L’uomo vive la dimensione del relativo come separazione dall’Assoluto: quando si pone la questione dell’ente supremo, e se la pone di rado, questo è vissuto come una alterità a cui ricongiungersi.
Il superamento di questa separazione passa attraverso una riprogrammazione del sentire umano: il problema è esclusivamente mentale, riguarda le strutture attraverso cui funziona la nostra mente.
La mente, attraverso i sensi, percepisce la realtà in sequenza e associa diverse sequenze a seconda delle strutture che la compongono.
L’atto meditativo/contemplativo si inserisce in queste dinamiche e le scardina.
La piena consapevolezza delle sensazioni, emozioni, pensieri e la disidentificazione da questi crea una sospensione, un vuoto che può essere prontamente riempito dalla mente con il giudizio o l’aspettativa o coltivato in quanto vuoto.
Allora l’abbandonare ogni sensazione, emozione, pensiero diventa un modo di minare la mente perché costantemente le si sottraggono oggetti in un reiterato ritorno a zero.
All’interno di questo movimento di ritorno a zero, in questi moti di abbandono e di resa si manifesta un nuovo sentire di coscienza: la realtà viene percepita per quel che è, per frazioni di tempo il giudizio è sospeso, la realtà non viene incasellata in nessuna struttura, l’atto è semplicemente atto, la persona semplicemente persona, la scena semplicemente scena.
Se la mente si ritrae la realtà è semplicemente se stessa.
Questo è uno stato dinamico: la mente fluttua tra il giudizio e l’abbandono del giudizio, il primo atto spontaneo, il secondo governato dalla volontà.
Nel succedersi dei due si crea uno spazio di percezione non contaminato né dall’automatismo né dalla volontà: è come quando siamo troppo stanchi di aggiungere qualcosa ad una discussione che ci ha sfiniti, lasciamo che le cose siano.
Ecco, finalmente lasciamo che la realtà sia ciò che è, ci ritraiamo.
Allora e solo allora parlare di assoluto e relativo è privo di senso, ci diventa evidente che è solo rumore della mente, vuoto di interesse, vuoto di bisogno. Chi è vuoto di bisogno? Chi non ha nulla da aggiungere?
Non c’è risposta.
Rimane solo ciò che è, senza aggiunte.
Non c’è Assoluto, non c’è relativo.
24.2.2004