Mentire a se stessi

d-30x30Mentire a se stessi. Dizionario del

Il livello più semplice di autoinganno è il mentire a se stessi. Purtroppo, quando si è incarnati si tende ad ingannare se stessi su tante cose, su tantissime cose: sul fatto di essere delle brave persone, ad esempio; sul fatto di essere onesti (e di veramente onesto non c’è nessuno sul pianeta, proprio nessuno: anche la persona più santa, in realtà, qualche piccola disonestà comunque la compie!). Insomma, ogni essere incarnato tende sempre a mentire a se stesso e, d’altra parte, rientra proprio nella logica dell’Io: l’lo deve mentire a se stesso per cercare di apparire migliore di quello che è. Lui, sotto sotto, sente di essere in un determinato modo però non può far comprendere agli altri di avere degli aspetti spiacevoli o negativi perché «l’Io è bello, l’Io è importante, l’Io è forte, l’Io è intelligente, l’Io è sensibile» e via dicendo; ecco quindi che, per riuscire meglio nella propria recita, non può far altro che cercare di ingannare anche se stesso, in modo da convincersi di essere tutto ciò che vuol mostrare agli altri.
È un po’ la tecnica che usano anche gli attori quando devono interpretare una parte: il modo migliore per rendere partecipi gli altri e convincerli della verità di quel personaggio, in un film o in un lavoro teatrale, è quello di immergersi nel personaggio fino a convincersi di essere quel personaggio, di piangere con quel personaggio, di soffrire con quel personaggio.
La scoperta di come stanno veramente le cose viene piano piano, poco alla volta, osservandosi, vedendo le proprie reazioni, riuscendo ad osservare, come se si fosse al di fuori di se stessi, il proprio Io che agisce, vedendo le volte che dite delle piccole bugie inutili; vi capita mai di raccontare qualche cosa esagerando le situazioni, di dire qualche cosa agli altri e poi dirvi: «Ma perché ho detto una cosa del genere? Nessuno me l’ha chiesta. Non era il caso, perché l’ho fatto?». Vi capita mai di fare una cosa del genere? Ecco, quelli sono momenti in cui potete scoprire come agisce il vostro Io; teneteli stretti e guardateli con attenzione perché, dalla scoperta di quel piccolo perché, potrete trovare moltissime cose importanti per voi stessi.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Limiti e comprensione

d-30x30Limiti. Dizionario del

Non è ciò che il nostro Io desidera ciò di cui noi abbisogniamo, bensì il riconoscere, il comprendere, il vedere quelli che sono i nostri limiti e allorché li avremo compresi, li avremo visti, li avremo riconosciuti, in quel momento potremo anche trovare la strada per renderli diversi, perché li avremo compresi e poi accettati e, dopo averli accettati, il passaggio verso la loro modifica è strettamente legato alla comprensione ma, a quel punto, la comprensione è a portata di mano.

Messaggio esemplificativo (1)

Vi siete soffermati sui limiti interiori di ognuno di voi, su quei limiti che fanno capo a bisogni dell’Io, a desideri dell’Io, dando forse poca importanza a quei limiti che esistono al di fuori di voi. Voi tendete spesso a ragionare in questa maniera un po’ selettiva: avete chiaramente delle difficoltà ad abbracciare il concetto che ciò che è dentro di voi è in simbiosi con ciò che è all’esterno di voi, e che il tutto, costituisce un insieme unico dal quale non si può prescindere; quindi: la parte interiore è importante, ma quella esterna ad ognuno di voi è altrettanto importante, perché esiste per voi, è lì per voi, per aiutarvi a comprendere, è un riflesso di ciò di cui avete bisogno, di ciò che dovete attraversare, e così, nel cercare di osservare i propri limiti, è giusto non soltanto operare quel famoso «conosci te stesso», che da tanti secoli, se non da millenni addirittura, viene proposto all’umanità, ma anche osservare quei limiti effettivi che allorché si è immersi nella vita fisica, certamente esistono.
Questi limiti possono essere di vario tipo; senza dubbio vi renderete conto tutti, più o meno, di avere degli evidenti limiti fisici: non tutto vi è possibile, vi sono dei momenti che per dei limiti di energia del vostro corpo fisico, per esempio, avete assolutamente bisogno di dormire, assolutamente bisogno di mangiare, e qua riconoscere i propri limiti significa sapersi rendere conto quando questi limiti sono raggiunti e, quindi, quando si deve fare qualcosa di particolare.
Riconoscere questo tipo di limiti, i limiti fisici di cui stavamo parlando, significa rendersi consapevoli di possedere un corpo, rendersi consapevoli che questo corpo è l’interfaccia tra ciò che voi siete dentro e ciò che l’esistenza vi propone, e che questo corpo, per potervi permettere di comprendere tutto ciò che dovete comprendere, deve essere sempre nelle migliori condizioni possibili. Spostando un po’ più avanti il nostro raggio di osservazione, vi sono i limiti posti dalla società. Oh, specialmente quando si è giovani com’è facile cozzare contro questi limiti, com’è facile desiderare di spezzarli e sentirli come catene! Sentirsi magari anche prendere dalla rabbia per essere costretti in questi limiti, sentir nascere dentro di sé idee rivoluzionarie, idee combattive… ma questa è una reazione tipica di chi non ha ancora compreso i limiti.
Perché, vedete, anche per quanto riguarda i limiti imposti dalla società, che senza dubbio costituiscono dei condizionamenti per ognuno di voi, se voi li osservaste con attenzione, vi rendereste conto che cozzare contro di essi a testa bassa non è mai servito a nessuno. Il miglior modo per far sì che questi limiti non abbiano l’effetto di una catena su di voi, è quello di conoscerli fino in fondo, ma non conoscerli attraverso la contrapposizione, ma conoscerli attraverso il modo in cui sono nati, il perché della loro esistenza, come si sono sviluppati, perché soltanto conoscendo un supposto nemico in tutte le maniere possibili, è possibile poi arrivare a trovare quel punto debole in cui si riesce a penetrare, per far sì che il nemico ceda le armi. Non dimenticate, poi, che all’interno di una società in cui tanti individui, con tante personalità diverse, si trovano a condurre le loro esistenze, dei limiti, alla fin fine, devono essere posti, sono per forza di cose necessari, altrimenti, se non vi fossero dei limiti, delle regole poste dalla società, non sarebbe possibile vivere in comune.
L’importante – per la persona consapevole che cerca di crescere, e di agire all’interno di una situazione che, magari, reputa difficile – è quella di sapersi adeguare a questa situazione, è sapere in quale modo agire, per far sì che questi limiti non siano più dei limiti, ma siano dei mezzi per arrivare a trasformare non soltanto la propria vita, ma anche quella degli altri: non tutto nei limiti è negativo, ogni cosa, qualunque cosa si voglia osservare la si può osservare sia da un punto di vista positivo che da un punto di vista negativo: di totalmente negativo non vi è mai nulla. Quel limite che costringe che so, a mettere sulla testa un casco fastidioso che fa bollire il cervello sotto il sole estivo, è anche quel limite che permette che molte persone non perdano la vita per un incidente. L’importante è, quindi, sempre cercare di trovare la giusta misura ed il giusto mezzo, per confrontarsi con questi limiti. Il karma è certamente un grosso limite, ma siccome voi non sapete qual è, è come se non esistesse, se non per gli effetti che produce su di voi. Voi dovete preoccuparvi per quello che vivete non per ciò che potrebbe esservi alla base di ciò che vi accade. D’altra parte, bisogna ricordare che nulla succede a caso, che nulla è inutile nell’economia della Realtà, per cui anche possedere un limite ha i suoi lati positivi, anche solo per il fatto che senza quel limite non potresti confrontarti con ciò di cui hai veramente bisogno.
La liberazione da un limite avverrà quando tu interiormente avrai compreso cosa quel limite ti vuol significare. Certamente, nel porsi davanti ad un limite, come dicevo prima, è inutile cozzare con la testa contro di esso, molto meglio è osservare questo limite e cercare di capire come renderlo meno pesante, come renderlo meno nocivo, come sfruttarne le possibilità positive, come, al limite, aggirarlo per renderlo più piccolo, e tutti questi tentativi e tutte queste vie per rendere il limite inferiore sono quelle che portano alla comprensione, un po’ alla volta, perché portano alle esperienze, portano agli errori che fanno comprendere, ma portano anche agli errori che fanno soffrire, perché certamente commettere degli errori porta sempre a della sofferenza, tuttavia – come noi diciamo spesso – perché non fare piccoli errori e piccole sofferenze, invece di fare – come fate voi così spesso – che andate a testa bassa contro i vostri limiti sapendo o potendo immaginare con un minimo di sforzo che questo andare a testa bassa finirà con il costarvi della sofferenza non da poco, sia per voi, sia per chi vi sta accanto? Ecco: l’amore e la presenza di chi vi sta accanto, gli affetti, i rapporti, l’amicizia delle persone che vi stanno accanto, sono tutti strumenti che possono servirvi da stampelle per superare i vostri limiti; molte volte per amore di un’altra persona si riesce a fare qualche cosa che altrimenti, solo per amore di se stessi, non si riesce a fare.
Certamente il limite, in se stesso, non è né positivo né negativo, ma quello che mi preme sottolineare è che bisogna rendersi conto, riconoscere quali sono i propri limiti; perché nel momento in cui si riconosce quali sono i propri limiti, si trova l’attimo giusto in cui ci si deve fermare, guardarsi negli occhi e dire: «oltre questo non devo andare, non soltanto per me ma anche, al limite, per chi mi ama o per chi amo». Moti

In certi casi la forza di volontà può essere d’aiuto, in altri la forza di volontà non è altro che un mettere alla prova i propri limiti per cercare di appagare il proprio Io e di mostrarsi superiori agli altri.
Vedete, creature, questi discorsi, sono discorsi molto generali, è facile fare una teoria generalizzata restando sul vago, come abbiamo fatto fino a questo punto, però, rendetevi conto che, in realtà, il discorso andrebbe personalizzato per ognuno di voi, perché ognuno di voi ha dei limiti diversi, ognuno di voi ha delle esigenze diverse, ognuno di voi ha un modo di affrontare i limiti che è diverso da quello dell’altro, ed è qua il punto difficile, noi parliamo per tutti e parlando per tutti dobbiamo generalizzare.
L’analizzare i propri desideri è una strada che può aiutare a capire pian piano i nostri limiti interiori, ma va ricordato che i desideri, molto spesso, sono privi di limite, perché capita, quando si vive, di desiderare le cose più assurde, più impossibili. Tu potresti desiderare di fare la ballerina di danza classica, ad esempio, e non avere nessuna possibilità di riuscirci per motivi sociali, per motivi familiari, o per motivi – che so io – anche semplicemente fisiologici. Eppure potresti avere in te questo desiderio. Ora è importante riuscire ad osservare questo desiderio e renderti conto della possibilità o meno del suo avverarsi e, quindi, renderti conto che tu la ballerina non potrai mai farla, però potrai apprezzare ad esempio altre persone che fanno quello che tu vorresti fare e riuscire a immedesimarti in loro, riuscendo magari a partecipare alla loro gioia nel poter compiere quelle piroette, quelle evoluzioni. Questo sarebbe un modo per realizzare un proprio desiderio non personalmente ma attraverso la realizzazione fatta da un’altra persona, e questo voi lo fate in continuazione, senza rendervene conto, tutti i giorni.
Chi si propone dei limiti, solitamente è l’Io, che se li pone sempre abbastanza in là per essere sicuro di poterli raggiungere e poi poter dire: «Ah, come sono bravo, visto che limiti ho io? Io nella vita raggiungerò il limite – che so – di diventare la persona più ricca del mondo», e magari l’individuo ci crede anche mentre afferma questa cosa, anche perché sa che gli altri non daranno mai molto ascolto a questa frase, ci saranno poche possibilità che lui veramente possa diventare la persona più ricca del mondo.
Ma la cosa si pone sempre tanto in là che potrà sempre dire «non è ancora il momento, ma il momento verrà», e quindi il limite, diventa un limite auto imposto, è un sogno che uno si porta avanti per tutta la vita. L’importante sarebbe che la persona riuscisse a guardare in faccia i propri sogni, riuscisse a riconoscere i sogni che ad un certo punto possono non essere più sogni, e quali sono i sogni che, invece, resteranno sempre e comunque dei sogni che, certamente, si possono continuare a sognare fino al punto in cui, però, non costituiscono una dimenticanza delle proprie responsabilità e dei propri limiti. Scifo

Le chiavi del paradiso, pag. 149 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Ira, aggressività, consapevolezza

d-30x30Ira. Dizionario del

Reazione aggressiva e violenta dell’individuo, di intensità e durata variabile, che non sempre si riesce a contenere o a trasformare. L’ideale – ci dicono le Guide – sarebbe riuscire a renderci conto che la nostra ira non nasce veramente dal comportamento degli altri (che sono solamente ciò che stimola la reazione irosa) ma dall’interno di noi stessi, come segnale di qualche cosa che ferisce un nostro punto dolente e che scarichiamo all’esterno perché il picco dell’emozione è troppo intenso per riuscire a tenerselo dentro, per cui abbisogna di essere sfogato energeticamente al di fuori di noi stessi.

Messaggio esemplificativo (1)

Gran brutta bestia l’ira! Ottenebra il ragionamento, provoca azioni impulsive, fa scordare la Verità che sembrava acquisita, demolisce le buone parole ed i buoni propositi, provoca un regresso apparente dell’individuo. Ogni uomo è facile preda dell’ira, di questa belva collerica e scattante.
Eppure, varrebbe la pena di esaminare con un po’ di attenzione questa qualità che è patrimonio comune dell’umanità intera, tanto che non è mai esistito sulla terra un uomo che, almeno una volta nella sua vita, non abbia avuto anche un solo, piccolissimo (e, magari, subito represso) scatto d’ira.
Se a qualcuno di voi, io chiedessi perché ad un certo momento è scattata in lui l’ira, con massima probabilità mi sentirei rispondere che la sua ira è stata solo una reazione personale all’azione di un’altra persona, oppure di un fatto che gli è capitato. Giusto, giustissimo, anzi, perché l’ira è veramente una reazione dell’individuo a qualche cosa, non posso fare altro che approvare; tuttavia… questa risposta, non solo non spiega nulla, ma è anche evasiva e non giunge in profondità.
Prendiamo il classico esempio dell’individuo che, nel battere col martello per piantare un chiodo sbaglia mira e batte, invece, sul proprio dito; qual è la reazione che si ottiene? A livello fisiologico la reazione è uguale per tutti: il dito duole. Ma, a livello comportamentale, la reazione può essere diversa da individuo a individuo: il mangiapreti scaglia nell’etere una bestemmia ben calibrata, il religioso bene educato si limita ad un ‘accidenti’ di cui si sa il mittente ma non si conosce il destinatario, il collerico passionale scaglia il martello e così via; ma nessuno riesce a fare finta di niente. Da tutte queste azioni così varie si nota che, anche se il fattore che dà il via alla reazione è sempre lo stesso, la direzione in cui è orientata l’ira può essere diversa: la colpa dell’accaduto viene attribuita ora a Dio, ora ad una entità anonima, ora al martello picchiatore. Ma, in realtà, è così? Se osserviamo attentamente il comportamento dell’iroso, ci accorgiamo che la sua reazione non è una semplice reazione istintiva, ma è una reazione di difesa del suo amor proprio, è un rivolgere la propria ira all’esterno di se stessi per non voler ammettere le proprie colpe.
Nel caso particolare che abbiamo esaminato, la reazione maschera la stupidità, la disattenzione o l’imperizia di chi ha maneggiato il martello, fattori che implicano un giudizio negativo di se stessi, giudizio negativo che, poiché l’Io rifugge dal biasimo, in quanto offuscherebbe la sua vanità, viene per rivalsa attribuito a qualcosa di esterno.
State attenti, non dico che non dobbiate sfogare in qualche modo la vostra ira, la vostra tensione, ma abituatevi a cercare di capire perché lo sfogo è avvenuto in quel modo e, prima o poi, vedrete che lo sfogo non sarà più necessario. L’ira, quando è semplice sfogo momentaneo, non arreca gravi danni poiché, passato il momento della reazione, il comportamento ritorna alla normalità. Può, invece, arrecare gravi danni quando il suo effetto si protrae in modo subdolo, generando quei figli degeneri che si chiamano: rancore, rivalsa, vendetta.
In essi sta il pericolo, poiché sono essi che impediscono all’individuo di ricordare la fratellanza con gli altri uomini, che inducono ad interrompere l’aiuto che l’individuo deve dare agli altri, che allargano i solchi che le azioni umane tendono a tracciare tra un uomo ed un altro, isolandolo all’interno del proprio   egoismo.
L’ira uccide, figlioli, ma non uccide l’oggetto a cui è rivolta, bensì uccide, avvelenandolo lentamente, l’intimo dell’iroso, togliendogli quei sentimenti di amicizia, fratellanza, carità ed umiltà che fino a quel momento lo avevano reso vivo. Moti

Il canto dell’upupa, pag. 163 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Io, ego, identità

d-30x30Io. Dizionario del

Espressione sul piano fisico delle proprie comprensioni ma, anche, delle proprie incomprensioni, manifestate attraverso i riflessi sul piano fisico del comportamento, con i suoi elementi astrali e mentali. Basterebbe osservare sinceramente e attentamente come si conduce la propria vita – ci insegnano le Guide – per avere a disposizione tutti gli elementi per comprendere sia come si è che come si potrebbe essere, aldilà della conoscenza o meno dei loro insegnamenti. Senza il desiderio di espansione, lo sforzo di apparire, il tentativo di tenere sotto il proprio controllo la realtà, il desiderio di essere al centro del creato, l’incarnato non recepirebbe le spinte ad agire e ad interagire all’interno del piano fisico, o a rapportarsi con le altre persone, quindi non vivrebbe l’esperienza necessaria al suo evolversi.
Dai contrasti tra l’Io e la coscienza scaturiscono sia i problemi dell’individuo incarnato che le spinte al cambiamento per ampliare la sua evoluzione, cosicché si può ritenere l’Io un elemento indispensabile e insostituibile per l’evoluzione individuale (1).

(1) Per una trattazione più approfondita dell’Io vedere i volumi sull’insegnamento filosofico (ndc).

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Intuizione e coscienza

d-30x30Intuizione. Dizionario del

La definizione dell’intuizione, secondo le Guide, è questa: “Intuizione è la comprensione di una Verità al di là dei processi logici, razionali, deduttivi o induttivi. Ovvero la comprensione di una Verità, senza che essa passi attraverso l’elaborazione dei vostri sensi mentali, astrali e fisici (cervello).
O, meglio ancora, per fare un esempio: all’improvviso avere in testa un’idea che si sa giusta, non si sa da dove e perché venga, ma è talmente limpida, precisa e appagante che si comprende, senza ombra di dubbio, che essa è vera, pur non potendo razionalizzare il perché di questa certezza… ».

Messaggio esemplificativo (1)

L’individuo che ha un’intuizione, ha un’intuizione che contempla la comprensione di una Verità. Non, badate bene, della Verità, ma di una Verità, di una parte della Verità.
Il che sta a significare che questa intuizione non è detto che poi sfoci in un comportamento giusto, in quanto l’aver intuito una parte della Verità è sempre un aver intuito qualcosa di frammentario, di separato dal resto e quindi, a seconda delle situazioni, può essere mal usata… e vi risparmio l’aggancio con il discorso dell’intenzione, in quanto a questo punto, chiaramente, ci si potrebbe facilmente appoggiare al discorso dell’intuizione usata nel modo giusto o sbagliato, a seconda dell’intenzione di chi adopera questa intuizione.
Quella che voi chiamate intuizione, e che si rivela, poi, come sbagliata, è tale perché passa attraverso i vostri processi logici, razionali, ed è, quindi, l’intuizione del vostro Io, ed essendo tale è assoggettata ai bisogni del vostro Io, è modificata, personalizzata, soggettivizzata, relativizzata, e chi più ne ha più ne metta.
Il che sta a significare che pensate, ragionate… su di una persona, magari, avete l’intuizione di come tale persona possa essere in un determinato modo, o del perché questa persona possa essere in un determinato modo e poi, alla fine dei conti, vi rendete conto che questa intuizione era completamente sbagliata, o se non lo è proprio completamente, lo è almeno in parte.
Questo accade proprio perché non era un’intuizione nata dalla comprensione interiore del vostro Sé, ma era nata, invece, dall’elaborazione del vostro Io, mescolando razionalità, pensiero e sentimento.
Senza dubbio tra l’intuizione come la intendiamo noi (di cui ho dato prima la definizione) e l’intuizione come la intendete voi, vi è una differenza sostanziale, in quanto l’intuizione comunemente usata, solitamente, viene da voi usata nell’osservare gli altri.
Ovvero nell’applicare voi stessi, il vostro Io, i vostri bisogni, i vostri pensieri e i vostri sentimenti, per cercare di comprendere, di scoprire cosa siano gli altri. Mentre l’intuizione di cui davo la definizione io, riguarda qualcosa che appartiene a voi stessi, ovvero voi intuite una parte della Verità, intuite ad esempio, che so.., che veramente siete responsabili verso i vostri figli, lo intuite, lo sapete per certo, siete ormai sicuri che è così, d’accordo?
E quindi agite, poi, di conseguenza.
Ma cos’è che fa nascere l’ intuizione? Perché vedete, voi tendete a collegare il nascere dell’intuizione al fatto che la stessa derivi da un ragionamento, da una deduzione o da qualcosa del genere, ed è inevitabile che sia così, in quanto voi siete abituati a pensare e ragionare così. Ma, invece, il processo è completamente diverso e qua sta la difficoltà! Io direi che è un processo, in un certo modo meccanico, al di fuori di quella che è la vostra volontà di comprendere o meno… perlomeno in quel momento.
Dunque, voi sapete che possedete questo benedetto corpo akasico con la sua materia disorganizzata, che un po’ alla volta si va organizzando.
Infatti, voi esperite sul piano fisico, acquisite queste esperienze, le esperienze vi insegnano qualche cosa (giusto o sbagliato che sia) questi insegnamenti ritornano al corpo akasico e in esso si trascrivono indelebilmente, in esso si segnano le esperienze e gli elementi utili, formando una piccola area in cui vi è un po’ di ordine, un po’ più di organizzazione, d’accordo?
Ora, immaginate il corpo akasico come se fosse una pelle di leopardo, con tante macchie, dove ogni macchia può essere rappresentata da un nucleo di esperienze che si concentrano per formare, poi, il disegno di questa macchia. Riuscite ad immaginare la cosa? Ecco, nel momento in cui questa macchia si va costituendo, allorché l’ultima esperienza fatta si trascrive all’interno della macchia completando la stessa, ecco che vi è la comprensione di qualcosa e questa comprensione si risolve in quella che noi abbiamo definito intuizione.
L’intuizione, così come la definirebbe un essere umano normale, non è altro che un processo che deriva, in realtà, da un lavorio mentale quindi razionale e/o sensoriale dell’individuo.
Ma attenzione! Non dev’essere necessariamente un lavoro conscio, può anche essere un lavorio inconscio che, in qualche modo poi, alla fine, si completa da solo senza che l’individuo se ne renda conto coscientemente e si concretizza in quel pensiero che voi definite intuizione. Tuttavia, alla base, c’è sempre un’elaborazione dell’Io dell’individuo, del suo corpo mentale e anche dell’astrale. Quindi, ripeto ancora: la differenziazione principale è che per l’intuizione come la definiamo noi Guide, non vi è l’intervento diretto dell’Io, dei corpi astrale e mentale per creare la comprensione, bensì la comprensione arriva da sé, allorché il tassello all’interno del corpo akasico è formato completamente e quindi costituisce il nucleo completo della comprensione di un determinato fattore.
Noi abbiamo detto in passato che allorché si comprende una cosa non è più possibile dimenticarla, giusto? Quindi, una volta che l’individuo ha veramente compreso e acquisito qualcosa, non potrà più comportarsi in modo diverso da ciò che veramente ha compreso. Ciò sta a significare che, allorché vi è una comprensione, essa riesce a passare indenne attraverso i corpi mentale e astrale, senza essere deviata o trasformata.
La stessa cosa avviene per l’intuizione, essa non è altro che una comprensione, e poiché è ormai stata acquisita, ecco che all’intuizione fa seguito un senso di benessere, un senso di piacere e questo senso di piacere si trasforma in onda portante, la quale attraversa i vari corpi dell’individuo e arriva alla sua coscienza.
Voi avete in continuazione comprensione, ma non sempre questa si trasforma in intuizione cosciente.
Nei momenti, ad esempio, in cui avvertite un senso di benessere che vi arriva a valanga addosso, bene, in quei momenti non vi rendete conto di aver compreso qualcosa, anche se, in realtà, l’intuizione c’è stata. Nonostante che essa non arrivi sotto forma comprensibile alla vostra coscienza nel piano fisico, essa vi è stata comunque. Se l’individuo ha compreso (però se ha veramente compreso, non se è un’illusione di comprensione come quella che il più delle volte voi possedete) si comporterà nel modo giusto, nella situazione giusta… senza neanche chiedersi se sia giusto o meno, perché la cosa sarà spontanea, si tradurrà in spontaneità e naturalezza.
Ricordate sempre che dove c’è una stasi non c’è comprensione… o meglio non c’è una grande comprensione, perché la comprensione, in realtà, c’è sempre, anche quando sembra che l’individuo sia in stasi. Scifo

(1) L’Uno e I molti, vol. I, pag. 290 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Intenzione, giudizio, azione

d-30x30Intenzione. Dizionario del

Il concetto di «intenzione» è il nucleo centrale dell’insegnamento etico-morale delle Guide, dal quale prendono il via molte cose che riguardano l’individuo incarnato e la sua interiorità: dalla gratificazione ai sensi di colpa, dalla conduzione dei rapporti con se stessi alla conduzione dei rapporti verso gli altri, fino ad arrivare all’abbandono del corpo fisico e al dopo-morte.
L’esame delle proprie intenzioni in vita è parte essenziale del giudizio che l’individualità opera su se stessa alla fine della vita: le azioni sbagliate compiute convinte di essere nel giusto saranno facilmente superate, quelle, invece, sbagliate perché sbagliate erano le intenzioni che stavano alla loro base, saranno più difficili da superare e talvolta bloccheranno per diverso tempo l’individualità in una sorta di continua ripetizione all’interno di se stessa, proiettandola in quella situazione interiore di sofferenza che sta alla base del concetto di inferno.
In questo inferno personale non vi saranno fiamme o diavoli col tridente, ma il peso delle proprie responsabilità consapevolmente disattese o eluse e delle menzogne che ci si è raccontati per giustificare se stessi al di là di qualsiasi logica reale.

Messaggio esemplificativo (1)

Non giudicate gli altri, dicono le Guide, e sono pienamente d’accordo. Cos’è, infatti, che va giudicato? L’effetto di un’azione? Ma l’effetto di un’azione va – spesso e volentieri, e direi addirittura sempre – al di là della volontà di chi agisce. Quindi, l’effetto positivo o negativo come può essere causa di un giudizio di merito o di demerito? Allora il tipo di azione usata? Ma voi giudichereste un bimbo che vi tira del vetriolo in faccia perché non può sapere cos’è il vetriolo? No, certo. E chi fa una scelta sbagliata è come un bimbo che non può capire quale sia la scelta giusta da fare. Non vi pare? Allora l’intenzione che ha motivato l’azione? Ma l’intenzione non è giudicabile dall’esterno, dicono le Guide, così come non è giudicabile dall’esterno il sentire e l’evoluzione delle altre persone: come potete sapere qual è la loro realtà, come potete sapere quale esperienza una persona ha il bisogno di fare, positiva o negativa, per comprendere e migliorare se stessa?
E poi, cari miei, mi viene sempre in mente un mio caro amico molto intimo che ha avuto il coraggio di esclamare a una manifestazione pubblica contro il caro-vita: «Chi non è responsabile scagli la prima molotov!»
L’avete sentita e non era proprio così? Uffa, che pignoli!
E poi ancora: accettando ciò che le Guide vi dicono sulla reincarnazione sarebbe meglio, a volte, che vi venisse in mente che ciò che giudicate con indignazione degli altri – e supponendo che non abbiate appena finito di fare di nascosto la stessa cosa… questa frase l’ho già usata un’altra volta ma la ripeto! – con buona probabilità voi l’avete già commesso in una vita precedente. Di voi non ce n’è uno che non abbia commesso un omicidio, o un furto, che non abbia partecipato a una strage, che non sia stato adultero o lussurioso, che non abbia ingrassato le tasche imbrogliando o sfruttando altre persone… siamo tutti – sia voi che noi – un campionario più o meno «ex» di azioni perverse; e questo dovrebbe trattenere chiunque dall’esprimere un giudizio sugli altri, non vi pare?
Ma già, è comodo distrarre l’attenzione dal proprio operato, facendo notare e notando quello degli altri! Così il ladro griderà per primo al furto, l’assassino troverà indizi nei delitti altrui, il bugiardo scoprirà le menzogne degli altri, il libidinoso esecrerà il bacio in pubblico di due ragazzi, e chi più ne trova più ne aggiunga!
Per conto mio – avendo capito proprio tutto ed essendo ormai unita con l’Assoluto – mai più mi permetterei di giudicare la testardaggine di uno di voi o la presunzione di un altro o l’indecisione di un altro ancora o l’ambizione o l’irresponsabilità… no, assolutamente, sono troppo evoluta per farlo!
Tuttalpiù, posso prenderne nota e… e poi stuzzicarvi quando è il momento, in modo da aiutarvi a confessare a voi stessi le vostre intenzioni. Zifed

Lasciamo dunque che sia valido quanto già una volta è stato detto: «Non giudicare gli altri perché non ne hai il diritto né la capacità; giudica invece te stesso perché solo tu puoi veramente e onestamente farlo, in quanto solo tu sei in grado di conoscere a fondo le tue intenzioni.
Sii comprensivo e indulgente con gli altri, perché non hai elementi sicuri per condannarli, ma sii severo ed esigente con te stesso perché, se tu lo vuoi, hai in te tutto il necessario per emettere un verdetto sul tuo aver compreso le cose. Basta soltanto che tu davvero lo voglia».
Quando ascoltate i nostri discorsi, molto spesso non li comprendete fino in fondo e vi appaiono irraggiungibili o idealisti o – addirittura – contraddittori; anche se le classificazioni e gli schematismi finiscono quasi sempre con il provocare un’immobilizzazione del ragionamento. Se non si riesce a conservare l’adeguata elasticità e apertura mentale, a volte, per aiutare la comprensione è necessario correre il rischio di creare artifizi di questo tipo; così vi darò una classificazione sommaria che vi aiuti ad accogliere, nella migliore prospettiva, ciò che vi andiamo dicendo, augurandomi però che ciò che vi dirò non abbia per voi un valore assoluto, in cui inquadrare a viva forza ogni nostro discorso.
Quando Viola vi parla dell’Amore con la «a» maiuscola è chiaro che vi parla di una meta ideale a cui prima o poi arriverete, ma che non è ancora alla vostra portata; così come il traguardo di una corsa è noto a chi sta per correre ma non è ancora da lui stato raggiunto.
Questo tipo di messaggi non è rivolto alla conoscenza del voi di adesso, ma alla comprensione e all’attuazione del voi di domani; così, non lasciatevi demoralizzare dal fatto di rendervi conto che quel tipo di messaggio – pur essendo bello e stimolante – non è alla vostra portata e non è attuabile se non in modo minimo da voi stessi.
Invece, quando io vi dico che dovete conoscere l’intenzione delle vostre azioni è un discorso proprio rivolto all’uomo di oggi perché l’uomo di oggi, così come quello di ieri e come quello di domani, ha sempre la possibilità di conoscere se stesso e solo la sua pigrizia o le sue paure o la sua poca volontà o poca disponibilità, gli impediscono di farlo. Quello che però genera più confusione è il contrasto apparente in certi temi trattati da due diverse entità; in realtà il contrasto o la contraddizione sono solo apparenti e vanno fatti risalire alla diversa prospettiva in cui il tema trattato è stato osservato.
Noi tutti abbiamo cercato, al fine di non fare discorsi troppo complessi, di scindere l’analisi di qualche argomento secondo due ottiche di base: una che tiene conto di ciò che riguarda l’argomento trattato nei suoi effetti all’esterno dell’individuo, l’altra che tiene conto degli effetti che sono all’interno dell’individuo. Abbiamo così affermato che è meglio che l’individuo agisca in modo egoistico ma consapevole, piuttosto che in modo altruistico ma dovuto solo alla paura di una punizione da parte della società; chiaramente in questo caso il messaggio va riferito alla realtà interna dell’individuo e non tiene conto degli effetti provocati all’esterno dell’individuo con la sua azione.
È accaduto poi che, in un altro momento, affermassimo che non si deve nuocere agli altri poiché ogni essere va rispettato e amato, e la cosa appare in contrasto, ma non è così: ogni uomo dovrebbe esaminare il proprio operato, osservando la sua realtà interna, ma dovrebbe riuscire anche a non dimenticare che le sue azioni si ripercuotono su tutti gli altri uomini che lo circondano, perché solo ricordando questo riuscirà a fare, prima o poi, quello sforzo che lo porterà a mutare il proprio comportamento esteriore dapprima e, in seguito, anche il proprio comportamento interiore. Moti

Così, quando abbiamo parlato della morale io ho affermato senza esitazione che ogni morale è relativa, soggettiva e quindi sbagliata; ciò non significa certo che le regole morali non possiedono – relativamente e soggettivamente – una loro utilità, ma significa che ogni individuo deve arrivare ad agire moralmente per evoluzione raggiunta e non per regola imposta, e che le leggi, la morale e ogni tipo di condizionamento hanno la funzione di limitare le azioni dell’individuo e di indurlo a percepire e a comprendere quei contrasti che quella legge e quella morale gli fanno vivere, obbligandolo in qualche modo a rendersi conto che esistono anche i bisogni degli altri e non solo i propri.
Così l’uomo che ha davvero superato per comprensione l’idea dell’immoralità insita – per esempio – in quell’aspetto naturale che è la sessualità, non agirà certo in modo tale da esibire a un pubblico impreparato il suo erotismo, conscio che scandalizzare chi non può accettare un’idea nuova non è certo segno di raggiunta evoluzione. Scifo

Ecco perché vi diciamo spesso di non voler convincere nessuno: proprio perché sappiamo quanto sarebbe ingiusto e immorale il fatto che noi volessimo costringere a credere – sempre che poi fosse davvero possibile farlo – qualcuno che non è pronto. Moti

Le leggi e la morale sono dunque necessarie per regolamentare i rapporti tra gli uomini, fino a quando, almeno, l’uomo non arriverà ad agire all’unisono con la moralità insita nella sua coscienza, cosicché il suo vivere tra gli altri sarà regolato da lui stesso, senza bisogno di imposizioni di nessuna sorta. Scifo

Se voi sapeste ascoltare e seguire davvero, fratelli e sorelle, ciò che la scintilla divina che è in voi, in continuazione, cerca di suggerirvi, ecco che non vi sarebbe alcun bisogno di leggi, ecco che i vostri concetti di moralità non avrebbero alcun senso, perché essa vi parla d’Amore, ed è l’Amore la concezione morale più elevata, che nobilita ogni azione, ogni pensiero e ogni sentimento. Viola

Poiché invece, amici, siete tutti tendenzialmente dei porcelloni egoisti, pronti a ricercare il piacere, la soddisfazione materiale, l’esclusività degli affetti, la supremazia, la prevaricazione a tutti i costi e con ogni mezzo, dal più sottile al più aperto, ecco che uomini di buona volontà – ma purtroppo anche loro, in fondo, ancora porcelloni – hanno creato leggi, morali e ideali morali. Zifed

Tuttavia, ricordate che tutto è necessario e nulla è casuale; così le leggi e gli ideali morali – anche se errati – hanno una loro necessità, l’hanno avuta e l’avranno; necessità del momento anche se, modificata la realtà interiore dell’uomo, dovranno subire necessariamente una modifica anche le leggi e gli ideali morali; modifica che – alla lunga – porterà proprio alla scomparsa di ogni legge e di ogni morale o ideale soggettivi.
E il segno di questo mutamento, figli cari, si avverte proprio in quei fattori che – a prima vista – appaiono negativi e involutivi, in quanto segnano proprio un risveglio della coscienza individuale a valori più elevati, anche se vissuti, per ora, in modo ancora inconsapevole e, quindi, egoistico. Moti

(1) Il canto dell’upupa, pag. 203 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Insoddisfazione e revisione di vita

d-30x30Insoddisfazione. Dizionario del

Assieme all’inquietudine, l’insoddisfazione è uno dei primi segnali che avverte l’individuo che non è soddisfatto della sua vita o, per lo meno, di una parte della sua vita.
Il suo scopo è indurre la persona a modificare qualcosa per sentirsi meglio e non avvertire il disagio procurato dall’insoddisfazione che può portare, alla lunga, a corrompere o alterare i rapporti che nel tempo si erano instaurati con se stessi e con gli altri.
Purtroppo, quando le Guide ci suggeriscono di modificare qualcosa per annullare l’insoddisfazione il risultato è che, solitamente, si cerca di modificare le situazioni esterne, invece di quelle interne: siamo insoddisfatti del nostro lavoro e allora si cerca un altro lavoro, siamo insoddisfatti del rapporto con il proprio compagno e allora si cerca un compagno diverso, e via dicendo.
In questo modo si può riuscire a mettere a tacere per qualche tempo la propria insoddisfazione ma non ad annullarla ed essa si ripresenterà ancora più avanti nel tempo.
Questo accade perché ciò che va cambiato è al nostro interno, non all’esterno: se non cambiamo la nostra interiorità qualsiasi cambiamento che faremo solo all’esterno non avrà altro risultato che ripresentarci l’insoddisfazione e la sofferenza che porta con sé in maniera ancora più accentuata perché, nel frattempo, probabilmente altri elementi causa di insoddisfazione si saranno aggiunti a quelli di partenza, rendendo sempre più difficile interrompere quel circolo vizioso che si è andato creando.

Messaggio esemplificativo (1) 

Fratelli, quando vi accorgete della vostra insoddisfazione, quando vi accorgete che la vostra vita non vi gratifica o «sembra» non gratificarvi o darvi ciò che voi volete, quando sentite quel nervosismo sotto pelle che rende i vostri giorni noiosi, sempre uguali, insopportabili a volte, fermatevi un attimo prima di dare il via a una catena di cause-effetti che vi porterà verso una sofferenza maggiore; fermatevi per il vostro stesso bene ed osservate ciò che state vivendo, non proiettando sugli altri le colpe della vostra insoddisfazione, ma cercando dentro di voi i segni di essa in modo tale da poterla risolvere, da poter comprendere cos’è che vorreste veramente, e a quel punto, se davvero volete dare una svolta alla vostra vita, darla nel modo migliore e che meno sofferenza possa poi portare per voi.
Il senso di insoddisfazione deriva sempre da un messaggio che il vostro sentire vi manda: senza dubbio il vostro corpo akasico, allorché si trova in una situazione di cristallizzazione, deve fare qualche cosa per smuovervi da quella situazione, altrimenti la sua esperienza risulterebbe inutile, non vi sarebbe nuovo allargamento di sentire, nuova comprensione; ecco così che le vibrazioni che continua ad inviare assumeranno un’intensità tale per cui l’individuo sarà portato a reagire in qualche modo all’interno del piano fisico per uscire da questa cristallizzazione, e questo – come ho detto prima – farà sì che sia l’Io stesso dell’individuo a portarlo ad agire; tanto è vero che, esaminando come vi comporterete, cioè come il vostro Io vi avrà spinto a comportarvi, sarebbe possibile arrivare a comprendere quali sono le vostre motivazioni e qual è la vostra necessità di comprensione. Perché ricordate che alla fin fine l’Io, questa risultante, quest’ombra sul piano fisico di voi stessi, non è altro che l’esempio di ciò che il vostro corpo akasico non ha ancora compreso e quindi su esso è giusto operare il più possibile. Rodolfo

Ricordate che le situazioni opposte non è detto che vogliano dire cose opposte; anzi, quando un individuo è talmente soddisfatto della sua vita, è talmente contento di ciò che sta facendo – specialmente allorché lo sbandiera di fronte a tutti – è talmente gratificato da tutto ciò che vive, molto probabilmente verrà il momento in cui si troverà di fronte alla necessità – spesso obbligata – di dover modificare gran parte di ciò che riteneva fisso e acquisito nella sua vita.
«Cattiveria», direte voi: sembra veramente un cattivo scherzo del destino che quando l’individuo, apparentemente, ha trovato la felicità, ecco che l’esistenza fa in modo da portargliela via appena possibile! Ma, se ci pensate bene con un attimo di attenzione, capirete che non è assolutamente così.
Certamente l’individuo può essere felice, può essere contento, può essere gratificato dal suo lavoro, dalla sua famiglia, dalla sua casa, da ciò che possiede, ma se veramente tutto ciò che ha gli desse tutto ciò di cui ha bisogno…
Riuscite ad immaginarvi una situazione del genere? A quel punto, quanto tempo passerebbe prima che tutto questo diventasse per lui un’abitudine e quindi finisse per diventare qualcosa di insopportabile, qualcosa di non più gratificante, qualcosa di ormai dato per scontato, qualcosa di cui – alla fin fine, sì – cercherebbe anche di fare a meno?
Questo significa che qualsiasi cosa, sottoposta al vaglio di un Io non compreso, di un’interiorità non osservata, alla fine può portare all’abitudine e all’insoddisfazione. L’unica ricetta, quindi, per essere sempre felici non è quella di non avere travagli nella vita, non è quella di non avere sofferenze nella vita, non è quella di non avere dolori, di non avere problemi, di non avere contrasti, di non avere soldi e via e via e via, ma è quella di affrontare ognuna di queste situazioni come fosse una cosa nuova, necessaria, dalla quale si può imparare, trarre qualche cosa; perché – rendetevene conto – comunque sia, ciò che vivete dovete viverlo, e non soltanto perché rientra nel vostro karma ma anche perché rientra nel disegno divino, e voi fate parte del Disegno Divino e, quindi, in qualche modo, malgrado il vostro supposto libero arbitrio, dovete affrontare tutto ciò che nel Disegno sta scritto perché, altrimenti, se non affrontate quelle esperienze che sono scritte nel Disegno, non riuscirete a comprendere, non riuscirete ad andare avanti nel cammino, non riuscirete, un po’ alla volta, ad osservare il Disegno dall’alto invece di essere fili inconsapevoli del Disegno. Ognuno di voi deve essere pronto a rimettere in discussione la propria vita, mantenendo magari le posizioni che ha raggiunto ma non accontentandosi di esse, non fermandosi alle acquisizioni raggiunte ma cercando di allargarle, di migliorarle, anche soltanto nelle sfumature; non è detto che dobbiate modificare completamente ciò che avete compreso fino a quel punto ma, senza dubbio, dovete cercare di allargare nei particolari la vostra comprensione.Non soltanto l’individuo che ama «vede» i cambiamenti nell’altro, ma è tenuto a ricercarli! Allo stesso modo, voi non soltanto dovete accettare le vostre comprensioni, ma siete tenuti a cercare di ampliarle; proprio quello è il vostro compito finché siete incarnati, e per qualche tempo anche dopo. Scifo

(1) L’arcobaleno interiore, pag. 117 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Inquietudine e consapevolezza

d-30x30Inquietudine. Dizionario del

“State attenti a voi stessi” ci esortano le Guide, volendo dire, con queste semplici parole, che quando si è incarnati è necessario porre attenzione a quelli che sono i propri movimenti interiori.
Riuscire a far questo (oltre a far arrivare al corpo della coscienza più velocemente e in maniera più «pulita» i dati che gli sono necessari per allargare il suo sentire) significa praticamente per l’uomo incarnato avere i mezzi per prevenire o rendere meno opprimente la sofferenza. E questo, certamente, non è un vantaggio da poco. L’inquietudine che avverte l’individuo è il sintomo principe che indica che c’è qualche cosa di non compreso che disturba la normale conduzione della vita. Quindi, ci è stato insegnato, quando ci sentiamo inquieti dovremmo fare un attimo di pausa e cercare di arrivare a individuare quali sono le cause della nostra inquietudine, anche se non si tratta sempre di una cosa semplice in quanto essa nasce solitamente dallo scontro tra ciò che ci suggerisce la nostra coscienza, la nostra comprensione, e ciò che desidera l’Io.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Inconscio e conscio secondo il Cerchio Ifior

d-30x30Inconscio e conscio. Dizionario del

Negli anni le Guide hanno parlato spesso di psicoanalisi, cercando di indicarci cosa c’è di valido in essa e cosa c’è di sbagliato.
Riassumendo al massimo quanto ci hanno detto credo che il punto principale sia questo: se non si dà una vera disponibilità all’analisi non c’è nessuno che possa davvero aiutare la persona in difficoltà. D’altra parte, se davvero si «sente» che è giunto il momento di comprendere la propria interiorità, non c’è bisogno di intermediari con la propria coscienza, ma il lavoro può essere fatto dalla persona stessa, anche se un terapeuta che faccia da guida al paziente può rivestire una certa utilità, quanto meno per fornire al paziente stesso un metodo di autoanalisi e una sorta di «obbligo» a continuare.
Secondo le Guide resta il grande merito della psicoanalisi di aver individuato ed esaminato il gran numero di meccaniche interiori dell’individuo e le complesse interazioni tra di esse.

Messaggio esemplificativo (1)

Ciò che noi prospetteremo nel futuro è un inconscio da comprendere: un inconscio da sfrondare dal falso moralismo, dal perbenismo interessato, da tutti questi fronzoli che ponete voi stessi a voi stessi, sforzandovi in tutti i modi, attraverso quella creatura fittizia che è il vostro Io, per ricacciare dentro di voi quell’Amore che sentite premere e che vi fa paura.
Eppure giorno verrà che questo Amore riuscirà ad arrivare alla superficie e allora, in quel momento, non avrete più bisogno dell’Io, non avrete più bisogno dell’inconscio, non avrete più bisogno neppure della realtà fisica. Vi basterà quell’Amore ed esso sarà tutto per voi, così come voi sarete tutto per Lui. Scifo
Mi scuso anticipatamente per il mio imbarazzo e le mie difficoltà in quanto ho lasciato il mondo fisico da poco tempo e non sono molto abituato a questo tipo di cose.
Anche se qualcuno di voi ormai mi conosce (in quanto ho seguito insieme a voi l’insegnamento dei Maestri) io sono Willi. Sono stato invitato a venire e a parlare di quella che è stata la mia esperienza con una psicanalista.
Come avevo già detto, le Guide mi hanno detto di raccontare quelle che erano state le mie reazioni e le mie difficoltà nell’affrontare questo approccio con una persona che, in qualche modo, scava dentro di te e cerca di far affiorare quella che, apparentemente, sembra essere la tua vera personalità… questo per quanto riguarda la psicanalista, perché noi sappiamo che il discorso può essere diverso. Io cercherò di farlo, stasera, però ho bisogno di tutta la vostra collaborazione.
La cosa più difficile è stata il fatto che le Guide mi hanno suggerito di non dire quello che era il mio problema reale in quanto questo, secondo loro, non ha importanza, ma ha importanza, invece, il fatto di parlare di come io mi sentivo nel trovarmi di fronte a una persona che, per lo meno le prime volte, era completamente sconosciuta.
Non posso dire che questo approccio con la mia psicanalista sia stata una cosa facile, per due ragioni precise: prima di tutto perché non era stata una vera e propria scelta, in quanto andare dalla psicanalista è stata una soluzione da me adottata per acconsentire ad un desiderio, ad un bisogno dei miei genitori. La seconda difficoltà l’ho trovata nel fatto che, sebbene io fossi noto a tutti (ai miei fratelli, ai genitori, ai professori, a tutti coloro che in qualche modo mi conoscevano) come un irriducibile chiacchierone, quando mi sono trovato di fronte a questa persona non riuscivo a tirare fuori neanche una parola, le mie risposte erano molto concise e, molto spesso, si limitavano a dei sì o dei no. Questo, per lo meno, per quanto mi accadeva le prime volte.
Quando l’analista, che era una donna ed aveva un’impostazione tipicamente freudiana, mi faceva delle domande dirette e ben precise che toccavano un pochino quello che era il mio problema, riuscivo a sottrarmi dal dare delle risposte dicendo che non avevo capito che cosa mi aveva chiesto, oppure cercavo di prendere tempo facendomi cogliere da degli accessi di tosse che erano più o meno lunghi a seconda della domanda difficile che mi aveva posto, o della sua intensità emotiva.
Mi rendevo conto che, insomma, si stava creando praticamente, tra me e lei, un muro altissimo e, spesso, invalicabile e che non si riusciva ad abbattere; era quasi come se io fossi «geloso» della mia parte interiore. Gli incontri, che si svolgevano in sedute di un’ora due volte alla settimana, non erano i classici incontri che ognuno di voi può conoscere, col paziente sdraiato sul lettino e l’analista alle spalle, come osservatrice. No: i primi incontri erano fatti con noi seduti su comode poltrone che chiacchieravamo come se fossimo amici da lungo tempo. Inoltre questa persona, quest’analista, era un individuo che ispirava simpatia ma, nonostante questo, non riusciva a farmi parlare e questo andava contro a quello che io ero a conoscenza di me stesso, in quanto ero un tipo che facilmente parlava con chiunque, anche con degli sconosciuti, e parlavo proprio perché mi piaceva parlare; ma si era creato questo muro.
Da questa situazione io mi rendevo sempre più conto che questi incontri, questi colloqui, erano totalmente inconcludenti, non mi servivano a niente, e tutto questo portava la sfiducia in quello sforzo che io facevo nell’andare due volte alla settimana dall’analista a… chiacchierare.
Allora, un bel giorno, preso il coraggio a quattro mani, le ho detto che, secondo me, era perfettamente inutile continuare in quanto sentivo che tutto ciò non mi sarebbe servito praticamente a niente. Lei non ebbe nessuna reazione particolare e mi rispose semplicemente che se la mia impostazione era quella della sfiducia era veramente perfettamente inutile che io mi presentassi da lei.
Non vi dico la mia gioia quando mi disse queste parole, la salutai affettuosamente come se fosse una carissima amica e me ne andai convinto che non ci saremmo rivisti più, almeno per questo tipo di incontri. Ma, dopo una settimana, mi sono accorto che quell’incontro mi mancava; mi sono accorto che tutto sommato le sue parole (forse più delle mie) mi servivano veramente a qualche cosa. Allora sono stato io a ritornare da lei perché avevo capito che, tutto sommato, a lei non importava granché di come, in realtà, io ero fatto interiormente, di quelli che potevano essere i miei reali problemi: a lei importava, semplicemente, ricondurmi ad un comportamento «normale»; a lei importava che io superassi, e qua dico le sue parole, «quella attività fantasmatica più o meno organizzata che sta alla base del comportamento dell’uomo, dell’individuo, un comportamento non reale e che va al di là delle stesse aspettative dell’individuo».
Da quel momento incominciai a frequentarla con una certa regolarità e, poverina lei, cominciai veramente a parlare molto più apertamente, anche se devo ammettere che altre difficoltà, poi, mi si presentarono. Ma penso che per questa sera possa bastare e spero di essere stato chiaro. Vi saluto tutti, ciao. Willi

L’attività fantasmatica, per dirla alla Freud, o «i fantasmi della mente» come usiamo chiamarli noi, costituiscono una scena immaginaria in cui l’individuo si immerge come attore, o solo come spettatore, in conformità con quelli che sono i suoi bisogni o le sue pulsioni diverse. L’attività fantasmatica freudiana vuole dirci che l’individuo crea un comportamento fittizio non reale nel quale, appunto, tende a soddisfare i desideri o i bisogni repressi. Questi fantasmi che danno origine a tali comportamenti possono essere inconsci, preconsci (per dirla sempre alla Freud) e, a volte, consci, anche se esistono sempre dei «fantasmi originari» che hanno un’origine atavica. L’analisi e lo studio di questi fantasmi può aiutare a comprendere quelle che sono, appunto, le cose represse, le proiezioni… in poche parole, i problemi dell’individuo.
Ma cerchiamo un attimo di vedere in linea di massima (anche perché non possiamo certamente spendere delle ore a parlare delle teorie freudiane) com’era costituita la personalità secondo il caro amico Sigmund. In particolare cerchiamo di vedere che cos’era l’inconscio.
In una prima fase dei suoi studi l’inconscio rappresentava un complesso psichico che racchiudeva le pulsioni, i bisogni che non riuscivano a trovare l’estrinsecazione e una manifestazione a livello di comportamento, quindi tutto ciò che veniva dall’individuo represso fin da bambino.
In un secondo periodo, susseguente ad altri studi che Freud aveva fatto, l’inconscio non indicava più la sfera d’un complesso psichico, ma era soltanto un attributo di alcune (di due in particolare) delle tre istanze che costituivano il vero complesso psichico dell’individuo.
Questo complesso psichico era costituito da una prima istanza da lui chiamata Es o Id che non era propriamente l’inconscio anche se aveva le stesse caratteristiche della definizione da lui stesso data di inconscio nella fase precedente: l’Es rappresentava il serbatoio delle pulsioni dell’individuo, pulsioni che, in linea di massima, non riuscivano ad avere un’estrinsecazione e, quindi, ad arrivare alla fase precosciente e, ancor meno, alla fase cosciente. Tutto ciò che fa parte di questo serbatoio, di questo Es è inconscio, cioè inconsapevole.
La seconda istanza è rappresentata dall’Io: l’Io, secondo il buon Freud, è ciò che si vede praticamente dell’individuo; l’Io è preposto all’attività logico-mentale, l’Io è legato alle percezioni, quindi all’attività fisica del corpo, tuttavia anche l’Io ha una parte inconscia. Questo Io ha una certa autonomia anche se è strettamente legato all’Es da cui riceve gli impulsi per l’azione e all’altra istanza chiamata Super-Io che controlla la qualità di queste azioni.
L’ultima istanza, come vi ho appena detto, è quella da lui chiamata Super-Io. Il Super-Io sarebbe, per dirla proprio semplicemente, una specie di coscienza che si erge a giudice dei comportamenti messi in atto dall’Io.
Non vado oltre, anche perché diventerebbe una cosa noiosa, però voglio fare un piccolissimo raffronto con quanto noi siamo andati dicendo in questi lunghissimi anni.
L’Es di Freud potrebbe essere assimilabile ad una interazione tra il corpo fisico con i suoi bisogni e le sue pulsioni e il corpo astrale, in quanto sede del desiderio. Il Super-Io potrebbe essere paragonabile all’interazione tra la parte più sottile del corpo mentale e il corpo akasico, mentre l’Io potrebbe essere la risultante delle interazioni tra questi quattro corpi.
Freud nei suoi studi non poteva tenere conto di quelle che noi sappiamo essere le altre componenti dell’individuo, ovvero il corpo astrale, il corpo mentale e il corpo akasico, lasciando perdere gli altri corpi sugli altri piani per non complicarci le cose.
Ma ancora precedentemente era stato detto che ciò che noi abbiamo definito come «inconscio» se poi è possibile trovare questa definizione esiste sia a livello fisico, sia a livello astrale, sia a livello mentale, sia a livello akasico. Allora, io dico: «È possibile, a questo punto, che esistano un Es, un Io, e un Super-Io a livello fisico, un Es un Io un Super-Io a livello astrale, uno a livello mentale ed uno a livello akasico? Vito
Voi avete discusso, pensato, cercato in qualche modo di comprendere quanto io e Vito abbiamo affermato in precedenza, ed è evidente che questo ribaltamento della prospettiva in cui osservare il discorso riguardante l’inconscio, il conscio e il preconscio ha portato al vostro interno un vero e proprio sbilanciamento, creandovi delle difficoltà a fare delle connessioni logiche fra questa nuova prospettiva e quanto siamo andati dicendo nel corso degli anni precedenti.
È proprio per questo motivo che ho pensato bene di lasciare per qualche tempo da parte l’affrontare il discorso attraverso questa prospettiva, in quanto evidentemente non possedete ancora l’elasticità mentale giusta per poter mettere in atto alcuni degli insegnamenti più spesso ripetuti nel corso degli anni precedenti.
“Quali insegnamenti?», direte voi.
Uno di questi insegnamenti è sempre stato quello di ricordarvi di essere pronti a rinunciare, a mettere da parte le cognizioni acquisite, in quanto a mano a mano che si procede lungo il cammino della verità necessariamente certe verità, ampliandosi, assumono prospettive e connotazioni diverse, così diverse che a un certo punto possono apparire quasi in contrasto con quanto si sapeva fino a un momento prima: quella stessa cosa che fino a un momento prima sembrava una verità assoluta, certa, acquisita, risulta in qualche modo differenziabile.
Quindi l’insegnamento dell’essere pronti a rinnovarvi, a nascere ogni giorno diversi, ad accettare a mano a mano che vi si presentano questi allargamenti di orizzonte, perché è soltanto attraverso questi allargamenti di orizzonte, alla rinuncia del vecchio per arrivare ad una nuova verità, che veramente «il sentire» riesce ad acquisire quegli elementi sempre più complessi, quelle sfumature sempre più difficili da precisare che sono necessarie per completare la sua costituzione, il suo allargamento, il suo ampliamento all’interno della vostra coscienza; in quanto, senza questo ampliamento, senza questo allargamento, non riuscireste ad uscire da quel continuo morire e nascere che costituisce la croce individuale che ognuno di voi si porta a spasso da parecchie migliaia di anni.
Uno dei punti di maggior difficoltà è nato da due definizioni apparentemente diverse che abbiamo fornito a proposito di questi argomenti. Noi affermiamo che, partendo dal piano fisico, l’inconscio era tutto ciò che era «prima» del piano fisico; partendo dal piano astrale l’inconscio era tutto ciò che era «prima» del piano astrale; e tutto questo, insomma, era relativo a che cosa? Al punto del piano di esistenza sul quale l’individualità aveva la sua consapevolezza.
Ecco quindi che, a mano a mano che la consapevolezza dell’individualità si sposta attraverso i vari piani di esistenza, diventa inconscio tutto ciò che è al di fuori della sua consapevolezza; cosicché colui che ha la consapevolezza stabilita all’interno – che so io – del piano akasico, è inconsapevole in gran parte, o totalmente, di ciò che è sui piani precedenti, per arrivare alla famosa Scintilla e quindi, naturalmente, anche all’Assoluto.
A quel punto io, sempre «la pietra dello scandalo», sono arrivato affermando che se – come dicevamo nella prima definizione (e questo è un punto di contatto fra le due definizioni) – si può definire conscio tutto ciò che appartiene alla coscienza, che arriva alla coscienza, allora poiché noi per coscienza intendiamo il corpo akasico dell’individuo, cioè quel corpo nel quale le comprensioni si iscrivono dopo aver tratto i frutti utili dall’esperienza, ne conseguiva che il conscio non era sul piano fisico, ma che si poteva definire conscio ciò che è sul piano akasico.
E questo chiaramente ha cozzato contro la vostra rigidità mentale arrivando a mettervi in difficoltà e anche in imbarazzo in quanto, ad un osservatore esterno al Cerchio che non avesse la fede che voi potete nutrire – più o meno – per questi lunghi anni di insegnamento, quanto abbiamo affermato può sembrare un momento di pazzia delle Entità, un momento di auto contraddizione e quindi un momento di dubbio, cosicché certamente – se una persona esterna vi chiedesse spiegazioni su questo comportamento e queste apparenti contraddizioni – sono sicuro che la maggior parte di voi si troverebbe in imbarazzo nel dare una risposta comprensibile o accettabile.
In effetti il fatto che nella prima definizione avrei definito come conscio ciò che era sul piano fisico prima di tutto, e inconscio tutto ciò che non arrivava al piano fisico e quindi corpo astrale, corpo mentale, corpo akasico, e via e via, mentre invece ultimamente ho affermato che in realtà conscio è ciò che è alla coscienza, quindi ciò che appartiene al corpo akasico dell’individuo può sembrare una contraddizione.
E, certamente, potremmo continuare su binari molto più normali, continuando a fare lezione sulla psicanalisi ed esaminando qua e là quei punti che possono o meno avere dei contatti con il nostro insegnamento, prendendo – che so? – il discorso sulla libido e rapportandolo all’energia, alla vibrazione così come noi la concepiamo; possiamo prendere l’istinto di vita e di morte e rapportarlo alla spinta reincarnativa dell’individuo, e via dicendo, però al di là di questo confronto forse non riusciremmo ad andare.
È necessario, invece, cercare di vedere, nella realtà dell’individualità, del suo cammino, «come» questi elementi funzionano, come danno queste spinte, quali sono le meccaniche che aiutano l’evoluzione secondo gli schemi che possiamo aver dato.
Proviamo, adesso, a interpretare quel poco che è stato detto a proposito delle teorie freudiane cercando un raffronto, un parallelo, un punto di contatto o di distinzione da quanto noi abbiamo affermato in questi anni.
Conscio, naturalmente, è tutto ciò che è alla coscienza quindi, in teoria, esattamente all’opposto di inconscio. Ora diciamo che la terminologia usata in questo caso da Freud può essere usata anche da noi poiché come schematizzazione può avere un suo valore, tuttavia vi sono alcune cose che non coincidono, non combaciano con le teorie freudiane.
D’altra parte, come capiremo andando avanti, è impossibile che vi sia esattamente questa coincidenza in quanto Freud ha costruito il suo castello teorico non soltanto su osservazioni sperimentali (e per questo, in realtà, spesso soggettive) ma anche senza tenere conto, senza poter tenere conto di quella parte della realtà dell’individuo che non è riconosciuta dalla scienza e, quindi, naturalmente, ottenendo una visione parziale e restrittiva di quella che è la realtà individuale di ognuno di voi. Ora, ciò che noi intendiamo per conscio è sì qualche cosa che è alla coscienza dell’individuo, ma il problema è la diversa connotazione di questa frase. Infatti, quando noi diciamo «ciò che è alla coscienza dell’individuo» non intendiamo ciò che è alla mente dell’individuo, non intendiamo ciò che egli pensa o riesce a pensare o crede di aver capito ma, veramente ciò che appartiene alla coscienza dell’individuo, ovvero a quella sua parte più elevata nella quale vanno inscritte tutte le sue esperienze e le capacità di comprensione che egli ha acquisito nel corso delle sue varie vite. Quindi una capacità di coscienza che non passa necessariamente attraverso la comprensione mentale e, quindi, non necessariamente si affaccia all’interno del piano fisico.
Questo, se ci pensate bene, non è altro che ciò che noi andiamo affermando da molto tempo allorché diciamo che la comprensione che porta poi all’allargamento del sentire di ognuno di voi non necessariamente viene da voi riconosciuta, compresa e accettata nel corso della vostra vita, ma che la comprensione può esservi stata ed essersi inscritta nel vostro corpo akasico senza che voi ve ne rendiate conto.
A questo punto, naturalmente non può che essere diversa anche la definizione di ciò che è preconscio, ovvero la fase in cui i vari corpi elaborano i dati ricevuti (senza che, magari, l’individuo a livello fisico se ne renda conto se non attraverso a una sensazione di confusione interiore) e cercano una risposta. Nel momento in cui vi è questa ricerca da parte dell’individuo, ecco che si può parlare di fase preconscia, in quanto la risposta è lì, sta per essere trovata, può essere trovata ma… non è detto che lo sia, cosicché può restare preconscia senza riuscire, per lo meno in quel momento, ad iscriversi nel corpo akasico.
Mi sembra che il discorso sull’inconscio non possa essere che una logica conseguenza di tutto questo: se abbiamo definito come conscio la comprensione che si trascrive nel corpo akasico e che quindi diventa attiva, scritta, fissa nella coscienza, se abbiamo descritto come preconscio tutta quella zona in cui vi è il lavorio alla ricerca della comprensione, non può essere che definito come inconscio tutto l’insieme dei vari stimoli che provengono dai vari corpi dell’individuo prima di poter arrivare alla sua coscienza, ovvero quegli stimoli che influiscono attraverso l’esperienza, all’interno del piano fisico attraverso le situazioni (e che, quindi, stimolano qualcosa nell’individuo), quegli stimoli che muovono le emozioni e i desideri del suo corpo astrale mettendo in moto le forze che alterano l’equilibrio dell’individuo e che, quindi, gli fanno avvertire quella tensione, a volte dolorosa e insoddisfacente, che lo spinge a muoversi, a cercare una risposta per mutare la propria condizione, infine, quegli stimoli che smuovono le energie del suo corpo mentale facendo sì che, grazie a queste energie, egli esamini tutte le componenti che gli stanno arrivando e cerchi, veramente, di arrivare alla comprensione.
Senza dubbio il discorso è abbastanza rivoluzionario in confronto alle teorie solitamente divulgate e senza dubbio, anche, pur avendo la sua utilità, il dover schematizzare per aiutare la vostra comprensione, può far correre il rischio di far sembrare quanto noi diciamo un insegnamento settoriale, parziale, in cui le varie bamboline si incastrano automaticamente l’una nell’altra per formare quell’insieme che è l’individuo. In realtà, e noi ve lo diciamo sempre, le parole che noi usiamo sono fatte (così come gli esempi) per fornirvi un supporto mentale su cui poter ragionare, ma parlare dei vari corpi dell’individuo, parlare di corpo fisico, astrale, mentale e akasico, non significa parlare di quattro parti dell’individuo ma significa, invece, parlare di un’unica parte che è l’individualità la quale ha queste componenti.
Quindi quattro parti (anche se ve ne sono altre) che hanno delle influenze all’interno dell’intera individualità, ma che non sono a sé stanti, sono interagenti, ed è quello il punto che è difficile da farvi comprendere, da abituarvi a considerare, ovvero che queste varie parti dell’individualità (così come per quella schematizzazione che abbiamo dato in conscio, preconscio e inconscio) non sono settoriali, o ben definite tra di loro, ma sono interagenti, e quello che importa è la sintesi che questa loro interazione provoca, ciò che esce come risultato della sintesi della loro azione all’interno dell’individuo.
Per aiutarvi a entrare meglio nella prospettiva che cerchiamo di farvi comprendere posso aggiungere che dovete pensare che in realtà, non vi è nulla per l’individuo che possa mai essere per sempre preconscio o inconscio solamente, ma che vi è questo passaggio della comprensione dall’inconscio al preconscio al conscio; quindi uno stesso elemento passa attraverso questi tre «settori».
Il che significa che vi è uno scambio.
Il che significa che qualcosa che apparteneva al settore inconscio appartiene poi al settore preconscio, portando con sé qualche cosa; e, lo stesso, ciò che appartiene al settore preconscio passa poi al settore conscio; quindi vi è un movimento di energia, uno scambio di attività, per cui non vi è né chiusura né separazione di alcun tipo ma è un mescolarsi di fattori che si scambiano tra di loro interazioni. Scifo

(1) L’Uno e I molti, vol. I, pag. 386 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior