L’interesse per l’altro, l’amore oltre sé, la gratuità

Fai per l’altro senza aspettarti nulla in cambio;
non dare per ricevere;
sia il tuo interesse per l’altro qualcosa
che da solo basta per la tua felicità;
se davvero lo ami, sii vicino all’altro
qualunque cosa 
pensi o faccia,
perché il vero amore non ha bisogno
di essere corrisposto e,
quando tu ti aspetti di ricevere qualcosa,
allora stai attento a quello che
pensi,
perché già lì potresti trovarti in faccia
al tuo egoismo mascherato d’amore.
Scifo

continua..

L’amore e il suo messaggero

Un genitore che va dai carabinieri e denuncia il proprio figlio tossico.
Un popolo, quello italiano, a cui va insegnata l’etica della responsabilità e della coerenza.
Due esempi che estraggono l’amore dal contesto astratto ed edulcorato in cui spesso lo confiniamo e lo fanno divenire piede di porco che scassina l’ordine mortifero di singoli e popoli.
Se affermo che un genitore deve sapere dire dei sì e dei no, tutti siamo d’accordo e comprendiamo anche che quei no sono atti d’amore quanto quei sì.
Se invece affermo che ha un senso la pressione dei popoli del nord sugli italiani e sui popoli mediterranei affinché gestiscano più responsabilmente i propri paesi, allora, probabilmente, il senso del mio ragionare si perde ed anche l’adesione ad esso.

continua..

Il sogno di un amore diffuso

Ciò che oggi prende forma e si realizza, è sempre stato lì.
Il bambino, il ragazzo,il giovane questo intuivano, a questo aspiravano, questo sentivano fosse il loro orizzonte, pur senza possedere una limpidezza di sguardo.
Quest’uomo, il cui calendario ha perduto molti fogli, vede e sente con chiarezza, comprende nella carne che il sogno è divenuto realtà diffusa che lo attraversa e percorre e costituisce ogni aspetto dell’essere e dell’esistere.

continua..

Famiglia, amore, relazione karmica

d-30x30Famiglia, amore, relazione karmica. Dizionario del

Mi sembra abbastanza evidente che la concezione di famiglia, così come era fino a poco tempo fa, all’interno della società di oggi non ha più molto senso; no? La famiglia ha troppe strade, ha troppe possibilità, troppe diversità; una volta tra padre e figlio c’era già un certo distacco, ma adesso tra padre e figlio il distacco è molto aumentato, perché la generazione non è più di 16, 17 o 18 anni ma a momenti è di 11 anni; no? E, quindi, con tutti gli elementi della società che cambiano così velocemente, con questa nuova tecnologia, è difficile che una famiglia possa restare veramente unita senza subire i colpi di questa diversità tra genitori e figli, per esempio.
Certamente l’errore che si fa è quello di voler a tutti i costi puntare il discorso sulla famiglia; certamente la famiglia sarebbe importante, è importante, ha avuto la sua importanza sia storica che reale nel corso della storia dell’uomo per creare la società, creare l’individuo, far crescere i figli, ma ora come ora forse si dovrebbe riuscire a passare a un concetto di famiglia un po’ diverso, a quella famiglia del futuro che era stata accennata, tanti e tanti anni fa, se non sbaglio da «papà» Moti in un messaggio sulla rivoluzione in cui parlava del nuovo mondo, quando i figli non saranno più figli miei o figli tuoi, o figli di quell’altro, ecc., ma saranno figli di tutti. A questo modo, un po’ alla volta si arriverà, si dovrebbe arrivare ad avere una famiglia allargata; ma non allargata nel senso sessuale come si intendeva fino a qualche anno fa, una famiglia allargata in senso di interiorità, per cui tutti sono genitori e tutti sono figli; e dove non arriva un genitore a capire uno dei figli, può arrivarci un altro a portare il suo aiuto, e aiutare quel figlio che non è compreso dall’altro genitore a comprendere qual è la cosa migliore da fare. E io credo che passare da questa unità cellulare di «famiglia» ad una famiglia pluricellulare sia un passaggio difficile, una traduzione difficile che porterà senza dubbio dei problemi ma che, un po’ alla volta, poi verrà – per forza di cose – accettata, inevitabilmente.

Messaggio esemplificativo (1)

“Che l’uomo non separi ciò che Dio ha unito» … Pensateci un attimo, figli nostri; è mai possibile che una figura come quella del Cristo possa avere proferito una frase così sconclusionata come questa?! In realtà, infatti, la frase originale era leggermente diversa; quel tanto di diversità che bastava a dare un senso più grande e più completo alla frase stessa e bastava a togliere la possibilità ad eventuali autoproclamatisi intermediari fra gli uomini e la divinità, toglie – dicevo – la possibilità a questi intermediari di speculare sui rapporti d’amore che si vanno ovviamente creando nel corso del fluire delle vite individuali all’interno della realtà fisica. Moti

Difatti, creature, l’originale frase del Cristo era leggermente diversa e diceva: «Nessun uomo può separare ciò che Dio ha unito».
Apparentemente, sembra che dica la stessa cosa; in realtà la differenza è molto sottile; infatti, con questa frase viene affermato che l’uomo, comunque sia, non ha la capacità di intervenire, di modificare, in quello che è il volere dell’Assoluto; che ciò che Dio ha creato per l’individuo, in realtà, esistendo per il bene stesso dell’individuo, non può essere lasciato in balia dei capricci o dei desideri o delle azioni di altri uomini; che, non essendo a conoscenza della vastità e della Realtà dell’Assoluto, non possono quindi avere la facoltà di modificare secondo il loro intendimento quello che la Volontà Divina ha messo in atto.
Noi, che per anni vi abbiamo parlato delle varie leggi dell’esistenza, della creazione della Realtà, possiamo subito pensare che la frase possa essere anche interpretata in un altro modo dal punto di vista filosofico, ovvero «nessun essere umano può separare ciò che la legge karmica ha unito»; che poi, alla fin fine, è sempre la stessa cosa! Però tenete presente, creature, che questo, alla fin fine, è un corollario di quello che noi vi diciamo quando affermiamo che i rapporti d’amore che create nel corso delle vostre esistenze sono per forza di cose eterni e indissolubili e restano scritti nell’Eterno Presente, nelle vostre coscienze, in maniera tale che ogni volta che nel corso del vostro continuo immergervi e uscire dalla materia all’interno del piano fisico essi saranno pronti a riallacciarsi, a ritrovare quel contatto d’amore quando vi troverete a condividere un altro periodo di esistenza assieme a coloro che avete amato in altre vite, nei momenti che trascorrete durante quella vita in corso.
Questi rapporti d’amore, creature, sono il substrato su cui si va tessendo, un po’ alla volta, lentamente ma con costanza, l’intero tappeto della coscienza della materia akasica di cui fate parte; sono le cellule, gli atomi, le monadi, i primi elementi coi quali mettete in comune la vostra capacità di amare e di essere amati; costituiscono quell’ordito di base che arriva a farci affermare che l’Archetipo Permanente più grande e importante, che in sé tutto racchiude e comprende, è l’archetipo dell’Amore, ma amore inteso come donazione di se stessi, amore inteso come capacità di dare agli altri senza aspettarsi di ricevere nient’altro in cambio; l’amore che, per esistere, basta a se stesso e non ha bisogno di null’altro; qualcosa di apparentemente così lontano dalla vostra qualità e dalla vostra essenza di oggi.
Eppure, creature, io so, io sono sicuro, io sono certo che dentro di voi quell’Amore già esiste e vi manca soltanto la capacità di riuscire ad accettarlo; perché vedete, creature, è facile dire: «io amo, io ti amo» e via e via e via, ma le parole sono parole, possono nascondere altri mille significati al di là delle parole che vengono usate! In realtà, amare non è necessariamente dire delle parole, non è necessariamente essere sempre presenti, ma è invece, necessariamente, sentire al proprio interno la presenza della persona amata anche quando la persona amata magari non è più presente; essere certi che quel legame che si è costituito continua e vive perché si sente interiormente che non è stato spezzato neppure nel momento della morte; significa essere certi che, all’interno dell’archetipo dell’Amore, tutte le piccole e grandi storie d’amore che ogni individuo vive nel corso della sua vita sono lì, a testimonianza dell’ampliarsi, dell’ingrandirsi, del costituirsi dell’amore individuale di ognuno di voi in quell’Amore che tutto unisce, che tutto è, perché appartiene al Tutto. Scifo

1  La ricerca nell’ombra, pag. 125.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Amicizia, amore, condivisione

d-30x30Amicizia. Dizionario del

Secondo le Guide il rapporto di amicizia non è altro che un rapporto d’amore nel quale solitamente (ma non sempre è veramente così) manca la componente dell’attrazione sessuale.
Ne consegue che la vera amicizia, per altro relativamente rara, è ben diversa da quella comunemente concepita secondo la quale viene etichetta come amico una persona di cui si ha una conoscenza e una frequentazione molto relativa e decisamente frammentaria.
Il vero rapporto d’amicizia (così come quello d’amore) si instaura quando si stabilisce con l’altra persona una forte condivisione di se stessi e si stabilisce un trasporto che neanche la lontananza fisica riesce ad annullare, facendo ritrovare il legame intatto ogni volta che le due persone «amiche» incrociano nuovamente le loro vite.

Messaggio esemplificativo (1)

“L’altra sera sono uscito con degli amici, sono andato alla festa della birra e tutti assieme abbiamo mangiato wurstel, bevuto birra in abbondanza; è stata una bellissima serata, veramente nel nome dell’amicizia.»
Questo è il concetto che avete solitamente dell’amicizia!
L’amicizia è una condizione di essere in cui si condivide con l’altro, o con gli altri, ciò che è al proprio interno, o ciò che gli altri hanno al loro interno.
Voi direte: «Bella scoperta!»; invece, se pensaste con un attimo più di attenzione, vi rendereste conto che non è così semplice come definizione; perché, quando voi usate questo termine «condividere» – che sembra un po’ all’ordine del giorno ultimamente nei nostri discorsi – intendete il condividere ciò che è bello, condividere le vostre gioie, le vostre felicità, i vostri raggiungimenti, le vostre soluzioni, e via e via e via e via, ma il senso che noi diamo alla parola «condivisione» è molto più ampio di questo: quando c’è amicizia con una persona, con questa persona si deve sentire di voler condividere i propri aspetti positivi e i propri aspetti negativi; voler condividere il proprio altruismo ma anche le proprie meschinità; e non soltanto, ma bisogna anche che vi sia la capacità di accettare la condivisione degli aspetti dell’altro, non può mai essere un’amicizia a senso unico; quella che è a senso unico non è amicizia.
L’amicizia, per il suo concetto essenziale, è sempre qualche cosa in cui interviene uno scambio tra esseri diversi. Certamente condividere le gioie degli altri può essere facile ma, molto spesso o quasi sempre, condividere i problemi degli altri è molto meno facile; altrettanto meno facile quanto è condividere i propri problemi.
Ora, dunque, se veramente volete mettervi in una condizione di amicizia, dovete imparare questa possibilità, questa volontà di condividere. Tutti gli esempi che avete fatto: il parlare con la persona in treno, il parlare col vicino, l’aiutare una persona per strada, e via e via e via, tutto questo non è amicizia; può essere altruismo, può essere cercare di fare qualche cosa per gli altri, ma non è amicizia.
Qualcuno tra voi – lo so già – dirà: «Ma quello che ha detto Scifo, alla fin fine, mi sembra che sia un mutuare la definizione di ‘amore’ e trasportarlo alla definizione di amicizia». Infatti, quando vi è amore vi deve essere condivisione, vi deve essere la disponibilità a condividere tutto quello che si ha; vero, creature? Io, a costo di stupirvi, vi dico che non è così. O meglio, per essere più preciso, non è necessario e indispensabile che sia così. La condizione d’amore non è qualcosa che necessariamente si condivide tra due persone, l’amore è qualcosa che appartiene alla persona che lo sente; quindi è possibile che una persona veramente ami un’altra persona senza condividere niente con l’altra.
Come può essere una situazione in cui non si condivide niente ma si ama molto? La persona che ama – come molte volte vi ha detto la sorella Viola – si trova in una condizione tale per cui l’amore basta a se stesso, non ha importanza quello che fa l’altra persona, quello che è, quello che dice, ma c’è questo sentire interiore di chi ama, tale per cui non ci si aspetta niente; si è pronti a donare tutto, qualsiasi cosa, se si viene richiesti, ma non ci si aspetta nulla in cambio; mentre invece la differenza importante col concetto di amicizia è che il rapporto d’amicizia è fatto sempre e comunque su un dare ed un avere. Per voler essere pessimisti, si potrebbe dire che è un rapporto di sfruttamento reciproco utile ad entrambe le persone, o ai componenti di un gruppo, che si dichiarano amici tra di loro.
Il mio discorso all’inizio, quando dicevo che siete andati alla festa della birra, a mangiare wurstel e a bere birra con gli amici, era per farvi capire che quella che voi chiamate amicizia è soltanto una cosa mentale, la maggior parte delle volte, è soltanto un atteggiamento, non è una cosa sentita. Scifo

1  Do ut des, vol. I, pag. 40 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Amore, secondo il Cerchio Ifior

d-30x30Amore. Dizionario del Cerchio Ifior

Concetto fondamentale dell’insegnamento etico: tutto si riconduce ad esso, anche quello che più sembra in contrasto con quello che l’uomo definisce «amore». L’errore più comune è quello di identificare solitamente l’amore con la sdolcinatezza, con il lassismo, con il sacrificarsi per gli altri. Secondo le Guide questa è una visione molto parziale di quello che è l’amore, in quanto chi ama deve saper essere e dare quello di cui gli altri (ma anche se stessi) hanno veramente bisogno. E questo non sempre significa essere dolci o doversi sacrificare per accontentare i desideri degli altri.

Messaggio  esemplificativo

Avete mai amato davvero?
Riflettete attentamente, cercate di essere sinceri con voi stessi, poiché la chiarezza e la sincerità non sono mai stati così necessari come in questo caso.
Dal canto nostro per aiutarvi a chiarire questo punto, faremo alcune considerazioni, che poi voi – come siamo soliti dirvi – dovrete vagliare e decidere se accettare o rifiutare.  Se dovessimo noi rispondere alla domanda che vi abbiamo posto, risponderemmo che sì, avete amato in passato, ma non è stato amore quello che provavate per i vostri genitori, non è stato amore quello che avete provato, in età più adulta, per altre persone, non è stato amore quello che dite attualmente di provare per chi vi sta a fianco o per i vostri figli.
C’è stato solo un breve periodo di vero amore in ogni uomo: i suoi primi attimi di vita. Moti

Osservate il neonato: egli esce nudo, indifeso, incapace di fare del male, incapace di operare una scelta, tanto che ama così istintivamente, inconsapevolmente, da lasciarsi cullare da chiunque lo prenda in braccio, abbandonandosi al sonno senza ansie, senza timori di alcun genere.
Subito dopo non ama più: contrariamente all’immagine stereotipata che si ha del bambino, questi non è l’angelo che l’ideale romantico descrive, non è l’essere che ama sempre spassionatamente e con sincerità. In realtà, invece, il bambino è l’essere più vicino all’immagine del demonio che esista: è tremendamente egoista, smodatamente interessato, eccezionalmente fazioso, implacabilmente crudele, sottilmente ipocrita, oltre ad essere apertamente lussurioso e dedito all’esibizionismo… anche se tutto ciò gli è necessario e non è certo il caso di fargliene una colpa proiettando, come spesso si è usi fare, su di lui i propri sensi di colpa o le proprie vergogne.
Ma come avviene che, dopo i primi momenti di vita, il bimbo non sa più amare veramente, non sa più essere imparziale nel concedere la sua fiducia e nell’accettare allo stesso modo tutto e tutti?
Accade semplicemente che – sotto le spinte delle sensazioni fisiologiche – nasce la prima larvata coscienza di essere un Io che deve affermarsi e che, per poterlo fare, deve continuare a vivere, deve allontanare quella sensazione di minaccia alla sua incolumità fisica che gli proviene dall’apparato digerente.
“È normale e naturale tutto ciò”, direte voi.
Infatti, così è. Non sto facendo un processo al bambino o al neonato, ma sto semplicemente constatando il meccanismo che fa perdere al neonato la capacità di amare veramente e incondizionatamente.
Accade, infatti, che nel momento in cui il neonato avverte la fame e lo dichiara al mondo in modo quasi sempre chiassoso, il suo Io assume una forma più differenziata, modellandosi in modo orientato dal fatto che la sua fame viene appagata.
Ecco la prima scelta dell’oggetto d’amore, il primo frantumarsi del suo amore totale in frammenti diretti a seconda del proprio tornaconto; e, da quel momento, il suo amore più grande sarà per chi soddisfa i suoi bisogni corporali ovvero – solitamente – la madre.
Questo è nell’ordine naturale delle cose: stiamo infatti parlando di una coscienza larvata, istintiva, non ancora indirizzata coscientemente ma scaturente dallo scontro fra la realtà interna e quella esterna. Tuttavia il bimbo ha perso il vero amore: ama la madre perché lo sfama, separandola dallo sfondo, dalla totalità indistinta che prima raccoglieva tutto, in egual misura, il suo amore.
È necessario che proceda nell’analisi, che cerchi di spiegare meglio ciò che intendo dire? Non credo.
Penso che basti affermare che l’amore si frantuma sempre di più a mano a mano che l’Io del neonato si modella sotto la spinta del proprio fisico, e si atomizza addirittura allorché viene praticamente costretto a operare altre scelte dall’ambiente e dalle persone che gli stanno  intorno. Scifo

Quante volte vi è stato chiesto, quando eravate bambini: «Ami di più tuo padre o tua madre, tuo nonno o tua nonna, tuo fratello o tua sorella?» mettendovi davanti a un obbligo di scelta?
E riflettete un attimo: la vostra scelta di allora è stata operata davvero in base a un impulso di amore vero o è stata dettata dal vostro egoismo del momento e in vista del vostro tornaconto più immediato?
Non avete per caso scelto chi era solito darvele più vinte, o chi più di sovente giocava con voi, o chi più di frequente vi faceva compagnia?
E ancora: quante volte, alla stessa domanda, avete risposto in modo diverso a seconda del vantaggio che  una risposta diversa da situazione a situazione poteva fornirvi?
Gesù, a coloro che gli dicevano che sua madre e i suoi fratelli lo stavano cercando, rispose che non aveva madre e non aveva fratelli e la sua risposta non era sintomo, come può apparire a prima vista, di indifferenza o di disaffetto, ma era amore vero: sua madre e i suoi fratelli non possedevano giustamente titoli preferenziali per il suo amore; non poteva essere altrimenti, poiché egli amava davvero come nei primi momenti di vita del neonato, senza cioè imporre una direzione, una scelta, al suo amore.
Passiamo ora a una seconda domanda; seconda ma non per questo meno importante della precedente: state amando?
Chi tra di voi è riuscito a stabilire, a costruire un rapporto d’amore con un’altra persona certamente risponderà di sì. Noi possiamo dirgli, in questo caso, che forse è un piccolo passo in avanti rispetto ad altri, ma che non sta ancora amando davvero.
Il suo amore, infatti, è ancora orientato verso la parzialità e non verso quella totalità che è la qualità essenziale, secondo noi, perché si possa parlare davvero d’amore. Stiamo infatti cercando di parlare dell’amore vero, non di quello che, generalmente, l’uomo adulto – quell’uomo, cioè, che ha pronti tutti i mezzi per elevarsi ma che difficilmente riesce a usarli in piena coscienza – intende per amore.
Esaminiamolo un attimo l’amore dell’uomo adulto. Moti

«Amo mio marito o amo mia moglie, la mia donna o il mio uomo, il mio compagno o la mia compagna…»
Questo, di solito, è considerato amore e additato come esempio di amore vero. Ma basta considerare quel «mio» per avere già molte cose da obiettare sulla purezza e sulla verità di quell’amore, in quanto quel «mio» implica già, di per se stesso, che quell’amore non è poi così slegato dall’egoismo, ma è possessività, parzialità e gelosia. Non è quindi davvero amore, anche se può essere l’embrione dal quale spunterà poi quello che abbiamo definito come amore vero.
Come si concretizza quest’amore, diciamo  «coniugale»?
Solitamente in un rapporto sessuale che, di per sé, non è amore, in quanto può non essere un annullare se stessi nell’amore stesso, dimenticando la propria esistenza, dimenticando di dimostrare a se stessi quanto si è «potenti», quanto si è «caldi», quanta  «resistenza»  si ha,  quanta  «ripresa»  si possiede, quanta «fantasia» è in noi. L’atto fisico può essere una manifestazione d’amore – non un complemento, perché l’amore vero non abbisogna di complementi – ma non è l’amore, anche se vi è la tendenza a compiere un’identificazione tra atto sessuale e atto d’amore. Se così fosse, anche l’atto d’amore omosessuale, invece di provocare reazioni scandalizzate, dovrebbe fregiarsi tranquillamente dell’etichetta d’amore.
Bene, a costo di scandalizzarvi noi affermiamo con tranquillità e sicurezza che non vi è nessuno scandalo, nessun «andare contro  natura» nell’omosessualità.
Come potrebbe d’altra parte qualcosa che succede all’uomo essere «contro natura»? Sarebbe illogico e cozzerebbe contro l’idea di un Dio perfetto e assoluto in ogni sua manifestazione.
Basta, per portare argomenti a favore, che voi pensiate a tutte le vostre vite precedenti. Se è vero ciò che noi e altri abbiamo sempre affermato, voi siete stati a volte maschi, a volte femmine, ed entrambe le esperienze hanno concorso a formarvi come attualmente siete: passate mascolinità e passate femminilità sono state la causa di quell’effetto che voi siete oggi.
Allora ditemi: per quale motivo scandalizzarsi o meravigliarsi o restare traumatizzati se si scopre in se stessi o negli altri delle tendenze omosessuali?
Non esiste ragione per ritenerle contro natura perché fanno parte della vostra natura e, anch’esse, possono essere una manifestazione d’amore in quanto, non dimenticatelo, l’Amore non può avere sesso… altrimenti – scandalo, scandalo! – dovreste ammettere che spesso l’amore che ritenete di nutrire per i genitori o per i figli maschera degli impulsi sessuali, cosa già affermata da certe correnti di pensiero ma non proprio ben accetta dalla massa.
O meglio: ben accetta se la teoria è rivolta agli altri, ma rifiutata come certamente assurda se rivolta a se stessi.
Per non allargare troppo il discorso e darvi spazio di discussione, lascio a voi il compito di proseguire quest’analisi.
«Potete anche aver ragione, in parte; ma io son sicuro, ad esempio, di amare davvero i miei figli, così come amo tutti i bambini in generale», potrebbe obiettare qualcuno di voi.
Se voi affermate: «Non saprò amare gli adulti, ma amo certo i bambini», per noi non c’è via di scampo: ciò è indice che non possedete l’amore vero perché, ve lo ricordiamo ancora una volta, l’amore vero non può amare per categorie o operare delle preferenze. In quanto al vostro amore per i vostri figli, quale poca cosa si dimostra solitamente a un’analisi più accurata, obiettiva e spietata!
Pensate: amate i vostri figli allo stesso modo sempre o vi sono dei momenti in cui li amate di più?
Perché, vedete, se ci sono dei momenti in cui voi li amate di più, ciò vuol dire che non li amate davvero e che la sensazione di amarli di più è relativa e nasce dal vostro Io che si sente più appagato o più esaltato, da qualcosa che hanno detto o fatto i vostri figli in quella circostanza.
Guardateli attentamente questi vostri figli: fino a una certa età avete teoricamente potere su di loro, li forgiate, consapevolmente o meno, secondo un vostro modello ideale che il più delle volte siete proprio voi stessi, cosicché non c’è niente di più vero che dire che i vostri figli sono il vostro Io, o come vorrebbe essere il vostro Io.
E dite ancora di amarli davvero? Ma se così fosse, secondo logica, anche in loro ci sarebbe amore per voi, amore vero; e invece quanti pochi casi esistono al mondo di figli che amano davvero i loro genitori, mentre quanti ne esistono di figli egoisti, indifferenti, per non dire addirittura ostili!
Non esiste specchio migliore per riconoscere il proprio intimo che l’osservare i propri figli, così come il modo migliore per conoscere l’Io di un artista, è quello di osservare le sue opere.
In quanto al vostro amore per tutti i bambini, basta che proviate a osservare il vostro comportamento con i vostri figli e con i figli degli altri. Vi sembra lo stesso? Certo no. E allora dov’è l’amore che non fa distinzione tra mio e tuo, tra simpatico e antipatico, tra bello e brutto?
«Ci state distruggendo, ci fate sentire meschini, ci umiliate, ci fate capire che siamo bugiardi, faziosi… ma insomma: ci amate o ci odiate, volete infonderci speranza o indurci alla disperazione, volete farci avanzare o farci fermare sotto l’impressione della più grande impotenza?!»
Niente di tutto questo, vogliamo solo spianarvi la strada verso il meglio di voi stessi, vogliamo incominciare a togliere da essa i primi ostacoli affinché riusciate ora a muovervi, domani a camminare, e dopodomani a correre felici e sicuri che l’amore vero è lì, dentro di voi, che aspetta solo di trovare il modo per uscire… Scifo


Il Grande Amore

Messaggio  esemplificativo

Fratelli, sorelle, è abitudine dell’uomo ricercare le grandi sensazioni, tenere conto dei grandi avvenimenti, delle situazioni superlative. Eppure, anche se in apparenza non sembra così, non sono le grandi azioni, né i grandi uomini, né le grandi invenzioni quelle che hanno davvero segnato una svolta nel vivere del genere umano, ma sono le azioni piccole, gli uomini comuni, i piccoli fatti di ogni giorno, quelli che lasciano davvero un segno nell’umanità e ne influenzano in modo inavvertito ma costante l’avanzamento e l’evoluzione.
A volte vi vedo volere, vi vedo desiderare di possedere qualità eccezionali. Ma le qualità eccezionali, se non sono sorrette dalla vostra umanità interiore, che è una cosa anonima, a ben poco possono servire, a ben poco possono valere se non ad alimentare la ricerca di supremazia, a incrementare lo sciocco orgoglio di chi ama sentirsi al di sopra della media.
Molto di più vale l’umiltà, molto di più conta la semplicità, miei cari, vissuta con piena coscienza di tutto il proprio essere, senza avere vergogna del proprio scomparire nella massa, senza sentirsi in inferiorità quando vengono a mancare quelle cose superflue che definiscono l’agiatezza e il ceto sociale.
La stessa via vi vedo seguire nella vostra ricerca dell’amore. Forse che quando cercate l’amore nei vostri desideri non vi è pretesa di trovare un amore grande, immenso, unico, meraviglioso e simile a quelli che ricorrono nei miti e nelle opere d’arte di ogni epoca e paese?
Ma non vi accorgete, fratelli, non vi rendete conto, sorelle, che – immersi nella ricerca di questo immenso amore – vi lasciate sfuggire tra le dita tutte le occasioni d’amore che l’esistenza di continuo vi offre?
E cos’è quest’immenso amore che andate cercando, cos’è che lo distingue, che lo rende così appetibile? Lo sapete davvero o state soltanto seguendo un sogno chimerico e imprecisato che, probabilmente, ha il solo scopo di porvi una meta irraggiungibile al fine di non fermarvi mai un momento ad amare e ad essere amati veramente da chi vi sta accanto?
Quanti immensi e travolgenti amori sono sui libri di storia, e tutti sono crollati miseramente al primo soffio contrario di vento! Perché credetemi, fratelli, ascoltatemi, sorelle, l’amore fra gli uomini non è il sogno romantico fatto di sospiri e di baci che alimentate nelle vostre speranze, ma è fatto di mille cose, a volte scomode, a volte anche spiacevoli, ma ognuna delle quali dà il suo apporto di stabilità, di bellezza, di santità, di utilità al rapporto d’amore. E come potete sperare di poter incontrare e trattenere presso di voi il grande amore, quando non sapete e non volete scorgere e alimentare l’amore che vi sembra piccolo e lontano dall’ideale che vi siete prefissi?
Quanta confusione vedo nel vostro essere, miei cari, con quante grandi parole vi sento dipingere a colori vivaci e appariscenti l’avventura di una settimana, così simile alla facciata ben dipinta di una casa che, all’interno, è invece grigia e spoglia!
Voi parlate di grande amore e immaginate che sia fatto di mani nelle mani, di silenzi, di sensazioni, oppure lo vedete come una fiabesca avventura fatta di instancabile correre da un’esperienza all’altra, oppure ancora immaginate che esso sia perfetta intesa sessuale, continua e ininterrotta attrazione  fisica,  baci, carezze e moine senza fine.
Ognuno di voi ha la sua idea di come sia il grande amore, e non si rende conto quasi mai che questa sua idea è solo un riflesso dei suoi desideri, della sua mancanza di comunione con gli altri esseri, della sua repressione, delle sue inibizioni sessuali.
Mettete assieme l’idea che ognuno di voi possiede del grande amore e avrete una pallida idea di che cosa sia l’amore; quello che non ha bisogno di aggettivi supplementari per essere abbellito, perché è già tutto quello che ognuno di voi sogna e va ben oltre ai sogni che fate e che, pure, vi appaiono già così immensi e così difficili da rendere reali.
Guardateli attentamente questi vostri sogni, e vi accorgerete che, spesso, costituiscono per voi non uno stimolo, bensì un freno.Se riusciste a concepire l’idea che tutto ciò che vi circonda, dall’erba a voi stessi, fa parte di Dio; se arrivaste davvero a comprendere, non con la sola mente ma con tutti voi stessi, che Dio è Amore, arrivereste a comprendere anche  che  state  sbagliando nel voler delimitare, in qualsiasi modo, la vostra concezione dell’amore. Accade, invece, che voi vogliate un certo tipo di amore, e che lo desideriate da una particolare persona, e che soffriate quando il vostro desiderio non viene soddisfatto esattamente nel modo in cui voi vorreste che lo fosse e siete pronti a tramutare la vostra aspettativa inappagata in rancore – se non addirittura   odio – alla più piccola contrarietà.
Oh, miei cari, quante volte chiudete gli occhi all’amore e ve lo lasciate passare sopra senza che esso riesca a lasciare un segno su di voi, chiusi nella vostra idea fissa che vi rende indifferenti e che vi fa trascurare ciò che già potreste possedere, e che tanto vi potrebbe dare, solo che voi lo voleste! Perché, rendetevene conto, trovatene la certezza in voi: l’amore vi circonda ed è pronto ad entrare in voi solo che voi vogliate accoglierlo, senza ergervi davanti barriere fatte di sogni fuorvianti.
E se non sapete trovare l’amore nella natura che vi circonda, se non sapete scorgere l’amore nelle piccole creature che generate, se non sapete vedere che l’amore può, sì, essere trovato nell’avventura e nella sessualità, ma che è anche nell’amicizia, nel rapporto con gli altri e in quello che avete con voi stessi, se non riuscite a scoprirlo nelle piccole cose, come potete aspirare e ambire di trovare, scoprire e catturare il Grande Amore?
Perché il Grande Amore non è fatto solo di grandi cose, ma contiene anche una miriade di cose piccole, eppure tutte importanti e necessarie, così come contiene sia l’intesa che il contrasto, almeno fino a quando non riuscirete a raggiungere l’amore che tutto rende sacro perché è il Tutto stesso.
Solo allora incontrerete il Grande Amore, ed esso si rivelerà appagante in modo totale, soddisfacente sino in fondo; e non avrà importanza da chi sarà dato e in che forma, perché riuscirete a sentirlo non nella sua espressione ma nella sua intenzione.
Fratelli, sorelle, riconoscete l’Amore ed Egli si fermerà accanto a voi. Accettatelo senza volerlo modificare e sarà Lui che vi trasformerà. Abbandonatevi a Lui e Lui mai vi abbandonerà. Scioglietevi in Lui e Lui vi riplasmerà, rendendovi così come mai, neanche nei vostri sogni più arditi, avete mai sperato di poter essere. Viola

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 31-39, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Altruismo e egoismo

d-30x30Altruismo. Dizionario del Cerchio Ifior

Il concetto di altruismo è uno dei più complessi da analizzare, in quanto è fin troppo facile usarlo per ricoprirsi – come ci dicono le Guide – di piume di pavone che non sono nostre nel tentativo da parte dell’Io, di apparire migliore di quello che è non soltanto agli occhi degli altri ma anche ai propri. Il più delle volte, sottolineano, l’altruismo che manifestiamo è una sottile forma di egoismo che finisce col creare più danni che aiuto alle altre persone.

Messaggio  esemplificativo

E a voi, figli, quanto occorrerà meditare per migliorare voi stessi anche di poco? Per comprendere che tutti i giorni, tutte le ore, tutti i secondi, date aiuto solo a chi vi ispira sentimenti d’amore e d’amicizia, rifiutandolo a coloro che non appagano in qualche modo i bisogni del vostro Io.
Eppure, quanto sarebbe più utile per voi stessi porgere aiuto a chi siete soliti, invece, rifiutarlo!
Meditate un attimo: per quale motivo una persona vi risulta antipatica? Non può essere che forse non dipenda solo da lei? Non può essere che il suo comportamento e il suo parlare colpiscano qualche cosa di dolente in voi, cosicché vi rifiutate di riconoscerlo e nascondete a voi stessi le vostre ferite, facendo scaturire in voi quella reazione che siete usi definire « «contro la sofferenza». Ma la sofferenza di chi: della persona antipatica o la vostra o quella di  entrambe?
Meditate ancora, se volete: non è forse più difficile riuscire a porgere aiuto alle persone più prossime che alle altre? Eppure dovrebbero essere le persone più prossime quelle meglio conosciute e, quindi, quelle alle quali meglio si dovrebbe saper porgere il giusto aiuto nel giusto momento. E allora perché questa  reticenza, perché questa incapacità?
Forse che in voi c’è il desiderio di non voler aiutare i vostri genitori, o i fratelli, o il coniuge, o i figli? O forse è il vostro Io che vi impedisce di farlo, per nascondere le proprie magagne o per auto esaltarsi di fronte all’altrui difficoltà?
“Ma tu hai detto di agire secondo il proprio ‘sentire’ e se il mio ‘sentire’ non mi dice di aiutare certe persone cosa devo fare?». È giusto se voi fate quest’obiezione: vi è un apparente contrasto nel mio dire. Eppure è evidente che per migliorare se stessi bisogna cambiare; e che per cambiare bisogna sempre tendere al gradino  superiore del proprio  sentire; e che per raggiungere questo gradino occorrono piccole violenze al proprio sentire.
Meditate, figli: vi è davvero contraddizione o quanto ho appena detto era implicito in quanto affermato precedentemente e, anzi, se così non fosse, tutto quanto ho detto riguardo al mutare del «sentire» non avrebbe alcun senso?
Abbiamo parlato di piccole violenze. Piccole. Infatti, per dare aiuto, a volte basta una frase detta con una punta di acrimonia in meno, o un lieve sorriso d’incoraggiamento, o uno sguardo dritto negli occhi invece di uno sguardo che elude. Meditate su quanto sforzo vi occorrerebbe per dare davvero a chiunque un po’ d’aiuto, ma meditate anche su quanti sforzi è basato tutto l’aiuto che ricevete nei vostri giorni e che siete soliti trascurare o ignorare perché a voi sì, è naturale e giusto che l’aiuto venga porto!
E l’aiuto dato per ricevere in cambio che senso ha? Non è inutile e privo di significato se è dato per ottenere un utile di qualche tipo?
Distinguete: per chi riceve aiuto non ha importanza il perché lo riceve ma – se d’aiuto ha davvero bisogno – è ciò che riceve quello che conta.
Per chi dà aiuto, noi diciamo: «Se ti rendi conto di non dare per avere, sei sulla strada dell’Assoluto poiché vuol dire che inizi a conoscere te stesso; e conoscere te stesso vuol dire allargare la tua coscienza espandendola nella giusta direzione».

Posso tendere una mano a chi soffre e Ti ringrazio per questo;
devo fare da stampella a chi sta per cadere e capisco il Tuo perché;
voglio asciugare mille lacrime con il mio sorriso
e ogni lacrima corroderà un atomo delle mie catene. Moti


Altruismo e sensibilità

Con la loro solita originalità nel brano che segue le Guide hanno parlato del rapporto che c’è (o dovrebbe esserci) tra altruismo e sensibilità, attraverso un «dialogo epistolare» tra due  persone.

Messaggio  esemplificativo

Caro Ernesto,
come vedi non ho resistito alla tentazione di rispondere nel più breve tempo possibile alla tua peraltro graditissima lettera, nella quale, prendendo spunto da una frase del Maestro, mi chiedi la mia umile opinione sul concetto di altruismo.
Certo che, sinceramente, sentirmi porre una cosiffatta domanda da te, da un cosiddetto ricercatore spirituale, devo ammettere che la cosa mi ha lasciato non poco stupito, tuttavia cercherò di fare del mio meglio ed esprimerti nel modo più chiaro possibile la mia opinione in merito.
È certo ancora che dare una definizione di «altruismo» non è cosa facile, anche perché l’altruismo è ben difficilmente codificabile, è ben difficilmente generalizzabile; tuttavia, ripeto, cercherò di fare del mio meglio.
Cosa può essere dunque codesto «altruismo», del quale tanto si parla?
Sembrerebbe molto più semplice e più facile poter definire l’altruismo dicendo che cosa in realtà non è altruismo, perché in questo modo il mio dire, il mio parlare sarebbe facilitato da esempi pratici. Altruismo si può definire un qualcosa che è innato nell’individuo, che è conquistato, che fa parte dell’interiorità umana, è un qualcosa che si acquisisce via via che l’individuo procede nel suo cammino evolutivo; ed è qualcosa, quindi, di ben lontano, di ben diverso dal misero egoismo che, invece, pare imperare nel mondo fisico attuale.
Ma lasciamo stare, mio caro Ernesto, lasciamo stare l’analisi dell’egoismo, perché io credo che ogni individuo riesca a vedere e a comprendere come si muove, come agisce nel mondo fisico,  e comprendere quindi, attraverso questa visione di se stesso e delle proprie azioni, che cos’è l’egoismo.
Ma lasciamo stare dunque; Ernesto mio, e vediamo di dare, dopo tanti giri di parole, una definizione di questo altruismo tanto caro a te e al Maestro.
Altruismo, a mio modesto avviso, è riuscire ad andare oltre se stessi, ad andare oltre i propri bisogni personali, cercando però di non mortificare se stessi, cercando però di mantenere inalterato il rispetto verso se stessi; questo è molto importante, caro Ernesto mio, perché molto spesso si ritiene che essere altruisti significhi mortificare appunto la propria persona, far tacere i propri bisogni. Eh no! Non è proprio così, perché fino a quando l’individuo, l’uomo, si troverà a dover agire, a muoversi nel mondo fisico, sarà necessariamente legato a dei bisogni, a delle necessità, ai quali dovrà far fronte e che dovrà rispettare.
E tu sai, caro Ernesto mio, tu sai certamente a chi e a che cosa mi voglio in particolare riferire.
Bisogna però, per proseguire nell’analisi dell’altruismo, fare molta attenzione, perché molto spesso mi sono trovato, osservando gli uomini, a vedere persone che agivano in un determinato modo, apparentemente altruistico e poi «rinfacciare» alla persona verso la quale si erano comportati in quel modo apparentemente altruistico, dicendo loro: «Questo l’ho fatto proprio per te, l’ho fatto per fare un favore a te»; e questo, caro Ernesto mio, non è certamente altruistico, poiché l’altruismo è, come dicevo prima, qualcosa di innato, di spontaneo, che ti fa agire così senza che tu te ne renda conto.
E quando un individuo si trova ad avere avuto, apparentemente, un comportamento altruistico, per poi farlo notare, sottolinearlo, metterlo in qualche modo in evidenza, significa che non ha capito nulla; significa che, quanto meno, sta cercando di convincere se stesso dell’essere stato altruista, significa che tra sé e sé sta dicendo: «Oh, come sono stato bravo; oh, come sono stato altruista!»; il tutto per nascondere il suo ancora grezzo egoismo. E tutto questo comportamento, caro Ernesto mio, non si avvicina di un millimetro all’altruismo.
Altruismo è cercare di aiutare gli altri, di rispettarli, di porgere loro una mano, anzi tutt’e due, di fare il possibile per la loro felicità e il loro benessere, ma in modo spontaneo, naturale, direi quasi come un qualcosa di connaturale; qualcosa che non si può conquistare come – che so – una laurea, un’ottima posizione sociale, e cose del genere; ma qualcosa che si conquista attraverso il tempo, attraverso vite, vite e vite, attraverso esperienze su esperienze, dolore, sofferenza, noia, rabbia, invidia, gelosia; attraverso, insomma, tutte queste cose.
L’essere altruista si conquista soffrendo, vivendo la solitudine, si conquista in migliaia di modi, ma è certa una cosa: che una volta conquistato non lo si dimentica, una volta introiettato, una volta entrato nella propria interiorità, non viene più abbandonato; e quelle persone che dicono all’amico, dopo avergli fatto una cortesia: «Questo l’ho fatto solo per te», sta certo che ancora non hanno conquistato neanche una briciola di quell’altruismo per il quale ancora si trovano a vivere nel mondo fisico.
L’altruismo è qualcosa che fa parte dell’essere, come il talento artistico ma, a differenza di questo, non viene usato, messo in atto per suscitare meraviglia, plauso, piacere, ma al solo scopo di fornire gratuitamente e umilmente benessere ad ogni creatura, nell’intimo intento di stimolare quella stessa creatura ad imparare ad avere un comportamento simile.
Caro Ernesto mio, avrei potuto dilungarmi ancora, ma non vorrei annoiarti; preferisco per il momento terminare qui, certo che tu ancora mi scriverai, certo che non ti sentirai appagato e cercherai ulteriormente la mia opinione in merito. Io ti saluto, caro Ernesto mio e, nella speranza di incontrarti presto, ti abbraccio affettuosamente. Tuo affezionatissimo, Vito

Caro Vito,
ho ricevuto da alcuni giorni la tua lettera ed ho letto con attenzione la tua risposta, il tuo pensiero in merito all’altruismo. Devo dire che sono rimasto un poco perplesso, stupito, nel vedere quanto poco tu ti sia dilungato sull’argomento, secondo me così ampio e così vasto.
Per sintetizzare, quindi, tu hai affermato nella tua lettera che l’altruismo altro non è che sapersi donare agli altri, senza però mortificare se stessi. In altre parole, essere altruisti significa  porgere la mano al prossimo cercando di non venire meno ai propri bisogni. Non accetto questa affermazione e la contesto in parte perché, secondo me, essere veramente altruisti significa sapersi dare interamente agli altri, perché secondo me nel momento in cui uno sente dentro di sé il desiderio di aiutare gli altri dimentica, automaticamente, i propri bisogni.
Voglio dire con questo che a mio avviso – e forse in questo modo io sbaglierò – essere altruisti significa soprattutto dimenticarsi di avere dei bisogni, di avere delle esigenze, di avere degli impulsi e cose del genere. Questo viene fatto non per mortificare la propria persona, la propria personalità, la propria individualità, ma proprio perché la spinta verso gli altri, verso il prossimo, è così forte da rendere totalmente nulli quelli che sono i bisogni egoistici più forti.
Sono d’accordo con te, invece, per quella parte che riguarda il fatto che il vero altruista è colui che aiuta senza far nulla per mettere in mostra il proprio altruismo; su questo sono perfettamente d’accordo e credo che qualsiasi altro individuo sia d’accordo con noi, per quanto riguarda  questa affermazione,  almeno.
Resta dunque oscuro, secondo me, questo punto, e credo di potermi fare interprete anche di altre persone che come me non condivideranno questo punto.
Ti prego, quindi, di chiarirmi, di cercare di essere più chiaro, perché io intendo che forse tu volevi dire qualche cosa di diverso da quella semplice affermazione che, così messa, così detta, può essere facilmente travisata. Ti prego, quindi, di chiarire almeno in parte e mi auguro che tu riesca a farlo nel più breve tempo possibile. Mi rammarico di essere con te così oppressivo e di chiederti sempre spiegazioni in merito, ma la tua figura per me è così importante che quanto tu riesci ad esprimere può essermi di molto aiuto.
Aspetto una tua risposta, mio caro amico, e ti saluto affettuosamente. Anonimo

Mio caro Ernesto,
è con grande rammarico che mi accingo a risponderti, rammarico motivato dal fatto di non riuscire in realtà ad esprimere coerentemente determinati concetti.
Quanto io affermai in quella missiva è stato decisamente da te male interpretato, così come molto probabilmente verrà male interpretato da chiunque altro lo leggerà.
Avevo infatti affermato in quell’occasione che essere altruisti significa dedicarsi agli altri, porgere un aiuto agli altri senza danneggiare se stessi e, a mio avviso, questa affermazione mi appariva chiara, mi appariva lucida, mi sembrava che potesse esprimere esattamente quanto  io, dentro di me, sto sentendo.
Anche perché, se faccio un raffronto con un’affermazione fatta dal Maestro, vedo che non v’è nulla che possa indicare qualche contrasto. Infatti quell’affermazione del Cristo diceva di amare il prossimo proprio (il «prossimo tuo» anzi, per la precisione) come se stessi. Il che, a mio avviso, implica che prima di tutto l’individuo che si accinge a porgere una mano ad un altro individuo deve essere in grado di amare se stesso, ma amare se stesso – a mio avviso – significa non sopprimere, non annullare la propria personalità, dare ascolto ai propri bisogni, se non altro a quelli primari, a quelli non così palesemente ed evidentemente egoistici, ma, quanto meno, al bisogno di mangiare, di riposare le giuste ore, di fare tutte quelle cose necessarie alla propria sopravvivenza, se non altro alla propria sopravvivenza fisica.
È in questi termini, infatti, che la mia affermazione di non mortificare se stessi voleva esprimere quel concetto.
Non mortificare se stessi significa dare ascolto, prima di tutto, alle proprie esigenze fisiche e, perché no, alle proprie esigenze spirituali. Soltanto in questo modo – a mio avviso e, perché no, all’avviso di molti altri miei compagni – sarà possibile per l’individuo stesso ritrovarsi in quella condizione fisica e mentale adatta, giusta e necessaria per riuscire a fare qualcosa di veramente utile per i propri simili, per i propri fratelli.
È veramente assurdo – sempre a mio avviso – rinunciare ai propri bisogni per darsi agli altri, mortificare se stessi per aiutare gli altri rischiando in questo modo di non avere la forza necessaria (anche solo a livello di energie) per poter agire positivamente sugli altri! Spero che questa volta possa essere sufficiente questo chiarimento. Tuttavia, se così non fosse, puoi continuare a scrivermi ed io cercherò di ampliare maggiormente quanto vo sentendo. Sarà sempre ben accetta ogni tua riga e con ciò ti saluto caramente e ti abbraccio affettuosamente. Tuo, Vito

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pagg. 26-31, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior