Potrei dire che l’umano è attraversato dall’amore di Dio ma, così dicendo, affermerei che umano e divino sono due entità separate e la prima beneficia dell’amore della seconda. Così non è.
L’amore che figurativamente attraversa l’umano è in realtà la consapevolezza dell’amore che lo costituisce e che l’umano avverte come processo, flusso, attraversamento.
L’amore che lo costituisce, che lo intesse: natura della sua natura. Inseparabile, indivisibile, mai divenuti due se non nel perdersi dell’umano, o nel non essersi ancora trovato.
Gli amanti cercano nella loro relazione quella indivisibilità e sperimentano l’illusione e l’impermanenza dell’amore umano ma, mentre sperimentano, comprendono anche che ciò che loro accade in realtà prefigura altro che va ben oltre le loro promesse, le loro effusioni, le loro fusioni.
Accettare di stare in relazione
Dice Nicoletta nel commento al post Oltre la paura, il gioco: “A lui pensa la vita”. Forse la vita pensa attraverso noi? Cioè voglio dire, noi forse siamo strumenti affinché la vita possa aiutare..
Certamente, siamo strumenti. In sé non esiste una vita che governa e preordina, esistono semmai leggi che indirizzano le vite in una direzione o in un’altra.
Non c’è un Assoluto che crea le vite, semmai ci sono le vite espressione dei molti gradi del sentire assoluto.
Ciascuna vita obbedisce allo scopo per cui una coscienza l’ha generata: la vita di quel figlio, di quel partner, la vita nostra hanno un’origine, una direzione, uno scopo e un’epilogo nel sentire di coscienza inscritti.
L’orizzonte del sentire
Ho incontrato ieri Elena, da tempo compagna nel viaggio interiore e da quell’incontro nascono queste riflessioni.
Le coscienze si muovono sospinte dagli archetipi permanenti e orientate/condizionate da quelli transitori.
L’archetipo permanente dell’amore permea una coscienza che lo realizza sulla base delle comprensioni acquisite nella forma stabilita dagli archetipi transitori, nella fattispecie nella forma della famiglia fondata sulla coppia.
L’archetipo permanente dell’unificazione* si articola nell’archetipo transitorio del monaco e del monachesimo.
Ogni spinta universale si incarna in una forma transitoria e “locale”. Questo è l’ambiente vibratorio nel quale operano le coscienze.
Ma cosa accade quando una coscienza sente sempre meno l’influsso degli archetipi transitori e sempre di più è indotta ad obbedire, a conformarsi, alla natura di quelli permanenti?
Accade un suo “estrarsi”, un “eradicarsi” dalle convenzioni, dalle regole, dalle visioni che governano il divenire e con esso il mondo.
La relazione con l’animale
Dice Caterina: “Ho incontrato una coppia, lui e lei si sono un po’ defilati dal mondo perché varie vicissitudini li hanno portati a pensare che l’essere umano sia fondamentalmente un essere crudele e che gli animali siano compagni più affidabili”.
Alcuni di noi fanno difficoltà a reggere l’impatto con il giudizio, la competizione, la sopraffazione: questo dipende da molti fattori, alcuni appartenenti anche alle meccaniche di base di quelle persone; altri, a volte, dalla emersione di non comprensioni che vengono portate alla luce nelle relazioni dalle quali ci si ritira perché troppo grande risulta l’impatto del non risolto.
E’ crudele la vita? E’ quel che è, mostra a ciascuno il non compreso e più la persona evita di affrontare quel non compreso, più la vita, ciclicamente glielo presenta.
Questo non ha a che fare con la crudeltà, ma con la legge del karma che governa ogni nostro passo: ogni aspetto del non compreso, quando esistono le condizioni per la comprensione, si presenta come scena del quotidiano e chiede di essere sperimentato, reso consapevole, compreso.
Natura delle relazioni
Il lettore A e il lettore B leggono lo stesso libro*; prima questione: siamo certi che leggano le stesse pagine?
Seconda questione: se ciascun capitolo, e a volte ciascun paragrafo del libro, contempla non solo lo sviluppo della storia principale, ma anche un certo numero di varianti di quella storia, quali varianti starà leggendo il lettore A e quali il lettore B?
Se il libro è la narrazione della loro relazione, quando i due sono veramente ed effettivamente in relazione?
Solo quando leggono la stessa pagina e la stessa variante di paragrafo, o di capitolo. Altrimenti i due sono in relazione ma, fondamentalmente, ciascuno vive per conto proprio e l’altro è nella scena della propria vita solo ad uso e consumo degli apprendimenti necessari.
I due sono in relazione effettiva solo nella condivisione del sentire: è il sentire che stabilisce l’effettiva presenza di contatto e comunione, che supera la semplice rappresentazione di due che vivono assieme e condividono scene e niente altro, per affermare la comunione realizzata.
Tra sentire e condizionamento
Dice Antonella: “La vera obbedienza non è verso gli altri ma verso la propria coscienza”.
Questa frase mi fa pensare: obbedisco sempre alla mia coscienza o a volte, rimanendo succube dell’identificazione, finisco per obbedire all’altro?
E’ poi quel senso di insoddisfazione che mi fa capire di aver obbedito all’altro..
Cosa è bene per me? In questa situazione, mentre l’altro dice e si manifesta in un certo modo, io mi ascolto?
Oppure opera in me quell’automatismo che mi porta ad essere stretto nella morsa accettazione/rifiuto, adeguatezza/inadeguatezza?
Sono consapevole di essere stretto in quella morsa? Perché se sono nella morsa e non sono consapevole di esservi, non posso disconnettere il condizionamento e se non lo disconnetto non può sorgere alcun ascolto.
Oltre la paura, il gioco
Dice Samuele nel suo commento a La gioia di andare oltre sé: “Come trasformare gli stimoli esterni che chiamano in causa il sé, in vita in cui dimenticarsi di sé e dedicarsi all’altro?”.
Essere chiamati in causa è la norma quando si vive: ci sentiamo coinvolti come identità e sentiamo che queste sono continuamente sotto esame, messe alla prova, giudicate e parametrate.
Siamo, normalmente, nella morsa del dover essere, del dover dimostrare: è possibile uscirne?
Si, quando si è compreso che ogni scena del quotidiano altro che non è che uno spezzone di un film dal nostro sentire prodotto.
Quando si ha chiaro che ogni accadimento è una possibilità di apprendimento e che la vita altro non è che ampliamento del sentire che ci crea e ci guida, allora si, possiamo rilassarci.
La gioia di andare oltre sé
E’ come uscire di casa dopo un lungo periodo di pioggia e di freddo: questo è andare oltre sé.
Appoggiare il pensiero e l’intenzione sul bene dell’altro, chiunque esso sia, non sul proprio.
Mettere al centro la dedizione e la donazione di sé, non il proprio interesse e tornaconto.
Scomparire come centro di interesse, come perno su cui ruota il mondo, lasciando che la vita ci conduca dove ritiene bene e necessario che noi si sia.
Conoscete gioia più grande?
Questo è l’orizzonte, questo il cammino, a questo conducono i passi di ogni giorno.
Smettere di lottare
Osservare, ascoltare, discernere, accogliere.
Il soggetto lotta e dice: “Debbo farcela!”. La persona che è in bilico tra il soggetto e la sua scomparsa, non lotta più, si dispone all’obbedienza.
A chi obbedisce? Al sentire che la conduce, che genera le scene, che la sospinge in una direzione o in un’altra.
Ad un certo punto del cammino esistenziale, l’imperativo diviene: “Smetti di lottare perché nel rumore e nell’eccitazione della lotta non puoi ascoltare quanto la vita ha da dirti!”.
Dalla cultura della lotta dobbiamo passare a quella dell’ascolto e dell’obbedienza: lo sguardo si fa allora acuto, l’intelligenza pronta, la capacità di cogliere le sfumature e di leggere i simboli, alta.