Caro Hawking, non scompariremo così presto

Dice il fisico Stephen Hawking che siamo destinati all’estinzione nell’arco dei prossimi 1000-10.000 anni per mano nostra e delle tecnologie che useremo in modo distruttivo.
Direi che un essere così stupido come l’uomo è quello che si merita, ma credo che le cose non stiano così come dice Hawking: a me sembra che il destino del pianeta, e della vita su di esso, non sia nelle mani dell’umano, né in quelle delle coscienze degli umani.
L’uomo e la sua coscienza sono come il cieco guidato dal cieco: coscienze con sentire limitati, generano identità limitate le quali per imparare ed ampliare la conoscenza, la consapevolezza, la comprensione sperimentano tutte le situazioni di base: dall’uccidere allo stuprare, al rubare, al devastare. La lista è lunghissima.

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Non difendere e fiducia

Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!

Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.

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Le vite, il divenire, la contemplazione

Guardo i miei cani e regolarmente penso: “Temo che la prossima vita vi toccherà da umani! Che sfiga!”
Tutto evolve dice la mente, tutto diviene: il sentire da limitato ad unitario; la pianta da seme a ricovero per gli uccelli.
E’ certamente così nell’ottica del divenire ma questa è solo una delle ottiche possibili, solo uno degli sguardi sulla realtà.
Diviene la legna cenere mentre brucia? Certo che sì, dice la mente.
Certo che no, dice lo sguardo altro. Come no, la legna arde, diviene carbone ardente e pian piano cenere: si vede, accade sotto gli occhi, non lo si può mettere in discussione!

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La mente come strumento

Chiede Serena: fino a dove l’uso della mente va bene e quando invece si deve andare oltre?

La mente seziona la realtà attraverso il giudizio, la misurazione, la parametrazione di ogni fatto con cui entra in relazione.
La realtà sentita dalla coscienza passa attraverso la meccanicità della mente, si riveste di emozione e infine diviene azione, realtà nel tempo e nello spazio.
Se la coscienza è il proiettore cinematografico dentro cui scorre il film che viene sentito, la mente è la lente del suo obbiettivo, quella che permette al fotogramma sentito di divenire il complesso di raggi di luce che raggiungono lo schermo.
E’ evidente che senza la mente non vi sarebbe la realtà, né sarebbe possibile indagarla e conoscerla. Le esperienze che viviamo e che sono quelle da cui la coscienza estrae i dati che le servono per comprendere, avvengono principalmente attraverso lo strumento della mente.

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Il tasso di dolore nella via spirituale

Chiede Maya: Spesso osservando le persone che non si fanno troppe domande e che sembrano molto inconsapevoli mi sembra che facciano una vita più serena e meno dolorosa della mia. Vanno al lavoro e fanno quello che devono fare e basta. Magari si lamentano, ma sembra un lamento così tanto per fare due chiacchiere. Perché chi cerca invece soffre così tanto? O è il contrario, chi soffre è “costretto” a cercare?

Non sappiamo mai cosa c’è nell’intimo del nostro prossimo, sappiamo invece che nella cosiddetta normalità i rapporti avvengono all’ombra di maschere più o meno velanti.
In ogni persona avvengono processi di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Alcune incarnazioni sono caratterizzate da una maggiore intensità, in genere una incarnazione intensa si alterna ad una meno intensa.
Allo stesso modo ci sono stagioni, in una vita, in cui la macerazione è maggiore: una persona attorno ai 40 anni è certamente immersa in un passaggio esistenziale rilevante.

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Verso la libertà interiore

Le domande di Maya (a partire dalla lettura del libro L’essenziale).

Se non c’è l’agente, non c’è la realtà?

Chi è l’agente? La coscienza? L’identità?
Se non c’è identità – il soggetto che si attribuisce l’accadere – c’è solo l’accadere senza attribuzione, pura neutralità (così come è possibile all’umano). E’ la vita che vive l’iniziato/a, colui/ei che è giunto alla fine del proprio cammino incarnativo. La realtà è presente e si manifesta con le logiche del divenire, ma non c’è un soggetto che dice: “Questo è mio!”
Va notato che finché c’è vita incarnata c’è sempre un tasso di identità, magari molto ridotto, per la ragione molto semplice che essendoci i veicoli mentale, astrale e fisico, comunque questi generano un’immagine di sé. Che l’iniziato/illuminato non abbia alcun grado di identità, è pura illusione e appartiene alla mitologia dello spirituale.

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La mente, la realtà, il sentire

La persona che non ha ancora aperto le porte al sentire e che è focalizzata sul recitato della propria mente, nulla comprende del reale, della realtà e della sua natura più vera e autentica.
Nulla. Quella persona vede il film del reale, non il reale.
Oltre lo schermo ottuso frapposto dalla mente e dai suo contenuti e paradigmi, nell’affiorare del sentire, nel suo mostrarsi e dispiegarsi, nella possibilità infinita di accesso che apre, lì e solo lì il film sfuma e appare ciò che velava, ciò che c’è oltre: i contorni della realtà assumono allora una connotazione, una definizione, un senso, una pregnanza, una essenza mai conosciuti.

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La solitudine, ciò che non si può comunicare

Il sentire non si può comunicare.
La consapevolezza della limitazione rappresentata dall’umano, non si può comunicare.
La visione unitaria non si può comunicare, non a menti che tutto dividono e frammentano.
Il senso di estraneità e di lontananza che convivono con la compassione, questo è un paradosso incomunicabile.
La danza tra identità e coscienza, tra umano e sovrumano, le mille sfumature, i micro conflitti, l’immensità del grande che contiene il piccolo asino del non compreso, questo non è comunicabile a menti che tendono al bianco e nero e non alla molteplicità colorata.
Rimane sepolto nell’intimo proprio un mondo vasto ed articolato e con esso una solitudine irriducibile.

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Il seme della vita nella malattia

Ho incontrato ieri una persona, un poco più giovane di me, con una malattia oncologica e un passaggio esistenziale delicato.
La posta in gioco per quella persona è il poter considerare lo stato di malattia nel quale si trova, come la chance più importante che la vita poteva offrirle.
Indipendentemente da quanti fogli il suo calendario le riservi, una manifestazione oncologica rappresenta un avviso ultimativo:

C’è qualcosa che non va nel sistema, puoi limitarti a considerarti vittima del male o puoi coglierne il valore simbolico, la portata esistenziale e interrogarti su cosa nella tua vita non va, e non va da tempo. Questa interrogazione, e la possibile conseguente revisione di vita, non ti garantiscono né la guarigione, né la sopravvivenza ma di certo daranno ai tuoi giorni un altro senso e un’altra completezza.

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