Vivere è essenzialmente un pensare, sentire, agire.
Questi atti sembrano e sono assolutamente naturali.
Solo osservandoli da un punto di vista originale emergono nella loro natura forzosa, compulsiva, necessari ad affermare qualcosa.
Cosa affermano? Un soggetto che pensa, sente, agisce: un soggetto che, in virtù di quanto sperimenta, esiste.
Se osservo il soggetto che sperimenta senza identificarmi con ciò che sperimenta,
se vedo il pensiero, il sentire e l’azione come flussi, accadimenti effimeri,
se mi pongo in quello stato di alterità,
diventa evidente che quel pensiero è solo un pensiero,
quell’emozione solo un’emozione,
quell’azione solo un’azione,
privi di connessione tra loro, sono affioramenti in un grande spazio vuoto.
Da quel punto visuale originale vedo anche come la mente inesorabilmente connette tra loro questi stati conferendogli una struttura logica o di senso.
E’ assolutamente evidente che ogni cosa che accade è ciò che è e basta, ed è altrettanto evidente come la mente connette secondo il tempo, lo spazio, le strutture in base a cui opera.
Tutto il lavoro di connessione della mente è finalizzato al poter affermare:”io esisto” nelle varie declinazioni possibili in cui compare un “io” che opera o sperimenta.
Da quell’osservatorio si vede il gioco della mente, ed è evidente come la vita sia una grande rappresentazione ad uso e consumo della mente e che si realizza ed acquisisce un senso, o un non-senso, essenzialmente attraverso le sue connessioni e le connessioni di connessioni.
Ma l’osservatore di tutto ciò chi è? A chi diventa evidente tutto ciò?
Cominciamo dalla seconda: tutto ciò è evidente da sempre e per sempre e diventa evidente una volta che si sia superata l’identificazione con i processi mentali, cioè quando non ci si identifica più con quanto viene osservato: mancando questa identificazione con la mente si può osservare il suo operare.
Quindi ci sono degli affioramenti (pensiero, emozione o azione), che sono il manifestarsi della vita cosi come è; c’è l’opera di connessione messa in atto dalla mente di tizio o caio, e c’è qualcuno o qualcosa a cui tutto ciò diventa evidente, da cui viene percepito.
Questo qualcuno non ha un nome e non si percepisce come identità.
E’ la coscienza di ciò che è , di ciò che si manifesta adesso, non si può dire “io osservo”, è l’atto dell’osservare. Se dico “osservare” questo non implica un soggetto, allo stesso modo se dico “coscienza di ciò che è” non vuol dire che c’è qualcuno cosciente di ciò che è: ma è ciò che è che si manifesta e basta. C’è qualcuno che percepisce il ciò che è ? La coscienza del ciò che è non è disgiunta dal ciò che è , ne è parte.
In altre parole in ciò che accade è intrinseca la coscienza di sé, quando non è ottenebrata dalla mente.
Allora ogni cosa è se stessa e porta con sè la coscienza di esserlo, quindi è profondamente unitaria: questa consistenza unitaria viene vissuta come evidente quando siamo oltre il regno della mente, immersi nell’esperienza della contemplazione.
9.7.04