L’illusione dello spirituale e la semplice realtà della vita

In ambito spirituale ed esistenziale nulla di ciò che apparteneva al mio immaginario di ricercatore è divenuto realtà.
Non saprei nemmeno di cosa fosse pieno quell’immaginario, c’era solo una tensione a divenire altro e quella spirituale mi sembrava la strada che in quella alterità mi potesse condurre.

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L’accadere gratuito

Attraverso la nostra umanità così limitata,
nell’assenza di tempo del presente che accade,
splende la natura dell’assoluto.
Osservi questa vita che ti attraversa
e scompari travolto dal suo irrompere.

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Senza scopo

Nell’esserci senza scopo, senza finalità alcuna, si manifesta la vita così com’è, libera di noi e della nostra pretesa.
Attraverso noi la vita canta se stessa.

Sull’esperienza dell’amore

Da Elena un commento al post di ieri: “Nell’osare creare situazioni di condivisione, c’è ancora il protagonista, colui o colei che si manifesta con l’intento di poter essere strumento creativo al servizio dell’armonia, dell’unità, poi, appena colui/colei che si è manifestato fa un passo indietro, accade il movimento dell’amore così pregnante da modellare ogni cosa.
Definiamo l’esperienza del’amore come attraversamento, intendendo con ciò l’accadere di un processo che sorge a monte dell’umano comunemente inteso, lo attraversa e lo cambia fin nelle midolla.

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L’attraversamento

Che cosa ci attraversa e chi si fa attraversare?
Che cos’è la realtà quando non la riduciamo a noi, quando non ci serve, quando le permettiamo di stare lì senza allungare le mani della nostra mente per inglobarla, colorarla, giudicarla. Che cosa è la realtà allora? E’ quello che è, nient’altro. E’ quello che è senza che la nostra mente vi abbia aggiunto alcunché sopra. Una persona se viene lasciata in pace dalla nostra mente è quello che è e basta. Ci piace, non ci piace, è bella, simpatica ecc. sono tutte etichette apposte dalla nostra mente. Tolte queste etichette la persona è quello che è e basta.
La persona c’è, è lì, è la realtà, sconosciuta.
Ma io se non etichetto, giudico, coltivo aspettative, se non mi protendo verso di lei per dipingerla dei colori che desidero, se rimango al mio posto immobile, privo di giudizio, sono ancora io?
Ovvero, se sospendo l’attività della mente che su tutto si vuole espandere che cosa mi qualifica come un io, una personalità caratterizzata? Nel momento in cui non ho niente da aggiungere al presente così come si manifesta, la percezione di me cambia radicalmente. Da ente protagonista della scena divento neutro, non più l’osservato e l’osservatore, ma l’atto dell’osservare. Viene meno l’osservatore come coscienza vivida conferitagli dall’atto del giudicare: se non giudico mi svuoto, mi neutralizzo, l’altro è lasciato a se stesso e quella coscienza vivida di me scompare sostituita da un sapersi di esistere non qualificato, neutro appunto. C’è qualcuno che guarda la scena ma non è più l’attore di prima, è un qualcuno che non è interessato al nome, alla forma, è un qualcuno la cui coscienza di sé è completamente mutata, perché c’è ma non ha identità.
Ciò che dice o che fa proviene da un altrove: viene attraversato. Ciò che percepisce non gli appartiene, transita attraverso lui.
Quell’identità è diventata trasparente: un luogo di attraversamenti.
Non gli appartiene ciò che esce da lui né ciò che entra in lui.
Di fronte ad un lago molte sono le informazioni che colpiscono i sensi: gli animali, le erbe, i colori, i suoni: ogni cosa manifesta se stessa ed ogni manifestazione accade davanti all’osservatore neutrale. Non c’è partecipazione, non c’è indifferenza non c’è nemmeno neutralità: c’è attraversamento, un niente viene attraversato da una molteplicità.
Cosa significa che viene attraversato?
I sensi vengono colpiti, l’immagine registrata ma non sottoposta al discernimento della mente, non trattenuta, lasciata fluire. La consapevolezza è vigile e come un manto si stende sulla vita che accade. Ma non trattiene, non passa al setaccio, non focalizza per analizzare, si lascia attraversare per poi posarsi su nuove scene.

Lasciarsi attraversare dalla vita

Il giudizio è una forma di resistenza, un distinguere
un porsi nella condizione di osservatore.
Lo svuotarsi è un abbandono del ruolo di osservatore:
ogni evento viene e ci attraversa,
viene e ci attraversa.
Non c’è resistenza, distinzione, separazione
perché non c’è giudizio.
La vita, il pensiero, l’emozione
come onde che attraversano,
accadono e attraversano
un qualcuno che non è.
Attraversano se stesse.

5.6.2004

Riflessioni sull’essere

Descrivere i miei processi interiori mi costa fatica perché mi sembra di andare ad infiorare qualcosa di elementare.
Per farmi capire ti descrivo cosa accade durante una seduta di zazen: tu stai seduto davanti ad un muro bianco, gli occhi aperti, il respiro regolare, la mente che è come un casello autostradale: i pensieri vengono, i pensieri vanno; tu non trattieni niente, non ti identifichi con niente.
La mente pensa, ma tu non sei i pensieri che essa pensa, li vedi e sei oltre: tra un pensiero e l’altro si apre uno spazio, vuoto di pensiero, vuoto di osservazione del pensiero.
Semplicemente sei. Puoi comprendere questo stato solo se lo sperimenti: non puoi abbracciarlo con la mente, non con il cuore. Sei il tutto e il niente, sei l’adesso, senza tempo.
Il divenire si manifesta essere: la realtà non scorre più in superfice, manifesta la sua natura profonda, il suo spessore inusitato, vasto, risuonante, fermo, pieno.
Nulla manca, nulla v’è da aggiungere. La Realtà E’ e non ha bisogno di essere definita: la Realtà è Una e questo è inconfutabile.
Questo accade, fuori dal tempo, ed è vita in atto: l’insieme del tuo essere lo sperimenta.
Certo, sono frammenti all’interno del divenire, ma questo non ha poi grande rilevanza: posso battere le ciglia e in quel tempo essere sprofondato nella natura intima del divenire, nell’essere di questo attimo di eterno presente, e da quel centro contemplare la realtà che è.
O posso decidere di immergermi dentro al fiume del divenire perché ci sono degli aspetti di me che sento di dover lavorare a quel livello, e poi, faticando, tornare al centro.
Ma se vado a vedere attentamente in ogni attimo del divenire della mia esperienza, io torno costantemente all’essere, opero e contemplo: opero con le forze attuali, contemplo il loro fluire e le nutro del più profondo della mia coscienza, così che si trasformano, ed opero con forze trasformate e contemplo ancora.
La nota su cui scorrono i miei giorni è questo cogliere l’Essere di ogni fotogramma del divenire.
Con i miei limiti, che sono grandi.

12.11.2001