma di chi stiamo parlando? Se ritengo di poter amare senza condizioni e con dedizione il mio partner, amo anche quando ritengo di fare solo sesso con un altro, altrimenti in nessuno dei due casi sono in amore. La differenza è che quando sono in coppia scelgo di sperimentarmi nel quotidiano. A mio modo di vedere, nell’espressione stessa del pensiero iniziale è racchiuso il concetto del possesso.
L’affermazione riportata all’inizio del post citato era riferita ad una persona che sta armeggiando con una materia di grande complessità.

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L’amore per sé, la dignità, l’usare l’altro

Amore per sé e dignità sono indissolubilmente legati: l’uno genera l’altra e viceversa.
Qui mi interessa esaminare la questione dell’amore per sé e della dignità come esperienze interiori e nella relazione con l’altro.
L’uso quotidiano dell’altro: ogni giorno esso viene come simbolo vivente nelle nostre vite e narra innanzitutto di noi e, in parte varia, di sé.
Il primo e principale uso che facciamo dell’altro è dunque quello di utilizzarlo come mezzo per lo svelamento: è la lente che ci permette di vederci meglio.
E’ un uso non consapevole, esistenziale e più che altro inconscio.

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La meditazione, strumento e fatto gratuito

Commenta Serena nel post La necessità della pratica meditativa e della disconnessione: Non sono sicura che per me la meditazione sia una pratica di gratuità, dovrebbe esserlo?! In realtà è un mezzo che mi permette di allenarmi alla disconnessione, alla maggior consapevolezza. Vero è che il fine è nobile, ma cos’è la vera gratuità?
Le persone della via praticano la meditazione come strumento e come fatto, come pratica gratuita.
Come strumento appartiene al divenire ed ha un grado variabile di gratuità.

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La confidenza fraterna

Una via interiore, spirituale, richiede un alto tasso di confidenza fraterna.
I piani della relazione sono molteplici:
– identitario
– esistenziale
– trascendente.
Non esiste persona nella via che non abbia sue questioni identitarie da sistemare e da portare a compimento, di conseguenza le relazioni tra i membri di un cammino e con la loro guida hanno sempre dei risvolti psicologici e immanenti.

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