Sperimentare il non compreso alla luce del compreso

Chi ci guida, chi è il nostro riferimento quando ci inoltriamo nel vasto mare del non compreso?
Il compreso che è in noi, ovvero il sentire di coscienza acquisito attraverso l’esperienza di innumerevoli esistenze, e l’azione dei corpi superiori e della vibrazione prima che orientano la coscienza là dove essa non ha dati e navigherebbe altrimenti al buio.
Il compreso di chi ci sta a fianco, ci accompagna; di chi ci incontra e dice quella parola, offre quella testimonianza che avvertiamo come un segno per noi.

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Dal sentire all’azione: coerenza, autoindulgenza, umiltà

La coerenza è la corrispondenza tra sentire/pensiero/azione.
Il compreso trova manifestazione in ciò che pensiamo, proviamo affettivamente ed emotivamente e in ciò che agiamo quotidianamente.
La questione della coerenza non si pone quando una comprensione è completamente acquisita e strutturata: si pone prima di allora, quando ancora mancano dei tasselli al suo pieno dispiegamento.
Quando un determinato aspetto del vivere e dell’essere è stato compreso, non c’è scelta: prima di allora c’è spazio per l’interferenza della cultura, dell’identità, della morale.

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La pratica della presenza al Reale che viene e che è

Proseguiamo l’argomentare iniziato con Le fondamenta della vita interiore e di quella spirituale.
La pratica della presenza al Reale che viene e che è costituisce la radice della vita spirituale: il cammino di conoscenza, consapevolezza e comprensione matura in una pratica che si dispiega nell’insieme del vissuto quotidiano ed esistenziale.
L’esperienza della presenza al Reale è il frutto dell’attitudine meditativa che prende la forma:
– dell’ascolto;
– dell’osservazione;

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Le fondamenta della vita interiore e di quella spirituale

La presunzione di avere una vita interiore e spirituale rimane nascosta agli occhi di molti di noi.
Cosa ci rende persone della via interiore? Le idee che professiamo?
Cosa ci qualifica come interni alla via spirituale? Una meditazione ogni tanto?
Vediamo la presunzione negli altri, ma in noi ci rimane difficile: finché non la vedremo, non comprenderemo nemmeno quanto lunga sia la strada che dobbiamo percorrere per affacciarci sulla Realtà.
L’ignoranza ci ottunde lo sguardo: coniugata con la preclusione e il pregiudizio, ci acceca.

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L’oratio continua, la relazione interiore, la contemplazione

Ai termini “oratio” e “preghiera”, preferisco quello di “relazione interiore” molto meno connotato in senso discorsivo, meno legato alla parola e al parlare.
L’oratio continua, la relazione interiore permanente, è l’orizzonte del monaco dalla notte del tempo e, ad oggi, è l’esperienza di chi lascia emergere la vastissima area dell’esistere oltre sé.
Non emerge una parola, non solo e non necessariamente, comunque: emerge un sentire, uno stato d’essere, una connessione, una fusione, un risiedere.
Emerge come silenzio carico d’Essere.

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Si cerca finché si è divisi nell’interiore

Divisi da chi? Dalla natura di sé: il senza origine e senza fine non coglie l’essenziale e trova interesse solo per i colori del divenire.
Divisi nel compiersi del processo della manifestazione di sé.
Divisi nella consapevolezza di sé e dell’accadere.
Divisi nell’interpretazione dello sperimentare e del suo senso.
L’interiore è lo specchio dove tutto si riflette e lì viviamo e patiamo quella divisione, se ancora è in atto.
Quando quella divisione è superata nel sentire, nel pensare, nel provare e nell’agire, finisce l’esperienza del sentirsi separati e frantumati,

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La conoscenza di sé, la contemplazione, la fiducia

Il nostro cammino appoggia sulla conoscenza di sé, ma non si esaurisce in essa.
Non basta leggere la propria vita in un’ottica esistenziale.
Non basta nemmeno cambiare lo sguardo sulla realtà e l’interpretazione di essa: tutto questo è propedeutico e prepara la disposizione contemplativa che può sorgere nella persona, insediarsi nel suo intimo e plasmarne le profondità dischiudendogli la comprensione di una vita radicalmente altra.
Se la conoscenza di sé non genera l’esperienza contemplativa, allora non parliamo di questo cammino, ma di altro.

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Il ritmo di una giornata in un monastero trappista

Suona la sveglia: siamo nel cuor della notte, le 2.40; ci si veste in fretta e percorrendo il chiostro semibuio ci si avvia subito alla chiesa. Dalle vetrate si scorge, sul giardino del chiostro, lo stellato chiaro, o il lume della luna che inargenta il tronco della betulla e fa scintillare il vialetto di pietra. Ma la vista più bella è data dai pleniluni sul mare, che si possono scorgere dalle finestre subito dopo il dormitorio: una luna enorme sul mare a specchio, che va dall’argento all’oro, sino ad assumere una sfumatura quasi rosa quando c’è una leggera foschia. Non c’è tempo di fermarsi, ma è come una boccata di bellezza che riempie i polmoni dello spirito, prima di immergersi nella preghiera.

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Il dialogo interiore e la preghiera oltre l’intelletto

Muoiono le parole perché muore il pensare.
Sorge il sentire che non ha bisogno che di poche, essenziali, espressioni: il dialogo interiore, la preghiera, è una dinamica interna al sentire che precede l’intelletto e risiede nel nucleo più profondo dell’essere.
La preghiera non è solo la pratica dell’uomo che si rivolge a Dio: è dinamica interna al Suo essere.
L’esperienza di questo dialogo interiore, di questa relazione profonda, di questa preghiera interna e non condizionata dal bisogno, è possibile nel momento in cui la persona ascolta e osserva il moto più intimo del proprio essere e vivere, libera dall’identificazione con ciò che attraversa i suoi veicoli, libera da sé.

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