Un genitore fornisce ai figli la piattaforma affettiva, educativa, spirituale, sociale ed economica su cui appoggiare durante tutto il periodo dei loro ripetuti tentativi di costruirsi una manifestazione credibile e sostenibile – ai loro e agli altrui occhi – nel mondo.
Lo stesso dovrebbe fare un insegnante con i suoi allievi: essere colui che crea l’ambiente formativo adeguato affinché ciascuno possa esprimere la ricchezza interiore di cui è portatore, colmando, nel contempo, quei limiti che più possono ostacolarlo nel processo di manifestazione e di realizzazione della propria autonomia di individuo.
“Guidati dallo Spirito”
Prendo lo spunto da questo articolo di Eugenio Scalfari apparso oggi su La Repubblica. Scalfari fa riferimento alle parole di Papa Francesco: “Lo Spirito Santo è quello che muove la Chiesa, è quello che lavora nella Chiesa, nei nostri cuori; è quello che fa di ogni cristiano una persona diversa dall’altra ma da tutti insieme fa l’unità. Dunque lo Spirito Santo è quello che porta avanti, spalanca le porte e ti invia a dare testimonianza di Gesù”.
Nella mia ignoranza, non so se i cristiani ritengano che anche noi non cristiani beneficiamo della guida dello Spirito Santo, o se è una loro prerogativa.
Provo ad immaginare che essi possano affermare che lo Spirito opera in tutti coloro che alla sua influenza si aprono.
La casa vuota
Siamo così abituati a pensare che l’incontro con una persona sia l’incontro con qualcuno che, credo, ci sia solo parzialmente accessibile la nozione di “casa vuota”.
Cosa intendo con questa espressione? L’assenza di quel qualcuno. Come è possibile che ci sia un corpo, una relazione sostenuta da parole, pensieri, emozioni e, simultaneamente, non ci sia qualcuno dietro questo?
Quando c’è qualcuno? Quando il soggetto si ritiene tale. Quando qualcuno non c’è? Quando il soggetto tale non si ritiene.
Dunque è solo una questione relativa alla interpretazione e alla percezione di sé.
Lo stato interiore del risiedere
Un brano di Soggetto, maestro della via della Conoscenza.
La versione integrale.
La via della Conoscenza parla di stare in, di risiedere, che significa essere fissi in ciò che ogni essere porta in sé come radice profonda. Vivere è essere in relazione con ciò che vi circonda, scoprendone una profondità che va al di là della superficie su cui ancora vi attestate: è un mondo che esiste, ma che voi potete intravedere soltanto attraverso fugaci flash che vi fanno intuire che c’è altro che non è possibile trattenere, e far proprio, perché è irriducibile ad ogni pretesa.
Dare per scontato il presente
Dare per scontato la presenza dell’altro, la situazione di un figlio, l’acquisizione di un diritto, il contenuto di una lettura, il significato di un’espressione.
Il velo della routine copre lo sguardo e la realtà ci sembra conosciuta, l’attenzione diminuisce, la presunzione di sapere e di conoscere ci inorgoglisce.
È allora che perdiamo il contatto con la realtà, se mai lo abbiamo avuto, nella routine del conosciuto, in quella processione di atteggiamenti interiori che danno per scontato ciò che bussa nel presente.
La sopraffazione, i femminicidi
Non so quanto dipenda dalla mia storia psichica o dalle mie attitudini caratteriali il fatto che io non abbia mai alzato un dito su una donna. Ma so per certo che dipende in buona parte, per dirla molto banalmente, dalla mia volontà di non farlo; dalla mia educazione e dall’esempio ricevuto in famiglia; dalle mie inibizioni culturali, che mi fanno considerare indegna e vile la sopraffazione dell’altro; infine, e non ultimo, dalle mie convinzioni politiche, che mi conducono fortemente a credere che la libertà delle donne sia condizione (forse la prima condizione) della libertà di tutti.
Speranza e fede
Chiede Paolo nella sezione Domande e risposte: Nel paradigma del Sentiero, c’è differenza fra speranza e fede?
Si può rispondere a questa domanda in veramente molti modi, ma lo farò nell’unico modo per me vero adesso: qual è la mia esperienza della speranza e della fede?
Se esiste un soggetto questo può sperare qualcosa nella vita, o per l’oltrevita.
Se esiste un soggetto, può avere fede in un Dio, può confidare, può coltivare la ricerca, l’approccio, la connessione.
Ma se non esiste soggetto? Siamo così abituati a ragionare postulando che un soggetto esista sempre ma, come spesso ci accade, teniamo conto solo di una quantità irrilevante di fattori nell’analisi di realtà complesse.
Ancora su gratuità e responsabilità
In merito al post Gratuità e responsabilità, ho risposto alle questioni poste da Marco nella sezione del sito dedicata alle domande e alle risposte.
Caterina, operare il bene, la gratuità non è mai conseguenza di un’intenzione perfetta: sgomberiamo il campo dalla perfezione, l’umano opera sempre sulla base di spinte complesse e finché c’è incarnazione, c’è un tasso di egoità.
Con il termine egoità non intendo egoismo, ma l’esperienza, ad esempio, del proprio esserci come individuo nel momento in cui la propria esistenza è minacciata.
Il necessario, ogni giorno
Qui, nel Sentiero, affermiamo che ciascuno ha ogni giorno il necessario a sé.
Questa affermazione, considerata alla luce del paradigma ordinario, è una palese idiozia.
Vista alla luce del paradigma che noi usiamo, ha un senso preciso: il povero ha la povertà a lui necessaria; il volontario, il benefattore, il donatore hanno la situazione ugualmente a loro necessaria.
Il povero si confronta con la povertà per ragioni appartenenti al suo cammino evolutivo, alla trasformazione del suo sentire, al processo di conoscenza – consapevolezza – comprensione.