Esserci con dedizione, privi di scopo: la vita guidata dal sentire, non dalla mente e dall’egoità

“Sento forte l’esigenza di scomparire, mi metto però a disposizione, dove ritenete più concreto il mio supporto, io ci sono.”
Questo afferma un amico, membro della Comunità del Sentiero. E’ una disposizione che riguarda diversi di noi, è quello che perseguiamo, l’orizzonte esistenziale del nostro cammino: esserci, darci, osare, non stancarci, accettare la sfida della trasformazione continua e, simultaneamente, essere vuoti di scopo, non avere nulla da raggiungere, nulla da dimostrare.
Tutto inizia e tutto finisce in quella situazione, in quell’atto, in quel gesto; conciliando le esigenze personali, quelle della famiglia, quelle del lavoro con la vita della comunità, a nessuno è chiesto qualcosa in modo diretto: tutti offrono, possono offrire sulla base di una spinta che sorge nel loro intimo e ad essa obbedire.
Ad essa, a quella spinta che sorge dal sentire, si obbedisce, non a qualcuno nella comunità, nella società: l’azione senza scopo vale per tutte le situazioni, certamente non solo nella piccola realtà di una comunità.
Quell’obbedire, quello scomparire dicendo sì, avviene senza discernimento? Si obbedisce alla propria vita, non a qualcuno; si dice sì al proprio sentire, non ad un capo; si va, si risale all’origine stessa della spinta che ci conduce ad operare e a vivere. Certo, si può fraintendere quale sia il proprio sentire: si imparerà da questi fraintendimenti e si aggiusterà il procedere di conseguenza.
Questo osservare la spinta e le sue conseguenze, è il discernimento che si opera:
– si ascolta il sentire;
– si aderisce all’impulso ricevuto;
– si sperimenta;
– si osserva il processo che dall’intenzione ha condotto all’azione e ai risultati di questa;
– si operano le correzioni necessarie;
– si impara dagli errori, dai limiti.
Se quella spinta non è condizionata da sfumature egoiche, gli impegni presi non costano, sono magari faticosi ma di quella fatica che apre vie, non le seppellisce sotto il logoramento e la frustrazione.
Il movimento dello scomparire è dato dal soggetto che inizia a interpretarsi come irrilevante, non importante, non necessario: dalla sua inutilità sorge l’aprirsi dell’orizzonte esistenziale che, allora, è occupato solo dall’essere.
La scomparsa di sé apre l’immenso spazio dell’esistere: non dell’io esito, ma del ciò che è.

Immagine da: http://goo.gl/Wch7vL


La meditazione che si incarna nel gesto gratuito: allenarsi alla gratuità, all’assenza di scopo

Praticare la gratuità come forma meditativa, come pratica personale, come disposizione interiore coltivata nel quotidiano, nell’ordinario.
Darsi tempo e donare il proprio tempo: una, due ore a settimana, o al mese, per immergersi nell’esperienza del fare e dell’accadere, qualunque sia la mansione, rimandendo ancorati a ciò che viene, coltivando il silenzio, la fiducia, l’abbandono, la dedizione.
Uno zazen in movimento: niente di meno, niente di più.
La pratica della gratuità ci trasforma nel profondo: superata la resistenza iniziale diviene la vita oltre il condizionamento, quel lasciarsi condurre liberi dall’ingombro di sè.
Se vuoi, se pensi che possa fare per te, dai la tua disponibilità compilando il modulo che segue: quando avremo bisogno di una mano per dei lavori all’Eremo dal silenzio, o altrove, ti contatteremo e potrai renderti disponibile, oppure no, senza vincolo.
Saranno piccoli impegni ma, uno dopo l’altro, ti alleneranno, ci alleneranno ad operare dimentichi dei nostri scopi, delle nostre finalità: impareremo a vivere le situazioni e a fare le cose semplicemente, per la semplice ragione che si presentano, senza scopo personale alcuno.

Qui trovate i lavori programmati per il sabato e potete dare la vostra disponibilità


Per informazioni puoi scriverci

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La gratuità

Il cammino dalla identificazione alla contemplazione è quello che chiamiamo il processo della gratuità.
Per un lungo tratto di strada generiamo e fruiamo le scene della nostra vita condizionati da uno scopo, da una finalità: procurarci un tetto, un sostentamento; essere accolti ed apprezzati; possedere uno spazio esistenziale di manifestazione.
L’ambiente nel quale viviamo è il luogo della nostra rappresentazione, dell’espressione del compreso e del nostro compreso: le situazioni che viviamo formano l’immagine di noi, ci conferiscono il senso di esistere, di essere vivi, di essere.
Ciò che viviamo è la nostra vita, di questo siamo consapevoli e convinti: esiste un soggetto, esiste un oggetto, esiste una relazione tra soggetto ed oggetto.
Così ci sembra che sia e così perseveriamo finché dura.
Ma non dura per sempre: sopraggiungono le crisi che non solo relative all’identità e ai suoi processi, sono valichi esistenziali, passaggi da una stagione ad un’altra della vita e del sentire interiore.
Stagioni della coscienza sono ritmate dalle crisi e dalle comprensioni, le une preparano le altre.
Ciò che ci conferiva senso non ci parla più, è divenuto muto. Ho già affrontato tutto questo, ora non ci torno.
La nuova stagione ci chiede di muoverci indipendentemente dal senso, aldilà di esso.
Facciamo le cose, viviamo le scene e i processi senza adesione, senza identificazione: esse sono ciò che sono, non abbiamo bisogno che ci piacciano, che ci gratifichino, che ci conferiscono senso.
Abbiamo compreso che la necessità di senso risiede nell’identità e non possiamo, né riusciamo più a coltivarla sistematicamente: affiora e scompare come una boa tra le onde.
Osserviamo la danza tra identificazione e non-identificazione e, in fondo, non ci interessa granché.
Osserviamo i nostri umori e anch’essi, in fondo, ci sembrano lontani.
Questa che ho descritto è la seconda fase, quella che succede alla predominanza del soggetto: l’identificazione non è più insistente, la disidentificazione affiora e avanza ma l’orizzonte è ancora confuso.
Bisogna darsi tempo, l’umano cambia solo attraverso le esperienze che avvengono nel tempo.
Di che cosa si riempirà l’orizzonte?
Della libertà di non avere né scopo, né senso. Della vita nella gratuità.
Gratuità significa:
– senza nulla da perdere;
– senza nulla da guadagnare;
– senza alcuna posta in gioco;
– puro accadere che si presenta, che ci interpella, dal quale impariamo senza ansia e senza la volontà di imparare;
– azione generata perché la situazione lo richiede, oltre il “mi piace-non mi piace”, “mi interessa-non mi interessa”, “mi riguarda-non mi riguarda”.
La gratuità è il semplice gesto del vivere dove il soggetto è ridotto ai minimi termini e l’oggetto è solo quel che è.

Immagine da:http://is.gd/uoGYCG


 

L’esperienza della vacuità e dell’inutilità da non confondere con la depressione

Non credo esista persona della via spirituale che non si confronti con l’esperienza dello svuotamento di senso.
Probabilmente non esiste persona che non si confronti con questa condizione interiore che, ciclicamente, si presenta all’esperienza umana.
La realtà viene sperimentata come vuota, priva di senso, incapace di attivare risposte e reazioni interiori: di fronte ad un accadere, a dei fatti, a delle situazioni o al semplice essere dei giorni la persona non prova interesse particolare, non sente l’accadere suo, non le riesce di attivare processi di identificazione.
La realtà le appare come fatto né interno, né esterno.
E’ un preciso passaggio esistenziale che si ripete ciclicamente, come tutte le cose che hanno bisogno di essere rivisitate più volte per essere conosciute e comprese.
La mente tende a mettere etichette su tutto e anche su questa esperienza esistenziale opera le sue riduzioni e approssimazioni: le sembra che definirsi depressa sia una sintesi accettabile, che quell’etichetta possa almeno contestualizzare uno stato.
Se fossimo capaci di utilizzare paradigmi esistenziali per leggere i nostri stati, non parleremmo di depressione; purtroppo, siamo così limitati nella interpretazione di noi che spesso non sappiamo guardarci con altri occhi e sviluppare altre letture.
Lo svuotamento e la perdita di senso sono il pane del cammino interiore e la loro esperienza ci interroga e ci interpella: se nulla ci appare apportatore di senso, è perché siamo ammalati? Siamo sani quando la nostra vita ci sembra valga la pena di essere vissuta?
Sano/non sano; senso/non senso: c’è una possibilità di non lasciarsi stringere dentro questa morsa duale?
Quale esperienza si può configurare, ci può attendere oltre quella del senso o del non senso?
E’ possibile vivere non curanti, non prigionieri di questa dicotomia?
Certamente, l’orizzonte altro si chiama gratuità.

Immagine da: Susanna Bertoni http://is.gd/xRMCwt


Quando in una coppia muore l’amore fino ad allora conosciuto

Quanti abbandoni del conosciuto e dello sperimentato, quante crisi dei riferimenti consolidati debbono sperimentare i partner in una coppia?
Quante volte il loro rapporto deve cambiare profondamente natura? Tante.
Prima o poi l’innamoramento lascia il passo all’affetto e questo, nel tempo, è così appannato dalla routine che sembra che i due non abbiano più legame.
Erano carichi di bisogni e sembrava che l’altro fosse colui, o colei, che poteva rispondere, poteva appagarli; sapeva comunque gettare uno sguardo, darti del tempo, esserci.
Negli anni l’hai perso/a di vista: ti dorme accanto, ci parli, avete forse anche dei figli insieme; uscite la mattina, tornate la sera ma la routine via ha piallato il cuore.
Non c’è più niente, dite.
I bisogni rimangono e l’altro non risponde, non li copre con la sua mano, con la sua presenza.
Dite anche un’altra cosa: siamo al capolinea.
Tutti i rapporti arrivano al capolinea perché tutti i rapporti mettono a nudo i nostri bisogni, il nostro esserci o non esserci, la nostra capacità di relazione e di donazione; la conoscenza di noi, dell’altro, i rifiuti, le paure: i rapporti sani arrivano al capolinea, ad un punto morto, allo svuotamento.
Le favole che la mente narra sull’amore possono condurre all’innamoramento senza fine: esperienza che alcuni conoscono; piccoli, grandi accecamenti autoindotti, quasi sempre.
I rapporti sani conoscono il deserto; le persone sane conoscono il deserto; le società sane conoscono il deserto.
Il deserto e l’assenza, la perdita del conosciuto e del rassicurante, il tempo della decantazione, dello stare, della sedimentazione.
I due, nella coppia, sedimentano: come nel silenzio, come nel sonno, come nella morte.
La sedimentazione dei vissuti, delle esperienze conduce alla consapevolezza e poi alla comprensione.
L’umano deve perdere per trovare; deve passare per il deserto per comprendere il valore dell’acqua, dell’ombra, delle risa dei bambini.
Quando a noi sembra che tutto sia finito, in quel momento il nostro problema non è chiudere l’esperienza, è indagare sui nostri bisogni e su quelli dell’altro, sul nostro esserci, sul nostro fuggire, sulla nostra dedizione, sulla nostra latitanza: in quel momento si apre a noi la possibilità di vederci, conoscerci, divenire consapevoli, comprendere.
A partire da questo movimento interno che ciascuno dei due vive, o che almeno uno dei due vive, si può riprendere il cammino comune: la stagione dell’innamoramento è lontana; quella dell’affetto routinario superata, che cosa ci attende allora?
La capacità, possibilità di imparare finalmente ad amare.

Di questo parleremo il 26-28 settembre durante l’intensivo del Sentiero contemplativo al monastero camaldolese di Fonte Avellana (PU)

Immagine da http://donna.nanopress.it/?p=323749


essenziale

Il cammino nell’essenziale, gruppo del sabato: meditazione e formazione all’Eremo dal silenzio, San Costanzo (PU)

Un percorso formativo permanente, una volta al mese, dieci mesi all’anno:
15,40-16,20 meditazione guidata statica e dinamica
16,20-17,30 esposizione del tema e discussione
17,45-18 meditazione guidata statica e dinamica
18-18,40 approfondimento di un tema della via spirituale, della conoscenza di sé, della relazione con l’altro, dell’essere della vita.
Il calendario.

Il percorso è accessibile anche a persone che non hanno confidenza con il Sentiero contemplativo purché siano disposte ad integrarsi, con la dovuta pazienza e disponibilità, nel cammino.

E’ necessario arrivare alle 15,30 e non oltre, muniti di sgabello o cuscino, tappeto da palestra, coperta.
E’ richiesta continuità di presenza.

Per iscriversi compilare il modulo seguente:

Essere cristiani è accettarsi in quanto mani di Dio nel mondo? Perchè Dio dovrebbe aver bisogno di mani?

Dal libro Confession d’un cardinal: “Vede, essere cristiani non significa soltanto credere nell’esistenza di un Dio. E non significa nemmeno credere soltanto in un Dio d’amore. Essere cristiani è accettarsi in quanto mani di Dio nel mondo. E’ mettersi a disposizione del progetto di Dio per il mondo.”
Ho estratto queste frasi dal bel libro di un anonimo cardinale scritto con Olivier Le Gendre, pubblicato in Italia da Piemme (2007) con lo stupido titolo “Orgoglio e pregiudizio in Vaticano”.
Prendo pretesto da queste frasi che rispecchiano il sentire proprio di molti cristiani, perché mi permettono di sviluppare una riflessione.
Esiste dunque Dio, ed esiste il mondo.
Il mondo è un luogo imperfetto.
Il mondo non conosce Dio.
Il “Figlio di Dio”, Gesù il Cristo, lo svela e lo rivela, lo rende presenza tangibile nell’esistenza umana: parola, gesto, conversione, contemplazione.
Il cristiano, colui-che-segue-il-Cristo-e-lo-incarna-per-come-gli-è-dato, è testimone creativo dell’amore operante di Dio.
Tutto questo mi interroga. Non posso considerarmi cristiano, non ho interesse per le rivelazioni e per le religioni che dalle rivelazioni sempre traggono linfa.
Ma mi occupo da lungo tempo di esistenza, di esistenze, di spirituale, di vita oltre la separazione e la dualità.
L’amore che, nonostante me e attraverso me, in alcune situazioni viene a trovare manifestazione, è l’amore di Dio?
Indubbiamente, direi; ma ho premesso: “Nonostante me”, cosa significa?
Quel limite che mi caratterizza, quella banalità che è la mia cifra, cosa sono? Sono riscattate dall’essere, a volte, strumento, veicolo di un gesto d’amore divino?
La mia umanità trova completezza, e forse riscatto, nel momento in cui è attraversata da qualcosa di più grande, di più ampio, di divino?
L’umano splende solo quando è il divino che accade, la-mano-di-Dio-che-opera altrimenti è solo marginalità, irrilevanza, ottusità?
Voglio sostenere una presunta grandezza dell’umano a prescindere dal divino? O voglio andare oltre la dicotomia umano/divino?
La seconda. Voglio affermare una cosa piuttosto banale: non esiste umano, non esiste divino, esiste sola la realtà.
Se la realtà non è giudicata, valutata, sezionata e divisa tra alto e basso, limite e non limite, umano e divino è solo realtà, il suo carattere unitario mai viene meno, l’umano non esiste come non esiste la mano di Dio nel tempo.
Se guardo alla realtà dell’umano e del divino come a due realtà, ho bisogno di una mediazione, di un mediatore o di una rivelazione; ma se vivo l’unità-di-ciò-che-è, di che cosa ho bisogno?
Questo ragionare non risolve però una percezione ed una interpretazione apparentemente indiscutibili: il mondo è un luogo imperfetto intriso di violenza, di non amore, di morte.
E’ così? E’ davvero il mondo un luogo di morte, o così appare all’umano, così viene percepito nella soggettività della propria visione?
Ciò che vediamo, che percepiamo è la realtà oggettiva o l’interpretazione/percezione soggettiva del reale?
Se adottassimo un altro paradigma per leggere la realtà, arriveremmo ancora alla conclusione che il mondo è un luogo di morte?
Non potremmo giungere alla conclusione che vita e morte non sono che concetti dell’umano, che tutto è ciò che è, che l’ingiustizia che ci sembra pervadere le ossa del mondo in realtà è altro?
Vi lascio con questi interrogativi.

Le immagini dell’intensivo di meditazione e contemplazione del 25-27 luglio 2014 al monastero di Fonte Avellana

Grazie alla dedizione di Roberto D’E possiamo rivivere alcuni momenti, alcune scene dense di sentire e di condivisione vissute nell’ultimo intensivo di meditazione, contemplazione, formazione, silenzio al monastero camaldolese di Fonte Avellana.
Vi ricordo che in questa pagina potete scaricare la lectio del priore Gianni Giacomelli: “Può il cristiano uccidere il Cristo se lo incontra? E se lo fa, che cosa gli resta?
(E’ necessaria la password per accedere, richiedetecela).