Conoscenza, consapevolezza, comprensione nel ciclo delle vite

d-30x30Conoscenza, consapevolezza, comprensione nel ciclo delle vite. Dizionario del

Formato A4 per la stampa, 9 pagine.

Riparliamo per rendere più chiaro il discorso di coscienza e di consapevolezza visto che questo tema ha creato non indifferenti problemi nell’animo di alcuni di voi, e cerchiamo di fare brevemente un riassunto di quanto è stato affermato precedentemente.
Abbiamo detto che la coscienza è identificabile con il sentire.
La coscienza è identificabile dunque con il corpo akasico completamente strutturato. La consapevolezza è invece qualcosa di molto, molto diverso. Infatti la consapevolezza è la conoscenza di determinate verità indipendentemente dal fatto che queste verità vengano poi dall’individuo che ha quella consapevolezza accettate o meno.
Ma vi faccio un esempio: noi siano venuti qua per anni e anni a parlarvi di piano mentale e di piano astrale, ed ognuno di voi conosce l’esistenza di questi piani; tuttavia non avendo e non potendo avere una prova accettabile a livello razionale della realtà di questi piani di esistenza, non riuscite completamente ad accettarli.
Il fatto di essere a conoscenza di questa realtà è identificabile con la consapevolezza, la quale dunque, ripeto, è la conoscenza di determinate realtà indipendentemente dall’accettarle o meno.
Qualcuno di voi, razionale o meno, potrebbe obiettare che la consapevolezza è un fatto strettamente e squisitamente mentale, in quanto legato alla conoscenza. Ma io vi dico che non è così in quanto la consapevolezza vera e propria è anche legata ad un attività sensoria. Si può affermare, senza ombra di dubbio, senza timore di essere contestati, che la prima vera forma di consapevolezza è legata strettamente alla sensazione. Come già precedentemente vi è stato detto, avevamo affermato che il minerale ha una sua consapevolezza, in quanto egli inserito in un determinato ambiente fisico è consapevole di esistere. Questo significa che il minerale, con i suoi rudimentali apparati sensori, è in grado di ricevere da questi suoi stessi apparati sensori un certo grado di consapevolezza. Consapevolezza che logicamente, proprio in base ai discorsi che vi sono stati fatti fino ad ieri, tende ad ampliarsi via via che l’individualità si evolve, via via che l’individualità passa dunque dal regno minerale al regno vegetale, al regno animale, per arrivare al regno umano (anche se dire «regno umano» è qualcosa di facilmente contestabile).
Ma voi sapete anche che via via che l’individualità si sposta da un piano di esistenza ad un altro (intendendo per piano di esistenza in questo ambito, il regno della natura in cui è inserito), i corpi che esistono sugli altri piani si strutturano, migliorano le loro funzioni e quindi, in qualche modo, influiscono proprio sull’ambiente fisico. Questo significa che, se nel regno minerale l’individualità è costituita semplicemente dalla sua apparizione nel mondo fisico, nel mondo vegetale esiste già un qualche cosa di più strutturato a livello astrale, così come nel regno animale esiste già un qualche cosa di maggiormente strutturato sul piano mentale, così come nel regno umano esiste qualcosa di più strutturato nel piano akasico. Questo significa ancora che la consapevolezza incomincia a «sentire», a subire, ad essere diretta nel suo modo di essere, di esistere, anche dagli altri piani di esistenza, piani di esistenza che, però, proprio per essere tali, sono governati, dominati, indirizzati da quella che è la coscienza.
La consapevolezza dunque, a livello sensorio, esiste in tutti i regni della natura: nel minerale, il quale è strettamente legato ai suoi sensi fisici; nel regno vegetale il quale è ancora legato ai suoi sensi fisici; nel regno animale il quale è ancora legato ai suoi sensi fisici e così pure nel regno umano che è ancora legato ai suoi sensi fisici.

L’interesse per l’altro, l’amore oltre sé, la gratuità

Fai per l’altro senza aspettarti nulla in cambio;
non dare per ricevere;
sia il tuo interesse per l’altro qualcosa
che da solo basta per la tua felicità;
se davvero lo ami, sii vicino all’altro
qualunque cosa 
pensi o faccia,
perché il vero amore non ha bisogno
di essere corrisposto e,
quando tu ti aspetti di ricevere qualcosa,
allora stai attento a quello che
pensi,
perché già lì potresti trovarti in faccia
al tuo egoismo mascherato d’amore.
Scifo

continua..

L’impossibilità di giudicare: alcune ragioni

I corpi dell’individuo incarnato, come ormai dovreste sapere, non vengono costruiti lasciando al caso o alla natura e ai suoi processi fisiologici il compito di formarli, ma hanno uno stretto legame sia con il percorso evolutivo compiuto nel tempo dall’individualità che si incarna, sia con i suoi bisogni di sperimentare il mondo fisico per acquisire quelle piccole o grandi comprensioni che il suo corpo della coscienza non è ancora riuscito a sistemare al suo interno nel corso del suo incessante tentativo di adeguamento alle norme con cui la Vibrazione Prima ha pervaso il Cosmo in cui l’individuo incarnato si trova a essere inserito.

continua..

L’evoluzione della coscienza e del sentire

d-30x30Evoluzione della coscienza. Dizionario del

 

– Evoluzione della coscienza
I piani d’esistenza
Lo stato di coscienza
La coscienza di esistere e di essere
Il sentire

Formato A4 per la stampa, 11 pagine.

Il concetto di «evoluzione della coscienza» può essere assimilato a quello di evoluzione della razza, intendendosi con esso il cammino che ogni individuo compie nel corso delle incarnazioni umane per raggiungere il massimo «sentire».
Raggiunto il massimo «sentire», la massima evoluzione che si può ottenere dal peregrinare nel mondo fisico, l’individuo abbandonerà la ruota delle nascite e delle morti. Andrea

Evoluzione… evoluzione della forma, evoluzione della materia, evoluzione dell’autocoscienza… che cosa significano queste tre affermazioni?
Con evoluzione della forma, si intende il passaggio dalla forma più semplice di vita, quindi la forma minerale, a quella umana per poi arrivare alla super umana. Quindi l’evoluzione della forma significa che l’individuo che si incarna per la prima volta in un minerale, tende poi a costruire a poco a poco i suoi corpi sugli altri piani di esistenza passando da una forma di vita molto semplice, come può essere quella del cristallo, ad una forma di vita più complessa come quella vegetale, da questa poi a quella animale fino ad arrivare alla soglia della coscienza e di conseguenza ad incarnarsi come uomo.
Con evoluzione della materia si intende, invece, lo strutturarsi dei vari corpi siti sui diversi piani di esistenza dell’individualità.
Supponiamo che due individui si incarnino contemporaneamente, in una forma minerale: uno si incarna mettiamo in Africa, dove fa un gran caldo, l’altro in Islanda dove fa un gran freddo. Questi due individui pur essendo «nati» contemporaneamente, pur avendo gli stessi tipi di esperienze (in quanto, come ben potete immaginare, la forma minerale ha un numero limitato di esperienze) cominciano ad evolvere ed a costruirsi un embrione di corpo astrale che già ha delle piccole differenze tra il primo individuo e il secondo.
Dopo che hanno raggiunto la massima evoluzione nel regno minerale, essi passeranno nel regno vegetale ed avranno così nuovi stimoli che saranno utili all’evoluzione dei loro corpi. È chiaro che gli stimoli provenienti dall’esterno, dati principalmente dalle condizioni climatiche, saranno totalmente diversi per quei due ipotetici individui incarnati in Africa e in Islanda, cosicché la formazione degli altri corpi sarà a sua volta leggermente diversa nella sua struttura.
Questa larvata differenziazione diverrà sempre maggiore via via che quegli individui si incarneranno nei regni superiori.
Ed ecco che nel momento in cui essi si incarneranno come uomini, nel momento in cui cioè avranno terminato il loro ciclo di incarnazioni minerali, vegetali ed animali, essi saranno in qualche modo diversi, perché il loro corpo astrale ed il loro corpo mentale si saranno strutturati sulla base di esperienze differenti, anche se molto simili tra loro.
Saranno quindi queste prime differenze che porteranno poi queste individualità, nel momento in cui saranno uomini, ad avere comportamenti diversi di fronte a situazioni simili, e questo poi, in fondo in fondo, non è altro che una frantumazione della Realtà Assoluta, che in questo modo dà corpo a comportamenti diversi per giungere alla fine alla totale unione. Vito

Noi siamo concordi con l insegnamento che parla dell’evoluzione dell’individuo attraverso varie forme e non soltanto attraverso la forma umana.
Noi asseriamo, infatti, che ciò che oggi è un uomo, prima di essere un uomo era un animale, prima ancora di essere un animale era un vegetale e prima ancora di essere un vegetale era un minerale. Ecco, questo a ritroso è il cammino evolutivo di ognuno di voi.
Se potessimo seguire la vostra linea evolutiva all’indietro nel tempo arriveremmo ad un punto in cui la vostra individualità, esprimentesi ancora in un modo molto rudimentale, non era né in un uomo, né in un animale, né in una pianta bensì in un minerale, in qualche cosa che voi, solitamente, siete abituati a considerare completamente inerte e privo di vita. Tuttavia noi affermiamo anche che ogni essere, ogni creatura, ogni pianta, ogni cosa non è costituita solamente da materia fisica ma è costituita anche di materia di altri piani di esistenza.
Così potrei affermare che quel vostro Io minerale di tantissimo tempo fa non era costituito semplicemente di materia fisica ma aveva già in sé e attorno a sé una certa parte di materia astrale, di materia mentale e via e via e via, soltanto che la differenza tra il vostro Io minerale di allora (se così lo si può chiamare, e guardate che questa è soltanto una parola per esprimere non una realtà ma per far comprendere un concetto) ed il vostro Io di adesso è tale per una diversità peculiare che non riguarda tanto il tipo di materia fisica ma riguarda proprio una caratteristica che li diversifica sui vari piani di esistenza.
Qual è questa caratteristica? Questa caratteristica è semplicemente il modo in cui la materia che compone gli altri corpi dell’individuo astrale, mentale e akasico che stiamo esaminando è organizzata, è strutturata, è funzionale.
Intendo, con questo mio panegirico, farvi capire che un minerale pur possedendo ad esempio un suo corpo astrale ha la materia di questo corpo astrale informe e disorganizzata, ancora in via di formazione e ancora poco strutturata mentre, invece, la materia del corpo astrale di un essere umano ha già una struttura abbastanza uniforme e complessa che le permette di funzionare in modo adeguato.
Questo cosa comporta?
Comporta che il minerale, non avendo il veicolo strutturato in modo adeguato a poter recepire le sensazioni, a poter esprimere le sensazioni, ha una vita che è apparentemente inerte mentre l essere umano che ha i veicoli molto più formati e molto più adatti ad esprimere e trasmettere sensazioni ed emozioni, ha la possibilità di trasmettere anche attraverso la gestualità, attraverso la materia del suo corpo fisico, queste sue emozioni, queste sue sensazioni.
Tutto questo discorso è alquanto complesso; per illustrare meglio quello che io vi ho detto questa sera vi abbiamo fatto pervenire il seguente grafico:

Noi abbiamo parlato fino a questo punto, per semplicità, di pochi piani di esistenza. Voi sapete che questi piani, solitamente vengono nominati in numero di sette, tuttavia noi ci siamo limitati ad accennare al piano fisico, all’astrale, al mentale, al piano akasico, e ai piani spirituali in generale.
Quindi supponiamo per il momento e per semplicità che esistano solamente cinque piani, e dividiamo quindi questa specie di quadrato in cinque parti diverse, ognuno rappresentante un piano.
Partiamo dal minerale. Il minerale ha un certa forma all’interno del piano fisico, tuttavia ha una sua corrispondente forma – per quanto rudimentale – che necessariamente esiste per permettere alle vibrazioni che lo collegano alla realtà dell’Assoluto di poter circolare alimentando la spinta del ciclo evolutivo. Come dicevo, tuttavia, questa materia degli altri piani di esistenza non è ancora abbastanza organizzata per poter far sentire, rendere consapevole il minerale di ciò che accade negli altri piani di esistenza. La sua percezione, la sua consapevolezza è quindi limitata quasi totalmente al piano fisico, anche se incomincia, sotto gli impulsi dell’ambiente, a reagire agli stimoli e a crearsi una sua certa consapevolezza interiore di ciò che succede a livello emozionale, incomincia cioè a organizzare molto lentamente la sua materia astrale, che prima era totalmente disorganizzata.
Ecco quindi per riassumere: la consapevolezza del minerale è tutta nel piano fisico ed incomincia a costituirsi anche sul piano astrale.
Passiamo adesso alla forma vegetale.
Il vegetale, a sua volta, ha una forma nel piano fisico, però la sua sensibilità è molto maggiore rispetto a quella del minerale proprio perché attraverso gli stimoli vissuti sotto la forma minerale, un po’ alla volta, la sua materia astrale si è andata organizzando e la sua consapevolezza, questa volta, è molto più avanzata all’interno del piano astrale anche se resta, però, sempre nell’ambito del piano astrale. Voi vi stupireste se riusciste a percepire, a comprendere, in realtà, quanto ogni vegetale abbia una sensibilità spiccata e forte, non molto diversa, in realtà, da quella dell’uomo. La maggiore differenza risiede nel fatto che alla pianta è molto difficile poterla esprimere in modo comprensibile all’essere umano.
Eccoci ora alla forma animale.
Dopo essere passata attraverso la forma minerale e quella vegetale, la materia astrale con cui l’individualità si ricopre formando un nuovo corpo astrale ha una migliore organizzazione e la consapevolezza della creatura non è più soltanto di tipo fisico, ma è ormai totalmente di tipo astrale, quindi emotivo, ed incomincia a formarsi anche sul piano mentale.
Questa figura rappresenta il grado di consapevolezza raggiungibile attraverso le «incarnazioni» nei tre regni della natura. Come si vede, nel regno minerale la consapevolezza è tutta concentrata sul piano fisico, mentre nel regno vegetale essa comincia ad ampliarsi e ad espandersi anche sul piano astrale; nel regno animale oltre a consolidarsi totalmente nel piano astrale si espande nel piano mentale, mentre nell’uomo (anch’egli facente parte del regno animale, ma considerato quale animale superiore) la consapevolezza sui tre piani (fisico, astrale e mentale) è totale e inizia la sua espansione verso i piani superiori cominciando, logicamente dal piano akasico. Naturalmente la figura riportata rappresenta solo una schematizzazione (approssimativa ed incompleta) avente il solo scopo di facilitare la comprensione mentale di quanto stiamo dicendo.
Ecco, quindi, che nell’animale, un po’ alla volta, e grazie agli stimoli che riceve, si va formando anche la consapevolezza a livello mentale Ricordate che questo discorso apparentemente può sembrare inficiato dal fatto che noi abbiamo affermato più di una volta che l Io dell’individuo cambia da incarnazione ad incarnazione. Certo, questo è vero, ma questo non deve far supporre che si ricominci da capo ad ogni incarnazione: in realtà l esperienza vissuta (che sarebbe il limite di consapevolezza raggiunta nel corso delle incarnazioni) si va a trascrivere all’interno del corpo akasico e a ogni nuova incarnazione l’individuo riparte da questa consapevolezza, cosicché la sua consapevolezza via via cresce.
Contemporaneamente al grado di consapevolezza acquisito si ha la costituzione dei corpi sugli altri piani di esistenza. Il minerale ha il corpo completamente strutturato soltanto a livello di piano fisico, mentre la materia del piano astrale comincia ad organizzarsi; questa organizzazione continua anche per quello che riguarda i vegetali che intanto iniziano ad organizzare anche la materia del piano mentale; nel regno animale il corpo astrale è ormai strutturato e si va organizzando la materia del piano mentale che darà poi origine al corpo mentale. A sua volta l uomo avendo i tre corpi inferiori ormai ben organizzati inizierà a dare una forma via già più organica anche alla materia del corpo akasico.
E arriviamo, infine, a parlare di quella «bestia» che, solitamente è l uomo! Il discorso è del tutto analogo a quelli che ho fatto fino a questo momento.
Infatti, se nel caso dell’incarnazione animale la consapevolezza dell’individuo era arrivata al piano mentale, nel corso della vita umana questa consapevolezza mentale diventa via via sempre migliore sino, alla fine, a sconfinare nel piano akasico, dove la consapevolezza diviene gradatamente sempre più strutturata, di pari passo con l’aumento di strutturazione del suo sentire. Scifo

Al suo primo apparire nel mondo fisico dunque l’individualità si trova immersa nella materia sotto forma di minerale; attraverso questa esperienza come minerale l’individualità comincia a strutturare il corpo successivo. Ora però, è bene precisare che non è che ogni minerale sarà poi un uomo, ma sarà un uomo quell’individualità che attraverso quel minerale ha strutturato i suoi altri corpi. Voglio dire, con questo, che quando l’individualità si è «incarnata» in un cristallo e, attraverso le proprie sensazioni, avrà strutturato a sufficienza il proprio corpo astrale, si allontanerà dalla forma minerale per continuare la sua evoluzione attraverso una materia più adatta alle sue esigenze evolutive e che, in questo specifico caso, sarà nel regno vegetale.
Lo stesso fenomeno si verificherà, poi, nel transito incarnativo all’interno del mondo vegetale: attraverso varie esperienze, sperimentando fino in fondo la vita di sensazione (caldo, freddo, umidità, siccità) l’individualità «incarnata strutturerà sempre meglio il proprio veicolo astrale al punto da essere pronta per l’incarnazione animale. Anche in tal caso è chiaro che l’individualità godrà delle esperienze di più vegetali contemporaneamente sicché non è che ogni vegetale sarà in un prossimo futuro un uomo.
È chiaro che tale evoluzione è molto lenta ed è conseguenza logica il fatto che debbano esistere, in questi due regni, numerose incarnazioni, così come è altrettanto logico il fatto che l’individualità si trovi nella necessità di dover esperire attraverso diversi veicoli fisici contemporaneamente.
Passata al regno animale, dapprima come animale inferiore, poi via via sempre più vicina all’uomo, l’individualità inizierà, attraverso a queste nuove esperienze, a strutturare anche il proprio corpo mentale, e questo lo potete verificare personalmente vedendo come, ad esempio, due cani, nelle stesse condizioni esterne e sottoposti agli stessi stimoli abbiano delle reazioni differenti. Questo è dovuto al corpo mentale che si sta strutturando, e il corpo mentale è diverso da individuo a individuo.
Il processo evolutivo continua in questo modo fino a quando l’individualità non è pronta per arrivare alle incarnazioni umane.
Tutto questo significa che se si uccide una zanzara (o un qualsiasi altro animale inferiore) non si fa altro che interrompere in parte l’esperienza di quella individualità, così pure accade per la pianta che viene abbattuta o che muore per gli agenti atmosferici. Quando questo esperire viene interrotto momentaneamente, l’individualità (totalmente inconsapevole) si ritira nel piano akasico dal quale viene poi riproiettata verso nuove esperienze necessarie alla sua evoluzione. Nulla di differente quindi da quello che è il cammino dell’uomo. Vito

«La cercan qui, la cercan là, dove si trovi nessuno lo sa…» diceva una filastrocca dei tempi trascorsi.
Per venire a tempi più moderni, la ricerca potrebbe venire indicata, anche se all’epoca la frase era usata più in termini satirico-politici, cantando: «Io cerco la Titina, la cerco e non la trovo…».
«Cosa sta dicendo questa sera Scifo? È forse possibile che anche sul piano d’evoluzione ad un certo punto ci sia qualche cosa di analogo alle nostre sinapsi e che improvvisamente, per chi sa quale motivo, qualche rotella gli sia saltata?».
Il mio è un tentativo di iniziare un discorso in un modo un poco meno monotono del solito.
Ma a che cosa si riferiva questo mio inizio strampalato? Si riferiva alla ricerca che da più anni andiamo indicando, allorché vi parliamo dell’Io, e di come dovete cercarlo, osservarlo per riuscire ad andare oltre.
Prima, però, di entrare nel merito, vorrei un attimo osservare nell’ottica della serata questo Io, vorrei cioè andare alla ricerca dell’Io, lungo il cammino evolutivo di un individualità e percorrendo le tappe dell’evoluzione individuale, per vedere se in queste tappe l’Io può venire riconosciuto nella prima ondata di evoluzione e si trova presente già all’interno del regno minerale.
Bene, creature, non mi sembra necessario spendere moltissime parole per dire che non è possibile trovare tracce dell’Io nell’individuo incarnato a questo stadio evolutivo; voi sapete, infatti, che l’Io è la risultante delle reazioni dei corpi fisico, astrale e mentale dell’individuo, scaturente dall’affrontare le esperienze della vita all’interno del piano fisico.
Ora, chiaramente, è evidente dalla tabella che vi ho presentato su questo argomento, che l’individuo incarnato nel regno minerale possiede solamente un corpo astrale molto rudimentale, organizzato, cioè, soltanto in minima parte, anche se chiaramente si va strutturando sempre meglio via via che le incarnazioni si susseguono.
Se fosse possibile tradurre in modo ben comprensibile ciò che passa per la pietrosa «testa» del minerale, questo sarebbe sotto forma di «caldo», «freddo», «pioggia», «vento», e via e via e via, quindi semplicemente come delle constatazioni di qualche cosa che accade senza, in fondo, né ragionamento, né percezione emotiva, e quindi, ripeto, che a questo stadio evolutivo dell’individuo non vi è e non vi può essere un Io così come voi lo avete inteso da quando siamo venuti a parlare tra voi.
Come conseguenza logica e inconfutabile, lo stesso discorso, quasi pari pari, può essere portato per l’individuo incarnato allo stadio vegetale; in quanto questo individuo ha sì un corpo astrale più strutturato di quello che aveva nel corso delle molteplici incarnazioni minerali, però se fosse possibile riportarvi come pensieri ciò che passa per la mente alla clorofilla del vegetale, voi potreste avvertire «sento caldo», «sento freddo», «sento pioggia», «sento vento», e via e via e via. Quindi anche in questo stadio l Io non esiste e non può esistere. Quelli tra di voi che più amano gli animali, tendono quasi sempre ad antropomorfizzarli, a vederli non come animali, ma come prolungamenti di esseri umani, a volte addirittura come prolungamenti di se stessi, scambiando spesso il comportamento indicativo tipico degli animali con una sorta di personalità; in realtà, anche per quello che riguarda l’individuo incarnato all’interno del mondo animale, si può affermare che non esiste un Io; questo anche se il corpo astrale, in questo caso, è abbastanza ben organizzato e strutturato, il corpo mentale comincia soltanto allora ad essere strutturato, è soltanto la prima fase di strutturazione, e quindi l’Io non è ancora formato, ma vi è il primo larvato percepire, la prima differenza tra io e non-io.
Se voi, infatti, poteste entrare nella mente dell’animale potreste sentire i suoi pensieri come: «io ho fame», «io ho sete», «io ho freddo», «io ho caldo», l Io c è già, ma si tratta ancora solo di una percezione molto larvata della differenza fra se stessi e gli altri.
Tuttavia, ripeto, anche per quello che riguarda l incarnazione all’interno del mondo animale, non è possibile parlare di un vero e proprio Io.
L’Io vero e proprio, invece esiste, compare allorché l’individuo giunge all’incarnazione umana; l’individuo che giunge alla incarnazione umana, infatti possiede un corpo astrale, ormai molto ben strutturato, un corpo mentale, a sua volta organizzato in modo più o meno uniforme e complesso, quindi gli scambi tra questi due corpi e il corpo fisico sono continui e tali da permettere di fare una distinzione, da permettere di avere coscienza della separazione tra se stesso e il mondo al di fuori di se stesso. Permette, cioè, di rendersi conto che egli è, e il mondo intorno a lui è ma in modo diverso da lui stesso. Scifo

Dalle cose che vi sono state dette, si capisce che l’individualità parte da una condizione di non-Io per ritrovare, scoprire l’Io, per ritornare infine ad una nuova condizione di non-Io; ma se la prima condizione era di totale incoscienza, la seconda, meta dell’evoluzione stessa, è di totale coscienza.
Cosicché quando noi vi parliamo di costituzione dell’autocoscienza, intendiamo parlarvi del superamento, sì, dell’Io, dell’identificarsi, certamente, con tutti gli altri fratelli, del sentire tutti gli altri fratelli uguali a se stessi, ma in totale consapevolezza.
Quando si raggiunge questa condizione, e in questo modo il corpo akasico è totalmente costituito, l’individuo non ha più necessità di incarnarsi, abbandona, come si è soliti dire, la ruota delle nascite e delle morti, ma non è detto che l’evoluzione non continui.
Infatti colui che ha sperimentato attraverso le varie vite, ed ha conquistato la propria consapevolezza ritrovando la vera essenza del suo stesso essere, continua la sua evoluzione su altri piani; piani che noi, genericamente, definiamo piani spirituali.
Questa nuova forma di evoluzione lo porterà, inevitabilmente all’unione con il Tutto, all’identificazione con Dio, identificazione che non significa totale annullamento, perché l’individuo che si unifica a Dio, che entra in comunicazione con Dio, è consapevole di ciò che è stato, è totalmente consapevole di ciò che sono stati i suoi fratelli, tuttavia riesce a sentirli come se fossero lui stesso. Fabius

 

I piani di esistenza

Quando noi veniamo a parlarvi degli altri piani di esistenza, tiriamo fuori, di volta in volta, termini quali piano astrale, piano mentale, piano akasico e via e via e via, aggiungendo poi paroloni su paroloni per spiegarvi quello che intendiamo dire. L’errore che solitamente tutti coloro che ascoltano finiscono col commettere è quello di prendere i termini che noi usiamo come degli schemi rigidi, fissi, in cui la realtà, deve essere per forza di cose, incasellata.
Invece, creature, la situazione è ben diversa: noi usiamo una denominazione particolare semplicemente per fornire a tutti voi un supporto mentale, quindi anche linguistico, per poter portare avanti il filo logico di un discorso, ma dovete sempre cercare di tenere ben presente che questi supporti mentali sono soltanto dei termini di comodo per aiutare a comprendere qualche cosa che è molto al di fuori della normale realtà fisica in cui voi conducete le vostre esistenze.
Non vi è quindi, come potrebbe pensare qualcuno di voi, un salto brusco tra il piano astrale e il piano mentale, o tra il piano mentale e il piano akasico; specialmente per quanto riguarda la materia che compone questi piani, il passaggio da un piano all’altro è quasi imprecisabile, attraverso i concetti, attraverso le parole.
Lo stesso discorso vale per quello che riguarda la Realtà, noi cerchiamo, abbiamo cercato, e cercheremo di farvi avere una visione della Realtà diversa da quella cui voi siete abituati solitamente, e per far questo è necessario – poiché ci rivolgiamo a delle menti abituate a recepire una logica formata di parole e di concetti – che vi presentiamo ciò che vi vogliamo dire attraverso le parole e i concetti.
Queste parole e questi concetti, tuttavia, sono necessariamente relativi, proprio perché rivolti a persone che vivono in un mondo, direi, quasi totalmente relativo.
Sono quindi un altro schema, un altro modo per fornirvi una visione sempre relativa della realtà, visione che può essere forse più larga di quella che ognuno di voi possiede normalmente, ma che tuttavia resta sempre relativa.
«Cosa succede, però, per coloro che vi vengono a parlare dagli altri piani di esistenza?» voi vi chiederete «Anche costoro posseggono una visione della Realtà relativa, oppure c è qualcuno tra tutti questi Maestri che parla avendo una conoscenza della Realtà assoluta?».
Bene, io vi posso assicurare, creature, che fino a quando un individualità non si riunisce all’Assoluto, la sua visione della realtà non può essere altro che relativa, a qualunque piano essa appartenga.
Certamente potrà essere sempre più ampia a mano a mano che procede nell’evoluzione, certamente accade come nel famoso esempio per cui a mano a mano che si sale su una montagna l orizzonte, la visuale si allarga e quindi anche la visione della Realtà diventa più ampia; tuttavia diventa sempre più ampia ma non ne abbraccia la totalità.
Infatti, la Realtà Assoluta, deve essere infinita, totale e si può avere soltanto allorché si rientra coscientemente e totalmente a far parte dell’Assoluto.
Fino a quel momento, creature, non si può avere altro che una visione relativa e, quindi, più o meno limitata.
Concludendo questo mio parlare non posso fare altro, perciò, che affermare che anche quello che ho appena detto fino a questo momento è una visione mia, relativa, a qualunque piano io appartenga e quindi non è una Verità Assoluta! Scifo

Il punto principale sta nel fatto che allorché vi è un incarnazione come vita minerale, non vi è ancora veramente un individualità ma si può considerare una massa di più individualità fuse assieme e quasi indistinte che si uniscono in qualche modo a della materia minerale dalla quale ricevono le prime percezioni, le prime sensazioni.
Voi sapete che da queste percezioni, da queste sensazioni derivanti principalmente dagli scontri con gli agenti atmosferici, provengono delle vibrazioni che tendono a organizzare la materia astrale di queste individualità in gruppo.
Allorché questa materia astrale incomincia ad essere un poco meno informe e ad avere un organizzazione maggiore, l’individualità di gruppo o «anima gruppo», come a volte viene chiamata, incomincia ad avere dei sensi astrali più sviluppati, avverte inconsapevolmente la necessità di poter esprimere questi nuovi sensi attraverso dei mezzi fisici più idonei ad esprimere tutte le sue capacità, a mutarle in meglio, a cambiarle grazie a nuovi mezzi fisici sempre più idonei.
Ecco, quindi, che quest’ «anima gruppo» sposta la propria attenzione, per modo di dire, dalla forma minerale a quella vegetale, ad una forma, cioè, più complessa e che, quindi, può fornirle una massa diversa di percezioni e di sensazioni, una massa più adeguata alle necessità evolutive dell’individualità e che si va via affinando, organizzando e strutturando. Lo stesso processo avviene anche per quello che riguarda il passaggio alla vita animale. Fino a questo punto si parla, quindi, di «anima gruppo».
Ma, dopo un certo numero di vite animali, la materia astrale è ormai organizzata in modo abbastanza complesso e si incomincia ad avere anche una certa strutturazione ed organizzazione di quella che è la materia mentale di questa individualità.
Ecco allora che anche la forma animale risulta troppo semplice e limitata come dotazione di mezzi espressivi necessari al percorso evolutivo dell’individuo. Si accresce, così, il senso di separatività, di Io e non-Io, che porta al frazionamento dell’anima gruppo» la quale così si scinde e incomincia il suo cammino evolutivo attraverso veicoli fisici diversi, veicoli fisici che proprio per la loro maggiore capacità di ricevere percezioni, per il loro maggiore potenziale mentale offrono maggiori possibilità di esprimere l’evoluzione che le individualità facenti parti dell’anima gruppo hanno ormai raggiunto.
Il processo evolutivo dell’individualità continua, così, attraverso l’incarnazione in una sola forma per tutto il periodo in cui l’individuo si incarna come essere umano.
Accade infine, a un certo punto, che anche il veicolo umano non basta più al sentire, alla coscienza dell’individuo che si sta evolvendo, poiché ha raggiunto una strutturazione del suo corpo akasico, della sua coscienza, tale per cui il corpo umano non gli permette più di esprimere la sua evoluzione e quindi di raggiungere nuovi gradi, nuovi avanzamenti evolutivi.
Ecco che vi è allora il famoso abbandono della ruota delle nascite e delle morti, ecco che terminano anche le incarnazioni umane e l entità continua il suo cammino in altre forme, in altri modi di cui non è il caso di parlare adesso. Moti

Al di là del fatto che la vostra scienza è ancora molto lontana dall’avere una visione unitaria di quella che è la Realtà ma tende, ora come ora, a vedere la Realtà frazionata a seconda dei campi di cui si interessa, direi che ciò che noi andiamo dicendo si inserisce perfettamente nel discorso scientifico, anche se forse, sarebbe meglio dire più giustamente che ciò che dice la scienza umana si incastra e collima con ciò che noi andiamo insegnando da più tempo.
L’apparente contrasto, l’apparente dicotomia che si può ravvisare tra le due concezioni consta soltanto nel fatto che la scienza si ferma ad osservare, ad esempio, la costituzione dell’individuo pensando che tutto ciò che costituisce l’individuo avvenga attraverso ferree leggi la cui causa principale è una causa fisica.
In realtà ciò che costituisce l’individuo è sì creato da leggi ben precise e non casuali, tuttavia la causa non nasce dal piano fisico bensì dagli altri piani di esistenza.
Per quello che riguarda la costituzione del corpo fisico, la causa principale viene dal corpo akasico dell’individuo: infatti è il corpo akasico che invia gli impulsi verso la famiglia in cui l’individuo deve nascere, che fa sì che determinati fattori genetici combacino, affinché l’individuo che deve nascere abbia quel determinato corpo e non un altro; è il corpo akasico con i suoi bisogni di nuova comprensione che condiziona la scelta dell’ambiente più adatto alle esigenze evolutive all’individuo che deve nascere. Scifo

 

Lo stato di coscienza

Per evoluzione della coscienza, o meglio dell’autocoscienza, si intende il cammino che l’individualità compie nell’ambito delle incarnazioni umane per raggiungere il massimo sentire per quello che riguarda questa fase dell’evoluzione e quindi abbandonare – una volta raggiunto, appunto, il punto massimo – la ruota delle nascite e delle morti.
In passato, abbiamo definito Il sentire come uno stato di coscienza.
Va da sé – dopo aver dato questa definizione – che esistano vari gradi di stato di coscienza differenti. E va da sé ancora il fatto che si passi da uno stato di coscienza inferiore per giungere ad uno stato di coscienza superiore.
Il massimo grado di uno stato di coscienza più ampio, lo stato di coscienza Assoluto, ovviamente è Dio. Nel mondo della materia, nel mondo delle illusioni, questo stato di coscienza virtualmente si fraziona dando origine a molteplici stati di coscienza relativi.
Poiché lo scopo del nostro parlare è quello di completare il quadro riguardante l’argomento dell’evoluzione, limitiamoci per il momento a seguire la crescita del sentire parallelamente alla crescita dell’individuo, al suo passaggio, quindi, alle sue varie vite, alle sue evoluzioni.
E per rendere le cose più semplici, indichiamo zero lo stato di coscienza che ha l’individuo alla sua prima incarnazione umana, e indichiamo dieci lo stato di coscienza necessario per abbandonare la ruota delle nascite e delle morti.
A questo punto è logico (e mi sembra anche abbastanza chiaro) il fatto che l’evoluzione ad altro non serva che a favorire, ad aumentare di grado il proprio sentire, così come è chiaro che le incarnazioni servono a creare le esperienze, le situazioni per cui questo stato di sentire possa ingrandirsi. E fin qua è tutto semplice e abbastanza evidente.
Le cose, invece, cominciano a complicarsi quando si fanno affermazioni come quella che sto per fare: noi vi abbiamo parlato della comunione degli esseri, vi abbiamo detto che ad un certo punto dell’evoluzione gli individui si sentono tutti fratelli, si sentono uniti, in comunione con tutti gli altri. E vi abbiamo sempre detto che questo stato particolare si raggiunge quando il corpo akasico è totalmente strutturato, quando l’individuo, quindi, non ha più bisogno di incarnarsi nel mondo della materia per sperimentare.
Io vi dico che la comunione degli esseri esiste fin dal primo momento in cui l’individualità si incarna nella forma umana visto che ci limitiamo soltanto a questo momento particolare.
Questo perché, miei cari, esiste anche la comunione del sentire. Infatti, due esseri che abbiano la stessa evoluzione, che abbiano quindi raggiunto lo stesso grado di sentire, sono in armonia, sono in comunione tra di loro, si sentono, stanno bene insieme e via e via e via.
Ma facciamo ancora un esempio, anche perché vi è qualche cosa di più. Chi ha raggiunto un determinato stato di sentire non solo è in armonia con l’individuo che ha il suo stesso sentire, ma è in armonia anche con coloro che hanno un sentire inferiore al suo. Mi spiegherò meglio: se, ad esempio, il figlio E. avesse raggiunto un grado di sentire cinque, questo significherebbe che egli è in armonia con tutti gli individui che hanno raggiunto un grado di sentire cinque, con gli individui che hanno raggiunto un grado di sentire quattro, con quelli che hanno un grado tre, due, uno, zero. Tuttavia il figlio E. non si sentirebbe totalmente in armonia con un figlio che avesse raggiunto un grado di sentire sei, anche se l’individuo con un sentire di grado di sei si sentirebbe in armonia persino con lui.
Ma c è ancora di più.
E logico che per raggiungere un determinato grado di sentire – supponiamo sempre il cinque – si debba passare attraverso un determinato numero di esperienze; e mettiamo, per ipotesi, che per raggiungere questo determinato grado di sentire si debba passare attraverso il comprendere che non si deve uccidere, uno dei principi morali fondamentali.
Ora, può accadere che due individui arrivino ad un sentire cinque imparando questo principio morale del non uccidere attraverso a esperienze diverse.
Facciamo ancora un esempio: può accadere che Tizio arrivi al grado di sentire cinque passando attraverso a una serie di incarnazioni in cui, per esperienza, per imparare questo principio morale, si trovi costretto a dover uccidere degli individui magari a lui estranei, affettivamente estranei, mentre l’individuo Caio, arriva allo stesso sentire passando attraverso a delle incarnazioni in cui si trova costretto – per ragioni evolutive – a dover uccidere, che so, un padre, una madre, un figlio, una persona, comunque, verso la quale prova un particolare sentimento.
Ora, mi pare abbastanza evidente che vi sia una certa differenza tra le due esperienze, anche se il concetto basilare può essere compreso allo stesso modo. Quando questi due individui avranno entrambi sentire cinque, potrà accadere che l’individuo Tizio, potrà far sua l esperienza dell’individuo Caio e non sarà quindi più a lui necessario passare attraverso l esperienza di uccidere una persona cara, perché vibrando ed essendo in armonia con il sentire dell’individuo Caio, trarrà da lui tutta l esperienza, tutte le sfaccettature di questa piccola differenza di concetto. Questo significa che quando noi vi diciamo che non è strettamente necessario passare attraverso l esperienza diretta, diciamo qualcosa di vero: significa che una volta acquisito il principio morale di base, tutte le sfaccettature, tutte le sfumature, di questo stesso concetto possono essere acquisite attraverso un esperienza indiretta come è stato nell’esempio che vi ho appena fatto.
Quando, poi, si raggiunge il sentire più alto, quello che abbiamo definito all’inizio con il numero dieci, allora l’individuo è in armonia con tutti gli esseri, e non solo con gli esseri che esistono contemporaneamente a lui, ma con tutti coloro che sono esistiti e che esisteranno. Quindi per ritornare a Scifo e riallacciarsi ancora ai nostri cari amici atlantidei, vi posso dire che l’individuo che raggiunge il sentire dieci è in armonia con quelli che sono stati gli atlantidei oppure i lemuriani. Infatti, sebbene sia gli atlantidei che i lemuriani non siano più presenti nel mondo della materia, non abbiano quindi più una presenza fisica, essi sono vivi più che mai nell’individuo che ha raggiunto il massimo grado di sentire.
Non solo, vi dirò ancora di più: se, ad esempio, il nostro carissimo fratello Scifo, proprio come Scifo, quand’era incarnato come Scifo, quindi circa quarantamila anni fa, aveva raggiunto – facciamo per ipotesi – un sentire numero nove, egli può essere vivo, anzi egli è vivo – oggi come oggi – nell’ individuo che ha il suo stesso grado di sentire e non solo, se questo individuo fosse in grado, avesse la capacità di mettersi in contatto con questo sentire potrebbe trarre tutte le esperienze che Scifo ha avuto, esperienze che – ricordate – tra razza e razza sono differenti. E quindi, in questo modo, potrebbe rendere ancora più ampio, rendere ancora più perfetto, quello che egli ha raggiunto. Vito

Ragionando su quanto ha detto il fratello Vito poc’anzi, si può comprendere che vi sono alcune conclusioni da poter trarre da tutto il ragionamento riguardo al sentire.
Infatti, se è vero che il cammino evolutivo di ogni razza va avanti attraverso linee diverse da razza a razza è altrettanto vero che il punto di arrivo, il punto di sentire dieci, come è stato definito prima, è sempre lo stesso.
Questo sta a significare, logicamente, che la verità su cui si sta indagando attraverso il continuo incarnarsi, attraverso l’evoluzione della razza, è una verità comune a tutte le razze che si incarnano. E quella cioè che forma il substrato su cui ogni razza, pur attraverso cammini ed esperienze in qualche modo diversi, muove il proprio evolversi.
Un altro concetto derivante da quanto detto prima da Vito può essere il fatto che le verità acquisite da una razza, attraverso la comunione dei sentire, attraverso il contatto tra sentire simili tra razze diverse, può provocare determinate condizioni di flusso di cognizioni, di sensazioni, di scoperte da una razza all’altra. Ecco così che verità raggiunte – per esempio – dalla razza atlantidea possono essere recepite, incontrate e scoperte anche da individui appartenenti alla razza successiva.
Questo spiega in parte ciò che dicevo una volta, ovvero il fatto che osservando i concetti esoterici, i simboli magici e via e via e via, che appartengono alla razza attuale, si possono trovare delle analogie con il linguaggio atlantideo di cui abbiamo parlato tempo fa. E questo (ora dopo i discorsi fatti si può comprendere meglio) avviene non soltanto perché vi è stata una certa fascia temporale di contemporaneità tra razza atlantidea e razza attuale, ma anche perché elementi di coscienza, di comprensione ottenuti dalla razza atlantidea, sono stati recepiti da particolari individui che hanno raggiunto lo stesso stato di coscienza. Scifo

 

La coscienza di esistere e di essere

 Non dovete mai pensare di essere un centro staccato dagli altri centri che, con voi, sperimentano e sono.
Io sono un centro di coscienza, certamente sì, ma i limiti della mia coscienza, i suoi confini non sono così definiti come io posso pensare. Ciò che stabilisce questi confini, questi limiti è rappresentato soltanto dal mio egoismo, in quanto questo centro di coscienza che io adesso rappresento, è soltanto parte di un Tutto che comprende questo centro mio attuale e gli altri che verranno.
L’evoluzione del sentirsi di essere, di esistere è soltanto l illusorietà di un momento di passaggio, passaggio che non esiste soltanto su quel piano che noi chiamiamo materia fisica, ma che è concatenato strettamente con quelle altre sfaccettature di voi stessi che voi conoscete come piano astrale, piano mentale e piano akasico.
I legami che collegano il vostro essere fisico al vostro essere astrale, mentale e poi anche akasico sono talmente stretti che, se così non fosse, non vi sentireste responsabili e comunque vivi nel mondo della materia che vi accompagna nella vostra esperienza. Ciò che voi vedete, fate, recepite, sentite, seguite è soltanto una commistione di impulsi che vi provengono dai quattro piani che costituiscono la parte fondamentale della vostra rappresentazione. Baba

Quindi, per poter veramente comprendere la vostra realtà, per poter veramente comprendere ciò che voi siete, per poter veramente comprendere le nostre parole, è necessario riuscire prima di tutto a comprendere (e non soltanto con la vostra mente, con i vostri pensieri, con i vostri ragionamenti, con la vostra logica, ma con tutti voi stessi), che non siete una parte staccata da tutto il resto.
Quante volte, quante volte nel corso delle vostre vite, vi è capitato di sentirvi uniti a qualcuno o a qualcosa?
Quand’eravate appena nati la vostra coscienza di esistere era ancora limitata alle piccole percezioni sensoriali che avevate, ai momenti di fame, alle carezze che ricevevate, ai suoni, all’alternarsi della luce e del buio, del sonno e della veglia: già allora sentivate, senza quasi rendervene conto, che eravate parte, per lo meno, di una persona che vi prendeva tra le braccia, vi cullava, soddisfaceva i vostri bisogni, e vi dava in qualche modo piacere, abbandonandovi ad essa fiduciosamente, pronti a ricevere e a prendere.
Col passare del tempo, col passare delle esperienze all’interno del piano fisico, col passare dei momenti belli e brutti che ognuno di voi ha vissuto, quante volte vi è capitato di sentirvi un tutto unico non soltanto con altre persone, ma addirittura con degli ambienti, con degli oggetti, magari a voi cari, e tali che suscitavano in voi il desiderio di averli sempre con voi, quasi come se fossero una parte di voi di cui non potete fare a meno?
E quante volte, vi abbiamo visti, figli, nel corso delle vostre vite, innamorarvi; e quante volte, avete pensato, avete detto di non poter fare a meno di un altra persona, e di sentire quell’altra persona come una parte di voi stessi? Spesso, queste parole, erano soltanto un illusione, spesso erano più un volerlo credere, che una realtà dei fatti.
Ciò che avete avvertito è la sensazione di appartenere a tutto ciò che vi circonda che cerca di affiorare in voi, e che cerca di farvi sentire in comunione, partecipi quanto meno di un altra persona e del suo affetto. E quelli, poi, che nel corso della loro esistenza hanno avuto dei figli, sempre hanno avuto l’attimo in cui si sono sentiti, come genitori, un tutt’uno con i propri figli, e questo al di là della riconoscenza o meno dei figli, al di là dell’egoismo che così spesso i giovani manifestano.
E ancora una volta, ripeto, anche questi legami, così forti, così stretti, così duraturi a volte, sono un manifestarsi di ciò che la vostra più intima coscienza sa già, ovvero che voi non siete una parte staccata dalla realtà e dal Tutto, ma che – in realtà – fili invisibili, che non si possono spezzare, vi uniscono con tutto ciò che vi circonda, dagli animali agli oggetti, alle persone, all’Assoluto stesso.
Scopo dell’evoluzione, tra le altre cose, è anche quello di ritrovare questo senso perduto di appartenere al Tutto, e di essere un tutt’uno con gli altri. Questo è, in realtà, ciò che noi vogliamo dire quando parliamo di amare gli altri come voi stessi e di sentire tutti gli altri come fratelli. Moti

 

Il sentire

In questi anni di incontri serrati, creature, vi siete, di volta in volta, lasciati catturare dai nuovi concetti che vi abbiamo presentato e che, per qualche motivo a voi interiore (che so, forse un bisogno di sentirvi importanti perché trattavate grandi temi o perché al corrente di insegnamenti non sempre alla portata di tutti… ) segnavano nel vostro partecipare alle riunioni una sorta di succedersi di fasi, ora esaltanti, ora deprimenti seguendo la vostra facilità o difficoltà di comprendere i concetti e di teorizzare su di essi.
Ecco così la fase del karma, affascinante concetto che permette al povero di trovare una giustificazione alla sua miseria, al sofferente di trovare un perché alla sua sofferenza, al tormentato di scorgere una consolazione ai suoi tormenti e via e via e via.
Ecco i piani di esistenza con quelle meraviglie che essi sembrano portare in sé, tanto simili a favole magiche: chi sta al loro interno sembra poter esaudire ogni desiderio più recondito, ogni speranza più disattesa sul piano fisico, ogni curiosità inappagata, ogni conoscenza mai svelata, rendendoli ai vostri occhi un analogo del Paese delle meraviglie in cui voi, Alici desiderose di essere stupefatte, potevate sognare di arrivare, prima o poi, ad immergervi.
Il concetto di intenzione vi ha poi spalancato la strada verso una nuova fase trovandovi pronti (nella vostra conclamata ansia di conoscere voi stessi più profondamente) a scavare nelle intenzioni degli altri e, qualche rara volta e con brevissime puntate, persino (audacemente, secondo voi!) nelle vostre intenzioni, lottando con tutto il vostro coraggio contro voi stessi riuscendo, alla fin fine, a scalfire solamente la superficie della vostra intenzionalità, quella scomoda ma accettabile, quella non nascosta ma solo velata, in modo da far vedere a voi stessi e agli altri che avevate l audacia e la forza di rivelarvi agli occhi vostri e altrui.
Si sono poi succedute altre fasi. La fase della vibrazione, accettata e discussa con scioltezza forse perché, apparentemente, innocua.
La fase del condizionamento, affrontata con gioia, almeno all’inizio, in quanto vi dava la possibilità di scaricare all’esterno la responsabilità di ciò che siete, che dite e che fate… fino a fermarvi di colpo allorché capivate che la responsabilità continuava ad essere, sempre e comunque, la vostra, dal momento che per poter essere condizionati si deve permettere che ciò che è esterno esplichi la sua attività condizionatrice.
Siete, poi, inciampati nella fase della libertà e del libero arbitrio, perdendovi in essa ed uscendone frastornati, incapaci di svincolarvi da tutti i preconcetti, le frasi fatte, i luoghi comuni, le morali, le concezioni, le ideologie che avevate immagazzinato nel corso della vostra vita (e, se è per questo, anche nel corso delle vite precedenti), e che, se, da un lato vi facevano dei fautori convinti dell’esistenza di un libero arbitrio individuale, dall’altro, sotto sotto, cozzavano contro il pensiero, sepolto nel vostro Io più nascosto, che se il libero arbitrio non esisteva voi non avevate (ancora una volta!) colpe, né tanto meno responsabilità per ciò che siete, ciò che dite, ciò che fate.
Non c è mai stata, invece, creature mie, una fase del sentire.
Certo, sul sentire avete discusso, anche se non molto, tuttavia ciò non ha lasciato in voi grandi conseguenze. Come mai? Forse perché del sentire avevate già letto in altri luoghi? Forse per presunzione ritenendolo un concetto facile da comprendere? Forse perché non vi dava la possibilità di giustificarvi, di depenalizzarvi, di concettualizzare, di teorizzare o anche, soltanto, di sognare?
Eppure il sentire è, per voi che dovete superare la famosa ruota delle nascite e delle morti, un concetto basilare, unico, necessario e insostituibile, senza il quale tutti gli altri concetti finiscono con il perdere ogni forza ed ogni valore!
Come dite, creature? Ah: affermate di averlo compreso, questo sentire? Di averlo assimilato e di aver trovato che non vi è poi molto da capire su di esso? Come mai, allora, accade che quando un ospite vi chiede delle spiegazioni in merito non siete quasi mai in grado di darne una accettabile e, cosa ancora più rara, comprensibile?
Il fatto è che non avete compreso che superficialmente ciò che è il sentire, e qual è la sua essenziale, insostituibile funzione.
Ma immaginiamo, per un momento, quasi per gioco, di renderlo una cosa viva e di potergli chiedere direttamente di parlarci di sé.
Ecco, forse, ciò che egli ci direbbe:

Io sono una creatura di Dio, come voi.
Come voi non nasco perfetto
e in grado di muovermi con sicurezza nelle regioni in cui vivo.
Nasco bambino con tutte le mie incomprensioni,
come un bimbo penso di aver capito e mi comporto di conseguenza
ma basta una piccola azione sbagliata per farmi rendere conto
che ciò che avevo capito era solo frainteso e non era giusto.
Ad ogni esperienza rinasco a me stesso più ampio, più consapevole, più vero,
ad ogni esperienza abbraccio una nuova parte di me stesso e, in questo modo,
una nuova parte della Realtà di cui anche io, come voi,
faccio parte via via più consapevole.
So quale sia il mio destino: abbracciare per intero me stesso
e verso questo fine sono attratto e spinto da qualcosa che è vivo al di sopra di me
ma che, nel contempo, 
mi permea e indirizza tutto me stesso.
Io cerco di afferrare questa entità che, senza capirne il perché,
amo di un amore intrinseco a me, 
ma così forte da muovere ogni mia azione
alla ricerca di espandere me stesso 
nella speranza di arrivare a fondermi,
finalmente, con l’oggetto del mio amore.
Non piango se sbaglio,
non mi abbatto se fallisco,
non mi sento frustrato se non riesco,
non mi vergogno se non capisco,
non mi adiro se non trovo subito la soluzione
ma sono sempre pronto a rinnovare me stesso,
a trarre frutti dai miei sbagli,
a rendere utili i miei fallimenti,
a lottare contro ciò che mi frustra,
a cercare di comprendere ciò che sembra sfuggirmi,
a provare mille soluzioni diverse
fino a quando non troverò quella giusta.
E so che solo allorché sarò pienamente maturo
e tutto il mio essere sarà fuso in un equilibrata e funzionale entità
io troverò la gioia di unirmi con quell’Amore sconosciuto ma potente,
dolce ma tiranno,
forte ma delicato,
costante ma immenso,
che in continuazione mi chiama a Sé
e che costituisce il vero perché della mia esistenza.

Creature, serenità a voi.
Scifo

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

 

Meditazioni quotidiane 4.2

 

 


Se vedi un tuo fratello che sbaglia
aiutalo a non sbagliare più offrendogli il tuo amore,
e se il tuo amore verrà rifiutato
non accada mai che tu lo getti via,
ma conservalo dentro di te nella speranza
che chi l’ha rifiutato oggi
sia capace domani di richiedertelo.
Moti


 

 


Siate come la terra,
umili come la terra che si lascia continuamente calpestare
dai piedi
degli uomini eppure, continuamente,
offre loro erbe, frutti, e tutto ciò che può loro offrire,
senza rifiutarsi di dare quello che può

solo perché viene umiliata dai piedi
e dalle azioni dell’umanità intera.
Moti


 

 


Qual è la via dell’umiltà, figlio che compi la tua ricerca?
Se un tuo fratello ride di te non ti offendere,
ma guarda te stesso e il tuo modo d’essere:
senza dubbio troverai un motivo valido per unirti alla sua risata.
Se un tuo fratello dimostra freddezza nei tuoi confronti
non ti stupire di questo, ma cerca invece in te il motivo
per cui susciti in lui
indifferenza invece che amore.
Se un tuo fratello ti giudica stupido non risentirti:
se ti osserverai attentamente troverai di certo qualche tuo atto
che tu stesso definiresti stupido.
Se un tuo fratello ti ritiene ignorante non inalberarti,
perché sai benissimo che per ogni cosa che conosci
ve ne sono almeno altre mille di cui non sai assolutamente nulla.
Se un tuo fratello piange per te non deriderlo, non compatirlo,
non soffrire assieme a lui,
ma cerca invece di mutare in te quel qualcosa che gli permette
di attribuire a te l’origine di
lacrime che sono solamente sue.
Fa tutto questo sinceramente, fratello,
riesci a fare tutto questo sentitamente, sorella,
e non avrai più necessità di fare sforzi per essere umile,
e avrai trovato, finalmente, la strada dell’umiltà.
Viola


 

 


Tu che hai lignaggio elevato, blasone e onori, va’ in umiltà.
Tu che hai il tuo sapere come solo patrimonio personale, va’ in umiltà.
Tu che possiedi beni terreni e ori e ricchezze, va’ in umiltà.
Tu che hai un nome insigne all’interno degli uomini insigni, va’ in umiltà.
Tu che hai una mano magica che ritrae l’immaginazione e dipinge la realtà,
va’ in umiltà.
Tu che hai il dono della fantasia che ti fa creare fatti e idee dal tuo intimo,
va’ in umiltà.
Tu che hai capacità arcane e possibilità rare, va’ in umiltà.
Tu che hai in te la fede profonda raggiunta con la tua mente, va’ in umiltà,
perché tutto quello che hai, che conosci, che crei, che credi, che trovi in te,
non ti appartiene più di quanto ti appartenga il corpo che ti riveste,
più di quanto ti appartengano le parole che usi,
gli onori che ti vengono tributati,
le immagini che riproduci o interpreti,
l’occulto che sfiori e il Dio in cui credi.
Va’ in umiltà, perché tu sei l’uomo e sei lo spirito,
sei il naturale e il sovrannaturale,
ma tutto ciò che sei non è tuo:
è un dono dell’Altissimo che ti concede di essere ciò che sei
e di disporne come meglio credi;
e il modo migliore in cui puoi disporne
è quello di farlo con una profonda, sincera umiltà.
Moti


 

 


Figlio mio, è il momento di cambiare qualcosa,
è il momento di imparare a camminare
veramente senza più essere tenuto per mano,
è il momento del ripensamento, della riflessione,
della meditazione per comprendere che tu non sei qua
per godere delle cose della materia,
per godere degli ori, dei brillanti,
degli oggetti più o meno belli che la mente umana ha creato,
ma è il momento per incominciare a credere che c’è qualcosa di più
che giace al tuo interno, qualcosa che ti unisce, inevitabilmente,
a tutti gli altri, anche a quelli meno simpatici,
anche a quei figli che, in cuor tuo, eviteresti di incontrare,
anche a quei fratelli a cui, spesso e volentieri,
per una ragione sciocca e banale, volti le spalle.
E’ il momento di comprendere che ciò che ti circonda
è fatto anche per te e se, magari,
io ti ho fatto perdere
momentaneamente un affetto caro,
ti sto dimostrando che quel fiore,
quella stella, unica che brilla in cielo, è tua,
così come essa appartiene a tutti gli altri tuoi fratelli.
E’ il momento in cui, figlio mio, devi cercare di sforzarti di capire
che soltanto sorridendo agli altri,
che soltanto essendo disponibile nei confronti di tutti gli altri
riuscirai veramente a scavalcare, a superare la sofferenza,
anche quando questa sofferenza porta il nome «morte».
Viola


 

 


Pace a te, figlio, pace a te, figlio e fratello,
benvenuto, figlio mio amatissimo, benvenuto tra noi!
Io ero qui ad aspettarti,
ero qui che ti tendevo le braccia per accoglierti sul mio seno,
per farti sentire quell’affetto da cui così spesso,
nel mondo fisico, fuggivi,
quell’affetto che i tuoi sensi limitati, il tuo correre affannoso,
il tuo egoismo, ti impedivano di fermarti ad ascoltare.
Figlio mio, fratello mio, amico mio, compagno, sono qui per te,
abbandona quell’aria smarrita, staccati da quel corpo che ormai, per te,
non ha più alcun significato,
accetta con gioia, con felicità, il fatto 
che la morte del tuo corpo fisico
vuole ancora dire vita, che non sei morto, ma sopravvivi.
Sopravvivere, figlio mio, al di là di quella che è la materia fisica,
ritrovarti in un mondo meraviglioso, sconosciuto, diverso,
ma altrettanto bello e intenso di quello che hai appena lasciato:
qua tu ritrovi accanto a me il paradiso perduto,
tutto ciò che puoi desiderare e volere adesso potrà essere tuo,
fino a quando non sarai sazio dei tuoi desideri, delle tue passioni,
e allora un’altra terra sconosciuta, figlio mio, ti attenderà,
ed anche su quella sponda io sarò con gli altri ad attenderti
per prenderti per mano.
Figlio mio, quando io riuscivo a farmi ascoltare da te
ti dicevo che la morte non esiste,
ti dicevo che quella che tu consideravi essere la vita
in realtà era solo una piccola porzione della verità,
ti dicevo che tu non credevi, 
non riuscivi a credere veramente
nella mia esistenza e che avresti potuto credere
veramente
soltanto allorché tu mi avessi
raggiunto.
Figlio mio, ora mi sei accanto,
ora puoi comprendere che ciò che ti dicevo era la verità,
ora puoi comprendere che, quando io ti parlavo rassicurandoti sul mio amore,
non pronunciavo soltanto parole dette per il gusto di illuderti.
Sono qui, figlio mio, per aiutarti a vivere ancora, e ancora,
e ancora
esperienze sconosciute, diverse, inaspettate, indescrivibili,
inesprimibili, travolgenti, dolcissime, perché anche qui,
in questa lunga vita che ti attende, nulla avviene per caso.
Anche qui, come nella Terra che hai appena abbandonato e che ancora,
con rimpianto, 
pensi sia la tua patria, la tua dimora,
anche qui, figlio mio amatissimo, tutto ciò che ti
accadrà sarà ancora,
sempre e soltanto, per
il tuo vero bene.
Figlio mio, dammi ora la tua mano e seguimi nella terra dei sogni:
io ti accompagnerò lungo il tuo sopravvivere.
Moti


 

 


Io vorrei vedere le mie creature felici,
io vorrei che i miei figli avessero, nel corso delle loro esistenze,
attimi di vera unione con me e vorrei che riuscissero a sentire
veramente la mia presenza.
Io vorrei che fossero liberi,
liberi da ogni
costrizione che loro stessi si creano,
liberi
dal dolore nel quale molto spesso tendono a crogiolarsi,
a giocare con un senso quasi masochistico e sadico che crea,
per se stessi e per gli altri, nuova sofferenza.
Io vorrei vederli liberi e sicuri nel loro camminare
perché io non dimentico nessuno,
e anche se la mia voce non sempre giunge,
io vorrei che i miei figli avessero la certezza
che io sono sempre accanto a loro, anzi, sono dentro di loro,
e quindi è chiaramente impossibile il poterli abbandonare.
Io vorrei che le mie creature diventassero degli uomini maturi,
riuscissero a camminare con la testa alta,
riuscissero a non soffrire per delle piccole cose,
riuscissero a minimizzare gli avvenimenti della vita
nell’esistenza che conducono.
Io vorrei vederli sempre sorridenti
e andare incontro alla vita con la certezza di poter fare tanto
per poter dare aiuto a tutti gli altri fratelli,
ricordandosi del’amore con cui li amo,
ricordando che sono completamente uguali, identici,
per nulla differenti dai loro fratelli
e che non si può dunque attuare una selezione,
non si può scegliere il migliore o dire qual è il peggiore,
perché non vi può essere comparazione,
in quanto le mie creature sono veramente tutte uguali
poiché io sono dentro di loro.
Io vorrei ancora, e chissà quanto tempo ancora aspetterò,
udire le mie creature non più
alla ricerca di futili cose
che scompaiono
assieme alla scomparsa del corpo fisico,
ma vorrei vederli alla ricerca di qualcosa di diverso
che li aiutasse ancora a crescere.
Io vorrei vedere le mie creature tenersi per mano
e insieme andare incontro al domani
con la certezza di avermi dentro di loro.
Michel


 

 


E quando avrai compreso che le parole che io mando a te
non devono restare soltanto delle semplici parole.

E quando avrai compreso che nelle parole che io mando a te
non v’è soltanto un significato, ma migliaia di significati
che tu potrai scoprire.

Quando avrai compreso tutto questo, figlio mio amatissimo,
potrai finalmente alzare gli occhi e cercarmi,
e potrai pure star certo che allora mi troverai!
Florian


 

 


E io sarò Maestro per te, figlio mio.
Tu mi starai accanto ed io ti starò accanto,
tu desidererai ed io vedrò i tuoi desideri,
tu amerai e io gioirò del tuo amore,
tu soffrirai e io cercherò di lenire la tua sofferenza
allorquando mi sarà possibile farlo,
tu chiederai ed io – se potrò – ti darò,
tu pretenderai ed io – se potrò – ti darò,
tu implorerai, ed io – se potrò – ti darò,
tu ti aspetterai da me sempre dolcezza e amore
e io – se potrò – dolcezza e amore ti darò,
ma non aspettarti ciò che io non posso darti, figlio.
Se io sono qua per esserti Maestro,
e tu sei qua per essermi discepolo, spesso inconsapevole,
non attenderti che io risolva i tuoi
affanni,
poiché, se così facessi, non sarei un buon Maestro.
Non attenderti che io ti indichi una sola direzione in cui andare,
perché altrimenti 
costringerei la tua strada in una sola via
mentre tu hai il diritto di vedere davanti a te spiegarsi l’intera realtà.
Non aspettarti che io sorrida sempre:
il sorriso può essere utile e bello quando, dentro di te,
a sua volta splende un sorriso;
ma nel momento in cui tu il tuo sorriso lo tieni nascosto
e stretto in un pugno, 
in quel momento io, come Maestro,
non potrò far altro che mostrarti a mia volta il pugno,
affinché tu impari dalla mia mano 
come le mani si possono
e si debbono aprire.
Non aspettarti che io ti possa dire sempre la verità completa, totale,
in quanto la verità completa e totale la potrai raggiungere soltanto allorché
sarai pronto ad accettarla, 
altrimenti ne faresti un cattivo uso.
Non aspettarti che altri credano in me
soltanto perché tu magari in me hai fiducia;
se io sono tuo Maestro questo non significa che altri debbano accettarmi
come loro
Maestro.
Non aspettarti che io faccia per te cose meravigliose:
la cosa più meravigliosa che io posso farti è quella di insegnarti
ad affrontare la vita, ad accettarla, a viverla e a portare avanti il tuo cammino
accorgendoti che non esisti tu solo, ma che vivi e fai esperienza
insieme a tanti fratelli come te.
Non aspettarti che io ti porti al cospetto dell’Assoluto:
soltanto tu, figlio mio, soltanto tu puoi incamminarti lungo quella strada
e percorrere quel cammino.
Non aspettarti, insomma, da me nulla di ciò che non ti aspetteresti
da chiunque altro.
Se è vero che la mia evoluzione è maggiore della tua
(e non può essere altrimenti, se no io non potrei esserti Maestro)
tu non puoi veramente comprendermi,
tu non puoi sapere il perché del mio comportamento,
tu non puoi capire perché, magari, quando ti aspetti dolcezza
io ti porgo indifferenza,
quando tu ti aspetti ira io ti do affetto.
Il fatto è, figlio mio, che mentre tu non sai,
non sai ancora ciò di cui hai veramente bisogno,
i tuoi bisogni sono per me, dal momento in cui sono tuo Maestro,
la cosa più importante che nell’universo possa esistere,
la cosa intorno alla quale ruota tutta la Realtà che ci vede uniti, io e te,
in questa danza dolcissima che cerca di portarci verso il compimento della tua opera,
piccolo tassello di quel mosaico che l’Assoluto ha dipinto nell’Eternità.
Moti


 

 


E poi, e poi, e poi, figlio mio, se tu la felicità, la vera felicità,
non riesci ancora a sentirla,
a raggiungerla, cosa fare allora,
cosa fare per non essere infelice, ché l’infelicità quella sì, ahimè
così spesso tu prendi tra le mani e te 
la tieni a fianco!?
Cerca di fare, figlio, ciò che cosi difficilmente fai:
cerca di osservare i tuoi momenti di felicità transitoria
e di farli diventare preziosi,
cerca di capitalizzarli dentro di te e di farli diventare dei semi
dai quali farne sbocciare molti altri,
cerca di non dimenticarti di questi semi che in gran quantità
l’esistenza invece ti regala,
cerca di tenerli dentro di te e di far sì che essi si uniscano, alla fine,
in un concerto meraviglioso che soltanto tu, con la tua sensibilità,
ma più che altro con la tua comprensione,
puoi veramente riuscire a dirigere.
La pace sia con tutti voi, figli.
Moti


 

 


Figlio mio, io ti ho posto sul mondo,
affinché tu potessi andare incontro a te stesso,
e nell’andare incontro a te stesso muoverti
verso di me.
Ma tu, distratto dalle lusinghe della vita,
cerchi di percorrere strade sulle quali trovi ostacoli
contro i quali finisci col cozzare
andando incontro alla sofferenza,
e allora quando ti ritrovi di fronte alla sofferenza,
in quel momento ti ricordi di me, chiedi il mio aiuto,
chiedi che io in qualche modo
intervenga per far sì che tu riesca
a cambiare la qualità della tua vita.
Ma io non posso farlo, figlio mio,
non posso farlo più di quanto già lo abbia fatto nel momento in cui
ti ho posto sulla strada quell’ostacolo che ti ha procurato sofferenza;
ed è perché ti amo, come pochi padri riescono ad amare i propri figli,
che ho disseminato tutte le tue strade di ostacoli.
Non è stato per fermare il tuo cammino,
per rendere più difficile il tuo procedere,
ma è stato affinché ogni ostacolo ti facesse comprendere
che tu hai la forza di superare qualsiasi cosa,
ti facesse comprendere che non
esiste un dolore così grande
che non possa essere da te trasformato in qualcosa di positivo
per te stesso e per gli altri,
ti facesse comprendere che, se tu vuoi veramente raggiungermi,
niente e nessuno riuscirà mai a
fermare il tuo cammino.
La pace sia con, te figlio mio, con amore.
Moti


 

 


Figlio mio che insegui la Verità,
scolpisci nel tuo cuore queste parole
affinché essa non ti sfugga tra le dita,
inafferrabile come l’acqua del mare o il soffio del vento:
sia la tua vista sempre acuta e attenta,
mai abbagliata dal lampo o distratta dal tuono;
sia il tuo desiderio sempre giusto
affinché ti sia da sprone e non da catena;
sia la tua mente sempre pronta
a cogliere la differenza tra il lupo e il cane;
sia la tua anima sempre disposta
a trasformare se stessa nell’assaporare la vita.
Sarà così che non dovrai più rincorrere la Verità
ma sarà la Verità stessa a venirti incontro.
Baba


 

 


Non è la tua capacità di produrre meraviglie che ti rende grande,
non è la tua capacità di stupire che ti rende importante,
non è la tua capacità di essere portavoce della Verità che ti rende unico.
La tua grandezza, la tua importanza, la tua unicità, figlio nostro,
risiedono nella tua capacità di saper uscire indenne dal giardino degli incanti
mantenendo intatto il tuo senso della realtà,
preservando il tuo saper donare compassione e partecipazione agli altri,
conservando la tua umanità come un dono prezioso da offrire agli altri.
Baba


 

 


Tu, creatura, chi sei?
Tu sei ciò che dai agli altri.
Tu sei la compassione che sai donare a chi sta soffrendo.
Tu sei la dolcezza che trasmetti a chi è amareggiato.
Tu sei il sorriso che porgi a chi è infelice.
Tu sei tutto quello che di te agli altri arriva.
Tu sei.
Tu, da solo, non sei nulla, creatura.
Tu sei.
Tu sei gli altri, oltre che te stesso.
Tu sei.
Tu sei in me, figlio mio.
Tu Sei.
Scifo


 

 


Ti amo per le tue paure.
Ti amo, figlio mio, per il tuo pianto egoistico.
Ti amo perché sei un iceberg.
Ti amo perché stai piangendo, figlia mia.
Ti amo anche quando ti vedo incapace nel prendere
delle decisioni importanti per te e per chi ti sta accanto.
Ti amo quando vedo che soffri e sembri fare della sofferenza
l’unica ragione della tua vita.
Ti amo quando ti vedo vacillare sotto le sferzate della vita
e non riesci a trovare in te la forza per fronteggiarle
pur sapendo di possedere questa forza.
A
mo le tue difficoltà, amo quando ti senti sola,
e vorrei farti capire che non lo sei, e vorrei poterti dire:
«Tu non sarai mai solo» così come mai solo sarà un qualsiasi individuo,
non solo chi ha scelto di percorrere un certo tipo di strada,
ma qualsiasi individuo in questa vita.
Ti amo quando non vuoi ascoltarmi.
Ti amo quando sei così ostinato da voler continuare
a perseverare nei tuoi errori.
È vero, i miei amici latini dicevano «repetita juvant»
ma non sempre gli errori portano a buone soluzioni,
soprattutto quando sono reiterati.
Ti amo quando mi rivolgi invece un pensiero d’affetto,
quando sei tranquillo e sereno con te stesso,
quando sembri aver compreso che
è inutile dibattersi
come un pesce all’amo perché la vita è così e va affrontata,
giorno dopo giorno, accettando quello che porta ma, soprattutto,
cercando di capire cosa può avere insegnato,
cosa può insegnare ciò che ha portato.
Ti amo quando ascolti e riascolti le mie parole
e le interpreti in tutte le maniere tranne in quella giusta.
Ti amo anche quando mi rivolgi un pensiero malizioso
e cerchi di interpretare magari una piccola frase
– da me o da altri fratelli detta – senza voler vedere il vero significato,
quando fai finta di non capire qual era l’indicazione che volevamo darti.
Ti amo quando ti rendi conto che più di una volta nelle nostre parole
ci sarebbero quelle indicazioni per rendere meno dolorose
e sofferenti le vostre decisioni, le vostre scelte.
Ti amo quando, insomma, non solo chiudi un occhio ma li chiudi tutti e due,
ci metti il prosciutto davanti, o quello che ti pare,
e proprio non vuoi osservare la realtà.
Ti amo sempre e comunque, figlio mio,
anche perché, in fondo, ogni volta che ti osservo
non faccio altro che rivedere ciò che sono stato prima di te.
Michel

Meditazioni quotidiane 4.1


Padre mio,
io vivo i miei giorni come un
cerbiatto pauroso del buio;
e nella notte mi avvio lungo le strade della mia città
ed in
ogni angolo buio credo di scorgere creature
che vogliono farmi soffrire, farmi del male.
Vado a lavorare: intorno a me mi sembra di vedere soltanto
persone pronte ad approfittare di ogni mio errore,
di ogni mia debolezza, pronte a sopraffarmi
soltanto se mi distraggo
un attimo.
Mi guardo allo specchio e gli occhi che vedo così tante volte,
Padre mio, non mi sembrano neppure i miei occhi;
sembrano quelli di uno sconosciuto,
che dallo specchio mi guardano malevoli e che io non comprendo;
la loro luce mi sembra estranea;
ciò che cercano di dirmi, sembra volermi danneggiare.
E allora chiudo gli occhi, i miei occhi e non so se l’altra figura
davanti a me, invece, continua ad osservarmi con la stessa aria
maliziosa, maligna.
Quando riapro gli occhi, Padre mio,
mi sta ancora a guardare;
ed io non so più che cosa fare, dove fuggire, perché so che,
anche se mi allontano, domani, dopo domani, fra tre giorni,
fra un mese, fra un anno, per tutta la vita, prima o poi,
dallo specchio lo stesso viso mi guarderà;
ed in me nascerà ancora la stessa paura, la stessa disperazione,
lo stesso
dolore.
Padre mio, come posso sfuggire a tutto questo?
Anonimo

Figlio mio, non vi è molto da dire su ciò che tu mi chiedi.
Non chiudere gli occhi di fronte a quell’immagine;
non evitare di vivere la tua città,
perché se tutti gli uomini
le evitassero,
le città diventerebbero morte;
invece hanno bisogno di vita per vivere, per diventare sempre migliori.
Non sentirti in affanno allorché sei sul lavoro, perché tu,
la tua famiglia, la tua città, il tuo mondo, ha bisogno che proprio tu,
in prima persona, riesca ad essere un lavoratore coscienzioso,
riesca con l’esempio a dimostrare agli altri che si può vivere,
lavorare ed operare nella società senza essere in contrasto
con le regole morali interiori conosciute e condivise.
Non distogliere lo sguardo dallo specchio;
fissa i tuoi occhi in quegli occhi, che paiono malevoli;
cerca di penetrare in essi ed andare al di là di ciò che tu proietti
su quell’immagine;
cerca di essere consapevole che ciò che non vuoi vedere ti appartiene
e che soltanto tu puoi impedirgli di farti del male,
conoscendo, comprendendo, riuscendo ad eliminare
tutti i motivi di sofferenza.
Se riuscirai a farlo, se riuscirai a non essere più un cerbiatto
spaventato da te stesso,
senza dubbio riuscirai anche a lavorare con felicità, con gioia;
riuscirai anche a girare per le strade sorridendo a coloro che incontri;
riuscirai anche a trovare un sorriso allorché osservi te stesso allo specchio.
Non aspettarti che sia il mondo a cambiare per te;
devi essere tu, figlio mio, a cambiare per il mondo.
Moti



Padre mio,
basterebbe una Tua sola parola per farmi sentire meno solo,
meno abbandonato, più forte di fronte alle avversità, più unito a Te.
Anonimo

Figlio mio, pensi davvero che una mia parola
possa farti sentire meno solo, meno abbandonato,
più forte di fronte alle avversità, più unito a Me?
Ti ho già dato tutte le parole di cui avevi bisogno e,
se non ti sono bastate, come potrebbe ora, una mia nuova parola
riuscire
là dove le mie altre parole non sono riuscite?
Lo so che sei un uomo,
e che le tue richieste sono mosse dal tuo tentativo di ottenere,
facendoti umile e vittima ai tuoi stessi occhi,
qualcosa di più di quanto hai già avuto,
perché avverti la mia presunta mancanza come un diritto
che ti è stato tolto.
Ma io non posso che dirti ancora una volta che tu ti senti solo
perché non sai stare
veramente con te stesso,
che tu ti senti abbandonato perché non ti senti più il figlio prediletto,
che tu ti senti debole di fronte alle avversità perché non hai che te stesso
per affrontarle e risolverle,
che tu non ti senti del tutto unito a Me perché non credi davvero,
con tutto te stesso, alla mia esistenza.
Ti domandi se il tempo trascorso è stato buono,
chi può risponderti se non te stesso?
Io non posso che darti dei parametri con cui misurarti,
con cui confrontarti, ma sei tu il
solo che possa dare risposta
certa a ciò che chiedi.
Sarà stato un tempo buono:
se avrai trovato del tempo per osservare te stesso,
invece che posare il tuo sguardo,
sempre,
sulle lusinghe della vita materiale;
se avrai trovato del tempo da dedicare agli altri,
invece che addurre a tua scusante la mancanza di tempo per farlo;
se sarai riuscito, almeno qualche volta,
a fare dei tuoi sensi di colpa lo stimolo per modificare il tuo modo
di essere invece che farli diventare la fabbrica di altri sensi di
colpa,
sempre più opprimenti;
se avrai detto meno «ti voglio bene » ma avrai dimostrato di più
coi fatti la verità
dei tuoi sentimenti;
se avrai saputo prendere su te stesso la responsabilità dei tuoi errori
senza cercare
in continuazione il modo per attribuirla agli altri
o alle circostanze o alla vita in generale;
se non ti sarai sentito sopraffatto dalle nuove responsabilità
che l’esistenza ti ha proposto ma sarai riuscito a integrarle nella tua vita
assieme alle altre responsabilità che, comunque sia, sempre ti appartengono;
se avrai saputo essere un genitore attento e comprensivo,
dolce ma severo, aperto ma
disponibile,
pronto a correggere ma anche
ad ammettere i propri errori,
rendendo la
tua esperienza non un sentiero che i tuoi figli
dovranno percorrere per forza allo stesso tuo modo,
ma un’indicazione su come tu sei riuscito a tracciarlo per te stesso;
se avrai saputo essere un figlio indipendente ma affettuoso,
capace di partecipare ma anche di seguire la propria strada,
che ha saputo comunicare le proprie esigenze senza
dimenticarsi
o prevaricare quelle degli altri,
a cui non è stato necessario chiedere nel momento del bisogno
e il suo dare è stato spontaneo e sentito,
e la rinuncia non ha lasciato insormontabili rimpianti;
se non avrai fatto incaute promesse sull’onda dell’entusiasmo
per dimenticarle non appena l’entusiasmo si spegneva;
se avrai lavorato per il piacere di farlo e di sentirti utile;
se avrai trovato, anche nei momenti più difficili,
la capacità di trovare qualcosa di
positivo;
se nella malattia avrai saputo trovare lo stimolo
per guarire interiormente;
se di fronte alla morte non ti sarai sentito morire dentro;
se avrai fatto qualcosa per gli altri consapevole di non averlo fatto
per altruismo ma per un tuo bisogno personale che, combinazione,
corrispondeva alla necessità di qualcun altro;
se non avrai condotto oltre il lecito la tua vita sulla scia delle tue illusioni;
se le tue parole non saranno stati semplici fonemi emessi per apparire,
ma lo specchio del tuo sentire;
se le tue emozioni avranno fatto capire a chi ti ama ciò che provi
veramente e non riesci, magari, ad esprimere;
se i tuoi pensieri saranno stati tesi alla ricerca dei tuoi veri perché
più che alla ricerca della felicità, perché non esiste vera felicità se
non si è consapevoli di quello che davvero si desidera;
se, infine, avrai compreso fino in fondo almeno una piccola verità
su te stesso che non avevi mai sospettato.
Eliminando tutti quei «se »figlio mio,
non
avrai reso il tuo tempo più o meno buono ma, senza alcun dubbio,
lo avrai reso degno di essere vissuto.
Se così non è stato, figlio mio, adoperati – per amor tuo – nel far sì
che lo sia il tempo che hai davanti e che stai incominciando a vivere.
Che la pace sia con te e con tutti gli uomini.
I tuoi fratelli



C’è un tempo per vivere
e un tempo per morire,
c’è un tempo per gioire
e un tempo per piangere,
c’è un tempo per abbracciare
e un tempo per allontanare,
un tempo per stringere
e un tempo per lasciare,
c’è un tempo per tutto,
ma non lasciate che il tempo vi scivoli addosso
in modo tale che voi possiate poi dire
che il vostro tempo è stato vissuto invano.
Florian



Ma in definitiva, Padre mio, esisti o non esisti?
Quel Dio che a volte invoco dentro
di me,
specialmente nei momenti in cui più ho bisogno di aiuto,
ha una sua realtà, una sua esistenza o è soltanto
l’espressione di un mio bisogno,
la raffigurazione mentale di ciò che io vorrei?
Moti

Figlio mio, tu mi hai dato centinaia di nomi diversi,
tu mi hai attribuito la capacità e la possibilità di decidere
il bene o il male per intere nazioni facendomi un Dio degli eserciti,
tu mi hai ricoperto di oro e di offerte;
tu hai fatto di me un’immagine che occhieggia la realtà dell’umanità
incarnata da quadri, statue, palazzi marmorei, chiese, basiliche;
tu mi hai posto in tutti i posti dove io, in realtà, meno sono.
Certo che esisto, figlio mio,
ed esisto dentro di te perché io sono te, così come tu sei me
e mai potremo essere separati.
Scifo



Padre, Padre mio, mi rivolgo a Te
perché sono convinto che nessun altro, in questo momento,
possa fornirmi esauriente risposta ad una domanda
che non mi appartiene in modo particolare,
ma che appartiene ai miei fratelli che ancora peregrinano
nel mondo della materia.
Io li ho osservati e tuttora li osservo, e vedo, e sento nei loro cuori,
un malcelato timore
di una nuova guerra.
Io mi faccio partecipe di questo loro sentimento
e mi prendo il diritto di farmi loro portavoce.
Che significato può avere, Padre nostro, alle soglie del Duemila,
una guerra che porterebbe con sé soltanto distruzioni e morte?
Certo, si diceva una volta, la guerra è una lezione che gli uomini
non imparano mai
abbastanza e, forse, a quasi cinquantanni
da un conflitto particolarmente doloroso,
l’uomo può aver dimenticato quelle tragedie;
tuttavia la coscienza di ognuno di quei fratelli si ribella
all’idea di un nuovo conflitto.
Ti prego, Padre, Tu che permetti questi incontri,
che ci offri la possibilità di sentire,
in qualche modo, la Tua voce, dai una risposta,
affinché i timori si possano trasformare, ancora una volta,
come soltanto Tu sai fare, in serenità.
Viola

Figlio mio, la tua voce è giunta a me, assieme a quella di migliaia,
di milioni di altri figli, che in queste ore tormentate e tormentose
per tanti, si pongono angosciati lo stesso dilemma,
spaventati da uno spettro che si
ricordano o che hanno sentito raccontare
più e più volte e che, proprio per questo, temono.
Se io, figlio mio, dovessi rispondere a un altro dei miei figli,
la mia risposta, certamente, sarebbe diversa da quella che a te,
amatissimo figlio, posso dare.
Ma a te, mio caro, che hai seguito per mesi, per anni gli insegnamenti
che arrivano attraverso le barriere dei vari piani,
a te non posso far altro che ricordare ciò che questi insegnamenti ti hanno dato:
tutto ciò che accade, che è accaduto e che accadrà, accade sempre e soltanto
per fare il tuo bene;
anche le più immani tragedie, anche le più grandi catastrofi,
i più dolorosi dolori avvengono non per far soffrire, bensì per far crescere.
In realtà l’ultima grande guerra che ha sconvolto questo pianeta
e che viene tramandata come guerra mondiale,
molto meglio sarebbe se venisse tramandata come guerra personale,
in quanto essa è stata la guerra di ognuno degli individui
che hanno partecipato, con se stessi e con la propria coscienza.
Infatti, tu, figlio, che sai quanto il sentire di ogni individuo sia diverso dall’altro,
quanto la realtà che ogni individuo percepisce è diversa da quella che il suo fratello,
anche il più vicino, il più simile a lui, percepisce,
tu puoi comprendere quanto lo stesso avvenimento possa avere significato
e influenze diverse per persone diverse.
Ecco così che la traccia, apparentemente identica, che attraversa tutta l’umanità,
si scompone in migliaia di altre piccole tracce
che hanno in sé i germi di sentire diversi.
Lo so, tu vorresti, adesso, una risposta precisa:
un sì o un no, se gli avvenimenti che temi si verificheranno davvero
oppure se vi è una speranza che prima o poi, anche all’ultimo minuto,
prevalga quel buon senso, quel sentire, quell’amore che, vi è stato detto,
giace all’interno di ognuno di voi.
Ma non esiste, figlio mio, una risposta che sia un sì o un no a questa domanda,
in quanto, proprio in virtù di quanto tu sai, di quanto per molto tempo
è stato cercato di insegnarti, vi sarà un sì per una parte di umanità,
un no per un’altra parte perché vi sarà ancora chi avrà bisogno
di attraversare un conflitto,
ma vi sarà anche chi non avrà questo bisogno.
Questo è così difficile, figlio mio, da comprendere!
Certo, ti sento parlare spesso di quelle famose varianti
che ti sono state ipotizzate
e tu annaspi dentro di te per cercare
di comprendere con la tua mente, eppure è proprio in virtù
di questo frazionarsi della realtà
per adeguarsi al sentire dell’individualità
di ognuno di voi, che esiste una logica e un perché in tutto ciò che vi circonda.
Così, se tu dalla guerra avrai bisogno di comprendere
ciò che non riesci a comprendere ebbene tu, figlio, tu in prima persona,
vivrai una qualche guerra, mentre tu, figlio, che da una guerra non potrai trarre
nulla di nuovo per la tua coscienza, non attraverserai questa esperienza.
Non era questo che ti aspettavi da me,
figlio mio, ma come posso darti sempre ciò che vuoi?
A te mando in continuazione, principalmente, ciò di cui hai bisogno e tu,
figlio mio, hai bisogno di crescere, e crescere significa comprendere,
comprendere significa allargare il tuo sentire,
e allargare il tuo sentire significa unirti agli altri,
e unirti agli altri significa, alla fine, unirti a me.
Infinite sono le strade che portano a me
ed ognuna, nel corso della tua evoluzione,
tu la percorrerai.
Pace a te, figlio mio amatissimo.
Moti



Padre, Padre mio, io sto cercando risposte
e trovo solo domande.
Mi sono interrogato sulla vita e mi sono
chiesto: «Chi è che è vivo?»
Forse il mio corpo fisico è vivo?
Forse è vivo il mio Io?
Forse è viva la mia coscienza?
Forse, forse, forse.
E a forza di domande sono giunto alla conclusione
che solo Tu, Padre mio, sei vivo.
E io, Padre mio, mio amatissimo Padre,
io mi sono interrogato su me stesso, sulla realtà, su ciò che io sono,
su ciò che potrei essere, su ciò che sarò, su qual è la mia coscienza,
la parte conscia di me, se è il mio corpo fisico che è conscio,
se è il mio Io che è conscio, se lo è
la mia coscienza.
Se, se, se.
E alla fine – anche un po’ stanco – mi sono detto che in fondo
forse (anzi, senz’altro)
la risposta è che soltanto Tu, Padre mio,
sei cosciente.
Anonimo

Figlio carissimo, figlio mio carissimo,
sei ancora ben lontano dall’aver compreso!
Infatti, io non sono vivo,
io non sono cosciente:
semplicemente, figlio, Io Sono!
Scifo



Padre mio, al di là di ogni filosofia,
al di là di ogni parola, resta un unico fatto,
per me importante, primario, indimenticabile,
terrificante, esacerbante, inevitabile,
insopportabile: io sto soffrendo.
Mille e mille religioni nell’intero susseguirsi dei secoli
hanno agitato davanti a i miei occhi il miraggio di un Paradiso
dove la sofferenza non trova posto e il mio desiderio più grande
è quello di riuscire a raggiungerlo, ma è così difficile.
E’ così difficile, Padre mio, non soltanto penetrarvi
ma anche solo trovare la porta
per farlo,
e anche quando si è riusciti a individuare
quella che potrebbe essere la porta giusta,
riuscire ad aprirla appare un ostacolo insormontabile.
Aiutami, Padre mio, dammi le chiavi del Paradiso,
affinché io possa scrollarmi dalle spalle l’immane peso
della mia continua
sofferenza.
Baba

Figlio mio, il Paradiso non è là dove molti lo cercano:
esso non risiede nell’alto dei cieli,
né nelle grandi praterie e tanto meno su un monte
così alto da sfidare le nuvole.
Esso è così a portata di mano per chiunque voglia raggiungerlo
che sfugge all’attenzione del ricercatore
in quanto esso non è un dove né un quando,
ma è una condizione interiore 
che già esiste,
nascosta e non riconosciuta 
nel più riposto anfratto
dell’anima di ogni uomo.
Io ti ho dato ogni cosa per raggiungerlo
attraversando le molte porte che ostacolano il tuo faticoso procedere
e per ogni porta già ti ho dato la chiave:
la paura della morte sarà sconfitta dalla gioia di vivere,
il timore di guardarsi dentro sarà superato dall’audacia di scrutare se stessi,
l’egoismo dell’Io più incatenato sarà dissolto da un solo atto di vero altruismo,
l’avidità di possedere e possedere ancora sarà trasformata dal saper donare
metà di ciò che si possiede a chi non ha nulla,
il senso del potere verrà modificato dall’uso giusto che del potere può essere fatto,
la presunzione potrà essere sconfitta da ogni piccolo atto di umiltà,
l’odio potrà essere cancellato da un unico attimo di vero amore,
il rimpianto per ciò che si è perso potrà essere rimpiazzato
dalla consapevolezza di ciò che si ha avuto,
la tristezza potrà essere annullata da un sorriso fatto con vera partecipazione,
il dolore vedrà la sua sconfitta
non appena 
ne riconoscerai e accetterai la necessarietà.
Ogni porta ti è stata svelata, ogni chiave ti è stata data.
Devi solo trovare il coraggio di aprire ogni soglia e il Paradiso sarà tuo.
Per sempre.
Ananda



Figlio mio, tu non stai attraversando onde,
tu non stai solcando mari,
tu non stai
viaggiando in posti sconosciuti e attraverso
realtà che ti sfuggono in continuazione.
Il tuo lungo percorso, il tuo lungo peregrinare
attraverso ciò che da me
proviene,
in realtà non è altro che un
continuo muoverti
all’interno di te stesso.
Ogni posto che vedi è il tuo posto.
Ogni affetto che hai è il tuo affetto.
Ogni vita che vivi è la tua vita ed è il tuo modo di vivere.
Non hai bisogno di cercare la tua isola,
figlio mio, non ti sei mai mosso dal suo suolo.
Moti



Hei, tu, piccolo uomo!
Hei, tu, piccolo uomo, sballottato tra i flutti dell’esistenza..
Sì, sto parlando con te, non allungare la mano verso il tuo vicino,
non è a lui che
mi rivolgo, è a te!
A te personalmente!
E non ti girare indietro, per piacere, sto guardando te!
E’ a te che mi rivolgo;
a te, che hai sempre desiderato avere un rapporto con me,
un rapporto privilegiato con me!
Sono 26 anni che hai un rapporto privilegiato con me
(e devo dire che non hai neanche pensato a fare una festa!)
Ma perché ti guardi intorno con aria smarrita?
Non è questo che desideravi?
Non desideravi forse, finalmente, avere una risposta dal tuo Dio?
Come? Cosa stai dicendo? Ah, il tono!
Capisco: tu sei di quelli che si fermano al tono di chi sta parlando
e magari non ascoltano neanche una parola di quello che viene detto!
Ho capito.
Va be’, cercherò di cambiare il tono, può darsi che questo ti aiuti.
Figlio mio, ti va bene così?
No, neanche questo.
Ma cos’è che ti turba? Non sei convinto di parlare con Dio?
Ah, vedo, vedo: stai esaminando tutte le ipotesi
che potrebbero venirti in mente.
Ascoltami, figlio.
Io che ti parlo sono il tuo Dio, ma non sono il dio degli eserciti,
non
sono il dio del giorno né il dio della notte,
non sono il dio del bene né il dio del male;
se vuoi pensare a me, pensami come il dio della vita
e mi penserai nel modo più vicino in cui tu possa definirmi.
Ascoltami, figlio;
ascoltami, se vuoi, su
questa strana cosa che ti sta succedendo.
Stai pensando: «E se non fosse Dio?
Se questa voce che sto sentendo fosse, che so io,
la voce della mia coscienza?
No, no, per carità, lasciamo stare la coscienza perché,
quando si tira in ballo la coscienza,
si sa da dove si parte ma non si sa mai dove si arriva!
Può essere pericoloso!
Potrebbe essere un’allucinazione!
Vediamo: un’allucinazione da volontà di potenza
dovuta a traumi infantili, magari
di origine sessuale.
No, lasciamo questo agli psicanalisti!
Ma, allora, se non trovo risposta?
Se tu non trovi risposta, potrebbe anche essere davvero
che chi ti sta parlando sia Dio!
Non era così che t’aspettavi la cosa, vero?
Eppure, vedi, figlio mio carissimo,
sono millenni che io, in una maniera o nell’altra ti parlo;
certamente tu non sempre mi stai ad ascoltare,
e qualche volta ho dovuto ricorrere a dei mezzi un po’ drastici
per attirare la tua attenzione: ho incendiato dei rovi,
ho suonato
delle trombe, ho fatto cadere addirittura mura di città,
però bisogna dire che l’attenzione l’ho attirata!
Tuttavia non sei mai riuscito a trattenere la tua attenzione
per lungo tempo su di me.
Certo, ti sei creata un’immagine di Dio.
«L’immagine di Dio – dicono i dotti – è tendenzialmente antropomorfica;
questo significa che è anche antropocentrica!», ovvero che tu nel tempo,
nei secoli, hai cercato di farti un’immagine di Dio a somiglianza di te stesso;
pensando, evidentemente, che io sono te.
No, hai ragione, non ti va bene, preferisci dire così:
«.. pensando, evidentemente, che tu sei me!»
Forse è quello che ti manca: la concezione della fusione dei due termini:
non esiste 
«io sono te» o «tu sei me»,
esiste
«Noi due siamo Uno»!
Questo, nel tempo, figlio mio, dovrai imparare veramente a comprendere;
e lo comprenderai soltanto quando lo sentirai veramente dentro di te.
Anonimo



Nel corso della tua vita, figlio mio, tu ricordi.
Tu ricordi di fare colazione al mattino,
tu ricordi di chiedere l’affetto di chi ti sta accanto,
tu ricordi i torti che ti sono stati fatti,
tu ricordi i lavori che stai facendo
o che non sei riuscito a compiere,
tu ricordi i momenti che hai perduto,
tu ricordi gli amori che non hai vissuto,
tu ricordi le sensazioni che non hai incontrato,
tu ricordi i libri che non hai letto,
tu ricordi le cose che non hai appreso.
Fratello mio, caro fratello,
ricordati anche di essere felice, qualche volta.
Anonimo



Se tu non fossi come sei,
io non avrei nulla da dirti ma mi ritirerei nella quiete
del mio stato 
perfezionando con calma e pazienza
la più piccola assonanza del mio essere.
Se tu non fossi così come sei,
potresti essere anche peggio ed allora non avrei nulla da
dirti
perché !e mie parole suonerebbero alle tue orecchie
prive di senso e, per questo,
le rifiuteresti.
Se tu non fossi come sei,
magari saresti migliore,
forse così migliore da non avere bisogno di me
oppure migliore solo quel tanto
da indurmi a ricercare
nuovi concetti, nuove
idee, nuove parole da regalarti.
Ma tu sei come sei,
ed il tuo essere così mi avvince a te per sorreggerti,
abbracciarti,
infonderti iniziativa, rinfocolare domande,
stimolare la tua fantasia e le tue idee,
far gareggiare il tuo amore e il tuo egoismo
nella speranza che, finalmente,
ti abbandoni al giusto vincitore in modo definitivo.
Non puoi sfuggirmi perché sono dentro di te,
non puoi ignorarmi perché tutto ti riconduce a me,
non puoi tradirmi perché non ho nulla da perdere,
non puoi odiarmi perché non sai darmi un volto,
non puoi fare altro che desiderarmi e cercarmi, e,
inconsapevolmente, tendere a me
come il fiume verso i! mare.
Viola



Figlio mio, se anche io ho posto lungo il tuo cammino lo sconforto,
se anche io, figlio mio, ho posto sul tuo cammino la disperazione,
se anche io ho posto sul tuo cammino il dolore,
la sofferenza più esacerbante, figlio mio,
sta’ certo che se mi vorrai ascoltare mi sentirai,
che se veramente mi vorrai cercare mi troverai,
ovunque e sempre, purché tu riesca a imparare
ad avere fiducia in me.
Viola



Figlio mio, ciò che io intendo per ricerca è forse
più giustamente denominabile come
«riscoperta»:
riscoperta di te stesso, del tuo vero «Sé»,
di ciò che dentro a te giace,
sepolto ma non silenzioso,
sommerso ma intransigente,
sfuggente eppure concreto quanto e forse più
di ciò che le tue mani ora stringono,
ora afferrano, ora percuotono, ora accarezzano.
I tuoi drammi e le tue felicità sono sue conseguenze.
Le tue lacrime e i tuoi sorrisi sono sue manifestazioni.
Arriva a Lui e tristezza e gioia avranno un nuovo senso,
così che la tua vita avrà colori 
e forme nuove,
più intensi, più limpidi,
più reali.
Non credere a chi vuole importi l’idea che la materialità
è sinonimo di peccato,
o che la spiritualità è sinonimo di paradiso,
perché ogni cosa che esiste,
esiste perché è necessaria ad aiutarti nel tuo cammino.
Così dì a colui che cerca di costringerti a seguire le sue idee
monolitiche 
che materia e spirito sono separate solo
per chi nulla ha ancora compreso.
Se credi in un Dio, pensa che l’espressione
«Tutto mi parla di Te» è vera fino
alle sue estreme conseguenze.
Se non credi in Dio, sii fiero di te stesso
e certo di essere nel giusto se conduci la tua vita amando
te stesso e gli altri perché così senti di fare,
e non per obblighi morali, sociali o di tradizione.
E sappi, infine, che non ha importanza che tu sia convinto
di stare ricercando: prima o poi, e comunque,
nell’ombra qualcosa troverai che ti trasformerà,
perché sarai pronto ad
essere diverso.
E allora saprai, senza ombra di dubbio,
che la tua ricerca sarà arrivata alla fine.
Moti



Figlio mio, io ti osservo nel corso della tua ricerca,
ti vedo fermarti nelle tue giornate
cercare insistentemente un perché,
cercare
in te i motivi, le cause di ciò che stai vivendo,
di ciò che ti succede, di ciò che ti colpisce, che ti addolora,
che ti frantuma, che ti rattrista in continuazione.
Ti vedo volgere gli occhi intorno a te e chiederti perché
quella persona non ti ama, perché non ti aiuta,
perché si rifiuta di tenderti una mano,
perché non ti sente suo fratello.
Ti vedo ascoltare ciò che gli altri dicono,
e soffrire perché nelle loro parole non riesci ad avvertire
ciò che vorresti avvertire,
non riesci ad avvertire amore, tenerezza, dolcezza.
Poi osservo la tua mente e osservo te,
all’interno della tua mente,
allorché esamini attentamente le azioni degli altri,
le esamini e ti erigi a giudice, a critico,
ti erigi a scopritore della realtà altrui, della Verità altrui,
pensando di trovare così dei motivi in loro
che possano scusare ciò che tu hai compiuto,
che possano permetterti di dire:
«Io ho fatto il mio possibile, ma in realtà la verità
è che
sono gli altri a sbagliare».
Figlio mio, chiudi i tuoi occhi,
figlio mio, tappati le orecchie,
figlio mio, fa’ tacere la mente rivolta all’esterno
e osserva te stesso:
se davvero vuoi trovare la Verità non cercarla al di fuori di te,
perché io là non l’ho posta.
Là vi sono le verità altrui, ma le verità altrui, figlio mio,
per te sono irraggiungibili,
non sono altro che proiezioni dei tuoi bisogni,
dei tuoi desideri,
dei tuoi pensieri, delle tue passioni.
Ciò che invece, figlio mio, per te è raggiungibile, osservabile,
conoscibile, comprensibile, assimilabile, verificabile
è la tua realtà interiore;
ed è lì, figlio mio, che io ho posto la
Verità che tu puoi scoprire.
Non aver timore, non aver timore di te stesso
ed osservati fino in fondo:
se davvero è la
Verità quella che vai cercando,
nel tuo più profondo essere, senza dubbio, la troverai.
Scifo



Io sono la purezza cristallina del miele
e il ronzio delle api.
Io sono il palpitare di vita delle lucciole
e lo stormire delle fronde.
Io sono il gioco di un bimbo
e la mano
tremante di un vecchio.
Io sono il vostro lavoro,
la vostra casa
e i vostri cari.
Io sono la primavera, l’estate,
l’autunno
e l’inverno.
Io sono la vita che è in voi,
le parole degli uomini e quelle dei maestri,
sono la preghiera accorata
e il silenzio misterioso,
sono l’azione improvvisa
e il sentirsi ostacolati,
sono il raggio di Sole e l’ombra della notte,
sono la vita e sono la morte.
Io sono il dolore,
che vi fa agognare la gioia.
Io sono la malattia,
che vi fa apprezzare
la cura di voi stessi.
Io sono l’odio,
che vi aiuta a comprendere 
che è l’Amore
ciò che andate cercando.
Io sono l’avversità,
che vi insegna ad essere forti in voi stessi.
Io sono il contrasto,
che vi induce a cercare
la serenità interiore.
Io sono la paura,
che vi spinge a trovare
il coraggio
per affrontare voi e gli altri.
Io sono la noia,
che vi fa desiderare
di non ristagnare.
Io sono la rabbia,
che vi costringe a mostrare
i vostri veri sentimenti.
E sono il rifiuto,
che vi fa capire come ci si può sentire ad essere rifiutati,
e sono l‘Amore,
che continuamente 
vi chiama e vi ricorda
che è l‘Amore
che governa il Creato,
e sono anche la passione che incendia i vostri sensi,
sono la delusione che sferza il vostro orgoglio,
sono la menzogna e la sincerità,
la violenza e la dolcezza,
l’avidità e la generosità,
l’egoismo e l’altruismo.
Io sono il canto che tutto pervade e fa vibrare,
perché Io sono la voce instancabile del Tutto
che canta la sua armonia senza interruzione e senza posa,
forte nella sua certezza che, prima o poi,
sarete capaci di udirla e di unirvi al suo canto.
Fratelli, sorelle, siate sempre presenti a voi stessi e all’Amore.
Viola

L’ambiente: fisico, astrale, mentale, akasico

d-30x30L’ambiente: fisico, astrale, mentale, akasico. Dizionario del

Terra, acqua, aria, fuoco…
Devo dire che gli antichi, anche se non possedevano le meraviglie tecnologiche che voi oggi possedete e quelle che ancora verranno, certamente non erano degli sciocchi e il loro pensiero che la realtà che potevano osservare si basasse su questi quattro elementi proveniva da conoscenze arrivate da molto lontano, tuttavia con una loro logica che le preservava abbastanza intatte all’interno della sapienza antica e che io questa sera ho riportato tra di voi come punto da cui partire per esaminare l’aspetto ambientale della realtà in cui l’individuo compie la sua evoluzione.
Al di là dei tantissimi significati che a quelle quattro parole sono stati dati – spesso giusti, spesso meno giusti, spesso addirittura fantasiosi – quello che mi preme sottolineare questa sera è che ritroviamo ancora una volta il numero 4, il che vi può far pensare che – tutto sommato – quei 4 elementi possono essere il simbolo dei piani più vicini alla vostra realtà, ovvero il piano fisico, il piano astrale, il piano mentale e, naturalmente, il piano akasico. Infatti, se si volesse scegliere – ad esempio un elemento per simboleggiare il piano fisico, quale miglior elemento potrebbe essere scelto che la terra!
Senza la terra, creature, il piano fisico non esisterebbe, così come voi lo conoscete; non esisterebbe la grande quantità di mondi; non esisterebbe, quindi, un ambiente fisico sul quale l’individuo possa compiere, attraverso le varie fasi che attraversa, la sua evoluzione.
Per certi versi anche la scelta dell’acqua come simbolo del piano astrale trova una sua giustificazione simbolica: l’acqua, infatti, in qualche modo maschera la realtà; è qualcosa che impregna la terra e ne entra a far parte, e può passare anche inosservata; può essere uno specchio di quella che è la realtà fisica, ma nel contempo possiede delle qualità che sfuggono allorché cerchi di raccoglierla tra le dita, di portarla alla tua razionalità. Può servire da specchio per osservare ma anche da specchio per deformare; e possiede la capacità di mutare abbastanza facilmente caratteristiche a seconda dell’ambiente fisico in cui viene a trovarsi: ora può diventare solida, ora può essere liquida, ora può addirittura volatilizzarsi come se fosse un gas.
Queste sono le qualità che, in qualche modo, possono anche essere riconosciute nel piano astrale; infatti voi sapete che la materia del piano astrale è una materia molto pronta a trasformarsi, attimo dopo attimo, sotto la spinta dei desideri e delle emozioni; voi sapete che il piano astrale – e lo provate quotidianamente voi stessi personalmente – travolge i vostri sensi, travolge il vostro modo di vivere la realtà fisica, travolge addirittura la vostra razionalità, deformando spesso e volentieri ciò che voi riuscite a percepire di quello che state attraversando.
E’ anche evidente che l’aria è un buon simbolo per il piano mentale. Infatti, il pensiero non si vede; il pensiero in realtà non si riesce ad afferrare, eppure – come l’aria – è necessario per mettere in moto i meccanismi della vostra razionalizzazione; è necessario per far sì che, attraverso il pensiero, si arrivi ad influenzare la realtà con le azioni, e questo attraverso qualcosa di invisibile, irraggiungibile e apparentemente – per la vostra percezione – inesistente.
Se voi non sapeste di possedere il pensiero, se non foste consapevoli di pensare, come potreste rendervi conto che il pensiero esiste? E la vostra stessa consapevolezza di pensare, alla fin fine, poi, da cosa nasce? Se ricordate, tempo fa avevo detto – più o meno scherzosamente – che il cervello potrebbe essere situato nel dito di un piede invece che nella testa, eppure voi percepite che così non è e sapete, sentite, che il pensiero, le sue vibrazioni, nascono proprio – o per lo meno arrivano al piano fisico, in cui voi siete – attraverso la parte alta del capo, cioè del vostro corpo fisico.
E quale simbolo migliore, poi, per il piano akasico (il piano della coscienza) del fuoco?! Il fuoco, che nostro Fratello Labrys ha così spesso usato per parlare di ciò che attiene la coscienza dell’individuo; il fuoco, che illumina l’essere; il fuoco, che con i suoi movimenti, e quindi con le sue vibrazioni, fa sì da creare i presupposti per un’azione motivata all’interno del piano di esistenza; il fuoco, senza il quale non esisterebbe la realtà come voi la conoscete; infatti, il fuoco è calore e senza il calore vorrebbe dire che non vi è interazione tra le particelle che compongono la realtà e, se non vi fosse interazione tra queste particelle, la realtà si disgregherebbe; quindi è evidente che il calore, come vibrazione e come fuoco, può essere preso come simbolo di quella realtà della coscienza, di quella realtà del piano akasico, che appartiene a tutta una razza; e non soltanto a tutta una razza ma a tutta la necessità della realtà per fondare la sua esistenza e per far sì che, attraverso i suoi movimenti, venga a dipanarsi un po’ alla volta tutto ciò che voi conoscete come percepibile fisicamente, emotivamente, mentalmente, storicamente, socialmente, e via e via e via …
Una delle domande possibili da farsi per quanto riguarda l’ambiente è questa: l’ambiente esisterebbe lo stesso, se mancasse una di queste componenti? La risposta mi sembra ovvia: potrebbe anche esistere un ambiente, però sarebbe un ambiente amorfo, disorganizzato; in cui, quindi, la vita e l’evoluzione non potrebbero trovare gli elementi per costruire il Grande Disegno dell’Assoluto.
Ma quanti sono gli ambienti? Certo, voi avete parlato di ambiente familiare, di ambiente di lavoro, di ambiente associativo, e potreste parlare di tantissimi altri ambienti, quelli che voi avete definito – se non vado errato – «microambienti»; però, se dovessimo parlare di tutti gli ambienti, veramente ci sarebbe la necessità di alzare ancora la media della vita di ognuno di voi! Io direi che, per semplificare – si fa per dire, naturalmente – le cose, conviene forse partire, sulla base di quanto detto prima, da quelli che possono essere considerati i quattro ambienti principali: l’ambiente fisico, l’ambiente astrale, l’ambiente mentale e, naturalmente, l’ambiente akasico. Siete d’accordo? Vedrete che così forse sarà un pochino più semplice, anche perché voi potreste dire: «Esiste però un ambiente sociale» ad esempio «un ambiente sociale molto importante perché in qualche modo condiziona gli individui che compongono la società» e su questo avrei già qualcosa da dire perché forse può essere che sono gli individui che in qualche modo condizionano l’ambiente sociale, ma lasciamo stare questo discorso per il momento.
Io posso essere d’accordo con voi; certamente vi è un ambiente sociale, certamente vi sono dei condizionamenti da una parte o dall’altra che sono importanti, però, se ci pensate bene, l’ambiente sociale che cos’è, in fondo?
L’ambiente sociale non è altro che la risultante dell’ambiente fisico, dell’ambiente astrale, dell’ambiente mentale e dell’ambiente akasico; non è un ambiente che ha una sua esistenza di per se stesso, è un ambiente che scaturisce dal modo in cui gli individui si trovano inseriti nei quattro ambienti che abbiamo preso come punto di partenza. Quindi, parlando degli ambienti di partenza, si arriverà necessariamente a comprendere anche quelli che sono gli ambienti che derivano da questi quattro ambienti principali. Siete d’accordo?
L’ambiente sociale ha una sua esistenza soltanto in relazione agli altri ambienti; e non soltanto, ma è anche in relazione – e qua sono consapevole che ci complichiamo la vita – con quelli che sono gli archetipi.
Ma ritorniamo ai nostri quattro ambienti di partenza.
Abbiamo visto che per ottenere che una razza evolva è necessario che la razza, fin dal suo primo incarnarsi, trovi l’ambiente fisico adatto per potersi incarnare. Abbiamo anche visto che questo ambiente fisico è necessario che si trasformi per adattarsi alle mutate necessità evolutive degli individui; abbiamo visto come la vibrazione – se non vado errato – «prima», che dà il via alla partenza di un cosmo sia alla base della formazione della materia del piano fisico, dando già quegli elementi tali per cui ci sia una base solida su cui l’ambiente fisico possa costruirsi in determinate direzioni anziché in altre; in direzioni cioè che siano utili alla razza che si deve incarnare; quindi in modo tale che la materia del piano fisico abbia a sua volta un’evoluzione, un mutamento, un cambiamento che la porti gradatamente ad essere in condizione di poter offrire ciò che abbisogna all’evoluzione della razza.
Ora, ho sentito uno tra voi, proprio questa sera, parlare di un punto che di solito coloro che negano i discorsi che qui o da altre parti vengono fatti citano spesso: «Se, come dite voi, – cioè noi – questa è la terza razza che si incarna, se ogni razza si incarna per 50.000 anni circa e le razze si sovrappongono, questo significa, a soldoni, che l’essere umano, sul pianeta, è presente all’incirca soltanto da 140.000 anni. Giusto? Perdonatemi gli spiccioli! Ma allora, quei reperti ritrovati più di una volta di esseri umani risalenti – che so io – a trecentomila, cinquecentomila, un milione di anni fa (e qua le datazioni poi si sprecano, sempre per l’esattezza e la ripetibilità della scienza!) che senso hanno? I conti non quadrano, quindi ciò che voi dite sono soltanto panzane». Tutto sommato, fossi uno di costoro, la penserei come loro. Voi no? No? Bene, allora, visto che hai detto «noi no», allora spiega perché!
Secondo me, il punto importante su cui va posto l’accento è: quelle creature erano esseri umani o no?
Facciamo la parte del Piero Angela: «A me sembra, però, caro signor Scifo …» Togliamo il «caro», che se no è troppo confidenziale! «Signor Scifo …» No, togliamo anche il «signor»: «A me sembra, Scifo, a me sembra, che accanto a questi reperti sia stata trovata una messe di manufatti, il che significa che erano in grado di manipolare oggetti, di costruire, di creare, quindi avevano tutti gli attributi che anche un essere umano attuale possiede, ad di là della diversa civiltà; quindi ritorniamo alle corbellerie di cui parlavo all’inizio». «A me sembra, caro signor Angela, che i castori costruiscano dighe, mi sembra che esistano delle scimmie che intrecciano delle specie di casupole andando a cercare rami di un albero particolare – non di altri – il quale è il più resistente, il più adatto per quel tipo di lavoro. Erano uomini? Forse lei e quelle scimmie siete allo stesso livello? Potrebbe essere! Secondo il suo ragionamento «scientifico» senza dubbio lei e quella scimmia siete … non dico padre e figlio ma fratello e fratello!».
La differenza che c’è tra essere umano e animale non è il fatto di poter manipolare, o usare o scegliere di usare determinati oggetti, ma il fatto di farlo con una certa consapevolezza di quello che si sta facendo; quindi il fatto di avere un’intenzione interiore, non ad esempio istintuale soltanto, per farlo; quindi il fatto che entra in gioco il corpo akasico dell’individuo incarnato nella forma umana.
Quei reperti archeologici, infatti, non sono altro che passaggi di evoluzione della materia e della forma all’interno dell’ambiente fisico per preparare quel corpo fisico più adatto all’immersione in esso dell’essere umano completo in tutte le sue componenti, ovvero: corpo fisico adatto ad esprimere l’evoluzione; sensazioni, emozioni e desideri per cercare di costruire qualcosa per se stessi e per gli altri; pensiero per governare il corpo fisico, le sensazioni, le emozioni, i desideri e contemporaneamente per creare qualche cosa di diverso; e infine coscienza, per dare una motivazione, un’intenzione e una giustificazione all’esistenza delle altre componenti; poiché – e non va mai dimenticato – l’individuo è un tutto unico, e non soltanto con se stesso, ma anche on tutta la realtà in cui è immerso.
Ecco, quindi, che il problema – se considerato sotto questo punto di vista, a livello un po’ più profondo e non soltanto materiale, fisico – riceve una sua completezza che altrimenti non possederebbe; non soltanto, ma dà motivo o ragione di fattori che la scienza, che non contempla anche la parte spirituale dell’individuo, mai riuscirà – continuando sotto questi punti di vista – a risolvere.
Pensiamo un attimo al gran polverone che è sempre stato sollevato intorno ai dinosauri e alla loro “improvvisa” (ma il termine, secondo me, è molto, ma molto relativo) scomparsa.
I dinosauri sono forme animali come tante altre che, nel corso dei millenni e dei milioni d’anni, sono nate, necessarie magari per certe particolari situazioni e poi estinte poiché non servivano più per contribuire a trasformare l’ambiente fisico in cui la razza si stava evolvendo. Il  dinosauro aveva caratteristiche generali abbastanza particolari, aveva – il più delle volte – un corpo molto massiccio, per esempio, e questo poteva insegnare determinate cose alle individualità che si incarnavano in quella particolare forma animale, e quindi poteva avere una sua necessità di presenza all’interno dell’ambiente proprio per fornire questo particolare tipo di esperienza.
Alla fine, però, la struttura fisiologica stessa del dinosauro è diventata inadeguata all’incarnazione dell’individualità, perché non offriva le caratteristiche di sensibilità e di percezione che servivano nella nuova fase di incarnazione dell’individualità, era cioè inadatto a permettere l’acquisizione di nuove e diverse esperienze e l’espressione di un sentire più ampio. La conseguenza, inevitabile, è stata che la forma “dinosauro”, un po’ alla volta, è andata scomparendo perché non più funzionale e necessaria nei confronti dell’avanzamento evolutivo della razza.
Mi sembra che, dopo queste considerazioni, la funzione e l’influenza dell’ambiente risultino abbastanza ben delineate: è chiara la sua necessità, è chiaro come si trasforma e si adegua attraverso l’evoluzione della materia e anche della forma in modo tale da essere disponibile nel modo giusto per la razza che si incarna, ed è chiaro anche come il procedimento si complica ancora di più, per l’ambiente fisico, allorquando la razza che si incarna è in grado di interagire con l’ambiente poiché a quel punto la razza stessa diventa un fattore di evoluzione ambientale; la razza stessa interagisce con l’ambiente, lo modifica e fa sì – senza esserne consapevole – da aiutare a procurare un ambiente adatto a quelle che sono le esigenze evolutive degli individui che si incarneranno successivamente.

Scifo

* * *

Il piano akasico e il corpo akasico, o corpo della coscienza

d-30x30Il piano akasico e il corpo akasico. Dizionario del

Ritrovarsi di fronte al mondo è uno degli attimi più difficili da affrontare, e soltanto ritrovarsi di fronte a se stessi, di fronte a voi stessi può risultare un momento più invalicabile che ritrovarsi di fronte a quel grande ventaglio di possibilità di esperienza che la Realtà, il Grande Disegno, dipana ai vostri piedi. Quante sfumature, quanti stati d’animo, quanti modi diversi possono essere osservati nei rapporti tra questo vostro Io e il mondo! Certamente, come avete dottamente dissertato oggi, è la capacità di vivere nel presente da parte del vostro Io, dimenticando però un fattore; quel fattore che, solo, è bastato per farvi perdere il controllo di quello che andavate discutendo, proprio il fattore più importante sempre da tener presente allorché affrontate l’argomento dell’Io: questo fattore è l’illusione. Voi sapete, figli nostri, che l’Io di per sé non esiste, l’Io non ha una vita propria, l’Io nasce dall’incontro-scontro tra le reazioni dei vostri corpi inferiori e ciò che vivete all’interno del piano fisico; è una creatura fittizia, un’ombra che si muove su una parete e che muta allorché le mani cambiano posizione. Allo stesso modo, l’Io si trasforma, si modifica e cambia ma è semplicemente un riflesso non soltanto di questo incontro-scontro di cui parlavo poc’anzi, ma addirittura di ciò che di voi si è depositato come germe permanente e «compreso» all’interno del vostro corpo akasico, della vostra coscienza. L’Io quindi, a rigor di logica, non vive, non può vivere nel presente; ma certamente questo sarebbe un usare le parole per trovare una giustificazione a quell’apparente contraddizione che avevate rilevato nelle nostre parole. Infatti, per poter essere spiegato, l’Io ha necessità in qualche modo di essere personalizzato, di essere reso qualche cosa di cui poter discutere. Allora, quando noi abbiamo affermato che l’Io vive nel presente, intendevamo semplicemente affermare che lo vive in quanto vive l’illusione del presente che egli possiede. Egli cioè non vive veramente il presente, ma vive ciò che in questo presente egli proietta sotto la spinta dei suoi desideri, dei suoi pensieri, delle sue reazioni fisiologiche. Al contrario, invece, del corpo akasico il quale vive per forza di cose nel presente in quanto è dal presente, attimo dopo attimo, che gli arrivano le esperienze che lui esamina immediatamente, incasellandole, sistemandole nei posti giusti, allacciandole là dove possono essere allacciate o lasciandole in una nuova posizione per aspettare un contatto successivo, in una vita, in un’esperienza che verrà. Capite dunque qual è la differenza in quello che andavamo dicendo?
È giusto affermare che il corpo fisico, il corpo astrale e il corpo mentale possono essere definiti strumenti del corpo akasico, e strumenti di grande importanza, oltre tutto, senza i quali, infatti, il corpo akasico non potrebbe sperimentare all’interno dei piani inferiori, non potrebbe fare esperienza e, quindi, non potrebbe trarre conoscenza e, in seguito, non potrebbe trarre comprensione da tutto questo e così non potrebbe allargare il proprio sentire e resterebbe immobile invece di accrescere i gradi del suo sentire.
Vi siete chiesti se ci sono delle tecniche per favorire l’ottimizzazione dei corpi e, quindi, favorire lo sviluppo del sentire.
Senza dubbio è possibile mettere in atto determinati comportamenti interiori che possono aiutare, più che altro, a far collaborare tra loro questi corpi inferiori, tuttavia una vera tecnica che sia generalizzabile per tutti è ben difficile poterla dare ed è ciò che non è stato ben compreso, in fondo, da certe dottrine.
Ognuno ha la propria strada: per arrivare alle proprie comprensioni deve seguire il proprio cammino, che soltanto in minima parte combacia con quello degli altri; e può usare i propri mezzi che sono soltanto in minima parte, anch’essi, i mezzi che possono usare anche le altre creature. Ecco, quindi, che un unico modo valido per tutti per arrivare a questa ottimizzazione dei corpi inferiori non esiste, ma va personalizzato da persona a persona a seconda dell’esperienza e dell’evoluzione che essa possiede. Certamente, comunque, è essenziale volerlo fare, prima di tutto; è essenziale sentire questa spinta che impedisce di distrarsi dalla meta che si cerca di raggiungere; è essenziale riuscire a restare concentrati su questa meta; è essenziale, infine, essere consapevoli di ciò che si vuole raggiungere e porre attenzione non soltanto al mondo esterno ma anche all’interno di se stessi, perché soltanto da questa attenzione dentro-fuori che l’individuo attua in continuazione possono arrivare quegli elementi, quei frammenti, quegli impulsi, quelle conoscenze che possono aiutarlo ad avviarsi in modo più proficuo verso un cammino più veloce, più spedito, più giusto.
Un’altra domanda che vi siete fatti è stata se le personalità che l’individuo ha avuto nel corso delle sue varie reincarnazioni appartengono al corpo akasico.
Io direi che le personalità che ha estrinsecato nelle varie vite fanno parte parte del corpo akasico, ma non tanto perché gli appartengono, ma quanto perché gli sono appartenute e di esse sono rimaste in lui trascritte tutte le esperienze che esse hanno fatto; ma attenzione, figli, qua c’è un altro punto che tendete a confondere: quando noi parliamo di trascrizione delle esperienze all’interno del corpo akasico non intendiamo dire che ogni vostra vita è registrata così come voi la vivete all’interno di esso, ma intendiamo dire che tutte le esperienze che voi fate hanno mandato i loro impulsi, le loro conoscenze, le loro percezioni al corpo akasico, che le ha sistemate nella giusta correlazione ed è una cosa molto diversa perché nel corpo akasico non è trascritta la vita in tutti i suoi momenti, ma ciò che della vita è stato tratto come frutto, quindi come risultato finale. Le vostre vite, anche dopo che voi avrete abbandonato questi veicoli inferiori, esisteranno ancora però non saranno più parte del corpo akasico in se stesso; vi sarà qualcos’altro di cui parleremo poi in seguito, per non confondere specialmente le persone nuove di questa sera, e che si riallaccia comunque all’insegnamento che stiamo portando avanti nel corso delle sedute di insegnamento. Ma ritorniamo a questo «io e il mondo».
Vivere il mondo significa, dunque, cercare di vivere nel presente, consapevolmente, ciò che affrontate giorno per giorno, ma significa anche interagire con il mondo, significa collaborare, contribuire a far sì che il mondo abbia a sua volta la sua evoluzione.
Voi sapete che tutto ha un’evoluzione, tutto muta, tutto ha un ciclo che si accorda con quella che è la trama del Grande Disegno e questo ciclo deve compiersi, non può fermarsi; e ognuno di voi, nel suo piccolo, anche quando si sente una misera creatura, impotente di fronte alla realtà che lo circonda e che spesso sembra sovrastarlo minacciosa, ha una grande importanza nel tessuto del Disegno perché contribuisce al suo formarsi, contribuisce a dare ad esso quelle sfumature di cui ha bisogno per poter cambiare.
Ecco quindi che, sotto questo punto di vista, acquista grande importanza quello che è il vostro comportamento nell’oggi, comportamento che – essendo guidato dal vostro sentire – fa sì da attribuire al sentire stesso un’importanza non da poco. Infatti, se voi riuscirete a migliorare il vostro sentire, sempre meglio riuscirete ad affrontare il mondo; se riuscirete ad affrontare sempre meglio il mondo, ad essere consapevoli, sempre più riuscirete ad andare in armonia con quello che è il Grande Disegno. In questo modo, lentamente, ma con maggior dolcezza, il Disegno si compirà e la vostra razza arriverà alla fine del suo percorso. Come sarà questo percorso?
Quante creature, nel corso degli anni, ci hanno chiesto cosa accadrà domani, come si trasformerà la vita dell’individuo, il fisico dell’individuo, la società dell’individuo, aspettando che noi parlassimo come spesso accade di grandi sciagure, oppure che profetizzassimo un nuovo paradiso terrestre che verrà sulla Terra e che da quel momento tutti, tutti i figli dell’Assoluto, saranno come angeli chiamati al Suo cospetto!
Non possiamo farlo, creature; se lo facessimo contraddiremmo tutto quello che abbiamo detto in tutti questi anni. Possiamo soltanto parlare per linee generali e farvi presente di come tutto sia concatenato.
Considerate che la maggior parte di voi che questa sera è qua ad ascoltarci si presenterà ad una nuova vita tra 300, 350 anni, 400, ed ognuno di voi questa sera (supponendo che sia così) ha già una buona evoluzione per cui avrà necessità, allorché si incarnerà nuovamente, di trovare nuovi stimoli, di avere nuove esperienze, di poter quindi trarre dalla sua esistenza nuove possibilità di comprensione, nuove sfumature da illuminare per rendere più complesso e completo il suo sentire. È quindi evidente che, allorché vi ripresenterete sul mondo fisico, sul piano fisico, la società e la vita che voi conoscete adesso dovrà essere ben diversa perché dovrà, per forza di cose, presentarvi stimoli che fino a quel momento non avevate ancora avuto.
Come sarà poi questa vita? Certamente il fisico di ognuno di voi continuerà ad avere le stesse caratteristiche; ah, quante cose assurde in passato sono state dette! Quante improvvisazioni sono state inventate, le più assurde, per giustificare un cambiamento della razza umana dal punto di vista fisiologico; ma la razza umana, figli nostri, va bene così com’è; potranno cambiare alcuni particolari, esserci alcune piccole modifiche nel corso del tempo, ma il suo percorso evolutivo contempla questo tipo di corpo e questo tipo di corpo più o meno resterà.
Cambieranno senza dubbio i rapporti umani ma, più che altro (perché i rapporti umani sono sempre basati sugli stessi sentimenti, sugli stessi incontri e scontri) cambierà la realtà sociale in cui sarete inseriti, e voi già adesso, forse, potete rendervi conto di come questi cambiamenti stiano iniziando ed arrivare – magari col pensiero, con la fantasia – a immaginare come essi avranno delle conseguenze fra 300-400 anni.
Molti sono i fattori di cui tener conto, in questo: l’evoluzione delle persone incarnate sarà in parte migliorata ma, ahimè, si incarneranno anche molti più individui della nuova razza; quindi i contrasti tra i popoli, tra le razze, tra i gruppi esisteranno ancora anche se non vi sarà certamente – questo lo abbiamo sempre detto e lo diremo ancora – una guerra-olocausto.
Il pianeta, anche sotto le spinte dell’uomo, sta cambiando un po’ alla volta la propria situazione climatica e questo cambiamento si avvertirà sempre più velocemente col passare dei secoli, anche se non basteranno 400 anni per avvertirlo definitivamente, però tutto questo porterà a sua volta delle conseguenze. Nel frattempo, chissà, osiamo sperare che l’uomo avrà compreso che il pianeta che gli è stato affidato va tenuto con cura come se fosse una perla, e allora molte delle energie che attualmente vengono usate saranno abbandonate a favore di altre energie più (come dite voi) «pulite».
«Ci saranno ancora – qualcuno, immerso nella vostra realtà attuale, potrebbe chiedere – governi che rubano, che intrallazzano, che prendono con una mano e mettono in tasca, prendono con l’altra mano e mettono nell’altra tasca e protendono entrambe le mani facendo finta di nulla aver ricevuto?».
Sarebbe bello poter dire che non sarà più così! Certamente son cose che sono sempre accadute e cose che sempre accadranno. Anche nella società più utopistica che è esistita sul pianeta, vi è sempre stata quella parte di nuova razza che era pronta a comportarsi in quel modo, in quanto ancora non aveva compreso.
Non vi saranno quindi grandissimi cambiamenti, ma vi sarà tuttavia una parte dell’umanità che riuscirà ad essere felice della propria vita, che riuscirà a ricordarsi che la prima responsabilità che possiede è quella verso i propri figli, che riuscirà a tener sempre presente che ciò che possiede non gli appartiene veramente ma è un dono di cui ringraziare ogni giorno il Grande Disegno, che riuscirà a rendersi conto che aiutare un’altra creatura è come aiutare se stesso, che riuscirà, insomma, a mettere più in atto quell’insegnamento che con una certa pazienza e costanza andiamo portando nel tempo.
Il vostro Io, il vostro Io futuro, quindi, si troverà immerso in un mondo che sarebbe nuovo per il vostro Io di adesso, ma al quale reagirà attraverso le nuove comprensioni che nel frattempo avrà accumulato nel suo corpo akasico, lottando ancora, soffrendo, vivendo, sperando, amando, talvolta piangendo, talvolta ridendo, ma sempre e comunque vivendo l’esperienza direttamente, anche se questo magari, creature, avverrà attraverso computer, come c’è rischio che avvenga dalle ultime scoperte.
Il fatto che io abbia affermato che l’individuo non possa manifestare totalmente, qui sul piano fisico, l’evoluzione che ha raggiunto nel suo percorso evolutivo, potrebbe apparirvi una contraddizione in rapporto al nostro affermare che il comportamento che l’individuo manifesta nel corso della sua vita proviene direttamente dal suo corpo akasico e, addirittura, è indotto da esso.
Ma non è una contraddizione, bensì uno sviluppo logico dell’intero processo evolutivo e della stessa costituzione dei corpi inferiori che, di vita in vita, l’individuo adopera.
Per prima cosa bisogna tener presente che esistono dei limiti pratici, veri, oggettivi su ciò che il vostro corpo fisico, il vostro corpo astrale e il vostro corpo mentale possono esprimere. Non essendo corpi perfetti, ma derivati dalle comprensioni del vostro corpo akasico, hanno dei loro limiti, hanno delle manchevolezze dovute a comprensioni del corpo akasico non ancora raggiunte o completate e, quindi, non possono trasmettere all’interno del piano fisico tutto il sentire che il corpo akasico possiede; ma vi è anche un altro fattore di cui tener conto e che ha la sua notevole importanza: il fatto cioè che quando arriva il momento dell’incarnazione i corpi inferiori vengono costruiti, costituiti, in base ai bisogni del corpo akasico; e i bisogni del corpo akasico dicono che questi corpi vengono strutturati in modo tale da poter sperimentare «determinate» esperienze e non altre, limitando quindi già di per sé la possibilità di esprimere ciò che egli conosce in quanto si è limitato nella scelta della materia per costituire i corpi inferiori. Quindi, se non raramente, è quasi praticamente impossibile che ognuno di voi esprima veramente il grado di sentire che possiede.
Ciò non di meno il comportamento dei veicoli inferiori rispecchia sempre però diciamo il sentire, tuttavia riflette non soltanto le sue comprensioni, ma anche le cose non ancora comprese e, di conseguenza i limiti che ciò comporta.
Nei tempi che state vivendo si fa un gran parlare di realtà virtuale, è quindi ovvio che vi possiate chiedere se anche da una realtà virtuale è possibile trarre della comprensione utile al corpo akasico.
Ebbene, dal nostro punto di vista, in realtà per l’individuo che vive la realtà virtuale non cambia niente, dal momento che è quello che sente e quello che suscita in lui l’esperienza virtuale che sta sperimentando a essere importante, non la situazione in se stessa: che egli veramente stia accarezzando la guancia di un bambino o che questa realtà virtuale in cui è immerso gli faccia percepire che accarezza la guancia di un bambino, per l’individuo non ha alcuna importanza: egli comunque sente delle emozioni e queste emozioni le vive come se fossero vere.
Si può però aggiungere che chi può avere dei riflessi negativi, in questo ipotetico caso che abbiamo osservato, può essere il bambino che ha una guancia da accarezzare e che invece non viene accarezzata.
Un punto che solitamente è ostico da comprendere veramente per voi che ci ascoltate è comprendere veramente quale sia il reale collegamento tra spirito e materia – se così vogliamo dire – al momento della formazione, della creazione di un nuovo individuo incarnato sul piano fisico.
Vedete, figli cari, ciò che vi porta fuori strada, che vi impedisce di comprendere nel modo giusto questo piccolo particolare è il fatto che continuate, malgrado il nostro insegnamento, a considerare il corpo akasico come se fosse colui «che fa».
«Il corpo akasico (qualcuno ha detto) ha ‘scelto’ il corpo in cui deve fare esperienza, il corpo akasico ha fatto questo, ha fatto quell’altro» come se avesse una sorta di propria volontà tale da poter influire consapevolmente e nel modo migliore e più giusto in quello che sarà il suo cammino attraverso l’esperienza del piano fisico.
Ora, certamente il corpo akasico è qualcosa di molto importante per ognuno di voi, questo senza alcuna ombra di dubbio, però questa caratteristica di consapevolezza, questa caratteristica di coscienza, questa caratteristica di poter agire, di poter fare, diventa vera e pienamente effettiva in tutta la sua grandezza soltanto allorché l’individualità avrà abbandonato il piano fisico, o meglio – per essere più precisi – soltanto allorché l’individualità non si incarnerà più sul piano fisico, allorché cioè il corpo akasico avrà strutturato tutta la sua materia e sarà completamente consapevole.
Prima di questo momento, il corpo akasico può essere considerato l’antitesi dell’Io; così come abbiamo detto che l’Io, in realtà, è una proiezione del corpo akasico al punto che, osservando l’Io, ognuno di voi può arrivare a capire cos’è che il corpo akasico ha compreso o non ha compreso. Allo stesso modo il corpo akasico, per ambivalenza – come direbbe il nostro amico Scifo – è ciò che l’Io dimostra, in quanto sono strettamente dipendenti, legati l’uno all’altro.
Ora, quando accade che sta per avvenire una nuova incarnazione, il corpo akasico «non sceglie» (anche se a un certo punto di evoluzione si illude magari di poter scegliere), non sceglie il corpo, il luogo e il tempo in cui avverrà l’incarnazione, ma semplicemente emette una vibrazione, e questa vibrazione si va a collegare a della materia incominciando, tramite questa forma vibratoria e le sue differenziazioni, a strutturare la materia che incontra.
Non vi è quindi ancora un collegamento neanche al momento del concepimento, ma vi è una partecipazione vibratoria da parte del corpo akasico, il quale mette in questa vibrazione che ha emesso tutte le vibrazioni che sono riferibili a ciò che ha compreso o ciò che non ha compreso; ed è questa somma di vibrazioni, questo loro interagire l’una con l’altra, questo loro scambiarsi vibrazioni all’interno dei vari piani di esistenza, che raduna la materia di ogni piano che attraversa e incomincia a plasmarla, a formarla in modo tale da avere un corpo che si adatterà il più possibile a quelle che sono le più immediate esigenze evolutive di comprensione del corpo akasico.
Ecco, quindi, che tutto il periodo della gestazione sarà un periodo in cui queste vibrazioni continueranno ad agire influenzando con il loro movimento la costituzione di tutti gli elementi del nuovo corpo che si va creando; ma il vero e proprio allacciamento, il vero e proprio collegamento, inizia allorché tutti i corpi sono pronti ad esperire, allorché sono separati dall’ambiente protettivo materno e quindi il corpo incomincia da se stesso, da solo, a vivere la propria esperienza, scontrandosi immediatamente con l’impatto del piano fisico in cui si trova – spesso sgradevolmente – proiettato.

Moti

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Il rapporto tra materia fisica, astrale e mentale

d-30x30Rapporto tra materia fisica, astrale e mentale. Dizionario del

Le energie di un piano di esistenza, di per sé, non hanno la possibilità di influenzare direttamente o con effetti immediati ed eclatanti la materia dei piani di esistenza dalla costituzione meno densa. Per essere più chiaro: una scossa tellurica sul piano fisico non produce, di per sé, una scossa analoga, per esempio, sul piano astrale. Allo stesso modo, come abbiamo visto in precedenza, una forte vibrazione mentale, per esempio, non può provocare in linea di massima degli effetti subitanei e palesi sulla materia astrale o su quella fisica.
Mi rendo conto che, per chi si occupa da tempo di fenomenologia e avvenimenti insoliti questo concetto possa apparire sbagliato: viene subito alla mente, inevitabilmente, la produzione di profumi, di apporti, di voci, di suoni e via dicendo che sembrerebbe smentire quanto ho appena affermato.
Vedete, creature, il problema va osservato sotto diversi punti di vista che possono, o almeno lo spero, chiarire un poco le mie affermazioni che, prese così come sono state fatte, sembrerebbero negare la possibilità di influenza o di interferenza tra le vibrazioni dei vari piani che costituiscono la Realtà.
Prendiamo come primo punto di osservazione un ambiente generico come può essere il pianeta Terra e osserviamo le sue dinamiche, non solo fisiche, in un momento particolare che ci permetta di ridurre al minimo gli elementi che possono complicare il ragionamento che cerco di farvi comprendere: immaginiamolo, con uno sforzo di fantasia, prima che qualsiasi forma di vita organica facesse la sua prima comparsa.
Indubbiamente tutta la materia fisica del pianeta era, come lo è adesso, collegata direttamente e inevitabilmente alla materia astrale e mentale ma queste materie non avevano corrispondenza all’interno del piano fisico: nessuna emozione, nessun pensiero percorreva la materia fisica del pianeta anche se l’ambiente planetario era, comunque, intessuto di materia astrale e materia mentale oltre che, naturalmente, di materia fisica.
I mutamenti che avvenivano sulla Terra erano conseguenza di leggi fisiche: il consolidarsi o il liquefarsi delle rocce, l’ampliarsi o il ritrarsi delle montagne, il cristallizzarsi o lo sciogliersi dei ghiacci andavano, a poco a poco, trasformando l’ambiente planetario preparandolo, nello svolgersi di millenni, all’avvento della prima forma di vita organica. Questi sommovimenti non sono stati messi in atto da una possibile influenza di vibrazioni astrali o mentali, bensì dall’azione di quella che abbiamo chiamato vibrazione prima, ovvero la vibrazione che, partendo dall’Assoluto, è la generatrice del cosmo in cui noi ora ci troviamo ad esistere. Essa attraversa tutti i piani di esistenza e in quello stadio evolutivo del pianeta che andiamo esaminando è colei che genera i mutamenti nell’ambiente cosmico in generale, e planetario in particolare, indirizzando la preparazione dell’ambiente fisico (ma anche di quello astrale e mentale), verso la meta che sa di dover raggiungere: la costituzione di un ambiente fisico-astrale-mentale adatto al manifestarsi di un’onda incarnativa. Le vibrazioni fisiche, astrali e mentali vengono, così, modulate non dall’interazione reciproca, bensì da questo tratto d’unione, questa sorta di coscienza cosmica che si prefigge un fine, per raggiungere il quale sa che è necessario apportare le adeguate modifiche alle materie dei vari piani che faranno parte dell’evoluzione successiva di quella porzione di cosmo.
Scaturisce da questa visione il concetto che i mutamenti delle vibrazioni fisiche-astrali e mentali, per essere messi in atto, devono essere «portati» da qualcosa che è presente in tutti i tipi di materia dei vari piani, da qualcosa, quindi, che può influenzare le relative materie una per una. Nel caso che abbiamo esaminato questo tessuto generatore è la vibrazione prima che attraversa e pervade tutti i piani di esistenza, la quale possiede la «volontà» di agire sulle varie materie e la «possibilità» di farlo essendo dislocata su tutti i piani di materia esistenti.
Passano i millenni, nascono le prime creature unicellulari, si moltiplicano e si diversificano le forme, si plasmano le specie, finalmente, si arriva all’essere umano, con la sua costituzione complessa e l’affinazione dei suoi corpi transitori: quello fisico, l’astrale e il mentale.
Eccoci ad un nuovo punto di osservazione, sul quale possiamo applicare il concetto generale incontrato nell’osservazione fatta dal primo punto di vista, ovvero che le vibrazioni presenti sui vari piani di esistenza non possono veramente influire sulle materie degli altri piani, siano essi di materia più densa o di materia più sottile: al di là della vibrazione prima che tutto permea, le vibrazioni nella materia di un piano di esistenza possono essere influenzate da altre vibrazioni appartenenti a quello stesso piano.
E’ evidente, quindi, che vi è la possibilità, per le varie creature incarnate, di influenzare la materia degli altri piani a seconda dei corpi che possiedono in quanto ogni creatura appartiene contemporaneamente a più piani. Il vegetale possiede anche un corpo astrale, per quanto rudimentale, e, attraverso esso è possibile che influenzi in qualche maniera la materia astrale a lui circostante. L’essere umano possiede anche un corpo astrale e mentale e, tramite queste parti di se stesso che sono costituite di materia astrale o di materia mentale, è in contatto con la materia dei relativi piani e, quindi, possiede la possibilità di agire su di essa.
A questo punto noterete che ho più volte parlato di «possibilità». Anche questa volta, infatti, vi sono diversi punti di osservazione di questo problema, che derivano direttamente da ciò che è l’individuo umano incarnato: vi è l’individuo cosciente essenzialmente del suo Io fisico e l’individuo che, per evoluzione, ha una maggiore ampiezza di coscienza che include, quanto meno, una parte di consapevolezza del suo essere astrale e del suo essere mentale.
Anche su questa differenziazione si può ragionare un attimo.
L’individuo consapevole essenzialmente sul piano fisico è, comunque, presente sul piano astrale e su quello mentale grazie ai suoi relativi corpi. Egli influenza la materia astrale e quella mentale circostante a questi corpi attraverso i suoi desideri, le sue emozioni e i suoi pensieri, provocando effetti che sono limitati a una porzione di materia più o meno vasta (ma comunque circoscritta e non molto ampia) a seconda dell’intensità delle sue reazioni emotive e mentali a ciò che si trova a vivere sul piano fisico.
Questo accade sempre, per ogni individuo incarnato: come la sua sola presenza sul piano fisico provoca delle conseguenze, volute o meno, all’interno del piano stesso, altrettanto la sola presenza dei suoi corpi astrale e mentale sui relativi piani provoca delle conseguenze di cui è inconsapevole su detti piani. Gli effetti prodotti sono, ripeto, limitati e circoscritti.
In buona misura diverso è il caso dell’individuo consapevole sia sul piano astrale sia sul piano mentale, oltre a quello fisico: costui può interferire volutamente sulla materia di quei piani e interagire, quindi, con tale materia, sfruttandone in modo maggiore le caratteristiche intrinseche. Sempre, però, limitatamente alle vibrazioni che gli appartengono e alle corrispondenti materie che sugli altri piani posseggono i suoi stessi tipi di vibrazione. Per fare un esempio di quanto voglio dire un poco più comprensibile, il sensitivo che possiede un corpo astrale in cui la vibrazione predominante è il desiderio di aiutare una persona malata può, col suo corpo astrale, mettersi in contatto con il corpo astrale della persona malata e, attraverso la risonanza tra la propria vibrazione e quella dell’altro può (e ancora una volta si tratta di una possibilità visto che altri fattori, in particolare quelli karmici individuali potrebbero azzerare questa possibilità) aiutare la persona malata a reagire in maniera migliore contro la propria malattia, arrivando, talvolta, a favorire la guarigione o a dare sollievo al malato.
Fattore necessario perché ciò avvenga è, comunque, il parallelismo e la somiglianza di vibrazione.
Queste spiegazioni, che ho cercato di semplificare al massimo per non rendervi le cose troppo difficili, erano indispensabili per parlarvi, sia pure in modo sommario, di qualcosa che spesso è mal compreso o mal interpretato: le forme pensiero e il cosiddetto «malocchio» o, più in generale la presunta azione negativa di un individuo su un altro attraverso le energie di tipo non fisico.

Scifo

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Meditazioni quotidiane 3.2

 

 


Padre, Padre mio, io a volte guardo ciò che sono e non mi riconosco;
io a volte, Padre, mi chiedo se vivo o se muoio ogni giorno.
Padre, cosa mi puoi dire, cosa puoi dirmi per rendere la mia vita più semplice?
Per farmi capire se quello che vivo è vivere oppure è morire?
Quand’è, Padre, che io sono nato?
Viola

Figlio mio, non è come tu credi:
tu hai l’illusione, l’impressione di essere nato nel momento in cui,
per la prima volta, hai aperto gli occhi al mondo, ma non è così, figlio.
Se il tuo nascere fosse limitato soltanto al breve volgere di un’esistenza
la tua vita non avrebbe, in realtà, alcun senso, perché quale uomo,
per quanto evoluto egli possa essere, riesce davvero,
e soltanto nel breve volgere di un’esistenza, a cambiare il suo intimo,
fino a riunirsi a me?
Nessun uomo, figlio mio, può riuscire a tanto,
e perché tu vi riesca è necessario e indispensabile
che tu muoia ad ogni momento.
Ma fermati un attimo a guardare questo tuo morire.
Certamente, da un momento all’altro tu muori e non sei più lo stesso.
Certamente tra un intervallo e l’altro tra le tue vite, tu muori e cambi.
Ebbene, figlio mio, non fermarti soltanto ad osservare quest’aspetto
negativo della tua evoluzione perché – se è vero che tu muori in continuazione –
è altrettanto vero che io ti ho dato la possibilità di rinascere continuamente,
e se esiste in te un dolore che ti fa sentire la morte vicina,
che ti fa sentire il tuo essere impotente, indeciso e fragile,
è anche vero che l’attimo dopo, inevitabilmente, io metterò in te la speranza
che ti farà sentire nuova vita 
crescere dentro di te e rinascere,
ti farà sentire dentro di te il desiderio di dare agli altri, di creare, di costruire,
di fare,
perché soltanto in quel modo, figlio mio,
tu puoi continuare a sentire d’essere,
puoi continuare a sentire che vivi e che la tua vita non è limitata soltanto
a portare avanti i tuoi giorni nel modo meno peggiore possibile,
a sentire che tu vivi per creare in te e al di fuori di te ciò che io sono,
per tirare a galla dal tuo intimo essere ogni anelito che da me ti proviene;
perché tu, figlio, non soltanto vivi, non soltanto continui a nascere, a morire,
a rinascere e a rimorire tra una vita e l’altra,
tra un secondo e l’altro della tua esistenza,
ma anche, continuamente, fai morire e fai vivere tutto ciò che ti circonda,
contribuendo con la tua morte e con la tua vita non soltanto alla tua evoluzione,
non soltanto alla tua spinta verso di me, ma all’evoluzione di tutto il Creato.
Figlio mio, nascere non vuol dire gioire sempre,
morire non vuol dire soffrire sempre,
ma nascere e morire sono due estremi che in realtà combaciano
e sono una cosa sola, 
e chi ha la fortuna di far nascere qualche cosa,
molte volte deve avere il coraggio di far morire qualche cosa in sé,
per poter controbilanciare ciò che crea.
Figlio mio, per nascere in me,
devi morire in te.
Scifo


 

 


Padre, Padre mio, io voglio rivolgermi a te
perché credo che tu soltanto possa riuscire a comprendere
quello che io in questo momento sto vivendo, sto provando.
Padre mio, io sento che la vita si allontana da me,
io sento le mie energie spegnersi,
io sento le mie forze diventare sempre più deboli,
io sento le membra non reagire quasi più.
La vita mi vuole abbandonare, Padre mio,
e vedo la morte che mi sta venendo incontro
ed ha puntato su di me i suoi freddi occhi.
Tutto questo mi fa paura e,
sebbene da tempo io segua il tuo insegnamento, Padre mio,
sebbene da tempo faccia questo,
non riesco
a darmi una ragione di questo fatto.
Non so per quale ragione la vita voglia abbandonarmi,
non so neanche come mi
abbandonerà:
forse perché sta crescendo in me qualcosa di abnorme,
forse perché una sera chiuderò gli occhi per non riaprirli mai più,
forse perché mi capiterà qualcosa di imprevisto e di imprevedibile,
comunque sono certo e sicuro che la vita si sta allontanando da me.
Una morte prematura la mia, una morte che lascerà degli affetti sconsolati,
che lascerà le persone che hanno vissuto con me e per me
nella più profonda disperazione.
Io mi rivolgo a te, Padre mio,
chiedendoti di darmi in questo momento delle ragioni valide
perché io possa credere che al di là di
questo fatto,
al di là della mia sparizione dal mondo fisico,
esista veramente qualcosa affinché io possa continuare a vivere,
a vedere se non altro i miei cari
continuare almeno  a seguirli.
Padre mio, ti prego, aiutami,
dammi una
ragione di questo mio morire!
Federico

Fratello, figlio e amico, a te sto parlando,
a te che mi hai chiamato con il pianto in gola,
a te che mi hai implorato, che mi hai domandato aiuto,
che hai chiesto, sentendo avvicinare l’ora che per tutti gli esseri incarnati,
prima
o poi, arriva.
Ma che posso fare io per te, creatura,
che posso fare di più di quanto l’esistenza stessa ha già fatto?
Io non posso, figlio mio, convincerti
– se tu non vuoi – che la tua vita non finisce in un momento e per sempre;
e non posso figlio mio renderti consapevole che,
oltre al mondo fisico che tu osservi, vi è qualcosa di talmente immenso
che tu neppure riesci a immaginare.
Eppure, anche se inconsapevolmente, tutto questo è dentro di te;
tutto questo, se tu vuoi, figlio mio puoi riuscire a 
raggiungerlo,
a comprenderlo, a toccarlo, e nel momento stesso in cui tu riuscirai a fare ciò,
le tue paure svaniranno, il tuo timore
diventerà pace,
e non avrai più bisogno di piangere e di soffrire, di chiedere aiuto,
e il momento del «passaggio» sarà un attimo che non lascerà tracce.
Figlio mio, non posso far nulla di più di ciò che tu, se vuoi,
puoi fare per te stesso.
Tutto quello che posso ancora una volta dirti,
tutto quello che posso ancora una volta ricordarti,
è che non serve a nulla disperarsi, che non serve a nulla perdere la fiducia,
la fede, la speranza, che non serve ad altro che a rendere i tuoi ultimi giorni
più tristi
e peggiori, sia per te che per coloro che ti circondano.
Cerca, quindi, di trovare in te la fiducia:
cerca, quindi, di trovare in te la certezza che ciò che stai vivendo
è soltanto un attimo senza poi una grande importanza;
cerca di convincerti che è molto meglio abbandonare il piano fisico
nella speranza che nella disperazione;
fa questo figlio mio, non soltanto per te,
ma principalmente per amore di coloro che ti stanno accanto
e che come te, quanto te – e, forse, anche più di te – soffrono,
si disperano e piangono.
Se riuscirai in questo, figlio mio,
non avrai bisogno di null’altro per chiudere gli occhi e sognare.

Scifo


 

 


«E già – dice colui che soffre – parole belle, parole sante e verissime, forse!
Ciò non toglie che parli e, intanto, non soffri.
Io, invece, conduco la mia vita e soffro in continuazione.
Avrai anche ragione a dire quello che dici,
però quando sei all’interno della sofferenza,
quando la sofferenza la vivi in prima persona non è poi così facile pensare
agli insegnamenti e dire «tanto è il mio Io che soffre e buona notte al secchio!».
Se, infatti, io osservo la vita che sto vivendo, vedo che la sofferenza,
il dolore costellano ogni attimo delle mie giornate,
non sono una cosa passeggera che dura un istante,
che dura un giorno, una settimana, o un mese;
fosse così sarebbe anche facile, in fondo, non lamentarsi e sopportare,
per quel breve periodo di tempo.
In realtà, la sofferenza è come una goccia che cade in continuazione
e intanto approfondisce le ferite, impedendo che si rimargino,
questo, almeno, dal mio punto di vista.
Mi guardo intorno, guardo la televisione, leggo i giornali,
osservo la società
così com’è strutturata e, inevitabilmente,
mi ritrovo davanti la sofferenza, sofferenza che
è magari degli altri
ma che si ripercuote inevitabilmente anche al mio interno:
soffro per le persone morte in un terremoto,
soffro per le persone assassinate, rapite, sequestrate,
soffro per i vecchi abbandonati, per i malati, per le persone
che hanno perso dei figli o dei compagni o dei genitori,
soffro per la gente povera che viene alla fin fine persino derisa
da chi ha di più,
soffro per l’ingiustizia che vedo continuamente intorno a me,
per coloro che tutto hanno e coloro che, invece,
non riescono ad avere nulla e, purtroppo, questa
sofferenza
non mi riesce proprio di superarla.
E allora le tue belle parole a che cosa mi servono a questo punto,
cosa me ne faccio, che senso hanno per me?».
Scifo

Senza dubbio, figlio che ti trovi incarnato e vivi la sofferenza,
posso comprendere come il fatto di soffrire ti renda così difficile
accettare ciò che vedi intorno a te.
Tuttavia – lo ripeto ancora – la sofferenza ha la funzione di spronarti
e non di limitarti a brontolare o a fare del vittimismo,
di aiutarti a fare qualcosa di attivo,
di fattivo affinché le cause di questa tua sofferenza, un po’ alla volta,
si leniscano, in modo che tu ti senta in una posizione costruttiva,
e non in quella di chi subisce senza nulla poter fare.
Tu parlavi della sofferenza che provi per essere inserito
in una società che ti comunica soltanto sensazioni di dolore.
Bene, figlio, l’errore principale che tu commetti è quello di aspettare
che siano gli altri
a fare qualcosa;
di aspettare che sia lo Stato ad aiutare la gente;
di aspettare che siano gli uomini politici a fare le leggi;
di aspettare che siano gli uomini della religione a consolare;
di aspettare, insomma, che gli «altri» facciano qualcosa
per alleviare la sofferenza.
Ma pensa bene, figlio mio:
chi ti dice che, in realtà, gli altri che con te sono incarnati
non stiano a loro volta aspettando che sia tu o
altri a loro esterni
a fare ciò che tu aspetti che essi facciano?
E questo diventa, alla fine, la vera causa del male all’interno della società;
se, infatti, tu stesso, in prima persona,
incominciassi ad
osservare le leggi che ritieni giuste,
se incominciassi a tendere la mano appena vedi qualcuno che ne ha bisogno,
se incominciassi a consolare quando vedi una persona piangere,
se incominciassi a dare – quanto meno – ciò che possiedi di superfluo
e che ad altri manca,
chissà quante altre persone, mosse dal tuo esempio e comprendendo
qual è la via giusta, seguirebbero, magari, ciò che tu fai?
E questo, inevitabilmente, si ripercuoterebbe poi nella società e, prima o poi,
te lo garantisco, la renderebbe diversa da quella che è.
E’ facile, infatti, lamentarsi di ciò che si sta vivendo, crogiolarsi nel dolore,
nelle parole, nel vittimismo aspettando che siano gli altri a fare qualcosa
perché il dolore venga annullato o, quanto meno, lenito.
Moti


 

 


Padre mio, io vivo nel mondo che tu hai creato,
trascorro i miei giorni a contatto con le
altre creature
che Tu hai messo accanto a me, e vedo di continuo,
con una tremenda continuità, il succedersi di avvenimenti violenti,
come se le migliaia di anni di storia dell’uomo non fossero serviti a nulla,
e questo mi fa arrivare a dubitare non soltanto del fatto che Tu, davvero,
sia all’interno di ognuno di noi,
non soltanto che Tu sia all’interno della
nostra coscienza
ma addirittura che Tu esista.
Moti

Figlio mio, ti ringrazio per le tue parole,
perché con le tue parole tu dimostri a te stesso prima ancora che a me,
che stai osservando nel tuo intimo la realtà,
ed osservare nel proprio intimo la realtà significa cercare di arrivare,
piano piano, poco alla volta, a raggiungermi.
Ed io ti sto aspettando, figlio mio,
non ho
voltato lo sguardo da un’altra parte anche se,
osservando gli avvenimenti nel mondo fisico, così potrebbe anche sembrare.
Come spiegare a te, figlio mio,
a te che sei immerso nella relatività, nell’illusione, che
il male non esiste?
E’ difficile quanto riuscire a farti comprendere che non esiste neppure il bene.
Quello che esiste sei tu.
Quello che esiste sono gli altri tuoi fratelli,
che compiono il loro percorso evolutivo,
illusione anch’esso, ahimè!
Quelli che esistono sono i Cosmi che popolano le notti.
Quelle che esistono sono tutte le realtà che tu neppure riesci a percepire.
Quello che esiste veramente sono Io, sei tu.
Ma dove sta poi veramente la differenza, figlio mio?
E se ognuno dei fratelli che ti sta accanto è come te,
se essi sono tanti ed ognuno di essi ha in sé diverse pulsioni,
diversi problemi, diverse motivazioni, diversi modi di agire,
diverso modo di sentirsi emozionati,
diverso modo di soffrire o di gioire, allora,
tu forse potresti renderti conto che parlare di bene o di male,
di gioia e di sofferenza non ha alcun senso,
poiché tutto alla fine arriva ad un
pareggio per creare l’Unica Verità,
che non è bene né male,
ma semplicemente,
e così incomprensibilmente per te, E’.
Scifo


 

 


Padre mio, io guardo il mondo intorno a me e non mi riconosco in esso;
vedo dovunque nel mondo bimbi che soffrono la fame,
bimbi che vengono sballottati in famiglie distrutte
in 
cui di tutto ci si ricorda fuori di ciò che è la priorità,
ovvero la responsabilità verso queste piccole creature;
vedo ovunque accendersi focolai di guerra con decine e decine di morti
nel nome, teoricamente, di conflitti magari religiosi
ma, in realtà, sotto l’egida dell’interesse;
vedo dovunque produrre alimenti con sostanze che si sa benissimo
essere dannose al fisico dell’uomo eppure continuamente
usate
perché ciò abbassa i costi e aumenta la produttività;
vedo individui che vivono in case simili ad alveari,
con centinaia e centinaia di persone eppure, in mezzo a quella
folla
che condivide con lui una ristretta porzione di territorio,
egli continua ad essere
solo e a non avere alcuna comunicazione reale
con tutte queste altre persone che gli stanno attorno,
sì che la solitudine finisce con l’essere una delle componenti principali
della sua esistenza.
Padre mio, se veramente Tu esisti,
è mai
possibile che questo sia il mondo che Tu hai creato?
Dovresti essere buono, giusto, dovresti saper donare il sorriso
là dove si tende a piangere,
dovresti saper dissetare là dove si ha sete
e calmare i morsi della fame quando la fame si fa insistente,
dovresti accarezzare la guancia di un bambino
quando nessun
altro riesce a farlo.
Padre mio, ma è davvero questo il mondo che Tu hai creato?
Moti

Figlio, ciò che io ho creato è quello che tu possiedi
nella parte più intima di te stesso,
è quell’amore che ti spinge ad osservare intorno a te e a vedere
tutte le brutture che riconosci esistere nel mondo in cui stai vivendo.
Esse sono state create, discendono dagli errori che nel corso di tutte le tue vite
tu hai compiuto, tu e tutti gli altri fratelli,
quindi ricorda che se c’è un bimbo che piange perché ha fame,
o perché non ha affetto, è perché sei tu che non hai creato le condizioni
perché egli possa mangiare e sentirsi amato;
se vi sono cannoni che sparano nel nome di una religione,
o di religioni che non mi appartengono – perché io non voglio essere adorato –
questi cannoni sparano perché tu hai contribuito nel corso delle tue vite
a far sì che i cannoni venissero costruiti;
se esistono uomini che, pur vivendo in mezzo alla folla,
vivono in una condizione di solitudine e di infelicità,
ricorda che questi uomini sono soli e infelici perché la società
che tu hai contribuito a creare ha fatto della solitudine e dell’infelicità
uno degli assi portanti dell’indifferenza che governa l’agire dell’uomo contemporaneo;
e se non ti va bene, se tutto ciò che accade non ti va bene, allora,
più che guardarti intorno, e lamentarti,
e cercare magari di dare la colpa a me,
guardati allo specchio e chiediti:
cosa sto facendo io, nel mio piccolo, per cambiare tutto ciò che mi sembra sbagliato?
Certo, non potrai impedire una guerra,
non potrai impedire che alimenti nocivi vengano portati sulle mense degli uomini,
ma puoi comunque sempre accarezzare al mio posto la gota di un bimbo
che ha bisogno di sentirsi amato,
o rivolgere una parola di conforto, di condivisione,
di partecipazione
all’uomo che, accanto a te, si sente solo e infelice.
Scifo


 

 


Padre mio,
da te mi è arrivato l’insegnamento «Ama gli altri come te stesso»;
com’è difficile farlo, Padre mio!
Com’è difficile, dal momento che difficilmente io riesco ad amare me stesso!
Se io fossi contento di me,
riuscirei certamente a guardare con occhi diversi coloro che mi stanno attorno;
se io fossi felice, certamente riuscirei più facilmente a dare felicità agli altri;
se io fossi convinto fino in fondo della Tua esistenza,
come potrei non far partecipi gli altri di questa mia convinzione!
Padre mio, come posso fare per amare veramente gli altri come me stesso?
Moti

Figlio mio, per amare veramente gli altri come te stesso
devi, giustamente, riuscire
ad amare prima di tutto te stesso!
E tu mi chiedi: «Come posso amarmi, se io mi vedo meschino,
egoista, distante, disinteressato, pronto a prendere, poco disposto a dare;
se in me vedo di volta in volta tutti i possibili difetti immaginabili?».
C’è una sola via, figlio mio, perché tu possa amare te stesso
pur continuando a guardare nelle tue profondità:
questo modo è osservare tutti i tuoi possibili immaginabili difetti,
esserne consapevole ed accettarli;
ma «accettarli» non significa dire semplicemente «io sono così»
e girare l’attenzione da un’altra parte,
significa invece essere consapevoli di essere in una certa maniera
ed operare nel corso della giornata per trasformare il proprio modo di essere.
Questo significa «amare se stessi»;
ovvero non restare immobili in ciò che si è,
ma agganciarsi al treno del proprio movimento
e mutare di volta in volta col mutare della propria interiorità;
non restare attaccati a ciò che si era ieri,
ma vivendo sul momento quello che si è nell’attimo
in cui ci si sta osservando;
ed essere consapevoli che il momento dopo si sarà diversi,
e che questa non è una colpa per cui ci si debba macerare o affliggere,
o piangere, o sentirsi diseredati, abbandonati o rifiutati,
ma è, invece, un motivo di consolazione e di sprone
perché significa che il cammino va sempre avanti
e che ciò che
adesso ci appartiene domani sarà superato e migliore;
e nel momento in cui sarà superato voi potrete veramente amare voi stessi,
e amare se stessi significa amare gli altri.
Scifo


 

 


Padre mio, guardo il mattino nascere dietro i monti,
il cielo che si rischiara,
l’aria fredda della notte che lentamente si intiepidisce,
ed ecco che mi prende un’emozione improvvisa:
sento che tutto mi parla di Te.
E vivo la mia giornata, una giornata come tante,
con le mie speranze, le mie delusioni,
le mie illusioni, i miei trasporti,
e la sera, guardando l’orizzonte al di là del mare,
vedo il sole che si tuffa nelle acque in un tripudio di colori
dalle mille sfumature accese;
e in quel momento penso che davvero
tutto mi parla di te.
Anonimo

Figlio mio, sono pochi i momenti in cui tutto ti parla di me!
Se tu sapessi veramente cercare,
se tu sapessi veramente muovere la tua attenzione verso 
ciò che Io Sono,
anche la donna che all’angolo della strada vende il suo corpo ti parlerebbe
di me,
anche il drogato che in un vicolo oscuro si cerca la vena per compiere il suo destino,
anch’egli ti parlerebbe di me.
Se tu guardassi le tue mani,
ogni più piccola
linea del palmo di esse ti parlerebbe di me,
perché io non sono, figlio mio, soltanto nelle cose belle,
Io sono il Tutto che in Tutto esiste,
Io sono Colui che E’ e tutto, veramente tutto, figlio mio,
ti può parlare di me.
Anonimo


 

 


Dio mio, io Ti cerco, ma qualche cosa in me,
fa sì che io non Ti riconosca.
Eppure la mia ricerca continua, non mi fermo un attimo,
ed anche quando non me ne rendo conto,
i miei occhi si posano intorno al mondo cercando
in esso i segni della Tua presenza.
Dio mio, com’è possibile – a volte mi chiedo –
continuare a cercarTi, presumendo che Tu
esista
quando vedo intorno a me tante cose che potrebbero farmi pensare
e credere che la 
Tua esistenza sia simile all’esistenza di quella chimera
che c’era e non c’era, che tutti cercavano e nessuno mai trovava,
e che si rivelava, alla fine, essere soltanto un miraggio, 
un’illusione?
Eppure, Dio mio, io continuo, malgrado tutto e contro tutto,
anche contro me stesso, a volte, a cercarTi.
Com’è possibile questo, Padre?
Che senso ha questa mia ricerca,
se ogni logica, ogni ragione, ogni pensiero,
ogni sentimento mi dovrebbero invece
portare
a diventare completamente ateo?
Anonimo

Figlio mio, mio piccolo dolce figlio che ti senti abbandonato,
abbandonato a te stesso e perso in un mondo che sembra non appartenerti.
Figlio mio che ti chiedi il perché di questa tua affannosa,
ansiosa ricerca che sembra già fallita in partenza.
Figlio mio che ti chiedi come mai continui a ricercarmi malgrado tutto;
il fatto è, figlio, che la ricerca è qualche cosa che ti appartiene così intimamente,
così intimamente legata a te che non potrai mai scioglierti da essa;
e come potrebbe d’altra parte essere diversamente, figlio, se Io sono in te,
se Io sono al tuo interno e se tu appartieni a me,
se Io costituisco te e tutti gli altri fratelli che con te vivono
nel mondo che vi circonda?
Fermati un attimo figlio, chiudi gli occhi,
lascia per qualche secondo fuori della tua mente
e da te stesso gli avvenimenti che ti circondano,
cerca di ascoltare non il silenzio ma quella vibrazione che in te giace,
e che pure, pur essendo nascosta nel tuo intimo sentire,
vibra in maniera tale da condizionare tutto il tuo essere.
Ascolta quella dolcezza che senti venire dentro di te
nei momenti in cui meno te lo aspetti,
ascolta quel desiderio che ti prende, in alcuni momenti,
di porgere la mano all’altro;
odi le lacrime che sgorgano dai tuoi occhi
per un momento di felicità inaspettata.
Renditi conto che tutte queste piccole cose, sono per te,
per la tua ricerca, gli effetti di quella vibrazione che dentro di te
si muove e cerca di spingerti a trovare ciò che sei davvero.
Perché solo allora, figlio, soltanto allorché tu scoprirai ciò che sei
veramente dopo esserti
tolto tutte le maschere
che celano il tuo vero essere,
soltanto allora scoprirai che la tua
fede esisteva e che era riposta in te,
e che,
essendo riposta in te, amato figlio, ti parlava di me,
di me che sono nascosto nel tuo profondo
così come nel profondo di ogni essere,
attraverso a quella piccola scintilla che di me fa parte,
e che ti unisce come essenza a tutti gli altri tuoi fratelli.
Cercami, figlio, continua a cercarmi
e senza dubbio verrà il giorno,
giorno verrà che tu mi troverai.
Pace.
Anonimo


 

 


Padre mio, osservando la mia immagine di Te
che vado formando al mio interno,
mi accorgo che i tuoi contorni si fanno sempre più indecifrabili,
sempre più vaghi, sempre più incomprensibili e questo mi spaventa
e sbilancia la mia mente che pensava che più elementi avesse raccolto
su di Te,
più Ti avrebbe conosciuto.
Forse non ho capito nulla,
forse mi sto dibattendo in una ragnatela nella quale, a ogni mio sussulto,
resto più prigioniero che mai?
Florian

Figlio mio, quello che tu hai fatto è già un grande passo avanti:
hai superato l’immagine che ti era stata posta di me
e non sono più, ai tuoi occhi, il Dio vendicatore,
il Dio capriccioso e volubile, il Dio che dona la salvezza
o la dannazione eterna, il Dio che lotta contro Satana,
quella specie di Dottor Jeckill e Mister Hide che le mille
e mille religioni mi hanno costruito addosso.
Tu hai capito che Io Sono il Tutto,
e che in me Tutto è racchiuso,
la gioia e il dolore, il perdono e il castigo, l’amore e l’odio
ma non perché io sono ora l’uno o l’altro dei due estremi,
bensì perché tutte le cose che vivete come divenire mi appartengono,
parti mutevoli di un Essere immutabile poiché tutto comprende.
Comprendo, e come potrei non farlo poiché sei una mia parte,
la tua sofferenza e la tua confusione e l’accetto come un segno
della tua trasformazione, quella trasformazione che ti porterà
inevitabilmente a riunirti dolcemente e consapevolmente a me.
Cosa posso dirti, figlio mio,
per rendere
meno turbato questo tuo travaglio interiore,
senza crearti ulteriori catene?
Tu pensavi di potermi conoscere conoscendo i miei aspetti
ma non hai la possibilità di definirmi,
poiché non vi è nulla che non sia un mio aspetto e,
di fronte all’immensità di questo nulla,
la tua mente non può che vacillare.
Osserva ciò che sta intorno a te prima ad occhi aperti
e poi ad occhi chiusi: ciò che vedevi ad occhi aperti è parte di me,
ciò che non vedi allorché chiudi gli occhi è sempre
e comunque una parte di me, ancora maggiore dell’altra
e sconosciuta e inconoscibile dai tuoi sensi e dalla tua mente,
tanto che, in
verità, è impossibile esprimerla a parole.
Che fare, allora?
Gettarti a capofitto nella vita aggiungendo piccole tessere
al mosaico della mia immagine?
Accontentarti di sapere che esisto
e accettare 
la sconosciuta realtà che vibra al di là
delle tue palpebre chiuse?
Getta via la mente, figlio mio,
getta via le
parole, getta via le idee, getta via i colori,
getta via i pensieri, tutti così inadeguati e «sentimi», figlio mio,
con quel sentire che,
solo, ti può far essere abbastanza vicino a me
da riconoscermi.
E poi? E poi, nel momento in cui mi avrai riconosciuto,
con una forza che va al di là della certezza della mia esistenza,
riprendi la tua mente, le tue parole, le tue idee, i colori,
i pensieri
e vivi la tua vita consapevole che qualsiasi sofferenza, qualsiasi dolore,
qualsiasi tormento tu stia attraversando non può essere che un necessario,
importante, insostituibile eppur piccolo granello di sabbia sulla spiaggia
che il mio mare lambisce e, poco a poco, sommerge rendendo eterne
le parole «ti amo» che avevo scritto su di essa e che ti erano sembrate
così effimere prima di comprendere che restavano scritte nello stesso mare
che sembrava averle cancellate.
Ti amo, figlio.
Moti


 

 


Padre nostro, io cerco in me stesso la certezza della tua esistenza
perché sento dentro di me che qualcosa deve esistere nella Realtà,
nella Realtà con la «r» maiuscola che va al di là 
di ciò che io sono,
di ciò che io vivo, di ciò che io spero, di ciò che io architetto,
di ciò
che io conduco nella mia quotidianità.
E questa mia ricerca, questa mia convinzione della Tua esistenza
si fa più forte, più urgente, più necessaria, più disperatamente necessaria
nel momento stesso in cui io affronto la sofferenza perché, Padre mio,
soffrire non è mai facile e, a ogni nuova sofferenza,
questa sembra più grande, anche se magari così
non è;
e ad ogni nuova sofferenza cerco di ritirarmi in me stesso
o di allontanarmi per non affrontarla;
ed è qua, Padre mio,
che io ho bisogno di sentire di credere nella Tua esistenza,
perché soltanto allorché veramente riuscirò a fissare dentro di me questa sicurezza,
soltanto allorché io riuscirò a convincermi pienamente, fino in fondo, della Tua Realtà,
soltanto allora sarò veramente consapevole, senza che le mie siano soltanto parole,
che ciò che accade non può che accadere per il mio bene;
e allorché la sofferenza mi farà soffrire di meno, anche i momenti di dolore
saranno
visti sotto un’altra prospettiva che me li farà accettare,
e accettarli invece che lottare contro di essi farà già sì che essi
siano meno difficili da superare.
Padre mio, io spero di riuscire veramente a sentire la Tua presenza dentro di me.
Anonimo

E a te, a te, figlio, che mi chiedi nel silenzio e nell’oscurità
com’è possibile rendere migliore il mondo in cui ti trovi
a condurre avanti la tua esistenza;
a te, figlio, non posso dire altro che questo accadrà
quando tu diventerai
bastone per lo zoppo,
vista per chi è cieco,
suono per chi è sordo,
parola per chi è muto,
sorriso per chi piange,
allegria per chi è triste,
amore per chi odia.
Allora il mondo, figlio mio, cambierà.
Moti


 

 


La mia vita è un continuo avvicendarsi di esperienze ed io, Padre mio,
mi rivolgo e mi sono rivolto spesso in passato per chiedere,
per tendere la mano verso di Te nell’attesa che Tu la stringa
e mi dia ciò che Ti chiedo.
Ma cosa posso chiederTi ancora che non t’abbia già chiesto?
Troppe volte ho implorato il Tuo aiuto e, anche se non me ne sono
accorto,
me l’hai dato.
Quante volte t’ho chiesto di farmi avere un atto d’amore e,
anche se magari ho girato la testa dall’altra parte
perché non era quell’amore che io volevo,
l’atto d’amore
l’ho avuto.
Quante volte t’ho chiesto di farmi diventare ricco
e non mi sono accorto che più ricco di come sono, in realtà,
non potevi farmi.
Quante volte Ti ho chiesto, Padre mio, di alleviarmi le sofferenze,
senza rendermi conto che queste sofferenze erano tali soltanto perché
io volevo che tali fossero e che sarebbe stato così facile, se l’avessi voluto,
essere un individuo che non soffriva più.
Tutto ormai t’ho chiesto in questi lunghi anni delle mie vite ma,
se proprio volessi ancora trovare qualcosa da chiederTi, Padre mio,
ve n’è una sola che sento premere in me e che desidero
con tutto il cuore chiederTi:
Ti prego, Padre mio, comunque sia, sempre, in ogni attimo delle vite
che ancora vivrò e ancora oltre, per tutta l’eternità,
fino a quando io non riuscirò ad abbeverarmi alla Tua Fonte,
non smettere mai di amarmi.
Scifo

Figlio mio, figlio mio amatissimo,
è con un certo compiacimento che ti osservo nel tuo cammino
allorché tu incontri le tue prime conquiste, le soluzioni ai tuoi problemi,
le
risposte ai perché che possono tormentarti.
E’ con una punta di rammarico che ti osservo nel corso del tuo cammino
allorché le paure, le ansie, i timori, il dolore sembrano frenarti, bloccarti,
inibirti nel tuo stesso cammino verso la comprensione.
E’ con immensa gioia, invece, che t’osservo quando non solo tu riesci
a darti una ragione della sofferenza che ti si è abbattuta addosso,
ma quando riesci ad intravedere il motivo,
a intravvederne la collocazione nel Grande Disegno che,
come tu nel tuo essere più
profondo sai, ci rende uguali.
Ti amo, figlio mio amatissimo,
ti amo e che la pace sia con te.
Pace.
Viola


 

 


Io vorrei poter non lavorare.
Io vorrei essere ricco.
Io vorrei avere a portata di mano tutti i libri di questo mondo
per potermi catapultare tra quelle pagine e assorbire
tutta la conoscenza possibile.
Io vorrei che il mondo fosse fatto di cioccolata
e che le nuvole nel cielo facessero cadere gocce di panna.
Io vorrei che nel mondo non ci fosse più fame,
che tutti avessero da mangiare,
che non ci fossero bambini smagriti,
che non ci fossero anziani ammalati,
che non ci fossero donne seviziate,
che non ci fossero animali abbandonati,
che non ci fossero figli dimenticati,
che non ci fossero genitori tristi,
che non ci fossero malattie,
che non ci fossero dolori,
che non ci fossero rimpianti,
che non ci fosse tristezza,
che non ci fosse.
Sia fatta la Tua volontà e non la mia,
Padre mio.
Anonimo

Tu vorresti che non ci fosse più sofferenza,
tu vorresti che non ci fosse più dolore,
tu vorresti che non ci fossero più bambini abbandonati
o maltrattati,
o costretti a lavorare,
tu vorresti che non ci fossero più animali abbandonati
lungo le autostrade,
tu vorresti che non ci fossero più persone anziane
lasciate a loro stesse senza possibilità
di sussistenza,
tu vorresti che nessuno si ammalasse più,
tu vorresti che il tuo fisico riuscisse a sopportare qualunque
cosa la tua golosità ti inducesse a mangiare, e poi dici:
«Sia fatta la tua volontà e non la mia»?!
Figlio mio, se tu davvero pensassi e sentissi
che è la mia volontà che deve essere fatta e non la tua,
ti renderesti conto che i tuoi desideri
– per quanto giusti nella loro essenza –
nascono da tuoi errori interiori,
poiché come puoi sapere tu quant’è giusto che accada
ciò che tu vorresti non accadesse più?
Come puoi sapere, tu, quanta evoluzione, da quelle esperienze,
le persone che tu vedi soffrire possono ricavare?
Come puoi pensare di sapere, tu, qual è il cammino giusto
per ogni mia creatura che
io ho posto nella Realtà?
Non è possibile, figlio mio, ed è per questo che concordo con te
nel dire: 
Sia fatta la mia volontà e non la tua!
Scifo


 

 


Padre mio, ho visto, ho visto, ho visto una principessa schiantarsi
con un’automobile e ho visto questa principessa diventare il cibo
per avvoltoi mai sazi e sempre pronti a strappare fino all’ultimo pezzo
di carne pur di appagare se stessi.
Ho visto, ho visto trecento persone – un intero villaggio – sgozzate,
e passate praticamente sotto silenzio alla coscienza di tutte le persone,
nell’indifferenza pressoché totale al di là dello scalpore
della notizia del momento sul telegiornale.
Ho visto, ho visto, ho visto, ho visto i funerali di una suora:
«la madre dei poveri», e i poveri tenuti lontano dal suo funerale
con cordoni di polizia, e persone importanti che mestamente seguivano
le spoglie mortali di una persona che non conosco ma, certamente,
per avere funerali così, doveva essere importante!
Chissà. Ho visto uomini politici che parlano,
parlano, parlano, parlano, parlano e non si ricordano che sono lì,
invece, per fare, per
fare, per fare.
Ho visto capi religiosi, sempre! dappertutto, in tutti i luoghi della Terra,
quasi come se viaggiare fosse il loro hobby preferito, e mi chiedo,
Padre mio: «Ma com’è possibile che
il mondo sia fatto di persone
con una tal
coscienza?».
Me lo chiedo e non riesco a trovare alcuna spiegazione a tutto questo.
Scifo

Figlio mio, per poter criticare qualunque altro tuo fratello è necessario,
quantomeno, che tu – prima di tutto – sia in pace con la tua coscienza.
Se nulla hai da rimproverarti, se nulla hai da nascondere agli altri,
se nulla hai che gli altri ti possono imputare, allora sì, forse,
che hai un piccolissimo diritto di puntare il dito su ciò che ti sembra
sbagliato, altrimenti taci,
osserva te stesso e ricorda che comunque
ognuna di quelle persone che tu hai citato è un essere umano
e ha i suoi bisogni, i suoi perché, le sue necessità,
che certamente non rendono meno errati i suoi comportamenti
ma tuttavia ti devono mettere in grado di far sì che tu, proprio tu intanto,
in prima persona, non faccia gli stessi errori che imputi agli altri;
e in quel momento, figlio mio, non troverai più nulla da ridire contro nessuno.
Moti


 

 


Quante volte mi sono trovato di fronte ad un Maestro,
e a lui ho rivolto le mie preghiere,
talvolta sono state esaudite, talaltra sono cadute nel nulla,
ed allora tu, Maestro, che ora in questo momento di questa vita
mi stai davanti dimmi, ti prego, qual è il modo migliore
affinché io ti rivolga le mie preghiere.
Baba

Figlio mio, le tue preghiere non hanno, in fondo, alcun significato,
perché vedi, mio caro, tutto ciò che io posso fare per te,
tutto ciò che io posso darti,
io te lo darei comunque senza bisogno che tu me lo chieda,
e la tua preghiera invece è soltanto una speranza del tuo Io
per essere esaudito in ciò che egli vuole e nulla di più.
Se davvero vuoi rivolgere una preghiera efficace,
una preghiera che ottenga grandi risultati,
una preghiera che cambi la tua vita,
una preghiera che ti renda diverso,
una preghiera che ti faccia modificare la tua realtà,
allora 
assapora la tua vita.
Pace a te, amatissimo figlio.
Moti


 

 


Padre mio, io mi scontro tutti i giorni
con quella che è la mia realtà interiore
e
con quella che è la realtà intorno a me.
Quale è giusta: questa o quella?
Ciò che io sento veramente è il mio sentire,
o è il mio Io che si è messo l’ennesima maschera
e mi impedisce di vedere qual è la
mia realtà?
Ciò che vedo all’esterno di me è davvero la realtà
o è soltanto una proiezione di ciò che
io voglio vedere?
Quanta insicurezza, Padre mio, in tutto questo!
In alcuni momenti la confusione è
tale
che mi sembra di non riuscire più a
raccapezzarmi.
Se solo potessi trovare un po’ di luce in questo buio
che, a volte, mi piomba addosso come una cappa,
forse, un po’ alla volta,
riuscirei a percorrere la strada
che si perde
in lontananza, sfumando nell’oscurità.
Moti

Figlio mio, ancora una volta tu rivolgi le tue parole tormentate
a me come se io non avessi già fatto abbastanza per aiutarti,
al punto tale che neppure io saprei cosa fare di più.
Io ti ho dato un mondo intero da osservare,
dispiegando davanti ai tuoi occhi le mille e mille meraviglie
che ho saputo creare affinché tu ti specchiassi in esse
e riconoscessi non soltanto te stesso
ma anche la mia mano e la mia presenza.
Ho popolato questo mondo di centinaia di creature diverse
che poi son diventate migliaia,
e ognuna di esse l’ho resa una piccola perla con delle sfumature
che non combaciano mai con quelle delle altre affinché tu,
in ognuna di esse, riuscissi ad osservare quelle sfumature
e a fare il paragone con quelle che puoi vedere dentro di te.
Ti ho dato un corpo fisico per far sì che tu potessi sentire
con i tuoi sensi fisici la realtà del mondo materiale perché,
magari – pensavo – non ti sarebbe bastato osservare
ciò che ti
circondava, ma avresti potuto aver bisogno
di qualcosa di più vicino, di un contatto più immediato
per poter sentire in modo più
profondo la tua appartenenza al Tutto;
ti ho donato un corpo astrale perché tu interagissi con le altre creature
che ho posto intorno a te e mostrassi a queste altre creature
ciò che provavi interiormente, affinché le tue emozioni provocassero
un’eco in loro e questa eco ritornasse in te, e tu riconoscessi
che questo doppio scambio in realtà era un fluire fra te e te stesso;
ti ho dato la facoltà di pensare e un corpo mentale,
in modo tale che tu potessi tirar le fila di tutti questi elementi
che a te ho donato per appagare anche il più esigente degli osservatori,
in modo tale che tu avessi la possibilità di passare al vaglio
della tua ragione il motivo di ciò che ti circonda
e il motivo di ciò che sei per arrivare, alla fine, a comprendere
che non sono due motivi diversi, no, non è vero, non è così:
il motivo è uno solo ed è ciò che unisce te e l’esterno.
Ti ho dato tutto, figlio mio;
la tua strada, che a te sembra perdersi nell’ombra,
è lì, dritta e sicura davanti a te;
chiudi gli occhi, non hai bisogno di vederla per percorrerla,
non hai bisogno di correre per raggiungerla,
metti con pazienza un piede davanti all’altro senza tentennare,
senza aver paura di cadere a destra o a sinistra, avanti o indietro;
stai tranquillo che, anche se cadrai, potrai sempre risollevarti;
dov’è il problema?
A volte cadere serve per riuscire a mantenere intatto
il proprio senso dell’equilibrio.
Metti un passo davanti all’altro con pazienza ed ecco che,
dopo pochi passi, senza che neanche tu te ne accorga,
sei giunto alla fine della strada.
Vedi, figlio mio, non era così difficile come tu pensavi,
sei già qui accanto a me.
Anonimo


 

 


Padre mio, io ascolto talvolta le parole che da fonti diverse
giungono fino a me e mi sembra di aver capito
che tutta la mia esistenza all’interno del piano fisico è regolata
da uno stupendo equilibrio di dare e avere,
come se un grande ragioniere tirasse le fila dell’esistenza
e riuscisse a compensare, in modo incredibilmente splendido,
la vita di ogni individuo.
Eppure, malgrado forse possa aver capito questo,
non riesco a rendermi conto di quando sarà che il dare e l’avere
avranno un senso reale, un senso meno egoistico, un senso più sentito.
Come vorrei poter capire se e quando ciò potrà mai accadere.
Moti

Figlio mio, attraverso il meccanismo del dare e dell’avere
tutta la realtà che io ho creato si struttura e si completa;
nulla esiste in essa che non porti ad uno scambio di vibrazioni
e da questo scambio di vibrazioni il risultato che si ottiene
è un perfetto equilibrio tra ogni più piccolo fattore di ciò
che io ho «sognato».
Tu adesso mi chiedi quando il dare e l’avere,
nei rapporti con gli altri, diventerà un Dare
e un Avere
con la «d» e con la «a» maiuscole;
è semplice, figlio mio, molto semplice:
questo accadrà nel momento in cui nessuno dei due interlocutori
avrà ancora la spinta
a dire «Io ho dato di più»
o «Tu hai ricevuto di più».
Scifo