Da coscienza a coscienza

Quando le menti sono quiete, la comunicazione avviene da coscienza a coscienza, da sentire a sentire.
Mente quieta equivale a mente che non ha da aggiungere del suo sulla realtà sentita.
Il sentire può allora dominare il campo e utilizzare le parole e i gesti , le azioni per esprimersi, per travasarsi, per divenire realtà intellettiva, emozionale, fisica.
Se le menti sono quiete, le relazioni tra persone divengono una danza fondata sull’ascolto, sull’osservazione, sulla donazione reciproca.
Se le menti sono silenti, opera senza fine il principio dei vasi comunicanti e gli interlocutori, vicendevolmente, versano se stessi nell’altro.

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Finire in pace

Scrive una lettrice che qui chiameremo Ina:
“Anni fa ho avuto la sensazione netta della chiamata, una forza irresistibile che mi ha dirottata dalla vita solita, ho frequentato gruppi spirituali, fatto ritiri. […] col tempo ho lasciato i gruppi […] non c’è più nessuno con cui rapportarmi […] andrebbe bene anche così se ogni tanto non pensassi (come dici tu) di essermi persa […] vuoto..quello sì, la chiamata non la sento più, sono tornata a una realtà insipida […] non ho una pratica spirituale, meno che mai ne vedo il senso, i miei compagni di pratica sono i canti dei merli, i cespuglietti d’erba […] potrei dire che vivo di questo e in questo trovo gioia […] le paure […] mi hanno lasciata da lungo tempo […] ci sono per tutti ma così lontana da tutti […] è un po’ quello che ho sempre desiderato, l’eremitaggio.. e ora ci sono per davvero nell’eremo, rabbrividisco solo al pensiero di tornare in un gruppo di pratica, non amo i ritiri e le letture si sono ridotte..non c’è più ricerca […] È qui che si arriva? Distacco dal mondo, isolamento? Sì, c’è pace….e poi

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Il limite nostro che libera l’altro

Viviamo i rapporti e le persone come fossero cosa nostra. Interpretiamo il nostro e l’altrui limite come un ostacolo, un accidente che si insinua e compromette i rapporti.
Se le persone e i rapporti non sono nostri, ma occasioni di esperienza, consapevolezza, comprensione che la vita ci mette a disposizione, allora il limite che noi e l’altro portiamo non è un accidente, ma una possibilità.
Per che cosa?
Per generare chiarezza, per facilitare il discernimento: sono qui davanti a te e non ti porto una maschera e non recito pantomime, ti porto il compreso e il non compreso nell’immediatezza e nella semplicità di cui sono capace.

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La consapevolezza di essersi persi

L’orgoglio e la presunzione sono tra le principali e più diffuse malattie in ambito spirituale.
Uso il termine malattie non a caso: in una via interiore non si parla di malattie ma di simboli; nel mondo, nell’inconsapevolezza, si parla di malattie, di un qualcosa che ti colpisce e non ti rendi conto di come è arrivato, della sua portata, di come uscirne.
Quando ci si inoltra in un cammino interiore e spirituale si è sospinti da un bisogno, ma anche da una chiamata, una spinta se preferite: qualcosa in noi ci induce ad iniziare, a frequentare, ad impegnarci e a perseverare.
Nel tempo, quella chiamata, o spinta, sembra affievolirsi: in realtà è posta in secondo piano dall’affacciarsi della mente che, oramai confidente con il nuovo ambiente e con i termini del paradigma in cui è inserita, torna in primo piano.

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L’intima gioia di essere

L’intima gioia di essere sorge come nota di fondo che orienta ogni aspetto dell’esserci, del fare, del condurre a manifestazione e a compimento.
Si muovono i contenuti della mente, l’emozione colora e la sensazione conferisce fondamento: nel profondo, quella nota che tutto pervade e sostiene.
Qualunque intenzione, pensiero, emozione ed azione sono limitati: mentre accadono li osservi e ne vedi l’incompiutezza e l’effimera sostanza, ma questo non è motivo di sconforto.

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