Colui che non è, il meditante, è colui che sta e, scendendo nel processo, è lo stare.
Lo stare non sa che farsene del meditante, non esiste alcun meditante, esiste lo stare.
Non esiste più alcun processo, solo lo stare, abbandono senza condizione.
abbandono
Il Tuo dono è nel rendermi niente
Non è la coppia un laboratorio, una officina esistenziale quotidiana? E non lo sono i rapporti di amicizia veri, o quelli di lavoro intensi?
Il ruolo della disciplina nell’esercizio della consapevolezza [sentiero26]
La disciplina è la capacità di tornare all’essenziale del proprio processo esistenziale: se in me scatta il meccanismo dell’abbandonato, bisogna che lo veda mentre accade e che sappia interpretarlo per quel che è.
La pratica è un lento morire [zq7]
Da Charlotte Joko Beck, ZEN QUOTIDIANO
Uno dei miei versi preferiti dello Shōyō Rōku dice: “Dall’albero secco sboccia un fiore”. Quando l’avidità e il desiderio umani finiscono, c’è saggezza e compassione: lo stato del Buddha.
Le azioni non sono lo strumento per progredire [V20]
Che cos’è la vita per la via della Conoscenza? La vita è flusso, è molteplicità, è impermanenza; la vita è accadere ed è gratuità, o casualità. Però l’uomo, per darsi consistenza, ha bisogno di convincersi che sia lui a creare le azioni, progettandole nei pensieri, e che esse si concatenino fra di loro in modo che le une generino le altre, dipingendosi come il protagonista dell’agire.
Abbandonare ogni avversione
Sorgono naturali nella mente e nell’emozione moti di adesione e di avversione: come sorgono li lasciamo andare.
L’abbandono di sé, per conoscere la realtà e l’Assoluto
In questo Tweet cito l’incipit del Magnificat, ed Antonella commenta dicendo che il brano le “stride”.
Le rispondo: ” Questo passo è una meraviglia e, come le meraviglie, si svela all’anima che si abbandona ad essa.. “
Essere disposti a togliere (La disposizione interiore unitaria 4)
4- Essere disposti a togliere
Ho compreso il limite del mio operare, del mio tentativo di controllare, di espandere la mia presenza, di riaffermare la mia centralità?
Se sì, allora cosa posso togliere dalla mia mente e cosa dalle mie giornate?
Ma, soprattutto, qual è l’ingombro maggiore che mi ottunde la visione del reale e che produce in me quel sottile stato di insoddisfazione e di inquietudine?
Sono io, la mia centralità è l’ingombro maggiore, il macigno in mezzo al cammino: se non mi libero dalla mia centralità non vedrò mai me, né la vita che mi impatta, né gli altri: vedrò solo il sogno egocentrico di me.
La paura di perdere e del non conosciuto, la vita nel sentire
Vorrei affrontare tre argomenti:
– La paura di perdere.
– La paura di andare oltre il conosciuto.
– La sostanza dell’esistere che si manifesta in ogni singolo e semplice fatto a chi ha la capacità di coglierla.
La paura di perdere
Scrive Samuele nel commento al post La solitudine: “Infine non c’è più niente….” ma nel contempo non c’è né depressione né morte, né tristezza, né desolazione, vero? C’è comunque “altro”, l’accesso all’essere a qualcosa che basta a sé stesso, al di là di ogni perché, direzione e scopo?