“Non c’è bisogno di stare continuamente ad analizzarsi sul perchè e sul percome fate le cose. Cercate semplicemente di fare quello che dicono i maestri orientali ed occidentali, cioè di stare costantemente attenti a voi stessi. Fate attenzione a quello che fate e a quello che dite. Non c’è neanche bisogno di scervellarvi tanto sul perchè fate o dite, ma state attenti.
cerchio ifior
Maestro
Maestro: individuo che ha raggiunto una comprensione e che, per tale motivo, può aiutare altri individui sulla via della stessa comprensione. Non è necessariamente, quindi, un «illuminato», dal momento che ogni individuo può essere maestro di un altro in certi momenti e per determinate comprensioni. Ovviamente, maggiore è l’evoluzione raggiunta, più sono gli individui a cui è possibile essere maestri.
Le Guide ci esortano a non attribuire troppo facilmente l’etichetta di Maestro a chicchessia, specialmente se ci si trova di fronte a manifestazioni escatologiche: il vero Maestro possiede principalmente una grande umiltà e modestia, e il suo comportamento deve essere coerente con ciò che dice.
Altrimenti – affermano le Guide – è molto probabile che ci si sia imbattuti in qualcuno che nasconde, dietro ad atteggiamenti non sentiti, fini egoistici che hanno poco a che fare con il comportamento di un vero Maestro.
Viene definito Maestro di se stesso l’individuo che riesce a recepire e ad assecondare i dettami della propria coscienza.
Non comporta necessariamente l’acquisizione di nuova comprensione ma corrisponde alla possibilità di esprimere in maniera più completa, nel corso dell’incarnazione, l’evoluzione raggiunta fino a quel punto, cosa che, altrimenti, non riuscirebbe a mettere in atto.
Messaggio esemplificativo
E io sarò Maestro per te, figlio mio. tu mi starai accanto ed io ti starò accanto.
Tu desidererai ed io vedrò i tuoi desideri, tu amerai e io gioirò del tuo amore, tu soffrirai e io cercherò di lenire la tua sofferenza allorquando mi sarà possibile farlo. Tu chiederai ed io – se potrò – ti darò, tu pretenderai ed io – se potrò – ti darò, tu implorerai, ed io – se potrò – ti darò.
Tu ti aspetterai da me sempre dolcezza e amore e io – se potrò – dolcezza e amore ti darò, ma non aspettarti ciò che io non posso darti, figlio.
Se io sono qua per esserti Maestro, e tu sei qua per essermi discepolo, spesso inconsapevole, non attenderti che io risolva i tuoi affanni, poiché, se così facessi, non sarei un buon Maestro. Non attenderti che io ti indichi una sola direzione in cui andare, perché altrimenti costringerei la tua strada in una sola via mentre tu hai il diritto di vedere davanti a te spiegarsi l’intera realtà.
Non aspettarti che io sorrida sempre: il sorriso può essere utile e bello quando, dentro di te, a sua volta splende un sorriso; ma nel momento in cui tu il tuo sorriso lo tieni nascosto e stretto in un pugno in quel momento io, come Maestro, non potrò far altro che mostrarti a mia volta il pugno, affinché tu impari dalla mia mano come le mani si possono e si debbono aprire. Non aspettarti che io ti possa dire sempre la verità completa, totale, in quanto la verità completa e totale la potrai raggiungere soltanto allorché sarai pronto ad accettarla altrimenti ne faresti un cattivo uso.
Non aspettarti che altri credano in me soltanto perché tu magari in me hai fiducia; se io sono tuo Maestro questo non significa che altri debbano accettarmi come loro Maestro.
Non aspettarti che io faccia per te cose meravigliose: la cosa più meravigliosa che io posso farti è quella di insegnarti ad affrontare la vita ad accettarla, a viverla e a portare avanti il tuo cammino accorgendoti che non esisti tu solo, ma che vivi e fai esperienza insieme a tanti fratelli come te.
Non aspettarti che io ti porti al cospetto dell’Assoluto: soltanto tu, figlio mio, soltanto tu puoi incamminarti lungo quella strada e percorrere quel cammino.
Non aspettarti, insomma, da me nulla di ciò che non ti aspetteresti da chiunque altro. Se è vero che la mia evoluzione è maggiore della tua (e non può essere altrimenti, se no io non potrei esserti Maestro) tu non puoi veramente comprendermi, tu non puoi sapere il perché del mio comportamento, tu non puoi capire perché, magari, quando ti aspetti dolcezza io ti porgo indifferenza quando tu ti aspetti ira io ti do affetto.
Il fatto è, figlio mio, che mentre tu non sai, non sai ancora ciò di cui hai veramente bisogno, i tuoi bisogni sono per me, dal momento in cui sono tuo Maestro, la cosa più importante che nell’universo possa esistere, la cosa intorno alla quale ruota tutta la Realtà che ci vede uniti, io e te, in questa danza dolcissima che cerca di portarci verso il compimento della tua opera, piccolo tassello di quel mosaico che l’Assoluto ha dipinto nell’Eternità.
Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, pag.91
Se tu non fossi come sei
Se tu non fossi come sei
io non avrei nulla da dirti
ma mi ritirerei nella quiete del mio stato
perfezionando con calma e pazienza
la più piccola assonanza del mio essere.
Incominciare da poco e da vicino
“Non impegnatevi – esortano le Guide – con le grandi battaglie sociali o umanitarie se prima non avete combattuto quelle a favore di chi vi sta vicino perché ciò appagherebbe e gratificherebbe il vostro Io ma lascerebbe irrisolti i vostri più impellenti bisogni di comprensione interiore.
La vostra attenzione deve seguire una sorta di spostamento da voi stessi verso l’esterno: essa deve essere posta per prima cosa su voi stessi e sulle persone che condividono più da presso le vostre esperienze. La vostra società attuale tende invece a trascinare la vostra attenzione lontano da voi.
Non lasciatevi ingannare da falsi miraggi che sembrano poter tacitare con facilità le vostre responsabilità: è comodo altruismo aiutare chi non conoscete e mai, probabilmente, conoscerete veramente. È certo meglio adottare un bambino a distanza che non fare niente di niente per gli altri ma non è la stessa cosa che aiutare il bambino della porta accanto che, magari, ha altrettanto bisogno (e non solo economico)».
Esseri
“Voi vi stupireste se riusciste a percepire, a comprendere, in realtà quanto ogni vegetale abbia una sensibilità spiccata e forte, non molto diversa, in realtà, da quella dell’uomo.
La maggiore differenza risiede nel fatto che alla pianta è molto difficile poterla esprimere in modo comprensibile all’essere umano.”
Da “Verso la metamorfosi” pag. 158, Cerchio Ifior.
Ridere e piangere
Se il coniglio si fermasse a chiedersi perché l’aquila che sta volteggiando sopra di lui lo spaventa, la sua vita sarebbe lunga come un battito d’ali.
Se l’uomo si fermasse a chiedersi perché sta piangendo o sta ridendo, fermerebbe le sue lacrime o interromperebbe la propria risata e avrebbe perso l’occasione
Favola della lacrima
“Allora rispondimi – disse – quella che stai versando è una lacrima di gioia o di dolore?”
L’altro stette un attimo a pensare poi si illuminò in viso e disse: “Che sciocchezza! L’importante è che io riesca a piangere!”
da: La fonte del paradiso, Cerchio Ifior, pag. 165
Il sentire
Tratto dal volume 5 de: “L’Uno e i molti” pagg. 230-234, Cerchio Ifior
Il sentire, figli e fratelli, non è qualche cosa come voi potete immaginare che “diventa”, il sentire è qualche cosa che è, attimo per attimo, uguale a se stesso. Certamente alle parole dei Maestri voi avete l’impressione che il sentire sia un divenire, ma ricordate che fate parte del teatro delle ombre e che tutto ciò che vivete è un’illusione, e anche quest’impressione che il vostro sentire si accresca sempre di più appartiene anch’essa al mondo delle illusioni poiché il sentire, il vero sentire, non diviene ma è. Ananda
Come è difficile a questo punto riuscire veramente a comprendere quello che è il mio sentire, fratelli! Se tutto ciò che io vivo, tutto ciò che compio come esperienza è davvero illusione, allora anche il sentire che io manifesto o che penso di manifestare nel corso della vita è illusione…e questo concetto difficilmente riesco veramente a comprenderlo. Billy
Il fatto che il sentire non divenga ma sia, significa che in realtà voi avete già raggiunto tutto il massimo sentire che voi potreste raggiungere. E’ soltanto la vostra percezione, la vostra immedesimazione negli attori del teatro delle ombre che vi crea l’illusione di essere in movimento e di manifestare ora una, ora un’altra porzione di sentire.Questo, alla fine, è il compito più difficile che noi abbiamo, compito che cercheremo di perseguire nei cicli che verranno, quello di farvi veramente comprendere non soltanto con la mente, non soltanto a parole, che l’illusione la vivete veramente in tutti i momenti delle vostre vite: voi – e questo dovete arrivare a comprenderlo fino in fondo – siete già infinitamente migliori, più grandi, più pieni d’amore di come adesso vi sembri di essere; e questo non può essere che un motivo di conforto, di speranza e di certezza per tutti coloro che riescono ad afferrare e far propria la realtà e la profondità di questa verità.
All’interno della favola che avete esaminato questa sera c’è un unico personaggio che ha abbracciato il suo sentire e giustamente, creature, lo avete individuato anche voi indicandolo come l’anziano marito della donna malata. (1)
Oh, quante parole avete usato nel corso della discussione!, eppure, miei cari, ancora una volta c’è qualche cosa che non avete notato, qualcosa che nell’infinita sottigliezza del fratello Ananda vi è sfuggito. Certamente quell’uomo, quell’anziano tremante, ha raggiunto la pienezza del suo sentire e lo dimostra il fatto che spontaneamente egli è come è, ed è a un punto tale che il suo amore abbraccia il sentire dell’altra persona, si immedesima in essa e compie quell’atto consapevole che tutti gli altri, distratti dalle attrazioni dell’illusione circostante, compivano in modo approssimativo o sbadato, egoistico, prendendo cioè il chicco d’uva per la sua compagna.
Ma è qua che si manifesta il vero sentire, che va oltre quel sentire così come voi lo concepite solitamente, poiché colui che veramente ha raggiunto il sentire, certo, agisce spontaneamente come voi dicevate però il suo sentire diventa a misura dell’altro; e dover diventare a misura dell’altro significa che questa spontaneità deve essere indirizzata in modo tale che il proprio sentire, la propria spontaneità servano d’aiuto all’altra persona; altrimenti sempre e comunque l’uomo veramente evoluto non farebbe altro che dare e donare agli altri. Cosa è che si nota in quelle poche parole che descrivono l’immagine di Ananda?
Dopo aver preso il chicco d’uva l’uomo si ferma un attimo, una frazione di secondo; in quella frazione di secondo egli compie un adeguamento al suo sentire, alle necessità del sentire dell’altro, e la necessità del sentire dell’altro è tale per cui il suo sentire gli dice che egli deve si dar mostra alla persona amata ma anche a tutti gli altri che sono attorno che un atto d’amore è facile compierlo anche soltanto dando un chicco d’uva, tuttavia l’insegnamento non può fermarsi a questo punto ma deve andare oltre e deve mostrare alla compagna che richiede con egoismo che egli certamente va incontro ai suoi desideri, e non soltanto, ma fa più di quanto essa richieda in modo tale che, sbucciando il chicco d’uva e togliendone i semi, la donna noti questo atto, si renda conto che le è stato dato più di quanto ha chiesto e in quel momento abbia la possibilità di meditare più a lungo e con maggiore attenzione su se stessa.
Riuscite a capire il concetto? Ecco quindi che il Maestro come dicevate voi non sempre soltanto può dare la carezza o la gioia, ma il suo comportamento nei confronti di chi ancora deve crescere è tale che il suo sentire, rivolgendosi verso l’altro, percepisce quali sono i suoi bisogni evolutivi e di crescita, e quindi agisca in conformazione a ciò di cui l’altro ha bisogno, che non è quello che l’altro chiede!
Quasi mai voi chiedete ciò di cui avete veramente bisogno, troppe maschere vi mettete per farlo! Molto spesso avete bisogno di una parola dura, molto spesso avete bisogno di un attimo di sofferenza per fermarvi ed osservare con attenzione ciò che state facendo, dicendo e compiendo, ed ecco allora che il Maestro anche in questi casi, come atto d’amore vi darà ciò che veramente dovreste richiedere. Scifo
Riportiamo il testo della favola di Ananda oggetto della discussione di cui si parla:
Favola del chicco d’uva
Un giorno Krsna suonò lo zufolo per chiamare i suoi servitori affinchè gli eseguissero un compito particolare, ma il suono restò senza risposta perché tutti i suoi servitori erano già lontani per agire secondo i suoi desideri.
Ritenne allora che era giunto il momento di ammettere un altro essere umano tra i suoi deva e si informò, allora, di quali fossero le persone più piene di amore sulla terra. Gli vennero consigliati un fratello e una sorella che vivevano assieme al vecchissimo padre e alla vecchia madre, bisbetica e gravemente malata di stomaco e i quali, tuttavia, mostravano a tutti la loro grande pazienza e il loro grande amore nei confronti dei genitori.
Sorridendo, Krsna suonò tre volte lo zufolo e al terzo suono egli ebbe l’aspetto di un ricco zio dei due fratello che viveva in terre lontane e che da molti anni non vedevano. Suonò lo zufolo ancora tre volte e al terzo suono fu davanti l’uscio della casa dei due fratelli, a cui bussò. Il fratello maschio gli venne ad aprire e, riconosciutolo, gli fece grandi feste, facendolo entrare nella casa e chiamando a gran voce la sorella. Finito il momento delle reciproche felicitazioni si sedettero a parlare nella stessa stanza in cui il vecchio padre stava seduto, quieto, su di una seggiola, accanto al letto dove la madre giaceva.
Krsna cominciò a narrare delle terre che aveva, dei suoi possedimenti, delle sue mandrie e i due fratelli ascoltavano rapiti dalla descrizione di tali meraviglie. “Ho sete, figli miei, ho sete… oh, quanta sete che ho, datemi un bicchiere d’acqua – incominciò a lamentarsi la vecchia in modo petulante – non ne posso più, ah che sete!”.
Krsna intanto spiegava le stoffe meravigliose che le sue lavoranti producevano intessendo le fibre più pregiate e dai colori più delicati. “Quanta sete che ho – continuava intanto la vecchia – datemi un bicchiere d’acqua prima che io muoia, un po’ d’acqua, un po’ d’acqua…”.
Il figlio prese la caraffa posata sul tavolo, riempì un bicchiere e, attento a quanto continuava a raccontare Krsna, diede il bicchiere alla vecchia madre.
“Figlio mio, ho detto acqua, non vino! Dammi l’acqua, il vino non posso berlo!” si lamentò la vecchia, e continuò su quel tono fino a quando non ebbe il bicchiere d’acqua.
Krsna descrisse la sua casa dalle mille meraviglie e dal grande parco fiorito.
“Un chicco d’uva – riprese la vecchia – prima di morire vorrei un chicco d’uva, un bel chicco d’uva dolce!” e, intanto, Krsna descriveva le fontane aggraziate, le vesti eleganti delle sue figlie, e le statue e.. “Non chiedo altro un chicco d’uva, figli miei, – strepitava la vecchia – non è poi molto, un chicco d’uva! La figlia prese il cesto dell’uva che era sul tavolo e lo appoggiò ai piedi della vecchia, sul letto, ritornando poi accanto a Krsna che continuava a raccontare. “Ma è lontana – si lamentò la vecchia – non ci arrivo, il chicco d’uva dolce è troppo lontano.. insisteva con voce robusta e capricciosa.
“Insomma, basta che allunghi la mano e la puoi prendere!” esclamò la figlia senza distogliere lo sguardo e l’ascolto dallo zio affascinante.
Il vecchio padre, lento lento e tremolante, si alzò dalla sedia e, piano piano, si avvicinò al cesto d’uva. Da un grappolo staccò un chicco e avvicinò la mano tremante verso il viso della moglie. Poi la sua mano esitò, si fermò e tornò indietro. Con le dita malsicure e incespicanti il vecchio tolse la buccia al chicco d’uva, gli tolse i semi poi lo mise tra le labbra della moglie.
Krsna suonò lo zufolo e il tempo si fermò. Guardò i quattro esseri umani immobili nella stanza maliziosamente.
Suonò una prima volta lo zufolo e il figlio divenne cieco ad entrambi gli occhi. Suonò una seconda volta lo zufolo e la figlia ebbe le mani rattrappite per sempre. Suonò una terza volta lo zufolo e la vecchia, pur restando gravemente malata, ebbe altri trent’anni di vita. Suonò una quarta volta e il vecchio ritornò giovane ed ebbe l’immortalità.
Poi Krsna lo prese per mano e lo condusse con sé, beneamato tra i suoi servitori. Ananda
La quotidianità dell’evoluto
Tratto dal volume “La farfalla”, Cerchio Ifior, pag 311
L’individuo evoluto è l’individuo che vive la propria vita soffrendo per le situazioni difficili che gli si presentano, oppure rallegrandosi ed essendo felice per le situazioni belle, piacevoli che la vita gli porta.
L’individuo evoluto è colui che lavora e dal suo lavoro trae a volte gratificazione, a volte insoddisfazione.
L’individuo evoluto è l’individuo che ha, magari, una famiglia o dei rapporti affettivi, e a volte reagisce con trasporto, a volte invece lascia andare, e si mostra magari più egoista di quello che ci si potrebbe aspettare.
Insomma, l’individuo evoluto non è altro che un essere mano come tutti gli altri immerso in una esperienza da essere umano, nella quale si presentano le esperienze che anche gli altri esseri umani hanno.
Dove sta la differenza?
L’individuo evoluto si trova ancora davanti a esperienze dolorose, difficili, ma, pur soffrendo o pur sentendo queste difficoltà, non lascia che queste esperienze lo sovrastino e gli facciano dimenticare le persone che ha intorno, le responsabilità che aveva già prima di affrontare queste esperienze; non lascia, quindi, che queste esperienze dolorose vadano contro a quelli che sono i suoi doveri e i suoi voleri, non lascia che siano esse a guidare la sua vita, ma le accetta come parte della sua vita, da vivere e da risolvere se e soltanto è possibile.
L’individuo evoluto è quello che si reca al lavoro e incontra – come dicevamo prima – le difficoltà, le gratificazioni o le insoddisfazioni che può incontrare qualunque persona in ambiente lavorativo e che, pur tuttavia, non è recalcitrante a fare ciò che sa che deve fare, perché si rende conto che se ogni persona facesse per la società, in campo lavorativo, quello che dovrebbe fare, onestamente, sinceramente, cercando di fare del proprio meglio, senza cercare di calpestare gli altri e via dicendo, tante cose potrebbero cambiare nella società stessa.
L’individuo evoluto è quello che si rapporta con le persone con cui ha un rapporto affettivo, riuscendo a dare a queste persone ciò che sente che esse abbisognano di avere.
Il che vuol dire, saper essere dolci quando è il momento, saper essere duri in altri momenti, sapersi magari dimostrare egoisti al fine di far comprendere una parte dell’egoismo altrui, attraverso lo specchio di se stesso.
E, questo, è forse il compito più difficile che l’individuo evoluto possa assumersi, in quanto essere esempio, maestro per gli altri non è mai una cosa da prendersi alla leggera. L’individuo evoluto, quindi, non è necessariamente, come qualcuno può immaginare, l’individuo carismatico, il Cristo, l’illuminato che chiunque osserva può dire: “Costui è l’ultima incarnazione”.
Se così fosse, creature, quante persone che voi vedete intorno a voi potrebbero mai essere veramente all’ultima incarnazione?