Flettersi

Sento il rumore dei passi,
quelli compiuti, quelli da compiere
lungo questo sentiero infinito
dell’imparare a flettersi, ad inchinarsi:
osservando, tacendo,
sprofondando in un silenzio
che è un abisso
di non significanza di sé.
Aiutami a piegarmi.

Pensiero oggettivo e soggettivo

Ozh-en, il  filosofo, seduto nel suo giardino, guardava in alto, verso una finestra al quinto piano, dove un gatto dalle origini incerte, accanto a un magnifico vaso di papaveri multicolori, cercava di afferrare con la zampa le corolle dei fiori che si muovevano dolcemente sotto la brezza di un alito di vento primaverile, e intanto meditava, con un certo compiacimento interiore, sulla Verità e sulla Realtà.
Con un guizzo di entusiasmo il gatto diede un colpo più deciso al vaso che, dopo aver traballato un attimo, cadde dal davanzale.
Ozh-en lo vide precipitare verso di lui osservando l’avvenimento secondo le cose che sapeva.
“In realtà il movimento non esiste, è solo un’illusione: nell’Assoluto, di cui io stesso faccio parte, tutto è immobile, e non può essere altrimenti” disse a se stesso.
“Io stesso sono un’illusione e il vaso che precipita è semplicemente la mia percezione continua di fotogrammi della Realtà in cui il vaso è posizionato sempre più vicino a me ma, in ogni fotogramma, il vaso è fermo… Come un cartone animato – meditò, un po’ fiero con se stesso per l’originalità dell’esempio – dove una serie di disegni leggermente diversi uno dall’altro, fatti scorrere in sequenza, danno la sensazione del movimento!”
La sua fierezza si spense nel dolore quando il vaso lo colpì, fortunatamente solo di striscio, cosicchè ebbe il tempo, successivamente, per porsi la domanda su quando fosse utile pensare oggettivamente e quando soggettivamente.
Dal volume X de “l’Uno e i molti”, Cerchio Ifior, pag.136

Un insieme

Nei piccoli insignificanti gesti
di ogni attimo,
la consapevolezza
di una irrilevanza,
di un essere veramente piccoli.
Aspetto di un insieme,
dove il centro è l’insieme.

Occhi nuovi

Occhi nuovi
aperti sull’evidente.
Sono lì,
si può assecondare
quel moto ad aprirli.
Sono già lì,
si può fare.

Zucche

Una zucca vuota
risuona se la batti.

Tutto ti colpisce

E’ come se non potessi più legarti al particolare:
lo osservi, lo comprendi
e poi lo sguardo si sposta altrove.
Tutto ti colpisce
ma tu non trattieni niente,
ogni immagine scorre,
ogni vita.
Fotogrammi di un film,
scorrono senza lasciare traccia.
Non c’è indifferenza,
ogni incontro è avvolto
di tenerezza.

L’ambiente parla di noi

“E ricordate che, comunque sia, anche se voi poteste non essere disponibili, l’ambiente esterno è sempre e comunque disponibile, non soltanto ma è lì, fatto su misura per voi, affinchè voi possiate comprendere; quindi, se non volete guardare dentro di voi, se proprio vi legate e vi tappate gli occhi per non guardare voi stessi, basta che guardiate all’esterno di voi stessi e, comunque sia, ciò che vedete vi parlerà di voi e, in un modo diverso di cui voi magari non vi rendete conto, entrerà dentro di voi e vi aiuterà a risolvere il problema.”
(Cerchio Ifior, decimo volume de: L’Uno e i molti” pag. 94)

L’insignificante

Incapaci di vedere l’evidente
cerchiamo lo straordinario.
Allora siamo attenti ai fenomeni
e vogliamo gli assoluti:
la pace, la felicità, l’armonia.
Ci colpiscono quegli uomini
che dicono di vivere in sé
quegli assoluti.
Non avendo idea di che cosa sia la pace,
pensiamo che assomigli ad un mare immobile:
ai nostri occhi la pace è un fenomeno,
non uno sguardo.
Ma non è un problema di assoluti, né di fenomeni,
solo di un restringersi progressivo,
fino a scomparire,
di qualsiasi interesse per sé.
Da quello scomparire
nasce un mondo molto vasto
ma che, difficilmente, ti porta
a fare uso di quei termini
che configurano degli assoluti.
Il vasto ama il piccolo e trascurabile:
l’insignificante.

I tuoi occhi

Nella consapevolezza
della vastità del tuo limite,
la possibilità di trattare
l’altro ed ogni cosa
attorno a te
come fossero i tuoi occhi.

Il cammino dell’uomo

Riportiamo di seguito un testo che ben descrive il cammino dell’uomo; è di epoca egizia, probabilmente opera di un sacerdote (tratto da L’uno e i molti, Cerchio Ifior, volume 8, pag. 171)

Padre mio,
ho cavalcato mille cavalli imbizzarriti
e da essi ho trovato in me le parole e i suoni
che li rendevano docili
e capaci di seguire i miei desideri,
conducendomi lungo le strade paurose
della mia interiorità.

Ho incontrato sul mio cammino
orde di lupi ringhianti
dai denti snudati come barriere
poste sulla mia strada per fermare
il mio avanzare verso di Te
ma ho saputo tranquillizzarli
con la luce della mia serenità,
con la forza di un mio sorriso.

Mi sono imbattuto in tempeste
che facevano rivoltare i mari
portando in alto quello che era in basso
e riccacciando negli abissi più profondi
quello che era in superfice,
rimanendo a galla
sopra il pelo delle acque turbolente
solo grazie alla mia convinzione
che io, qualunque cosa potesse accadere,
non sarei mai morto veramente.

Ho sfidato il fuoco più ardente,
il lampo più abbagliante,
la grandine più tambureggiante
riparandomi sotto la volonta’
di giungere indenne nel porto della mia anima.

Ho attraversato momenti
in cui il mio corpo mi è sembrato
un peso inutile e ingombrante
di cui avrei voluto poter fare a meno.
Ho percorso ore interminabili
in cui paura, rancori, terrori
cercavano di ridurmi come un fuscello
in balia del vento
pronto a spezzarmi frammento dopo frammento.

Ho vissuto periodi
in cui i miei pensieri
sembravano essere pensati
soltanto allo scopo di ferire me stesso
o, peggio ancora, di ferire gli altri.

Eppure, sempre, qualcosa dentro di me
è riuscito a modificare ciò che atteraversavo
aggrappandosi al piacere di un vento primaverile
o alla risata senza imbarazzo di un bambino
o all’incontro con una nuova,
inaspettata, meravigliosa idea.

E infine, padre mio,
ti ho scorto
e tutto ciò che ho vissuto
mi è apparso nella sua grandezza,
facendomi riconoscere
che di tutto ciò avevo bisogno
per arrivare ad essere una parte cosciente
di Te.

La vita che accade

Nel momento in cui la vita accade
tu puoi solo tacere,
non puoi aggiungere niente,
non ti è permesso.
In quel momento c’è solo lei
ogni aggiunta è superflua.
Cos’è quell’accadere?
E’ la piccola manifestazione
minuta e insignificante,
quella su cui mai posi lo sguardo,
che avviene e ti ammutolisce.