Equilibrio e squilibrio

d-30x30Equilibrio e squilibrio. Dizionario del

La Realtà, ci hanno insegnato le Guide, tende sempre all’equilibrio, e, ogni volta che questo equilibrio, per qualche motivo, viene turbato, gradatamente si mettono in moto forze che tendono a ricreare un nuovo equilibrio che tiene conto degli elementi perturbatori, inserendoli armonicamente all’interno della Realtà, in maniera tale che l’equilibrio viene a riformarsi, anche se in una nuova forma complessiva. In questa maniera è possibile l’ampliamento delle coscienze e la loro strutturazione continua, permettendo che i cambiamenti che ne conseguono non diventino elementi disgregatori, bensì elementi aggreganti.

Messaggio esemplificativo (1)

Una cosa balza evidente all’attenzione di chi ha saputo crearsi un’immagine sintetica della Realtà, così come scaturisce dall’insegnamento delle Guide: il manifestato è talmente complesso ma, tuttavia, talmente logico, che da un piccolo particolare è possibile, passo dopo passo, arrivare a sollevare il sipario su uno scenario sempre meno riduttivo e frammentario, nel quale sono inseriti armonicamente e in continua relazione tra di loro tutti gli elementi che gli danno forma e vita.
Per voi, figli e fratelli che siete immersi nel caleidoscopico divenire, tutto appare come un continuo mutare di forme, come un continuo evolversi di situazioni e di processi di vita che si intersecano e si intrecciano in maniera talmente complessa che è difficile per la mente umana riuscire veramente a comprendere la sua vastità, e solo la vostra immaginazione e, ancor di più, la vostra intuizione, possono arrivare a darvi la sensazione che tutto è già scritto in ogni suo attimo in quell’eterno presente, attributo permanente ed essenziale della divinità stessa, nel quale nulla diventa, si trasforma, muta, evolve, ma tutto E’.
Ciò che è essenziale, comunque, per chi si avvicina alla Realtà così come stiamo cercando di spiegarvela, è comprendere il concetto che essa è armonicamente equilibrata e che la legge di equilibrio è non soltanto ciò che garantisce la sua possibilità di esistenza, impedendone la disgregazione, ma anche ciò che dà ragione di molti suoi accadimenti che interessano più da vicino la vita dell’essere incarnato: ciò che appare giusto e ciò che, invece, appare ingiusto nel corso di un’esistenza trova la sua controparte di giustizia o di ingiustizia in qualche altro momento di una delle molte vite che l’individuo percorre nel suo ciclo evolutivo, al punto che, allorché abbandonerà la ruota delle nascite e delle morti, un ipotetico bilancio del dare e avere nel corso delle sue esistenze sarebbe perfettamente in pareggio.
Questo, miei cari, dovrebbe aiutarvi ad osservare più spassionatamente quello che vi succede, senza lasciarvi andare così facilmente al pessimismo e al vittimismo: senza soffermarvi a pensare a quale fortuna di quale vita (cosa, oltretutto, per ognuno di voi impossibile a farsi) stia compensando la vostra attuale sfortuna, cercate invece di arrivare a comprendere che la legge di equilibrio agisce anch’essa sia in grandi che in piccoli cicli; così, se siete nell’impossibilità effettiva di considerare il grande ciclo delle vostre esistenze per trovare in esse il motivo e la compensazione del vostro attuale dolore, soffermatevi ad osservare il vostro dolore nell’oggi e nel domani più prossimo e vi renderete conto che, ad un esame obiettivo e spassionato, il vostro dolore è stato già in parte riequilibrato da ciò che, grazie ad esso, avete probabilmente raggiunto o vi avviate faticosamente a cercare di raggiungere: ad esempio il coraggio di fronte alla sofferenza, oppure il trasformare il vostro amore frustrato in partecipazione e sostegno per qualcun altro che, come voi, sta affrontando il dolore.
In questa prospettiva si può affermare che ciò che fate, nel corso delle vostre vite, non è altro che un continuo raggiungere nuovi punti di equilibrio tra gli stimoli che l’esterno vi propone e le reazioni che il vostro intimo mette in atto, affinché da queste dinamiche voi riusciate a comprendere qualche nuovo elemento della vostra essenza. Si tratta, alla fin fine, di un continuo svilupparsi, al vostro interno, di cicli dinamici tra equilibrio e squilibrio, percorsi i quali avrete costituito un equilibrio diverso da quello che possedevate all’inizio di ogni ciclo e dal quale prenderà il via un successivo ciclo che, ancora una volta, vi porterà a raggiungere un diverso equilibrio.
E’ in quest’ottica, ad esempio, che è possibile osservare quel fenomeno che ognuno di voi vive più o meno consapevolmente, ovvero il trasformare certi movimenti interiori in effetti che si riflettono sulla funzionalità (e, quindi, sull’equilibrio) del vostro organismo, provocando quelli che vengono chiamati psicosomatisti. Essi sono il risultato di un equilibrio non raggiunto nella propria interiorità, contemporaneamente effetto e causa di sommovimenti interiori che tendono a indicarvi la via, il percorso, lungo il quale inoltrarvi per raggiungere quell’equilibrio che, solo, può portarvi all’annullamento dell’effetto psicosomatico. Ricordatevi, miei cari, dei momenti in cui vi sentite di “umore nero”, svogliati, privi di voglia di vivere… anche questo, in fondo, è uno psicosomatismo, vi pare? E quand’è che superate quei momenti? Nell’istante in cui trovate al vostro interno la via per modificare con un sorriso la vostra depressione, in cui dite un “basta” convinto alla sofferenza, in cui vi accorgete delle cose che, intorno a voi, gridano a gran voce che vi sono mille e mille motivi per cui vale la pena di vivere.
Ecco, figli, nel fare questo avete percorso quello che poco fa ho definito un piccolo ciclo dinamico, il quale vi ha portato al raggiungimento di un nuovo equilibrio e, basandovi su di esso, partirete per un nuovo ciclo che vi porterà a un ulteriore traguardo del vostro cammino, a un ulteriore equilibrio fra ciò che l’esistenza vi propone di vivere e ciò che la vostra coscienza deve modificare di se stessa per rendere diversa e più giusta la sua reattività alla nuova situazione che vi siete trovati a dover affrontare.
E così, di piccolo ciclo in piccolo ciclo, ognuno di voi percorrerà il più grande ciclo che costituisce il vostro continuo immergervi nella materia alla riscoperta di voi stessi, in un altalenare di equilibrio e disequilibrio che, per voi che lo vivete in prima persona, può apparire insopportabile, ingiusto e senza fine, ma che, in realtà, vi conduce per mano verso un percorso che vi allontana via via sempre di più dalla sofferenza.
Infine verrà il momento in cui potrete guardare indietro e scorgere tutto il vostro ciclo incarnativo e, al vostro sguardo ormai spassionato, il perfetto equilibrio di quanto vi è accaduto apparirà in tutta la sua perfezione, svelandovi la realtà profonda insita in ciò che vi diciamo affermando che tutto accade sempre e soltanto per il vostro bene. Vedrete che ogni tormentoso dolore vi ha portato ad una gioia più viva e ogni grande perdita ad una grande conquista; vi renderete conto che nulla di più e nulla di meno è stato dato a voi o a qualsiasi altro essere vivente; scorgerete come le vostre piccole storie personali si sono inserite perfettamente nel tessuto della Realtà garantendone la continuità e l’esistenza, e capirete che tutto questo è stato necessario per soddisfare non soltanto il vostro personale bisogno di individuo alla riscoperta di se stesso, ma anche per garantire la possibilità che anche gli altri individui potessero interpretare la parte a loro più consona nel Teatro delle Ombre.
E allora, colmi di meraviglia e di stupore per come ogni più piccolo bisogno del più piccolo essere ha avuto la possibilità di essere soddisfatto senza, nel far questo, intaccare o prevaricare l’altrui bisogno, sussurrerete commossi al Grande Regista con una nuova e più grande accettazione e comprensione: «Sia fatta la Tua volontà e non la mia». Baba

1  Morire e vivere, pag. 125 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Dire “no”

d-30x30Dire “no”. Dizionario del

Come mai è così difficile dire «no»; un «no» deciso, convinto, nel rispetto sia degli altri che di noi stessi e ci nascondiamo invece sempre con un «non so», «vedremo», «forse»? Lo facciamo per paura della reazione degli altri o per continuare a nasconderci dietro alle nostre incertezze?
Questa è una domanda da cento milioni, perché in realtà le possibilità potrebbero esserci tutte; dipende chiaramente da persona a persona, da situazione a situazione.
Quello che però c’è – secondo me – sempre, o praticamente sempre, è un altro fattore.
Certo può esserci la paura della reazione dell’altro, può esserci il tentativo di nascondersi, e via dicendo, però nel «no» e nel «sì», rispetto al «non so» vi è sempre e comunque un’assunzione o meno di responsabilità. Pensateci un attimo: il fatto di dire di no o di sì è una cosa che comporta una scelta, indubbiamente, mentre il «non so» dà la possibilità di muoversi in una direzione o nell’altra. Ecco, quindi, che l’Io della persona ha sempre paura, in qualche modo, a pronunciarsi nettamente con un no o con un sì, perché può venire il momento in cui si accorgerà che ha sbagliato o gli altri gli faranno capire o vedere che ha sbagliato e, a quel punto, dovrà assumersi le sue responsabilità.
Apparentemente, sembra che sia più facile dire «sì» che «no», perché dire «sì» solitamente porta a una reazione favorevole da parte dell’altro, che viene accontentato; quindi l’Io della persona è più appagato: «Gli ho detto sì, quell’altro è contento, siamo tutti contenti» e così via; però considerate un attimo una cosa: nel momento in cui è stato detto «sì» e ci si rende conto che questo sì è stato catastrofico la sofferenza è grande, forse si soffre ancora di più che nel momento in cui si è detto «no» e si aveva sbagliato a dirlo. Senza dubbio accondiscendere a qualcosa provoca all’Io molti meno problemi che opporvisi.
Eppure, ci dicono le Guide, spesso per il bene dell’altro sarebbe estremamente importante riuscire a dire «no», portando come esempio il «no» che si dice ai bambini quando cercano di fare o vogliono qualcosa che può loro nuocere.
L’ago della bilancia, come accade per tutto ciò che riguarda le azioni dell’essere incarnato nell’osservare i temi dell’insegnamento etico-morale, non può essere che l’intenzione che sta alle spalle di ogni nostro comportamento.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Critica, opinione, giudizio

d-30x30Critica, opinione, giudizio. Dizionario del

Comprendere la differenza che esiste tra critica, giudizio e opinione non è sempre agevole: le interferenze dell’Io sul sentire individuale complicano notevolmente la possibilità di riconoscere razionalmente quando ciò che viene detto è una critica o un’opinione. Il mezzo principale per arrivare a fare una distinzione, ci hanno insegnato, è quello di cercare di individuare l’intenzione che sta dietro alle nostre parole: se ciò che diciamo è detto (anche se sbagliato) per cercare di fornire un aiuto all’altro ha sempre una valenza positiva, mentre se alle spalle delle nostre parole stanno il tentativo di sminuire l’altro, di dimostrarci migliori o più saggi, allora vi è evidentemente una forte interferenza del nostro Io.

Messaggio esemplificativo (1)

La diversità tra opinione e critica non risiede tanto in ciò che si dice nei riguardi di una situazione o di un fatto o di una persona, ma dalle intenzioni con cui questa opinione, questo modo di esporla sta alla base di questo modo di espressione. Infatti, si può dire quello che si vuole di un’altra persona, ma quello che e importante è il «perché» la si dice.
Se la motivazione con cui si dice qualche cosa di questa persona facendo notare un suo comportamento – «apparentemente» per chi sta parlando – «sbagliato» è spinta dal desiderio di far comprendere all’altro qualche cosa o di aiutarlo a risolvere un problema che sta vivendo, ecco che allora, a quel punto, si tratta di un’opinione perché l’intenzione è buona. La critica invece, solitamente, è una critica distruttiva; quando si rivolge una critica a una persona si dice: «Guarda, tu ti stai comportando in modo sbagliato» oppure «tu stai facendo qualche cosa che non va; dovresti fare così e così e così»; e, solitamente, a quel punto, cosa è?
È uno scontro di «Io»: è la prima persona che sta parlando che ha le sue idee, ha le sue prevenzioni, ha le sue abitudini di pensiero e di comportamento e desidererebbe che anche l’altra persona si comportasse come lei stessa si comporterebbe, senza tener presente il fatto che l’altra persona ha un suo sentire particolare e ogni sentire è diverso da un altro, sempre e comunque in qualsiasi situazione.
Quindi, allora, cosa accade? Accade che, di fronte a una stessa situazione, due persone non reagiranno mai alla stessa maniera, allo stesso modo, e non ci si può mai aspettare che un altro si comporti allo stesso modo, alla stessa maniera. Giusto? Quindi direi che la differenza tra critica e opinione è proprio principalmente questa: la motivazione con cui il pensiero di chi esprime ciò che è dentro sia una motivazione altruistica o invece sia soltanto una motivazione mossa dall’Io; quindi l’intenzione del proprio sentire. Georgei

1  L’Uno e i Molti, vol. VII, pag. 133 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Amicizia, amore, condivisione

d-30x30Amicizia. Dizionario del

Secondo le Guide il rapporto di amicizia non è altro che un rapporto d’amore nel quale solitamente (ma non sempre è veramente così) manca la componente dell’attrazione sessuale.
Ne consegue che la vera amicizia, per altro relativamente rara, è ben diversa da quella comunemente concepita secondo la quale viene etichetta come amico una persona di cui si ha una conoscenza e una frequentazione molto relativa e decisamente frammentaria.
Il vero rapporto d’amicizia (così come quello d’amore) si instaura quando si stabilisce con l’altra persona una forte condivisione di se stessi e si stabilisce un trasporto che neanche la lontananza fisica riesce ad annullare, facendo ritrovare il legame intatto ogni volta che le due persone «amiche» incrociano nuovamente le loro vite.

Messaggio esemplificativo (1)

“L’altra sera sono uscito con degli amici, sono andato alla festa della birra e tutti assieme abbiamo mangiato wurstel, bevuto birra in abbondanza; è stata una bellissima serata, veramente nel nome dell’amicizia.»
Questo è il concetto che avete solitamente dell’amicizia!
L’amicizia è una condizione di essere in cui si condivide con l’altro, o con gli altri, ciò che è al proprio interno, o ciò che gli altri hanno al loro interno.
Voi direte: «Bella scoperta!»; invece, se pensaste con un attimo più di attenzione, vi rendereste conto che non è così semplice come definizione; perché, quando voi usate questo termine «condividere» – che sembra un po’ all’ordine del giorno ultimamente nei nostri discorsi – intendete il condividere ciò che è bello, condividere le vostre gioie, le vostre felicità, i vostri raggiungimenti, le vostre soluzioni, e via e via e via e via, ma il senso che noi diamo alla parola «condivisione» è molto più ampio di questo: quando c’è amicizia con una persona, con questa persona si deve sentire di voler condividere i propri aspetti positivi e i propri aspetti negativi; voler condividere il proprio altruismo ma anche le proprie meschinità; e non soltanto, ma bisogna anche che vi sia la capacità di accettare la condivisione degli aspetti dell’altro, non può mai essere un’amicizia a senso unico; quella che è a senso unico non è amicizia.
L’amicizia, per il suo concetto essenziale, è sempre qualche cosa in cui interviene uno scambio tra esseri diversi. Certamente condividere le gioie degli altri può essere facile ma, molto spesso o quasi sempre, condividere i problemi degli altri è molto meno facile; altrettanto meno facile quanto è condividere i propri problemi.
Ora, dunque, se veramente volete mettervi in una condizione di amicizia, dovete imparare questa possibilità, questa volontà di condividere. Tutti gli esempi che avete fatto: il parlare con la persona in treno, il parlare col vicino, l’aiutare una persona per strada, e via e via e via, tutto questo non è amicizia; può essere altruismo, può essere cercare di fare qualche cosa per gli altri, ma non è amicizia.
Qualcuno tra voi – lo so già – dirà: «Ma quello che ha detto Scifo, alla fin fine, mi sembra che sia un mutuare la definizione di ‘amore’ e trasportarlo alla definizione di amicizia». Infatti, quando vi è amore vi deve essere condivisione, vi deve essere la disponibilità a condividere tutto quello che si ha; vero, creature? Io, a costo di stupirvi, vi dico che non è così. O meglio, per essere più preciso, non è necessario e indispensabile che sia così. La condizione d’amore non è qualcosa che necessariamente si condivide tra due persone, l’amore è qualcosa che appartiene alla persona che lo sente; quindi è possibile che una persona veramente ami un’altra persona senza condividere niente con l’altra.
Come può essere una situazione in cui non si condivide niente ma si ama molto? La persona che ama – come molte volte vi ha detto la sorella Viola – si trova in una condizione tale per cui l’amore basta a se stesso, non ha importanza quello che fa l’altra persona, quello che è, quello che dice, ma c’è questo sentire interiore di chi ama, tale per cui non ci si aspetta niente; si è pronti a donare tutto, qualsiasi cosa, se si viene richiesti, ma non ci si aspetta nulla in cambio; mentre invece la differenza importante col concetto di amicizia è che il rapporto d’amicizia è fatto sempre e comunque su un dare ed un avere. Per voler essere pessimisti, si potrebbe dire che è un rapporto di sfruttamento reciproco utile ad entrambe le persone, o ai componenti di un gruppo, che si dichiarano amici tra di loro.
Il mio discorso all’inizio, quando dicevo che siete andati alla festa della birra, a mangiare wurstel e a bere birra con gli amici, era per farvi capire che quella che voi chiamate amicizia è soltanto una cosa mentale, la maggior parte delle volte, è soltanto un atteggiamento, non è una cosa sentita. Scifo

1  Do ut des, vol. I, pag. 40 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Affinità, similitudini, coscienza

d-30x30Affinità. Dizionario del

Rapporto di similitudine vibratoria con un’altra individualità.
Il termine è stato usato anche in riferimento alla medianità: per poter intervenire agli incontri tramite un medium è necessario che tra il medium e le entità che intervengono esista un buon grado di affinità, ovvero che le vibrazioni delle entità e quelle del medium abbiano delle decise assonanze in comune.

Messaggio esemplificativo (1)

Può capitare che si incontrino delle persone con cui si hanno delle affinità, con cui si sentono delle similitudini, con cui si trova un riscontro a livello di esempio morale, cioè si sentono queste persone molto vicine a se stessi; talvolta si sentono talmente vicini che si prende addirittura i termini del loro lessico, quasi il loro modo di pensare; nasce, allora, il dubbio se questa cosa è reale o se, invece, si vuole solamente assomigliare a questa persona.
In linea di massima, cercando di generalizzare il più possibile, quando succedono queste cose, se uno sente che è qualche cosa che proviene da se stesso, dalla propria interiorità e non è semplicemente un’imitazione dell’altro vi sono diversi motivi: uno dei motivi più frequenti è il fatto che la persona per cui si sente una particolare attrazione, un particolare, come direste voi giovani d’oggi, feeling, ad esempio, è che vi è stato qualche contatto in una vita precedente. Tutti noi non si nasce e non si vive una sola volta, ma vi è tutta una successione di vite in cui uno sperimenta le varie possibilità che gli vengono offerte dall’esistenza per arrivare a comprendere, al fine di ampliare la propria evoluzione interiore, la propria coscienza, fino a ritrovare quell’unità con tutta la realtà che completa poi l’evoluzione individuale.
Ora, è evidente che nel corso delle varie vite si stabiliscono dei rapporti con le altre persone; dei rapporti spesso di affetto, di amicizia, di amore o altrimenti di avversione, di antipatia, di problemi. Così come ognuno di voi si reincarna, anche le altre persone si incarnano ancora, e succede che quando ci si trova incarnati nello stesso periodo, questa affinità di esistenze passate, questo nuovo incontrarsi di persone che hanno già vissuto assieme, in qualche modo viene a galla attraverso le vibrazioni emanate dalle persone.
Così vi può essere questa sensazione di attrazione, di vicinanza, di simpatia, di particolare piacere col stare con una persona, così come può esservi anche il contrario, naturalmente. Voi pensate a quante volte vi accade di incontrare una persona e «a pelle» vi diventa antipatica immediatamente, pur magari non avendo nessun motivo per giustificare questa cosa. Il più delle volte accade proprio per questo ritorno di vibrazioni comuni per esperienze trascorse assieme in vite precedenti.
Vi è però anche un’altra possibilità, che riguarda la coscienza dell’individuo: ogni individualità che s’incarna, raggiunge una certa coscienza che poi completa, aumenta, nella vita successiva.
Le varie coscienze non sono slegate tra di loro, vi è sempre un collegamento tra tutte le persone che esistono e queste coscienze, quando raggiungono certe comprensioni in comune, accade che si trovino ad entrare in contatto tra di loro anche se non se ne rendono conto. Ecco così che tu, per esempio, incontri una persona che ha molti punti in comune con te come evoluzione, come comprensione, e avviene una specie di allacciamento energetico per cui si crea un’unione con questa persona a livello di coscienza, e vi è una specie di simbiosi, diciamo così, per cui parte della coscienza dell’altro risuona anche in te e questo porta ad un trasformarsi, nella vita che vivete tutti i giorni, del vostro comportamento in similitudine a quella dell’altro. Non è un’imitazione, ma è, come si può dire, un’effusione delle comprensioni degli individui.
Molte volte accade anche di incontrare delle persone che hanno un sentire, una coscienza, più ampia, maggiore della vostra e questo porta chiaramente ad un’attrazione, perché quando voi sentite, vedete una persona e la idealizzate, pensate che possa darvi qualche cosa, chiaramente, cercate di prendere, com’è logico, da questa persona tutto quello che vi può essere utile per migliorare voi stessi.
L’importante, però, è che vi rendiate sempre conto che tutti coloro che sono incarnati, che vivono su questo pianeta, sulla vostra terra, per il fatto stesso di essere incarnati, significa che hanno ancora dei problemi, hanno ancora delle comprensioni da mettere in atto, non sono ancora perfetti. Magari, per errata comprensione, possono dichiararsi anche dei grandi maestri però, tenete sempre presente che soltanto per il fatto di essere incarnati significa che per quanto possano aver compreso, hanno ancora qualcosa da comprendere, hanno quindi ancora dei limiti.
Ora noi diciamo sempre: quando volete seguire un maestro di qualsiasi tipo, qualcuno che ritenete o che si dichiara maestro, se sentite di farlo, se sentite un’affinità verso ciò che dice o che fa questa persona, cercate di seguirlo, certamente, se veramente sentite questa spinta; però cercate anche sempre, nel contempo, di non farvi travolgere dalle vostre illusioni, cercate di essere consapevoli del fatto che quella persona può anche essere in errore senza neppure saperlo, magari. Quindi cercate di mantenere una parte di voi stessi libera ed attenta, critica verso voi stessi, ma anche verso gli altri. Georgei

L’Uno e i Molti, vol. XII, pag. 189 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Volontà e gratificazione

d-30x30Volontà. Dizionario del

La vera volontà – ci insegnano – non è quella che ci induce a perseverare in quello che più ci interessa o a cercare di raggiungere le mete che ci siamo prefissi, bensì quella che dobbiamo mettere in atto per fare ciò che il nostro Io non desidererebbe fare in quanto comporta fatica, poca gratificazione e, magari, scalfire la nostra immagine agli occhi degli altri.
Non si tratta, quindi, della volontà che proviene dall’Io, bensì della volontà che proviene dalla coscienza e dal sentire quello che è giusto perseguire fino in fondo e senza compromessi.

Messaggio esemplificativo (1)

Alcuni anni fa eravamo venuti a parlare della volontà, sottolineando il fatto che, contrariamente a quella che è opinione comune, l’individuo che ha volontà non è quello che riesce bene nel fare ciò che gli piace, ma quello che, all’opposto, riesce a fare bene ciò che non è completamente di suo gradimento.
Infatti, riuscire a fare bene ciò che piace, anche solo a livello semplicemente logico e razionale, non comporta, in realtà, un grosso sforzo di volontà, ma andare contro quelli che sono i propri impulsi, i propri bisogni, i propri egoismi, per portare a termine un compito prefissato, senza dubbio nasconde – da parte di chi deve «fare» – una dose non indifferente di volontà.
Il discorso, allora, era rimasto in termini abbastanza superficiali, preoccupandoci soltanto di questo aspetto della questione, senza osservare poi che cosa sia veramente la volontà, se vi possono essere diversi tipi di volontà, cos’è che sorregge eventualmente la volontà, e quali sono i suoi effetti all’interno del mondo fisico.
Iniziamo, dunque, ad ampliare un poco questi argomenti. Come si manifesta la volontà all’interno del piano fisico? È indubbio che la volontà, all’interno del piano fisico, si manifesta, deve manifestarsi con un’azione. Infatti, l’individuo sorretto dalla volontà non può fermarsi al dire, come fate, ahimè, così spesso: «Io voglio fare questo e lo farò», ma andare oltre, e dire: «io voglio fare questo, ed ecco, incomincio a farlo e lo porto avanti».
Purtroppo quante volte accade – osservando la vostra storia di tutti i giorni – che l’individuo si fermi soltanto ad una volontà in potenza: basta soltanto prendere i vostri quotidiani, basta osservare i vostri governanti, basta osservare i vostri religiosi, basta osservare anche i guru, gli spiritualisti, e via e via e via! Quanti come volontà, come parole, come atto comprendono la realtà della società, la realtà della famiglia, la realtà dell’individuo, e dicono «bisogna avere la volontà di fare», «bisogna mettere in atto la volontà di aiutare», «bisogna, se si segue un insegnamento di qualche tipo, essere specchi di questo insegnamento». Però il «bisogna» continua, solitamente, a restare un «bisogno»! Perché questo?
Non si può certamente affermare che questo accada soltanto e sempre per malafede o cattive intenzioni da parte di chi parla. Il fatto è che la volontà è fatta da diverse componenti le quali interagiscono tra di loro e spesso fanno sì, non sorreggendo una vera intenzione, da impedire che si trasformino in quell’azione che, così, resta soltanto in potenza. Scifo

Qualche tempo fa abbiamo accennato al fatto che l’Io di ogni persona può essere considerato, in qualche modo, composto da tre lo, figurativamente separati: un Io fisico, un lo astrale e un Io mentale. Infatti, secondo il mio pensiero, la personalità di un individuo incarnato – e, quindi, quella che è la manifestazione dell’Io all’interno del piano fisico – può sempre, alla fin fine, essere ridotta ad uno di questi tre aspetti, ovvero la manifestazione gestuale o fisica all’interno della materia, la manifestazione emotiva, sensitiva, espressiva, mimica, dei sentimenti e dei desideri, ed infine la manifestazione intellettiva che si esprime attraverso le idee e i concetti e fa da supporto alle azioni.
Questo, se è valido per ciò che riguarda l’Io, in generale, è anche valido per ciò che appartiene all’Io o che, per esprimersi all’interno del mondo fisico, deve, in qualche modo, passare attraverso questo lo. Se voi voleste pensare un attimo a questa triplice ripartizione della personalità, vedreste che, in fondo, quanto io ho affermato, non è poi niente di molto originale, al di là del fatto di avere inserito i tre piani di esistenza nella classificazione. Infatti, da che l’uomo è sorto e ha incominciato a cercare di schematizzare la realtà e l’individuo, sempre è stato portato a cercare anche di classificare, di mettere in classi gli uomini che vedeva intorno a sé. Ecco così che sono nate nel passato le varie teorie che presentavano diverse tipologie di individuo: pensate alle tipologie di Galeno, di Ippocrate, per arrivare a quelle di Freud, per arrivare a tutti i pensatori che, in qualche modo, hanno cercato di costringere in classi più o meno definite le tipologie di carattere dell’individuo.
Ora, se voi andaste ad osservare, con occhio critico ed analitico, tutte queste tipologie, vedreste che – pur presentando le cose sotto nomi diversi – sono sempre riducibili ai tre aspetti che prima ho enunciato: ovvero a come l’individuo si mette di fronte alla realtà fisica, si mette di fronte ai suoi desideri, a come si mette di fronte ai suoi pensieri; quindi, ripeto, ciò che io vi ho portato non è poi nulla di così trascendentale e di così originale come potrebbe sembrare.
Tutto questo lungo discorso che ho fatto è per arrivare a parlare qualche attimo dell’influenza che ha la componente astrale (ovvero la componente emotiva) sulla volontà.
Abbiamo detto che la volontà non è altro che l’impulso a portare a termine un’azione verso uno scopo che si è prefisso. Ora, naturalmente, uno dei perché che fan sì che questo scopo non resti soltanto in atto, può essere il desiderio che lo scopo prefisso venga realizzato. Ecco così che si può parlare di una volontà mossa, indirizzata, principalmente dai sentimenti e dal desiderio. Pensate, miei cari, alle volte che vi siete innamorati o infatuati di un’altra persona, pensate con quanta volontà avete cercato di fare qualcosa per ottenere i favori o le grazie di questa persona!
È chiaro che l’individuo innamorato, difficilmente è retto dalla razionalità: ecco, quindi, che allora questa volontà che spinge l’individuo a cercare di portare a termine il proprio scopo conquistando la persona amata, è un esempio di volontà retta dal desiderio, dall’emozione. Georgei

Vi è poi quella volontà che è retta invece dalla ragione. Considerate, fratelli nostri, coloro che sotto la spinta di una costruzione ideale – edificata dalla propria razionalità – portano avanti, o cercano di portare avanti, con volontà, lo scopo prefisso.
Basta che vi guardiate attorno: coloro che fanno, ad esempio, di una teoria politica o economica una costruzione talmente logica e razionale per cui ad essi può sembrare l’unico modo possibile e logico per portare avanti l’umanità, ed agiscono – quando sono in buona fede – fino in fondo, per arrivare al loro scopo. Questo è un esempio, anche se alquanto sfumato, di volontà sorretta dall’attività del corpo mentale.
Confesso, fratelli, che è difficile fare un esempio più preciso di questo tipo di volontà, anche perché c’è da tenere presente che quando una volontà di tipo mentale viene messa in atto – e tende quindi a manifestarsi come azione all’interno del piano fisico – per poter arrivare al piano fisico passa attraverso la materia meno densa del piano astrale, e viene quindi ad unirsi a ciò che trova all’interno del corpo astrale dell’individuo; viene, così, inquinata in qualche modo dai suoi desideri, dalle sue passioni. Ecco che, quindi, non sarà quasi mai una volontà principalmente mentale, ma si otterrà una fusione delle due componenti dell’individuo, quella emotiva e quella razionale.
Questo, forse, può essere evidente in maggiore misura, in quegli idealisti, in quelle grandi figure di idealisti che sono sorte nei secoli della storia dell’uomo. Pensate a quanti grandi utopisti si sono manifestati nei millenni e osservate come, la loro teoria di base, razionalmente giusta e corretta, veniva poi filtrata dalle loro passioni, dai loro desideri, e quindi veniva sfalsata in qualche modo, non arrivando a conseguire ciò che era il loro vero scopo.
Questo è il pericolo principale, la difficoltà principale per chi vuole mettere in atto la volontà! Infatti, per riuscire veramente ad agire in modo volitivo, bisogna non soltanto volere, ma è necessario, prima di tutto, essere sicuri di ciò che si vuole conoscere, quali sono i propri impulsi, sapere cos’è che può opporsi a questa volontà e quindi, in definitiva, si deve – come sempre accade quando parliamo di queste cose – arrivare a conoscere se stessi più in profondità. Senza conoscere, infatti, i propri desideri e le proprie passioni che possono allontanare dall’agire, senza conoscere qual è il proprio pensiero, il proprio vero intendimento, la volontà finirà con il manifestarsi all’interno del piano fisico in effetti diversi, ben diversi, da quelli desiderati o, addirittura, in blocchi che portano poi a comportamenti giudicati assurdi, se non addirittura psicotici, per i contrasti interni dell’individuo. Andrea

Il più delle volte, se i progetti che si vogliono portare avanti sono cose sensate, se non coinvolgono gli altri in modo non lecito, se sono accettabili, giusti o corretti, quando le circostanze esterne sembrano voler bloccare, fermare, impedire di portare avanti quel tipo di azione, l’individuo deve fermarsi un attimo e osservare alcune cose.
La prima cosa da chiedersi è questa: se l’esistenza, in questo momento, ha bloccato la mia volontà di fare una certa cosa, perché può averlo fatto? Può essere perché quella cosa io, in realtà, non devo esperirla? Di quella cosa, cioè, non devo fare esperienza? E allora, lì, devo essere io a sentire se quell’esperienza è davvero necessaria per me.
Oppure può essere che l’esistenza mi ha creato delle barriere poiché, nella mia ansia di portare avanti la mia volontà, senza rendermene conto, sto calpestando i diritti e la volontà degli altri? Dopo aver fatto questo piccolo esame – piccolo ma certamente non facile perché richiede una buona dose di sincerità nei propri confronti – se ancora ci si rende conto che veramente si vuol portare fino in fondo la propria volontà e conseguire quel raggiungimento, malgrado tutto, allora le domande da porsi sono ancora due, ovvero: veramente voglio andare avanti nella mia azione, costi quel che costi, in qualunque modo? Oppure l’altra: ho osservato tutti i modi in cui la mia volontà può essere messa in atto o, in realtà, c’è qualche modo migliore, più utile per me e per gli altri, che non sto vedendo?
Ecco, quindi, ancora un attimo di pausa e di riflessione e vi garantisco, creature, che se la risposta alla prima domanda (cioè se veramente volete portare avanti la vostra volontà) è positiva, senza dubbio allora troverete un modo migliore per tutti per portarla avanti senza danneggiare nessuno e senza farvi fermare da ciò che l’esistenza, magari, vi mette di fronte.
Certo, sul momento, può essere frustrante voler fare una cosa e trovarsi in condizioni di non poterla fare, ma state tranquilli che una pausa non vuol dire non arrivare ad un certo risultato: vuol dire semplicemente poter osservare con più calma la propria volontà e quindi raggiungere poi, nel modo migliore, il risultato voluto!
Ma come coltivare la volontà?
Avevamo già spiegato che, in realtà, la volontà non si può rafforzare con un esercizio ben preciso. Perché la volontà diventi forte è necessario che ci sia l’intenzione, è necessario e sufficiente – direbbero i matematici – che ci sia l’intenzione per portare a termine la propria azione. Se, però, col «rafforzare la volontà» voi intendete il riuscire, in qualche modo, a non farvi distogliere dal vostro scopo, allora esistono diverse tecniche per riuscire ad ottenere questa concentrazione della volontà (che poi non è altro che una concentrazione dell’attenzione sullo scopo prefissato). Soltanto che, solitamente, sono tecniche talmente noiose che dopo un paio di giorni che uno continua a farle, ahimè, perde la volontà di andare avanti!
Avevamo suggerito, all’epoca, una tecnica molto semplice, apparentemente molto facile, che nessuno, naturalmente ha osato provare: basterebbe per rafforzare questa attenzione, questa volontà, che ognuno di voi passasse cinque minuti al giorno (non dico tanto, pensate: cinque minuti, tanto quanto potete mettere a bere un caffè, in fondo) passasse – dicevo – cinque minuti al giorno, alla stessa ora, per tutti i giorni, scrivendo su un quaderno la lettera A.
Se riuscite a farlo, creature (non dico per ventun giorni come dicevano gli antichi o come dicono gli orientali si debba fare per le tecniche) ma anche soltanto per una settimana di seguito, vi garantisco che dareste prova di una volontà non indifferente e che potreste affrontare qualsiasi scopo prefisso con la sicurezza di arrivare a raggiungerlo!
Altre tecniche come quelle che voi potreste aspettarvi, in realtà, non esistono: la volontà, in fondo, è un fatto talmente interiore, che sarebbe come voler costringere l’universo ad indirizzarsi verso una piccola particella. Scifo

1 La crisalide, p. 217 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata.

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Violenza e violenze

d-30x30Violenza. Dizionario del

L’indurre qualcuno a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe fatto.

Messaggio esemplificativo (1)

Il problema è che voi vi accorgete della violenza, e la riconoscete, quando riguarda o ricade su voi stessi. Oh… si può anche dire che voi guardate la televisione, magari, e vedete il tale omicidio o la sparatoria tale e dite: «Ma guardate questi comportamenti violenti, io non farei mai una cosa del genere…» ma è sempre un cosa mentale quella che fate, un atteggiamento di superficie perché, in realtà, non vi interessa più che tanto quanto guardate attraverso quella finestra che è la televisione, anche perché, alla fin fine, non siete mai sicuri se quello che vedete o sentite sia veramente la realtà dei fatti.
Per accorgervi, quindi, della violenza, bisogna che la violenza arrivi a interessare voi stessi e, naturalmente, la parte più evidente del vostro voi stessi, ovvero il vostro Io, perché è quella che reagisce alla violenza.
Il problema è che voi vi accorgete della violenza, e riconoscete la violenza quando la violenza riguarda o ricade su voi stessi. Oh… si può anche dire che voi guardate la televisione, magari, e vedete il tale omicidio o la sparatoria tale e dite: «Ma guardate questi comportamenti violenti, io non farei mai una cosa del genere…» ma è sempre un cosa mentale quella che fate, un atteggiamento di superficie perché, in realtà, non vi interessa più che tanto quanto guardate attraverso quella finestra che è la televisione, anche perché, alla fin fine, non siete mai sicuri se quello che vedete o sentite sia veramente la realtà dei fatti.
Per accorgervi, quindi, della violenza, bisogna che la violenza arrivi a interessare voi stessi e, naturalmente, la parte più evidente del vostro voi stessi, ovvero il vostro Io, perché è quella che reagisce alla violenza.
L’Io, ricordatelo, è sempre pronto a fare violenza agli altri, ma – ritenendosi superiore – si offende tantissimo nel momento in cui la violenza viene fatta a lui!
La violenza non è fatta soltanto di atti violenti: la violenza è fatta di molte sfaccettature, tantissime, e – forse – il comportamento, come si può dire… in qualche modo subdolo o peggiore che si possa tenere è quello che porta alla violenza messa in atto attraverso le parole; certamente una violenza fisica vi colpisce sul momento per la sua manifestazione, per come viene messa in atto, perché – magari – l’individuo violento manifesta attraverso la sua espressione una condizione interiore particolare che vi colpisce, ma la violenza fatta con le parole invece, a mio avviso, è molto peggiore. Intanto, è difficile riuscire ad individuarla: non sempre vi accorgete che gli altri vi stanno violentando con quello che vi dicono, e poi restate comunque nel dubbio se veramente quella persona vi stava facendo violenza o se è stata soltanto una vostra impressione. Diventa, quindi, un comportamento dell’altro che va compreso, interpretato, e voi sapete che questo comprendere ed interpretare un comportamento altrui è una delle cose più difficili da fare. Se pensaste ai vostri politici, per esempio, vi accorgereste che conoscono benissimo questi movimenti, queste meccaniche psicologiche e le usano continuamente nel loro comizi, nei loro discorsi, nel loro usare la parola come mezzo di convinzione, di persuasione.
Fino a questo momento abbiamo parlato di quando voi recepite una violenza, e ho cercato di farvi vedere che la violenza ha tante sfaccettature e può essere ritrovata e ricadere su di voi in forme molto diverse ed anche inaspettate.
Ora, vediamo l’altra faccia della medaglia: le violenze che ognuno di voi fa. È evidente che, a questo punto, è necessario che voi stiate attenti a voi stessi per accorgervi di quando siete violenti, perché se non state attenti metterete in atto la vostra violenza e non vi accorgerete neanche di esserlo stati, anzi magari vi sentirete dei santi per come vi siete comportati. Però se voi analizzaste attentamente i vostri comportamenti, vi rendereste conto che il fare o il non fare qualche cosa nei confronti degli altri, che provoca quindi un mutamento di comportamento o di opinioni degli altri, vi gratifica o meno, vi dà qualche cosa o meno. Ecco, lì è il punto che – secondo me – dovete osservare con attenzione: è quel «qualche cosa» che vi dà, che vi può dare la misura di qual è l’intenzione con cui avevate agito (tacendo o non tacendo per esempio, usando quindi il silenzio come una leva per far violenza sulla volontà dell’altro).
Tu operi violenza se il tuo silenzio è fatto per riuscire a sovrastare l’altro, per ottenere prestigio o potere sull’altro. È sempre lo stesso discorso, non cambia niente: non ti deve importare quali sono le motivazioni dell’altro, tu devi capire le tue. L’altro poi avrà i suoi motivi, i suoi perché di violenza, ma sono problemi suoi che tu puoi o non puoi comprendere e che, magari, ti sfuggiranno per tutta la vita, o anche per tutte le tue vite, fino a quando non raggiungerai un certo punto di comprensione; ma tu puoi, invece, senz’altro arrivare a comprendere le tue motivazioni, perché soltanto tu puoi arrivare a comprenderle.
Vi ricordo che è possibile usare anche la dolcezza e l’amore, ad esempio, per tenere incatenate le persone, per far sorgere i sensi di colpa negli altri. Non vi è nulla che non possa essere usato per fare della violenza, miei cari, qualsiasi cosa può essere usata, completamente. Persino l’insegnamento delle Guide può essere usato per far violenza: pensate alle volte in cui combattete con qualcuno che non vuole credere. Non state cercando di far violenza in quel momento?
Se voi riusciste a sopraffare l’altro e a fargli dire «sì è vero quello che dici» sarebbe una cosa sentita la sua o lo avreste costretto, in qualche modo, per porre fine a quel tormento, anche soltanto perché sul momento gli conveniva dire di sì, e comunque non era una cosa sentita, quindi diventava un’imposizione da parte vostra?
Dunque, abbiamo parlato delle violenze che dall’esterno vi arrivano addosso, e che molte volte voi, giustamente, vorreste evitare. Non vi abbiamo accennato a come difendersi da queste violenze, ma questo mi sembra che sia un qualcosa che viene da solo, conoscendo un pochino l’insegnamento… le violenze sono assimilabili ai condizionamenti, e per difendersi da esse l’unica strada possibile è quella di conoscere se stessi ed ovviare col proprio sentire: nel momento che voi conoscete voi stessi e ampliate il vostro sentire, queste cose che dall’esterno cercano di imporsi a voi e quindi farvi violenza, queste violenze che gli altri cercano volutamente o meno di farvi, hanno meno peso e quindi diventano indifferenti per voi. E, d’altra parte questo è anche lo stesso modo che vi consigliamo per evitare la sofferenza. La strada, gira che ti rigira, è sempre quella!
Poi abbiamo guardato le violenze che voi fate sugli altri, e qua non ci sarebbe molto da aggiungere perché mi sembra che sia stato abbastanza chiaro il discorso.
Vi è, ancora, un altro tipo di violenza: ci sono le violenze che fate voi stessi a voi stessi. Queste sono veramente violenze o no, sono giuste o no, dovete porvi un freno o no? E qua è difficile dare una risposta. Ma se davvero voi non voleste fare una certa cosa siete sicuri che non la fareste? Pensateci un attimo.
Quello che proprio non volete fare, quante volte accade che lo fate?Io sono convinta, perché sono stata viva prima di voi e lo sarò ancora dopo di voi – probabilmente, ahimè – (e quindi per esperienza acquisita), che quando si fa qualche cosa di sbagliato, o qualche cosa che va contro la volontà, il volere, il desiderio di quella che è la vostra mente, ricordatevi, in realtà la si fa perché, sotto sotto, poi la si voleva fare, o vi erano dei motivi per cui la si voleva fare. Se non vi è nessun motivo interiore che spinge a fare qualche cosa vi garantisco, miei cari, che quella cosa nessuno di voi la farebbe mai. Se non aveste intenzione di suicidarvi ingoiereste mai delle pastiglie di cianuro? Zifed

1  La fonte del desiderio, pag. 156 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata.

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Umiltà e conoscenza di sé

d-30x30Umiltà. Dizionario del

L’umiltà – ci dicono le Guide – è uno dei requisiti essenziali per riuscire a procedere nella conoscenza di se stessi.
Essere umili non significa vivere passivamente ritenendosi al di sotto degli altri, bensì essere consapevoli che si ha sempre molto da imparare e che quello che si conosce veramente è solo una piccolissima parte di quella che è la Realtà.
Se si riesce a tenere sempre presente questo fatto, l’individuo mantiene intatta la sua obiettività e la sua elasticità verso i cambiamenti, accettando che tutto quello che oggi crede vero, domani, con l’allargarsi della sua coscienza, potrebbe acquisire nuove sfumature che ne modificano, anche totalmente, il significato. In questa maniera si bandisce da se stessi la presunzione di sapere e di essere al di sopra degli altri, risultato certamente non di poco conto.

Messaggio esemplificativo (1)

Spesso noi chiediamo a voi tutti di essere umili, ma è molto difficile per l’uomo, nella vita di tutti i giorni, essere veramente umile e allora, per spiegarvi ciò che noi intendiamo per umiltà, vi dico:
Siate come la terra, umili come la terra che si lascia continuamente calpestare dai piedi degli uomini eppure, continuamente, offre loro erbe, frutti, e tutto ciò che può loro offrire, senza rifiutarsi di dare quello che può dare solo perché viene umiliata dai piedi e dalle azioni dell’umanità intera. Moti

Ricavate l’umiltà dagli errori che sono stati vostri nel passato, cercate in voi l’universo che è nel vostro futuro e che – pur se non ne siete consapevoli – già vi appartiene.
Ma il passato è un ricordo e le ambizioni future sono solo sogni lontani… che fare, allora, uomo in bilico tra grandi sogni superbi e ricordi fuggenti?
Sii te stesso ora, lavora nell’ora, sia il presente la tua argilla, il tuo marmo, la materia con cui muterai i tuoi ricordi plasmando su di essi i tuoi sogni.
Ciò che sei stato non è più se non come traccia; ciò che sarai puoi solo sperarlo o immaginarlo ma senza una vera certezza, se non nella fede.
Ma ricorda sempre che è ciò che sei, che nasce dall’ieri e crea il domani, nel momento in cui lo vivi porta la tua essenza di uomo dagli angusti confini del tuo essere individuale, separato dall’Assoluto, allo sconfinato universo di cui sei invece parte integrante non ancora consapevole.
Qual è la via dell’umiltà, figlio che compi la tua ricerca? Labrys

Se un tuo fratello ride di te non ti offendere, ma guarda te stesso e il tuo modo d’essere: senza dubbio troverai un motivo valido per unirti alla sua risata.
Se un tuo fratello dimostra freddezza nei tuoi confronti non ti stupire di questo, ma cerca invece in te il motivo per cui susciti in lui indifferenza invece che amore.
Se un tuo fratello ti giudica stupido non risentirti: se ti osserverai attentamente troverai di certo qualche tuo atto che tu stesso definiresti stupido.
Se un tuo fratello ti ritiene ignorante non inalberarti, perché sai benissimo che per ogni cosa che conosci ve ne sono almeno altre mille di cui non sai assolutamente nulla.
Se un tuo fratello piange per te non deriderlo, non compatirlo, non soffrire assieme a lui, ma cerca invece di mutare in te quel qualcosa che gli permette di attribuire a te l’origine di lacrime che sono solamente sue.
Fa tutto questo sinceramente, fratello, riesci a fare tutto questo sentitamente, sorella, e non avrai più necessità di fare sforzi per essere umile, e avrai trovato, finalmente, la strada dell’umiltà. Viola

 1  Sussurri nel vento, pag. 68 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata.

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Trasgressione e modelli di comportamento

d-30x30Trasgressione. Dizionario del

I modelli proposti dalla società attuale – ci è stato sottolineato – tendono a presentare, specialmente ai giovani, figure di confronto che fanno della trasgressione la loro principale caratteristica.
Il desiderio di libertà dei giovani, il loro voler crescere prima del tempo e svincolarsi dall’autorità degli adulti, la delusione nel giudicare la società che questi hanno creato per la loro vita li rende facilmente attratti e condizionati dalla trasgressione escatologica che manifestano buona parte dei personaggi che frequentano principalmente le televisioni e il mondo dello spettacolo.
Dal momento che ormai la trasgressione fa parte dei codici morali proposti dalla società, viene sottolineato dai Maestri, oggi come oggi la vera trasgressione è quella manifestata dalle persone umili, poco appariscenti, che vivono la loro vita accontentandosi di quello che hanno e aderendo alle semplici leggi morali del buon senso comune.

Messaggio esemplificativo (1)

Ho fatto della trasgressione il mio stile di vita. Ho creduto nella trasgressione fino al punto da dimenticare me stesso. Ho pensato e mi sono illuso che la trasgressione potesse lenire, se non guarire, le ferite che mi erano state inferte.
Ho trascorso tutta la vita all’insegna della trasgressione più per gli altri che per me stesso; e adesso, adesso che non mi sento più uno spirito costretto dai limiti di un corpo fisico, e mi rendo conto che avrei potuto veramente fare e dare molto di più, senza limitarmi a seguire la trasgressione, adesso non posso che rimpiangere quella piccolissima capacità di amare, perché so che sapevo amare, sapevo amare teneramente, e se avessi seguito questa piccola capacità, forse la mia sofferenza di oggi sarebbe inferiore; ma, forse, in quello che viene definito «Grande Disegno» è giusto che sia così, però vi prego, se sentite al vostro interno anche solo una piccola, piccolissima capacità di dare voi stessi agli altri, in qualche modo seguitela, seguite quella strada e non lasciatevi abbacinare, abbagliare dalla trasgressione, dalla diversità, dall’essere migliori. Grazie. Anonimo

1 L’Uno e i molti, vol. XII, pag. 232.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata.

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