Il nostro è uno dei tanti tentativi di realizzare e definire l’esperienza interiore, quella che comunemente viene definita l’esperienza spirituale, in un’ottica non duale.
Nella visione comune lo spirituale è considerato come l’aspetto più alto del percorso umano: in quest’ottica la via spirituale è il trasformarsi della consapevolezza e della coscienza della persona che, da una modalità incentrata su di sé, sulle proprie emozioni e convinzioni, sulla propria identità, pian piano si apre all’altro, all’accadere, alla vita, alla capacità di donarsi e dimenticarsi di sé.
La via è quindi la manifestazione di sé e il disporsi al suo superamento, la dimenticanza di sé.
Questa è anche la nostra visione, e parte della nostra didattica si muove in quest’ottica; ma c’è dell’altro, che va oltre questa visione, su cui la vita ci induce a riflettere e sperimentare.
Dal nostro punto di vista, questa interpretazione della via come trasformazione, è soltanto una delle possibili letture della realtà: esistono altre comprensioni ed esperienze che da un processo interiore maturo possono germogliare.
L’esperienza di vita che noi conduciamo qui, nell’eremo, nella solitudine e nella relazione, ci porta ad altre conclusioni: su altri aspetti dell’esistere, diversi dal trasformarsi, tendiamo a porre l’accento.
Da molto tempo siamo qui e le nostre giornate si svolgono secondo ritmi consolidati, attraversati da quel continuo e ripetuto disporci all’esperienza della meditazione e della contemplazione: da questo disporci, dalla trasformazione che questa disposizione ha prodotto in noi, nel tempo, è sorta un’esperienza della realtà, un percepirla, uno sperimentarla ed interpretarla fondate non sul divenire e sul trasformarsi, ma sull’essere. Qual è questa visione della realtà?
Ciò che adesso, nell’attimo presente, accade non è né materiale né spirituale, né alto né basso, né auspicabile né deprecabile, né bene né male, è semplicemente ciò che è, la realtà in atto. Allo sguardo del contemplante la realtà non appare come una sequenza di fatti che si dispiega in una successione temporale: ogni fatto è vissuto in sé, come assoluto, indipendente da ciò che lo ha preceduto e probabilmente lo seguirà.
Come è sperimentata la realtà dal sentire interiore, dallo sguardo interiore?
Ciò che appare ai sensi frammentato, ciò che la mente considera mio o tuo, positivo o negativo, simpatico o antipatico, al sentire interiore si presenta senza frammentazione e senza connotazione, esperienza di un non distinto, non separato, non diviso, sempre e comunque unito all’insieme, pervaso dal senso di essere uno.
Il sentire non divide ma coglie nel più piccolo frammento la sua appartenenza al principio unitario: l’accento non è mai posto sul due ma sempre sull’uno.
La realtà dunque è ciò che è, non diviene, non si trasforma se è guardata con gli occhi del sentire: la realtà è sentita come oltre il tempo e il divenire; la molteplicità delle forme non parla del frantumarsi ma solo dell’essere unitario di ciascuna manifestazione.
La nostra esperienza avviene alla luce di questo sentire: qui, nella routine di un piccolo quotidiano intessuto con i lavori nell’orto, le persone che vengono, le passeggiate solitarie, ogni piccolo fatto, ogni parola, ogni gesto, ogni incontro diventano vita che accade: non la nostra vita, solo vita che accade.
Lungo questo cammino, in cui cercavamo noi stessi e il senso delle nostre esistenze, abbiamo incontrato il nostro essere insignificanti, il perdere interesse per noi e infine il dimenticarci di noi.
Nel cercarci e nel conoscerci abbiamo visto sorgere non noi, ma l’altro da noi.
Nell’incontro con la vita abbiamo perso noi stessi e guardiamo stupiti l’essere di questa esperienza che pulsa e determina il nostro ammutolire.
Maggio 2010