Il piano akasico e il corpo akasico, o corpo della coscienza

d-30x30Il piano akasico e il corpo akasico. Dizionario del

Ritrovarsi di fronte al mondo è uno degli attimi più difficili da affrontare, e soltanto ritrovarsi di fronte a se stessi, di fronte a voi stessi può risultare un momento più invalicabile che ritrovarsi di fronte a quel grande ventaglio di possibilità di esperienza che la Realtà, il Grande Disegno, dipana ai vostri piedi. Quante sfumature, quanti stati d’animo, quanti modi diversi possono essere osservati nei rapporti tra questo vostro Io e il mondo! Certamente, come avete dottamente dissertato oggi, è la capacità di vivere nel presente da parte del vostro Io, dimenticando però un fattore; quel fattore che, solo, è bastato per farvi perdere il controllo di quello che andavate discutendo, proprio il fattore più importante sempre da tener presente allorché affrontate l’argomento dell’Io: questo fattore è l’illusione. Voi sapete, figli nostri, che l’Io di per sé non esiste, l’Io non ha una vita propria, l’Io nasce dall’incontro-scontro tra le reazioni dei vostri corpi inferiori e ciò che vivete all’interno del piano fisico; è una creatura fittizia, un’ombra che si muove su una parete e che muta allorché le mani cambiano posizione. Allo stesso modo, l’Io si trasforma, si modifica e cambia ma è semplicemente un riflesso non soltanto di questo incontro-scontro di cui parlavo poc’anzi, ma addirittura di ciò che di voi si è depositato come germe permanente e «compreso» all’interno del vostro corpo akasico, della vostra coscienza. L’Io quindi, a rigor di logica, non vive, non può vivere nel presente; ma certamente questo sarebbe un usare le parole per trovare una giustificazione a quell’apparente contraddizione che avevate rilevato nelle nostre parole. Infatti, per poter essere spiegato, l’Io ha necessità in qualche modo di essere personalizzato, di essere reso qualche cosa di cui poter discutere. Allora, quando noi abbiamo affermato che l’Io vive nel presente, intendevamo semplicemente affermare che lo vive in quanto vive l’illusione del presente che egli possiede. Egli cioè non vive veramente il presente, ma vive ciò che in questo presente egli proietta sotto la spinta dei suoi desideri, dei suoi pensieri, delle sue reazioni fisiologiche. Al contrario, invece, del corpo akasico il quale vive per forza di cose nel presente in quanto è dal presente, attimo dopo attimo, che gli arrivano le esperienze che lui esamina immediatamente, incasellandole, sistemandole nei posti giusti, allacciandole là dove possono essere allacciate o lasciandole in una nuova posizione per aspettare un contatto successivo, in una vita, in un’esperienza che verrà. Capite dunque qual è la differenza in quello che andavamo dicendo?
È giusto affermare che il corpo fisico, il corpo astrale e il corpo mentale possono essere definiti strumenti del corpo akasico, e strumenti di grande importanza, oltre tutto, senza i quali, infatti, il corpo akasico non potrebbe sperimentare all’interno dei piani inferiori, non potrebbe fare esperienza e, quindi, non potrebbe trarre conoscenza e, in seguito, non potrebbe trarre comprensione da tutto questo e così non potrebbe allargare il proprio sentire e resterebbe immobile invece di accrescere i gradi del suo sentire.
Vi siete chiesti se ci sono delle tecniche per favorire l’ottimizzazione dei corpi e, quindi, favorire lo sviluppo del sentire.
Senza dubbio è possibile mettere in atto determinati comportamenti interiori che possono aiutare, più che altro, a far collaborare tra loro questi corpi inferiori, tuttavia una vera tecnica che sia generalizzabile per tutti è ben difficile poterla dare ed è ciò che non è stato ben compreso, in fondo, da certe dottrine.
Ognuno ha la propria strada: per arrivare alle proprie comprensioni deve seguire il proprio cammino, che soltanto in minima parte combacia con quello degli altri; e può usare i propri mezzi che sono soltanto in minima parte, anch’essi, i mezzi che possono usare anche le altre creature. Ecco, quindi, che un unico modo valido per tutti per arrivare a questa ottimizzazione dei corpi inferiori non esiste, ma va personalizzato da persona a persona a seconda dell’esperienza e dell’evoluzione che essa possiede. Certamente, comunque, è essenziale volerlo fare, prima di tutto; è essenziale sentire questa spinta che impedisce di distrarsi dalla meta che si cerca di raggiungere; è essenziale riuscire a restare concentrati su questa meta; è essenziale, infine, essere consapevoli di ciò che si vuole raggiungere e porre attenzione non soltanto al mondo esterno ma anche all’interno di se stessi, perché soltanto da questa attenzione dentro-fuori che l’individuo attua in continuazione possono arrivare quegli elementi, quei frammenti, quegli impulsi, quelle conoscenze che possono aiutarlo ad avviarsi in modo più proficuo verso un cammino più veloce, più spedito, più giusto.
Un’altra domanda che vi siete fatti è stata se le personalità che l’individuo ha avuto nel corso delle sue varie reincarnazioni appartengono al corpo akasico.
Io direi che le personalità che ha estrinsecato nelle varie vite fanno parte parte del corpo akasico, ma non tanto perché gli appartengono, ma quanto perché gli sono appartenute e di esse sono rimaste in lui trascritte tutte le esperienze che esse hanno fatto; ma attenzione, figli, qua c’è un altro punto che tendete a confondere: quando noi parliamo di trascrizione delle esperienze all’interno del corpo akasico non intendiamo dire che ogni vostra vita è registrata così come voi la vivete all’interno di esso, ma intendiamo dire che tutte le esperienze che voi fate hanno mandato i loro impulsi, le loro conoscenze, le loro percezioni al corpo akasico, che le ha sistemate nella giusta correlazione ed è una cosa molto diversa perché nel corpo akasico non è trascritta la vita in tutti i suoi momenti, ma ciò che della vita è stato tratto come frutto, quindi come risultato finale. Le vostre vite, anche dopo che voi avrete abbandonato questi veicoli inferiori, esisteranno ancora però non saranno più parte del corpo akasico in se stesso; vi sarà qualcos’altro di cui parleremo poi in seguito, per non confondere specialmente le persone nuove di questa sera, e che si riallaccia comunque all’insegnamento che stiamo portando avanti nel corso delle sedute di insegnamento. Ma ritorniamo a questo «io e il mondo».
Vivere il mondo significa, dunque, cercare di vivere nel presente, consapevolmente, ciò che affrontate giorno per giorno, ma significa anche interagire con il mondo, significa collaborare, contribuire a far sì che il mondo abbia a sua volta la sua evoluzione.
Voi sapete che tutto ha un’evoluzione, tutto muta, tutto ha un ciclo che si accorda con quella che è la trama del Grande Disegno e questo ciclo deve compiersi, non può fermarsi; e ognuno di voi, nel suo piccolo, anche quando si sente una misera creatura, impotente di fronte alla realtà che lo circonda e che spesso sembra sovrastarlo minacciosa, ha una grande importanza nel tessuto del Disegno perché contribuisce al suo formarsi, contribuisce a dare ad esso quelle sfumature di cui ha bisogno per poter cambiare.
Ecco quindi che, sotto questo punto di vista, acquista grande importanza quello che è il vostro comportamento nell’oggi, comportamento che – essendo guidato dal vostro sentire – fa sì da attribuire al sentire stesso un’importanza non da poco. Infatti, se voi riuscirete a migliorare il vostro sentire, sempre meglio riuscirete ad affrontare il mondo; se riuscirete ad affrontare sempre meglio il mondo, ad essere consapevoli, sempre più riuscirete ad andare in armonia con quello che è il Grande Disegno. In questo modo, lentamente, ma con maggior dolcezza, il Disegno si compirà e la vostra razza arriverà alla fine del suo percorso. Come sarà questo percorso?
Quante creature, nel corso degli anni, ci hanno chiesto cosa accadrà domani, come si trasformerà la vita dell’individuo, il fisico dell’individuo, la società dell’individuo, aspettando che noi parlassimo come spesso accade di grandi sciagure, oppure che profetizzassimo un nuovo paradiso terrestre che verrà sulla Terra e che da quel momento tutti, tutti i figli dell’Assoluto, saranno come angeli chiamati al Suo cospetto!
Non possiamo farlo, creature; se lo facessimo contraddiremmo tutto quello che abbiamo detto in tutti questi anni. Possiamo soltanto parlare per linee generali e farvi presente di come tutto sia concatenato.
Considerate che la maggior parte di voi che questa sera è qua ad ascoltarci si presenterà ad una nuova vita tra 300, 350 anni, 400, ed ognuno di voi questa sera (supponendo che sia così) ha già una buona evoluzione per cui avrà necessità, allorché si incarnerà nuovamente, di trovare nuovi stimoli, di avere nuove esperienze, di poter quindi trarre dalla sua esistenza nuove possibilità di comprensione, nuove sfumature da illuminare per rendere più complesso e completo il suo sentire. È quindi evidente che, allorché vi ripresenterete sul mondo fisico, sul piano fisico, la società e la vita che voi conoscete adesso dovrà essere ben diversa perché dovrà, per forza di cose, presentarvi stimoli che fino a quel momento non avevate ancora avuto.
Come sarà poi questa vita? Certamente il fisico di ognuno di voi continuerà ad avere le stesse caratteristiche; ah, quante cose assurde in passato sono state dette! Quante improvvisazioni sono state inventate, le più assurde, per giustificare un cambiamento della razza umana dal punto di vista fisiologico; ma la razza umana, figli nostri, va bene così com’è; potranno cambiare alcuni particolari, esserci alcune piccole modifiche nel corso del tempo, ma il suo percorso evolutivo contempla questo tipo di corpo e questo tipo di corpo più o meno resterà.
Cambieranno senza dubbio i rapporti umani ma, più che altro (perché i rapporti umani sono sempre basati sugli stessi sentimenti, sugli stessi incontri e scontri) cambierà la realtà sociale in cui sarete inseriti, e voi già adesso, forse, potete rendervi conto di come questi cambiamenti stiano iniziando ed arrivare – magari col pensiero, con la fantasia – a immaginare come essi avranno delle conseguenze fra 300-400 anni.
Molti sono i fattori di cui tener conto, in questo: l’evoluzione delle persone incarnate sarà in parte migliorata ma, ahimè, si incarneranno anche molti più individui della nuova razza; quindi i contrasti tra i popoli, tra le razze, tra i gruppi esisteranno ancora anche se non vi sarà certamente – questo lo abbiamo sempre detto e lo diremo ancora – una guerra-olocausto.
Il pianeta, anche sotto le spinte dell’uomo, sta cambiando un po’ alla volta la propria situazione climatica e questo cambiamento si avvertirà sempre più velocemente col passare dei secoli, anche se non basteranno 400 anni per avvertirlo definitivamente, però tutto questo porterà a sua volta delle conseguenze. Nel frattempo, chissà, osiamo sperare che l’uomo avrà compreso che il pianeta che gli è stato affidato va tenuto con cura come se fosse una perla, e allora molte delle energie che attualmente vengono usate saranno abbandonate a favore di altre energie più (come dite voi) «pulite».
«Ci saranno ancora – qualcuno, immerso nella vostra realtà attuale, potrebbe chiedere – governi che rubano, che intrallazzano, che prendono con una mano e mettono in tasca, prendono con l’altra mano e mettono nell’altra tasca e protendono entrambe le mani facendo finta di nulla aver ricevuto?».
Sarebbe bello poter dire che non sarà più così! Certamente son cose che sono sempre accadute e cose che sempre accadranno. Anche nella società più utopistica che è esistita sul pianeta, vi è sempre stata quella parte di nuova razza che era pronta a comportarsi in quel modo, in quanto ancora non aveva compreso.
Non vi saranno quindi grandissimi cambiamenti, ma vi sarà tuttavia una parte dell’umanità che riuscirà ad essere felice della propria vita, che riuscirà a ricordarsi che la prima responsabilità che possiede è quella verso i propri figli, che riuscirà a tener sempre presente che ciò che possiede non gli appartiene veramente ma è un dono di cui ringraziare ogni giorno il Grande Disegno, che riuscirà a rendersi conto che aiutare un’altra creatura è come aiutare se stesso, che riuscirà, insomma, a mettere più in atto quell’insegnamento che con una certa pazienza e costanza andiamo portando nel tempo.
Il vostro Io, il vostro Io futuro, quindi, si troverà immerso in un mondo che sarebbe nuovo per il vostro Io di adesso, ma al quale reagirà attraverso le nuove comprensioni che nel frattempo avrà accumulato nel suo corpo akasico, lottando ancora, soffrendo, vivendo, sperando, amando, talvolta piangendo, talvolta ridendo, ma sempre e comunque vivendo l’esperienza direttamente, anche se questo magari, creature, avverrà attraverso computer, come c’è rischio che avvenga dalle ultime scoperte.
Il fatto che io abbia affermato che l’individuo non possa manifestare totalmente, qui sul piano fisico, l’evoluzione che ha raggiunto nel suo percorso evolutivo, potrebbe apparirvi una contraddizione in rapporto al nostro affermare che il comportamento che l’individuo manifesta nel corso della sua vita proviene direttamente dal suo corpo akasico e, addirittura, è indotto da esso.
Ma non è una contraddizione, bensì uno sviluppo logico dell’intero processo evolutivo e della stessa costituzione dei corpi inferiori che, di vita in vita, l’individuo adopera.
Per prima cosa bisogna tener presente che esistono dei limiti pratici, veri, oggettivi su ciò che il vostro corpo fisico, il vostro corpo astrale e il vostro corpo mentale possono esprimere. Non essendo corpi perfetti, ma derivati dalle comprensioni del vostro corpo akasico, hanno dei loro limiti, hanno delle manchevolezze dovute a comprensioni del corpo akasico non ancora raggiunte o completate e, quindi, non possono trasmettere all’interno del piano fisico tutto il sentire che il corpo akasico possiede; ma vi è anche un altro fattore di cui tener conto e che ha la sua notevole importanza: il fatto cioè che quando arriva il momento dell’incarnazione i corpi inferiori vengono costruiti, costituiti, in base ai bisogni del corpo akasico; e i bisogni del corpo akasico dicono che questi corpi vengono strutturati in modo tale da poter sperimentare «determinate» esperienze e non altre, limitando quindi già di per sé la possibilità di esprimere ciò che egli conosce in quanto si è limitato nella scelta della materia per costituire i corpi inferiori. Quindi, se non raramente, è quasi praticamente impossibile che ognuno di voi esprima veramente il grado di sentire che possiede.
Ciò non di meno il comportamento dei veicoli inferiori rispecchia sempre però diciamo il sentire, tuttavia riflette non soltanto le sue comprensioni, ma anche le cose non ancora comprese e, di conseguenza i limiti che ciò comporta.
Nei tempi che state vivendo si fa un gran parlare di realtà virtuale, è quindi ovvio che vi possiate chiedere se anche da una realtà virtuale è possibile trarre della comprensione utile al corpo akasico.
Ebbene, dal nostro punto di vista, in realtà per l’individuo che vive la realtà virtuale non cambia niente, dal momento che è quello che sente e quello che suscita in lui l’esperienza virtuale che sta sperimentando a essere importante, non la situazione in se stessa: che egli veramente stia accarezzando la guancia di un bambino o che questa realtà virtuale in cui è immerso gli faccia percepire che accarezza la guancia di un bambino, per l’individuo non ha alcuna importanza: egli comunque sente delle emozioni e queste emozioni le vive come se fossero vere.
Si può però aggiungere che chi può avere dei riflessi negativi, in questo ipotetico caso che abbiamo osservato, può essere il bambino che ha una guancia da accarezzare e che invece non viene accarezzata.
Un punto che solitamente è ostico da comprendere veramente per voi che ci ascoltate è comprendere veramente quale sia il reale collegamento tra spirito e materia – se così vogliamo dire – al momento della formazione, della creazione di un nuovo individuo incarnato sul piano fisico.
Vedete, figli cari, ciò che vi porta fuori strada, che vi impedisce di comprendere nel modo giusto questo piccolo particolare è il fatto che continuate, malgrado il nostro insegnamento, a considerare il corpo akasico come se fosse colui «che fa».
«Il corpo akasico (qualcuno ha detto) ha ‘scelto’ il corpo in cui deve fare esperienza, il corpo akasico ha fatto questo, ha fatto quell’altro» come se avesse una sorta di propria volontà tale da poter influire consapevolmente e nel modo migliore e più giusto in quello che sarà il suo cammino attraverso l’esperienza del piano fisico.
Ora, certamente il corpo akasico è qualcosa di molto importante per ognuno di voi, questo senza alcuna ombra di dubbio, però questa caratteristica di consapevolezza, questa caratteristica di coscienza, questa caratteristica di poter agire, di poter fare, diventa vera e pienamente effettiva in tutta la sua grandezza soltanto allorché l’individualità avrà abbandonato il piano fisico, o meglio – per essere più precisi – soltanto allorché l’individualità non si incarnerà più sul piano fisico, allorché cioè il corpo akasico avrà strutturato tutta la sua materia e sarà completamente consapevole.
Prima di questo momento, il corpo akasico può essere considerato l’antitesi dell’Io; così come abbiamo detto che l’Io, in realtà, è una proiezione del corpo akasico al punto che, osservando l’Io, ognuno di voi può arrivare a capire cos’è che il corpo akasico ha compreso o non ha compreso. Allo stesso modo il corpo akasico, per ambivalenza – come direbbe il nostro amico Scifo – è ciò che l’Io dimostra, in quanto sono strettamente dipendenti, legati l’uno all’altro.
Ora, quando accade che sta per avvenire una nuova incarnazione, il corpo akasico «non sceglie» (anche se a un certo punto di evoluzione si illude magari di poter scegliere), non sceglie il corpo, il luogo e il tempo in cui avverrà l’incarnazione, ma semplicemente emette una vibrazione, e questa vibrazione si va a collegare a della materia incominciando, tramite questa forma vibratoria e le sue differenziazioni, a strutturare la materia che incontra.
Non vi è quindi ancora un collegamento neanche al momento del concepimento, ma vi è una partecipazione vibratoria da parte del corpo akasico, il quale mette in questa vibrazione che ha emesso tutte le vibrazioni che sono riferibili a ciò che ha compreso o ciò che non ha compreso; ed è questa somma di vibrazioni, questo loro interagire l’una con l’altra, questo loro scambiarsi vibrazioni all’interno dei vari piani di esistenza, che raduna la materia di ogni piano che attraversa e incomincia a plasmarla, a formarla in modo tale da avere un corpo che si adatterà il più possibile a quelle che sono le più immediate esigenze evolutive di comprensione del corpo akasico.
Ecco, quindi, che tutto il periodo della gestazione sarà un periodo in cui queste vibrazioni continueranno ad agire influenzando con il loro movimento la costituzione di tutti gli elementi del nuovo corpo che si va creando; ma il vero e proprio allacciamento, il vero e proprio collegamento, inizia allorché tutti i corpi sono pronti ad esperire, allorché sono separati dall’ambiente protettivo materno e quindi il corpo incomincia da se stesso, da solo, a vivere la propria esperienza, scontrandosi immediatamente con l’impatto del piano fisico in cui si trova – spesso sgradevolmente – proiettato.

Moti

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Il rapporto tra materia fisica, astrale e mentale

d-30x30Rapporto tra materia fisica, astrale e mentale. Dizionario del

Le energie di un piano di esistenza, di per sé, non hanno la possibilità di influenzare direttamente o con effetti immediati ed eclatanti la materia dei piani di esistenza dalla costituzione meno densa. Per essere più chiaro: una scossa tellurica sul piano fisico non produce, di per sé, una scossa analoga, per esempio, sul piano astrale. Allo stesso modo, come abbiamo visto in precedenza, una forte vibrazione mentale, per esempio, non può provocare in linea di massima degli effetti subitanei e palesi sulla materia astrale o su quella fisica.
Mi rendo conto che, per chi si occupa da tempo di fenomenologia e avvenimenti insoliti questo concetto possa apparire sbagliato: viene subito alla mente, inevitabilmente, la produzione di profumi, di apporti, di voci, di suoni e via dicendo che sembrerebbe smentire quanto ho appena affermato.
Vedete, creature, il problema va osservato sotto diversi punti di vista che possono, o almeno lo spero, chiarire un poco le mie affermazioni che, prese così come sono state fatte, sembrerebbero negare la possibilità di influenza o di interferenza tra le vibrazioni dei vari piani che costituiscono la Realtà.
Prendiamo come primo punto di osservazione un ambiente generico come può essere il pianeta Terra e osserviamo le sue dinamiche, non solo fisiche, in un momento particolare che ci permetta di ridurre al minimo gli elementi che possono complicare il ragionamento che cerco di farvi comprendere: immaginiamolo, con uno sforzo di fantasia, prima che qualsiasi forma di vita organica facesse la sua prima comparsa.
Indubbiamente tutta la materia fisica del pianeta era, come lo è adesso, collegata direttamente e inevitabilmente alla materia astrale e mentale ma queste materie non avevano corrispondenza all’interno del piano fisico: nessuna emozione, nessun pensiero percorreva la materia fisica del pianeta anche se l’ambiente planetario era, comunque, intessuto di materia astrale e materia mentale oltre che, naturalmente, di materia fisica.
I mutamenti che avvenivano sulla Terra erano conseguenza di leggi fisiche: il consolidarsi o il liquefarsi delle rocce, l’ampliarsi o il ritrarsi delle montagne, il cristallizzarsi o lo sciogliersi dei ghiacci andavano, a poco a poco, trasformando l’ambiente planetario preparandolo, nello svolgersi di millenni, all’avvento della prima forma di vita organica. Questi sommovimenti non sono stati messi in atto da una possibile influenza di vibrazioni astrali o mentali, bensì dall’azione di quella che abbiamo chiamato vibrazione prima, ovvero la vibrazione che, partendo dall’Assoluto, è la generatrice del cosmo in cui noi ora ci troviamo ad esistere. Essa attraversa tutti i piani di esistenza e in quello stadio evolutivo del pianeta che andiamo esaminando è colei che genera i mutamenti nell’ambiente cosmico in generale, e planetario in particolare, indirizzando la preparazione dell’ambiente fisico (ma anche di quello astrale e mentale), verso la meta che sa di dover raggiungere: la costituzione di un ambiente fisico-astrale-mentale adatto al manifestarsi di un’onda incarnativa. Le vibrazioni fisiche, astrali e mentali vengono, così, modulate non dall’interazione reciproca, bensì da questo tratto d’unione, questa sorta di coscienza cosmica che si prefigge un fine, per raggiungere il quale sa che è necessario apportare le adeguate modifiche alle materie dei vari piani che faranno parte dell’evoluzione successiva di quella porzione di cosmo.
Scaturisce da questa visione il concetto che i mutamenti delle vibrazioni fisiche-astrali e mentali, per essere messi in atto, devono essere «portati» da qualcosa che è presente in tutti i tipi di materia dei vari piani, da qualcosa, quindi, che può influenzare le relative materie una per una. Nel caso che abbiamo esaminato questo tessuto generatore è la vibrazione prima che attraversa e pervade tutti i piani di esistenza, la quale possiede la «volontà» di agire sulle varie materie e la «possibilità» di farlo essendo dislocata su tutti i piani di materia esistenti.
Passano i millenni, nascono le prime creature unicellulari, si moltiplicano e si diversificano le forme, si plasmano le specie, finalmente, si arriva all’essere umano, con la sua costituzione complessa e l’affinazione dei suoi corpi transitori: quello fisico, l’astrale e il mentale.
Eccoci ad un nuovo punto di osservazione, sul quale possiamo applicare il concetto generale incontrato nell’osservazione fatta dal primo punto di vista, ovvero che le vibrazioni presenti sui vari piani di esistenza non possono veramente influire sulle materie degli altri piani, siano essi di materia più densa o di materia più sottile: al di là della vibrazione prima che tutto permea, le vibrazioni nella materia di un piano di esistenza possono essere influenzate da altre vibrazioni appartenenti a quello stesso piano.
E’ evidente, quindi, che vi è la possibilità, per le varie creature incarnate, di influenzare la materia degli altri piani a seconda dei corpi che possiedono in quanto ogni creatura appartiene contemporaneamente a più piani. Il vegetale possiede anche un corpo astrale, per quanto rudimentale, e, attraverso esso è possibile che influenzi in qualche maniera la materia astrale a lui circostante. L’essere umano possiede anche un corpo astrale e mentale e, tramite queste parti di se stesso che sono costituite di materia astrale o di materia mentale, è in contatto con la materia dei relativi piani e, quindi, possiede la possibilità di agire su di essa.
A questo punto noterete che ho più volte parlato di «possibilità». Anche questa volta, infatti, vi sono diversi punti di osservazione di questo problema, che derivano direttamente da ciò che è l’individuo umano incarnato: vi è l’individuo cosciente essenzialmente del suo Io fisico e l’individuo che, per evoluzione, ha una maggiore ampiezza di coscienza che include, quanto meno, una parte di consapevolezza del suo essere astrale e del suo essere mentale.
Anche su questa differenziazione si può ragionare un attimo.
L’individuo consapevole essenzialmente sul piano fisico è, comunque, presente sul piano astrale e su quello mentale grazie ai suoi relativi corpi. Egli influenza la materia astrale e quella mentale circostante a questi corpi attraverso i suoi desideri, le sue emozioni e i suoi pensieri, provocando effetti che sono limitati a una porzione di materia più o meno vasta (ma comunque circoscritta e non molto ampia) a seconda dell’intensità delle sue reazioni emotive e mentali a ciò che si trova a vivere sul piano fisico.
Questo accade sempre, per ogni individuo incarnato: come la sua sola presenza sul piano fisico provoca delle conseguenze, volute o meno, all’interno del piano stesso, altrettanto la sola presenza dei suoi corpi astrale e mentale sui relativi piani provoca delle conseguenze di cui è inconsapevole su detti piani. Gli effetti prodotti sono, ripeto, limitati e circoscritti.
In buona misura diverso è il caso dell’individuo consapevole sia sul piano astrale sia sul piano mentale, oltre a quello fisico: costui può interferire volutamente sulla materia di quei piani e interagire, quindi, con tale materia, sfruttandone in modo maggiore le caratteristiche intrinseche. Sempre, però, limitatamente alle vibrazioni che gli appartengono e alle corrispondenti materie che sugli altri piani posseggono i suoi stessi tipi di vibrazione. Per fare un esempio di quanto voglio dire un poco più comprensibile, il sensitivo che possiede un corpo astrale in cui la vibrazione predominante è il desiderio di aiutare una persona malata può, col suo corpo astrale, mettersi in contatto con il corpo astrale della persona malata e, attraverso la risonanza tra la propria vibrazione e quella dell’altro può (e ancora una volta si tratta di una possibilità visto che altri fattori, in particolare quelli karmici individuali potrebbero azzerare questa possibilità) aiutare la persona malata a reagire in maniera migliore contro la propria malattia, arrivando, talvolta, a favorire la guarigione o a dare sollievo al malato.
Fattore necessario perché ciò avvenga è, comunque, il parallelismo e la somiglianza di vibrazione.
Queste spiegazioni, che ho cercato di semplificare al massimo per non rendervi le cose troppo difficili, erano indispensabili per parlarvi, sia pure in modo sommario, di qualcosa che spesso è mal compreso o mal interpretato: le forme pensiero e il cosiddetto «malocchio» o, più in generale la presunta azione negativa di un individuo su un altro attraverso le energie di tipo non fisico.

Scifo

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

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Meditazioni quotidiane 3.2

 

 


Padre, Padre mio, io a volte guardo ciò che sono e non mi riconosco;
io a volte, Padre, mi chiedo se vivo o se muoio ogni giorno.
Padre, cosa mi puoi dire, cosa puoi dirmi per rendere la mia vita più semplice?
Per farmi capire se quello che vivo è vivere oppure è morire?
Quand’è, Padre, che io sono nato?
Viola

Figlio mio, non è come tu credi:
tu hai l’illusione, l’impressione di essere nato nel momento in cui,
per la prima volta, hai aperto gli occhi al mondo, ma non è così, figlio.
Se il tuo nascere fosse limitato soltanto al breve volgere di un’esistenza
la tua vita non avrebbe, in realtà, alcun senso, perché quale uomo,
per quanto evoluto egli possa essere, riesce davvero,
e soltanto nel breve volgere di un’esistenza, a cambiare il suo intimo,
fino a riunirsi a me?
Nessun uomo, figlio mio, può riuscire a tanto,
e perché tu vi riesca è necessario e indispensabile
che tu muoia ad ogni momento.
Ma fermati un attimo a guardare questo tuo morire.
Certamente, da un momento all’altro tu muori e non sei più lo stesso.
Certamente tra un intervallo e l’altro tra le tue vite, tu muori e cambi.
Ebbene, figlio mio, non fermarti soltanto ad osservare quest’aspetto
negativo della tua evoluzione perché – se è vero che tu muori in continuazione –
è altrettanto vero che io ti ho dato la possibilità di rinascere continuamente,
e se esiste in te un dolore che ti fa sentire la morte vicina,
che ti fa sentire il tuo essere impotente, indeciso e fragile,
è anche vero che l’attimo dopo, inevitabilmente, io metterò in te la speranza
che ti farà sentire nuova vita 
crescere dentro di te e rinascere,
ti farà sentire dentro di te il desiderio di dare agli altri, di creare, di costruire,
di fare,
perché soltanto in quel modo, figlio mio,
tu puoi continuare a sentire d’essere,
puoi continuare a sentire che vivi e che la tua vita non è limitata soltanto
a portare avanti i tuoi giorni nel modo meno peggiore possibile,
a sentire che tu vivi per creare in te e al di fuori di te ciò che io sono,
per tirare a galla dal tuo intimo essere ogni anelito che da me ti proviene;
perché tu, figlio, non soltanto vivi, non soltanto continui a nascere, a morire,
a rinascere e a rimorire tra una vita e l’altra,
tra un secondo e l’altro della tua esistenza,
ma anche, continuamente, fai morire e fai vivere tutto ciò che ti circonda,
contribuendo con la tua morte e con la tua vita non soltanto alla tua evoluzione,
non soltanto alla tua spinta verso di me, ma all’evoluzione di tutto il Creato.
Figlio mio, nascere non vuol dire gioire sempre,
morire non vuol dire soffrire sempre,
ma nascere e morire sono due estremi che in realtà combaciano
e sono una cosa sola, 
e chi ha la fortuna di far nascere qualche cosa,
molte volte deve avere il coraggio di far morire qualche cosa in sé,
per poter controbilanciare ciò che crea.
Figlio mio, per nascere in me,
devi morire in te.
Scifo


 

 


Padre, Padre mio, io voglio rivolgermi a te
perché credo che tu soltanto possa riuscire a comprendere
quello che io in questo momento sto vivendo, sto provando.
Padre mio, io sento che la vita si allontana da me,
io sento le mie energie spegnersi,
io sento le mie forze diventare sempre più deboli,
io sento le membra non reagire quasi più.
La vita mi vuole abbandonare, Padre mio,
e vedo la morte che mi sta venendo incontro
ed ha puntato su di me i suoi freddi occhi.
Tutto questo mi fa paura e,
sebbene da tempo io segua il tuo insegnamento, Padre mio,
sebbene da tempo faccia questo,
non riesco
a darmi una ragione di questo fatto.
Non so per quale ragione la vita voglia abbandonarmi,
non so neanche come mi
abbandonerà:
forse perché sta crescendo in me qualcosa di abnorme,
forse perché una sera chiuderò gli occhi per non riaprirli mai più,
forse perché mi capiterà qualcosa di imprevisto e di imprevedibile,
comunque sono certo e sicuro che la vita si sta allontanando da me.
Una morte prematura la mia, una morte che lascerà degli affetti sconsolati,
che lascerà le persone che hanno vissuto con me e per me
nella più profonda disperazione.
Io mi rivolgo a te, Padre mio,
chiedendoti di darmi in questo momento delle ragioni valide
perché io possa credere che al di là di
questo fatto,
al di là della mia sparizione dal mondo fisico,
esista veramente qualcosa affinché io possa continuare a vivere,
a vedere se non altro i miei cari
continuare almeno  a seguirli.
Padre mio, ti prego, aiutami,
dammi una
ragione di questo mio morire!
Federico

Fratello, figlio e amico, a te sto parlando,
a te che mi hai chiamato con il pianto in gola,
a te che mi hai implorato, che mi hai domandato aiuto,
che hai chiesto, sentendo avvicinare l’ora che per tutti gli esseri incarnati,
prima
o poi, arriva.
Ma che posso fare io per te, creatura,
che posso fare di più di quanto l’esistenza stessa ha già fatto?
Io non posso, figlio mio, convincerti
– se tu non vuoi – che la tua vita non finisce in un momento e per sempre;
e non posso figlio mio renderti consapevole che,
oltre al mondo fisico che tu osservi, vi è qualcosa di talmente immenso
che tu neppure riesci a immaginare.
Eppure, anche se inconsapevolmente, tutto questo è dentro di te;
tutto questo, se tu vuoi, figlio mio puoi riuscire a 
raggiungerlo,
a comprenderlo, a toccarlo, e nel momento stesso in cui tu riuscirai a fare ciò,
le tue paure svaniranno, il tuo timore
diventerà pace,
e non avrai più bisogno di piangere e di soffrire, di chiedere aiuto,
e il momento del «passaggio» sarà un attimo che non lascerà tracce.
Figlio mio, non posso far nulla di più di ciò che tu, se vuoi,
puoi fare per te stesso.
Tutto quello che posso ancora una volta dirti,
tutto quello che posso ancora una volta ricordarti,
è che non serve a nulla disperarsi, che non serve a nulla perdere la fiducia,
la fede, la speranza, che non serve ad altro che a rendere i tuoi ultimi giorni
più tristi
e peggiori, sia per te che per coloro che ti circondano.
Cerca, quindi, di trovare in te la fiducia:
cerca, quindi, di trovare in te la certezza che ciò che stai vivendo
è soltanto un attimo senza poi una grande importanza;
cerca di convincerti che è molto meglio abbandonare il piano fisico
nella speranza che nella disperazione;
fa questo figlio mio, non soltanto per te,
ma principalmente per amore di coloro che ti stanno accanto
e che come te, quanto te – e, forse, anche più di te – soffrono,
si disperano e piangono.
Se riuscirai in questo, figlio mio,
non avrai bisogno di null’altro per chiudere gli occhi e sognare.

Scifo


 

 


«E già – dice colui che soffre – parole belle, parole sante e verissime, forse!
Ciò non toglie che parli e, intanto, non soffri.
Io, invece, conduco la mia vita e soffro in continuazione.
Avrai anche ragione a dire quello che dici,
però quando sei all’interno della sofferenza,
quando la sofferenza la vivi in prima persona non è poi così facile pensare
agli insegnamenti e dire «tanto è il mio Io che soffre e buona notte al secchio!».
Se, infatti, io osservo la vita che sto vivendo, vedo che la sofferenza,
il dolore costellano ogni attimo delle mie giornate,
non sono una cosa passeggera che dura un istante,
che dura un giorno, una settimana, o un mese;
fosse così sarebbe anche facile, in fondo, non lamentarsi e sopportare,
per quel breve periodo di tempo.
In realtà, la sofferenza è come una goccia che cade in continuazione
e intanto approfondisce le ferite, impedendo che si rimargino,
questo, almeno, dal mio punto di vista.
Mi guardo intorno, guardo la televisione, leggo i giornali,
osservo la società
così com’è strutturata e, inevitabilmente,
mi ritrovo davanti la sofferenza, sofferenza che
è magari degli altri
ma che si ripercuote inevitabilmente anche al mio interno:
soffro per le persone morte in un terremoto,
soffro per le persone assassinate, rapite, sequestrate,
soffro per i vecchi abbandonati, per i malati, per le persone
che hanno perso dei figli o dei compagni o dei genitori,
soffro per la gente povera che viene alla fin fine persino derisa
da chi ha di più,
soffro per l’ingiustizia che vedo continuamente intorno a me,
per coloro che tutto hanno e coloro che, invece,
non riescono ad avere nulla e, purtroppo, questa
sofferenza
non mi riesce proprio di superarla.
E allora le tue belle parole a che cosa mi servono a questo punto,
cosa me ne faccio, che senso hanno per me?».
Scifo

Senza dubbio, figlio che ti trovi incarnato e vivi la sofferenza,
posso comprendere come il fatto di soffrire ti renda così difficile
accettare ciò che vedi intorno a te.
Tuttavia – lo ripeto ancora – la sofferenza ha la funzione di spronarti
e non di limitarti a brontolare o a fare del vittimismo,
di aiutarti a fare qualcosa di attivo,
di fattivo affinché le cause di questa tua sofferenza, un po’ alla volta,
si leniscano, in modo che tu ti senta in una posizione costruttiva,
e non in quella di chi subisce senza nulla poter fare.
Tu parlavi della sofferenza che provi per essere inserito
in una società che ti comunica soltanto sensazioni di dolore.
Bene, figlio, l’errore principale che tu commetti è quello di aspettare
che siano gli altri
a fare qualcosa;
di aspettare che sia lo Stato ad aiutare la gente;
di aspettare che siano gli uomini politici a fare le leggi;
di aspettare che siano gli uomini della religione a consolare;
di aspettare, insomma, che gli «altri» facciano qualcosa
per alleviare la sofferenza.
Ma pensa bene, figlio mio:
chi ti dice che, in realtà, gli altri che con te sono incarnati
non stiano a loro volta aspettando che sia tu o
altri a loro esterni
a fare ciò che tu aspetti che essi facciano?
E questo diventa, alla fine, la vera causa del male all’interno della società;
se, infatti, tu stesso, in prima persona,
incominciassi ad
osservare le leggi che ritieni giuste,
se incominciassi a tendere la mano appena vedi qualcuno che ne ha bisogno,
se incominciassi a consolare quando vedi una persona piangere,
se incominciassi a dare – quanto meno – ciò che possiedi di superfluo
e che ad altri manca,
chissà quante altre persone, mosse dal tuo esempio e comprendendo
qual è la via giusta, seguirebbero, magari, ciò che tu fai?
E questo, inevitabilmente, si ripercuoterebbe poi nella società e, prima o poi,
te lo garantisco, la renderebbe diversa da quella che è.
E’ facile, infatti, lamentarsi di ciò che si sta vivendo, crogiolarsi nel dolore,
nelle parole, nel vittimismo aspettando che siano gli altri a fare qualcosa
perché il dolore venga annullato o, quanto meno, lenito.
Moti


 

 


Padre mio, io vivo nel mondo che tu hai creato,
trascorro i miei giorni a contatto con le
altre creature
che Tu hai messo accanto a me, e vedo di continuo,
con una tremenda continuità, il succedersi di avvenimenti violenti,
come se le migliaia di anni di storia dell’uomo non fossero serviti a nulla,
e questo mi fa arrivare a dubitare non soltanto del fatto che Tu, davvero,
sia all’interno di ognuno di noi,
non soltanto che Tu sia all’interno della
nostra coscienza
ma addirittura che Tu esista.
Moti

Figlio mio, ti ringrazio per le tue parole,
perché con le tue parole tu dimostri a te stesso prima ancora che a me,
che stai osservando nel tuo intimo la realtà,
ed osservare nel proprio intimo la realtà significa cercare di arrivare,
piano piano, poco alla volta, a raggiungermi.
Ed io ti sto aspettando, figlio mio,
non ho
voltato lo sguardo da un’altra parte anche se,
osservando gli avvenimenti nel mondo fisico, così potrebbe anche sembrare.
Come spiegare a te, figlio mio,
a te che sei immerso nella relatività, nell’illusione, che
il male non esiste?
E’ difficile quanto riuscire a farti comprendere che non esiste neppure il bene.
Quello che esiste sei tu.
Quello che esiste sono gli altri tuoi fratelli,
che compiono il loro percorso evolutivo,
illusione anch’esso, ahimè!
Quelli che esistono sono i Cosmi che popolano le notti.
Quelle che esistono sono tutte le realtà che tu neppure riesci a percepire.
Quello che esiste veramente sono Io, sei tu.
Ma dove sta poi veramente la differenza, figlio mio?
E se ognuno dei fratelli che ti sta accanto è come te,
se essi sono tanti ed ognuno di essi ha in sé diverse pulsioni,
diversi problemi, diverse motivazioni, diversi modi di agire,
diverso modo di sentirsi emozionati,
diverso modo di soffrire o di gioire, allora,
tu forse potresti renderti conto che parlare di bene o di male,
di gioia e di sofferenza non ha alcun senso,
poiché tutto alla fine arriva ad un
pareggio per creare l’Unica Verità,
che non è bene né male,
ma semplicemente,
e così incomprensibilmente per te, E’.
Scifo


 

 


Padre mio, io guardo il mondo intorno a me e non mi riconosco in esso;
vedo dovunque nel mondo bimbi che soffrono la fame,
bimbi che vengono sballottati in famiglie distrutte
in 
cui di tutto ci si ricorda fuori di ciò che è la priorità,
ovvero la responsabilità verso queste piccole creature;
vedo ovunque accendersi focolai di guerra con decine e decine di morti
nel nome, teoricamente, di conflitti magari religiosi
ma, in realtà, sotto l’egida dell’interesse;
vedo dovunque produrre alimenti con sostanze che si sa benissimo
essere dannose al fisico dell’uomo eppure continuamente
usate
perché ciò abbassa i costi e aumenta la produttività;
vedo individui che vivono in case simili ad alveari,
con centinaia e centinaia di persone eppure, in mezzo a quella
folla
che condivide con lui una ristretta porzione di territorio,
egli continua ad essere
solo e a non avere alcuna comunicazione reale
con tutte queste altre persone che gli stanno attorno,
sì che la solitudine finisce con l’essere una delle componenti principali
della sua esistenza.
Padre mio, se veramente Tu esisti,
è mai
possibile che questo sia il mondo che Tu hai creato?
Dovresti essere buono, giusto, dovresti saper donare il sorriso
là dove si tende a piangere,
dovresti saper dissetare là dove si ha sete
e calmare i morsi della fame quando la fame si fa insistente,
dovresti accarezzare la guancia di un bambino
quando nessun
altro riesce a farlo.
Padre mio, ma è davvero questo il mondo che Tu hai creato?
Moti

Figlio, ciò che io ho creato è quello che tu possiedi
nella parte più intima di te stesso,
è quell’amore che ti spinge ad osservare intorno a te e a vedere
tutte le brutture che riconosci esistere nel mondo in cui stai vivendo.
Esse sono state create, discendono dagli errori che nel corso di tutte le tue vite
tu hai compiuto, tu e tutti gli altri fratelli,
quindi ricorda che se c’è un bimbo che piange perché ha fame,
o perché non ha affetto, è perché sei tu che non hai creato le condizioni
perché egli possa mangiare e sentirsi amato;
se vi sono cannoni che sparano nel nome di una religione,
o di religioni che non mi appartengono – perché io non voglio essere adorato –
questi cannoni sparano perché tu hai contribuito nel corso delle tue vite
a far sì che i cannoni venissero costruiti;
se esistono uomini che, pur vivendo in mezzo alla folla,
vivono in una condizione di solitudine e di infelicità,
ricorda che questi uomini sono soli e infelici perché la società
che tu hai contribuito a creare ha fatto della solitudine e dell’infelicità
uno degli assi portanti dell’indifferenza che governa l’agire dell’uomo contemporaneo;
e se non ti va bene, se tutto ciò che accade non ti va bene, allora,
più che guardarti intorno, e lamentarti,
e cercare magari di dare la colpa a me,
guardati allo specchio e chiediti:
cosa sto facendo io, nel mio piccolo, per cambiare tutto ciò che mi sembra sbagliato?
Certo, non potrai impedire una guerra,
non potrai impedire che alimenti nocivi vengano portati sulle mense degli uomini,
ma puoi comunque sempre accarezzare al mio posto la gota di un bimbo
che ha bisogno di sentirsi amato,
o rivolgere una parola di conforto, di condivisione,
di partecipazione
all’uomo che, accanto a te, si sente solo e infelice.
Scifo


 

 


Padre mio,
da te mi è arrivato l’insegnamento «Ama gli altri come te stesso»;
com’è difficile farlo, Padre mio!
Com’è difficile, dal momento che difficilmente io riesco ad amare me stesso!
Se io fossi contento di me,
riuscirei certamente a guardare con occhi diversi coloro che mi stanno attorno;
se io fossi felice, certamente riuscirei più facilmente a dare felicità agli altri;
se io fossi convinto fino in fondo della Tua esistenza,
come potrei non far partecipi gli altri di questa mia convinzione!
Padre mio, come posso fare per amare veramente gli altri come me stesso?
Moti

Figlio mio, per amare veramente gli altri come te stesso
devi, giustamente, riuscire
ad amare prima di tutto te stesso!
E tu mi chiedi: «Come posso amarmi, se io mi vedo meschino,
egoista, distante, disinteressato, pronto a prendere, poco disposto a dare;
se in me vedo di volta in volta tutti i possibili difetti immaginabili?».
C’è una sola via, figlio mio, perché tu possa amare te stesso
pur continuando a guardare nelle tue profondità:
questo modo è osservare tutti i tuoi possibili immaginabili difetti,
esserne consapevole ed accettarli;
ma «accettarli» non significa dire semplicemente «io sono così»
e girare l’attenzione da un’altra parte,
significa invece essere consapevoli di essere in una certa maniera
ed operare nel corso della giornata per trasformare il proprio modo di essere.
Questo significa «amare se stessi»;
ovvero non restare immobili in ciò che si è,
ma agganciarsi al treno del proprio movimento
e mutare di volta in volta col mutare della propria interiorità;
non restare attaccati a ciò che si era ieri,
ma vivendo sul momento quello che si è nell’attimo
in cui ci si sta osservando;
ed essere consapevoli che il momento dopo si sarà diversi,
e che questa non è una colpa per cui ci si debba macerare o affliggere,
o piangere, o sentirsi diseredati, abbandonati o rifiutati,
ma è, invece, un motivo di consolazione e di sprone
perché significa che il cammino va sempre avanti
e che ciò che
adesso ci appartiene domani sarà superato e migliore;
e nel momento in cui sarà superato voi potrete veramente amare voi stessi,
e amare se stessi significa amare gli altri.
Scifo


 

 


Padre mio, guardo il mattino nascere dietro i monti,
il cielo che si rischiara,
l’aria fredda della notte che lentamente si intiepidisce,
ed ecco che mi prende un’emozione improvvisa:
sento che tutto mi parla di Te.
E vivo la mia giornata, una giornata come tante,
con le mie speranze, le mie delusioni,
le mie illusioni, i miei trasporti,
e la sera, guardando l’orizzonte al di là del mare,
vedo il sole che si tuffa nelle acque in un tripudio di colori
dalle mille sfumature accese;
e in quel momento penso che davvero
tutto mi parla di te.
Anonimo

Figlio mio, sono pochi i momenti in cui tutto ti parla di me!
Se tu sapessi veramente cercare,
se tu sapessi veramente muovere la tua attenzione verso 
ciò che Io Sono,
anche la donna che all’angolo della strada vende il suo corpo ti parlerebbe
di me,
anche il drogato che in un vicolo oscuro si cerca la vena per compiere il suo destino,
anch’egli ti parlerebbe di me.
Se tu guardassi le tue mani,
ogni più piccola
linea del palmo di esse ti parlerebbe di me,
perché io non sono, figlio mio, soltanto nelle cose belle,
Io sono il Tutto che in Tutto esiste,
Io sono Colui che E’ e tutto, veramente tutto, figlio mio,
ti può parlare di me.
Anonimo


 

 


Dio mio, io Ti cerco, ma qualche cosa in me,
fa sì che io non Ti riconosca.
Eppure la mia ricerca continua, non mi fermo un attimo,
ed anche quando non me ne rendo conto,
i miei occhi si posano intorno al mondo cercando
in esso i segni della Tua presenza.
Dio mio, com’è possibile – a volte mi chiedo –
continuare a cercarTi, presumendo che Tu
esista
quando vedo intorno a me tante cose che potrebbero farmi pensare
e credere che la 
Tua esistenza sia simile all’esistenza di quella chimera
che c’era e non c’era, che tutti cercavano e nessuno mai trovava,
e che si rivelava, alla fine, essere soltanto un miraggio, 
un’illusione?
Eppure, Dio mio, io continuo, malgrado tutto e contro tutto,
anche contro me stesso, a volte, a cercarTi.
Com’è possibile questo, Padre?
Che senso ha questa mia ricerca,
se ogni logica, ogni ragione, ogni pensiero,
ogni sentimento mi dovrebbero invece
portare
a diventare completamente ateo?
Anonimo

Figlio mio, mio piccolo dolce figlio che ti senti abbandonato,
abbandonato a te stesso e perso in un mondo che sembra non appartenerti.
Figlio mio che ti chiedi il perché di questa tua affannosa,
ansiosa ricerca che sembra già fallita in partenza.
Figlio mio che ti chiedi come mai continui a ricercarmi malgrado tutto;
il fatto è, figlio, che la ricerca è qualche cosa che ti appartiene così intimamente,
così intimamente legata a te che non potrai mai scioglierti da essa;
e come potrebbe d’altra parte essere diversamente, figlio, se Io sono in te,
se Io sono al tuo interno e se tu appartieni a me,
se Io costituisco te e tutti gli altri fratelli che con te vivono
nel mondo che vi circonda?
Fermati un attimo figlio, chiudi gli occhi,
lascia per qualche secondo fuori della tua mente
e da te stesso gli avvenimenti che ti circondano,
cerca di ascoltare non il silenzio ma quella vibrazione che in te giace,
e che pure, pur essendo nascosta nel tuo intimo sentire,
vibra in maniera tale da condizionare tutto il tuo essere.
Ascolta quella dolcezza che senti venire dentro di te
nei momenti in cui meno te lo aspetti,
ascolta quel desiderio che ti prende, in alcuni momenti,
di porgere la mano all’altro;
odi le lacrime che sgorgano dai tuoi occhi
per un momento di felicità inaspettata.
Renditi conto che tutte queste piccole cose, sono per te,
per la tua ricerca, gli effetti di quella vibrazione che dentro di te
si muove e cerca di spingerti a trovare ciò che sei davvero.
Perché solo allora, figlio, soltanto allorché tu scoprirai ciò che sei
veramente dopo esserti
tolto tutte le maschere
che celano il tuo vero essere,
soltanto allora scoprirai che la tua
fede esisteva e che era riposta in te,
e che,
essendo riposta in te, amato figlio, ti parlava di me,
di me che sono nascosto nel tuo profondo
così come nel profondo di ogni essere,
attraverso a quella piccola scintilla che di me fa parte,
e che ti unisce come essenza a tutti gli altri tuoi fratelli.
Cercami, figlio, continua a cercarmi
e senza dubbio verrà il giorno,
giorno verrà che tu mi troverai.
Pace.
Anonimo


 

 


Padre mio, osservando la mia immagine di Te
che vado formando al mio interno,
mi accorgo che i tuoi contorni si fanno sempre più indecifrabili,
sempre più vaghi, sempre più incomprensibili e questo mi spaventa
e sbilancia la mia mente che pensava che più elementi avesse raccolto
su di Te,
più Ti avrebbe conosciuto.
Forse non ho capito nulla,
forse mi sto dibattendo in una ragnatela nella quale, a ogni mio sussulto,
resto più prigioniero che mai?
Florian

Figlio mio, quello che tu hai fatto è già un grande passo avanti:
hai superato l’immagine che ti era stata posta di me
e non sono più, ai tuoi occhi, il Dio vendicatore,
il Dio capriccioso e volubile, il Dio che dona la salvezza
o la dannazione eterna, il Dio che lotta contro Satana,
quella specie di Dottor Jeckill e Mister Hide che le mille
e mille religioni mi hanno costruito addosso.
Tu hai capito che Io Sono il Tutto,
e che in me Tutto è racchiuso,
la gioia e il dolore, il perdono e il castigo, l’amore e l’odio
ma non perché io sono ora l’uno o l’altro dei due estremi,
bensì perché tutte le cose che vivete come divenire mi appartengono,
parti mutevoli di un Essere immutabile poiché tutto comprende.
Comprendo, e come potrei non farlo poiché sei una mia parte,
la tua sofferenza e la tua confusione e l’accetto come un segno
della tua trasformazione, quella trasformazione che ti porterà
inevitabilmente a riunirti dolcemente e consapevolmente a me.
Cosa posso dirti, figlio mio,
per rendere
meno turbato questo tuo travaglio interiore,
senza crearti ulteriori catene?
Tu pensavi di potermi conoscere conoscendo i miei aspetti
ma non hai la possibilità di definirmi,
poiché non vi è nulla che non sia un mio aspetto e,
di fronte all’immensità di questo nulla,
la tua mente non può che vacillare.
Osserva ciò che sta intorno a te prima ad occhi aperti
e poi ad occhi chiusi: ciò che vedevi ad occhi aperti è parte di me,
ciò che non vedi allorché chiudi gli occhi è sempre
e comunque una parte di me, ancora maggiore dell’altra
e sconosciuta e inconoscibile dai tuoi sensi e dalla tua mente,
tanto che, in
verità, è impossibile esprimerla a parole.
Che fare, allora?
Gettarti a capofitto nella vita aggiungendo piccole tessere
al mosaico della mia immagine?
Accontentarti di sapere che esisto
e accettare 
la sconosciuta realtà che vibra al di là
delle tue palpebre chiuse?
Getta via la mente, figlio mio,
getta via le
parole, getta via le idee, getta via i colori,
getta via i pensieri, tutti così inadeguati e «sentimi», figlio mio,
con quel sentire che,
solo, ti può far essere abbastanza vicino a me
da riconoscermi.
E poi? E poi, nel momento in cui mi avrai riconosciuto,
con una forza che va al di là della certezza della mia esistenza,
riprendi la tua mente, le tue parole, le tue idee, i colori,
i pensieri
e vivi la tua vita consapevole che qualsiasi sofferenza, qualsiasi dolore,
qualsiasi tormento tu stia attraversando non può essere che un necessario,
importante, insostituibile eppur piccolo granello di sabbia sulla spiaggia
che il mio mare lambisce e, poco a poco, sommerge rendendo eterne
le parole «ti amo» che avevo scritto su di essa e che ti erano sembrate
così effimere prima di comprendere che restavano scritte nello stesso mare
che sembrava averle cancellate.
Ti amo, figlio.
Moti


 

 


Padre nostro, io cerco in me stesso la certezza della tua esistenza
perché sento dentro di me che qualcosa deve esistere nella Realtà,
nella Realtà con la «r» maiuscola che va al di là 
di ciò che io sono,
di ciò che io vivo, di ciò che io spero, di ciò che io architetto,
di ciò
che io conduco nella mia quotidianità.
E questa mia ricerca, questa mia convinzione della Tua esistenza
si fa più forte, più urgente, più necessaria, più disperatamente necessaria
nel momento stesso in cui io affronto la sofferenza perché, Padre mio,
soffrire non è mai facile e, a ogni nuova sofferenza,
questa sembra più grande, anche se magari così
non è;
e ad ogni nuova sofferenza cerco di ritirarmi in me stesso
o di allontanarmi per non affrontarla;
ed è qua, Padre mio,
che io ho bisogno di sentire di credere nella Tua esistenza,
perché soltanto allorché veramente riuscirò a fissare dentro di me questa sicurezza,
soltanto allorché io riuscirò a convincermi pienamente, fino in fondo, della Tua Realtà,
soltanto allora sarò veramente consapevole, senza che le mie siano soltanto parole,
che ciò che accade non può che accadere per il mio bene;
e allorché la sofferenza mi farà soffrire di meno, anche i momenti di dolore
saranno
visti sotto un’altra prospettiva che me li farà accettare,
e accettarli invece che lottare contro di essi farà già sì che essi
siano meno difficili da superare.
Padre mio, io spero di riuscire veramente a sentire la Tua presenza dentro di me.
Anonimo

E a te, a te, figlio, che mi chiedi nel silenzio e nell’oscurità
com’è possibile rendere migliore il mondo in cui ti trovi
a condurre avanti la tua esistenza;
a te, figlio, non posso dire altro che questo accadrà
quando tu diventerai
bastone per lo zoppo,
vista per chi è cieco,
suono per chi è sordo,
parola per chi è muto,
sorriso per chi piange,
allegria per chi è triste,
amore per chi odia.
Allora il mondo, figlio mio, cambierà.
Moti


 

 


La mia vita è un continuo avvicendarsi di esperienze ed io, Padre mio,
mi rivolgo e mi sono rivolto spesso in passato per chiedere,
per tendere la mano verso di Te nell’attesa che Tu la stringa
e mi dia ciò che Ti chiedo.
Ma cosa posso chiederTi ancora che non t’abbia già chiesto?
Troppe volte ho implorato il Tuo aiuto e, anche se non me ne sono
accorto,
me l’hai dato.
Quante volte t’ho chiesto di farmi avere un atto d’amore e,
anche se magari ho girato la testa dall’altra parte
perché non era quell’amore che io volevo,
l’atto d’amore
l’ho avuto.
Quante volte t’ho chiesto di farmi diventare ricco
e non mi sono accorto che più ricco di come sono, in realtà,
non potevi farmi.
Quante volte Ti ho chiesto, Padre mio, di alleviarmi le sofferenze,
senza rendermi conto che queste sofferenze erano tali soltanto perché
io volevo che tali fossero e che sarebbe stato così facile, se l’avessi voluto,
essere un individuo che non soffriva più.
Tutto ormai t’ho chiesto in questi lunghi anni delle mie vite ma,
se proprio volessi ancora trovare qualcosa da chiederTi, Padre mio,
ve n’è una sola che sento premere in me e che desidero
con tutto il cuore chiederTi:
Ti prego, Padre mio, comunque sia, sempre, in ogni attimo delle vite
che ancora vivrò e ancora oltre, per tutta l’eternità,
fino a quando io non riuscirò ad abbeverarmi alla Tua Fonte,
non smettere mai di amarmi.
Scifo

Figlio mio, figlio mio amatissimo,
è con un certo compiacimento che ti osservo nel tuo cammino
allorché tu incontri le tue prime conquiste, le soluzioni ai tuoi problemi,
le
risposte ai perché che possono tormentarti.
E’ con una punta di rammarico che ti osservo nel corso del tuo cammino
allorché le paure, le ansie, i timori, il dolore sembrano frenarti, bloccarti,
inibirti nel tuo stesso cammino verso la comprensione.
E’ con immensa gioia, invece, che t’osservo quando non solo tu riesci
a darti una ragione della sofferenza che ti si è abbattuta addosso,
ma quando riesci ad intravedere il motivo,
a intravvederne la collocazione nel Grande Disegno che,
come tu nel tuo essere più
profondo sai, ci rende uguali.
Ti amo, figlio mio amatissimo,
ti amo e che la pace sia con te.
Pace.
Viola


 

 


Io vorrei poter non lavorare.
Io vorrei essere ricco.
Io vorrei avere a portata di mano tutti i libri di questo mondo
per potermi catapultare tra quelle pagine e assorbire
tutta la conoscenza possibile.
Io vorrei che il mondo fosse fatto di cioccolata
e che le nuvole nel cielo facessero cadere gocce di panna.
Io vorrei che nel mondo non ci fosse più fame,
che tutti avessero da mangiare,
che non ci fossero bambini smagriti,
che non ci fossero anziani ammalati,
che non ci fossero donne seviziate,
che non ci fossero animali abbandonati,
che non ci fossero figli dimenticati,
che non ci fossero genitori tristi,
che non ci fossero malattie,
che non ci fossero dolori,
che non ci fossero rimpianti,
che non ci fosse tristezza,
che non ci fosse.
Sia fatta la Tua volontà e non la mia,
Padre mio.
Anonimo

Tu vorresti che non ci fosse più sofferenza,
tu vorresti che non ci fosse più dolore,
tu vorresti che non ci fossero più bambini abbandonati
o maltrattati,
o costretti a lavorare,
tu vorresti che non ci fossero più animali abbandonati
lungo le autostrade,
tu vorresti che non ci fossero più persone anziane
lasciate a loro stesse senza possibilità
di sussistenza,
tu vorresti che nessuno si ammalasse più,
tu vorresti che il tuo fisico riuscisse a sopportare qualunque
cosa la tua golosità ti inducesse a mangiare, e poi dici:
«Sia fatta la tua volontà e non la mia»?!
Figlio mio, se tu davvero pensassi e sentissi
che è la mia volontà che deve essere fatta e non la tua,
ti renderesti conto che i tuoi desideri
– per quanto giusti nella loro essenza –
nascono da tuoi errori interiori,
poiché come puoi sapere tu quant’è giusto che accada
ciò che tu vorresti non accadesse più?
Come puoi sapere, tu, quanta evoluzione, da quelle esperienze,
le persone che tu vedi soffrire possono ricavare?
Come puoi pensare di sapere, tu, qual è il cammino giusto
per ogni mia creatura che
io ho posto nella Realtà?
Non è possibile, figlio mio, ed è per questo che concordo con te
nel dire: 
Sia fatta la mia volontà e non la tua!
Scifo


 

 


Padre mio, ho visto, ho visto, ho visto una principessa schiantarsi
con un’automobile e ho visto questa principessa diventare il cibo
per avvoltoi mai sazi e sempre pronti a strappare fino all’ultimo pezzo
di carne pur di appagare se stessi.
Ho visto, ho visto trecento persone – un intero villaggio – sgozzate,
e passate praticamente sotto silenzio alla coscienza di tutte le persone,
nell’indifferenza pressoché totale al di là dello scalpore
della notizia del momento sul telegiornale.
Ho visto, ho visto, ho visto, ho visto i funerali di una suora:
«la madre dei poveri», e i poveri tenuti lontano dal suo funerale
con cordoni di polizia, e persone importanti che mestamente seguivano
le spoglie mortali di una persona che non conosco ma, certamente,
per avere funerali così, doveva essere importante!
Chissà. Ho visto uomini politici che parlano,
parlano, parlano, parlano, parlano e non si ricordano che sono lì,
invece, per fare, per
fare, per fare.
Ho visto capi religiosi, sempre! dappertutto, in tutti i luoghi della Terra,
quasi come se viaggiare fosse il loro hobby preferito, e mi chiedo,
Padre mio: «Ma com’è possibile che
il mondo sia fatto di persone
con una tal
coscienza?».
Me lo chiedo e non riesco a trovare alcuna spiegazione a tutto questo.
Scifo

Figlio mio, per poter criticare qualunque altro tuo fratello è necessario,
quantomeno, che tu – prima di tutto – sia in pace con la tua coscienza.
Se nulla hai da rimproverarti, se nulla hai da nascondere agli altri,
se nulla hai che gli altri ti possono imputare, allora sì, forse,
che hai un piccolissimo diritto di puntare il dito su ciò che ti sembra
sbagliato, altrimenti taci,
osserva te stesso e ricorda che comunque
ognuna di quelle persone che tu hai citato è un essere umano
e ha i suoi bisogni, i suoi perché, le sue necessità,
che certamente non rendono meno errati i suoi comportamenti
ma tuttavia ti devono mettere in grado di far sì che tu, proprio tu intanto,
in prima persona, non faccia gli stessi errori che imputi agli altri;
e in quel momento, figlio mio, non troverai più nulla da ridire contro nessuno.
Moti


 

 


Quante volte mi sono trovato di fronte ad un Maestro,
e a lui ho rivolto le mie preghiere,
talvolta sono state esaudite, talaltra sono cadute nel nulla,
ed allora tu, Maestro, che ora in questo momento di questa vita
mi stai davanti dimmi, ti prego, qual è il modo migliore
affinché io ti rivolga le mie preghiere.
Baba

Figlio mio, le tue preghiere non hanno, in fondo, alcun significato,
perché vedi, mio caro, tutto ciò che io posso fare per te,
tutto ciò che io posso darti,
io te lo darei comunque senza bisogno che tu me lo chieda,
e la tua preghiera invece è soltanto una speranza del tuo Io
per essere esaudito in ciò che egli vuole e nulla di più.
Se davvero vuoi rivolgere una preghiera efficace,
una preghiera che ottenga grandi risultati,
una preghiera che cambi la tua vita,
una preghiera che ti renda diverso,
una preghiera che ti faccia modificare la tua realtà,
allora 
assapora la tua vita.
Pace a te, amatissimo figlio.
Moti


 

 


Padre mio, io mi scontro tutti i giorni
con quella che è la mia realtà interiore
e
con quella che è la realtà intorno a me.
Quale è giusta: questa o quella?
Ciò che io sento veramente è il mio sentire,
o è il mio Io che si è messo l’ennesima maschera
e mi impedisce di vedere qual è la
mia realtà?
Ciò che vedo all’esterno di me è davvero la realtà
o è soltanto una proiezione di ciò che
io voglio vedere?
Quanta insicurezza, Padre mio, in tutto questo!
In alcuni momenti la confusione è
tale
che mi sembra di non riuscire più a
raccapezzarmi.
Se solo potessi trovare un po’ di luce in questo buio
che, a volte, mi piomba addosso come una cappa,
forse, un po’ alla volta,
riuscirei a percorrere la strada
che si perde
in lontananza, sfumando nell’oscurità.
Moti

Figlio mio, ancora una volta tu rivolgi le tue parole tormentate
a me come se io non avessi già fatto abbastanza per aiutarti,
al punto tale che neppure io saprei cosa fare di più.
Io ti ho dato un mondo intero da osservare,
dispiegando davanti ai tuoi occhi le mille e mille meraviglie
che ho saputo creare affinché tu ti specchiassi in esse
e riconoscessi non soltanto te stesso
ma anche la mia mano e la mia presenza.
Ho popolato questo mondo di centinaia di creature diverse
che poi son diventate migliaia,
e ognuna di esse l’ho resa una piccola perla con delle sfumature
che non combaciano mai con quelle delle altre affinché tu,
in ognuna di esse, riuscissi ad osservare quelle sfumature
e a fare il paragone con quelle che puoi vedere dentro di te.
Ti ho dato un corpo fisico per far sì che tu potessi sentire
con i tuoi sensi fisici la realtà del mondo materiale perché,
magari – pensavo – non ti sarebbe bastato osservare
ciò che ti
circondava, ma avresti potuto aver bisogno
di qualcosa di più vicino, di un contatto più immediato
per poter sentire in modo più
profondo la tua appartenenza al Tutto;
ti ho donato un corpo astrale perché tu interagissi con le altre creature
che ho posto intorno a te e mostrassi a queste altre creature
ciò che provavi interiormente, affinché le tue emozioni provocassero
un’eco in loro e questa eco ritornasse in te, e tu riconoscessi
che questo doppio scambio in realtà era un fluire fra te e te stesso;
ti ho dato la facoltà di pensare e un corpo mentale,
in modo tale che tu potessi tirar le fila di tutti questi elementi
che a te ho donato per appagare anche il più esigente degli osservatori,
in modo tale che tu avessi la possibilità di passare al vaglio
della tua ragione il motivo di ciò che ti circonda
e il motivo di ciò che sei per arrivare, alla fine, a comprendere
che non sono due motivi diversi, no, non è vero, non è così:
il motivo è uno solo ed è ciò che unisce te e l’esterno.
Ti ho dato tutto, figlio mio;
la tua strada, che a te sembra perdersi nell’ombra,
è lì, dritta e sicura davanti a te;
chiudi gli occhi, non hai bisogno di vederla per percorrerla,
non hai bisogno di correre per raggiungerla,
metti con pazienza un piede davanti all’altro senza tentennare,
senza aver paura di cadere a destra o a sinistra, avanti o indietro;
stai tranquillo che, anche se cadrai, potrai sempre risollevarti;
dov’è il problema?
A volte cadere serve per riuscire a mantenere intatto
il proprio senso dell’equilibrio.
Metti un passo davanti all’altro con pazienza ed ecco che,
dopo pochi passi, senza che neanche tu te ne accorga,
sei giunto alla fine della strada.
Vedi, figlio mio, non era così difficile come tu pensavi,
sei già qui accanto a me.
Anonimo


 

 


Padre mio, io ascolto talvolta le parole che da fonti diverse
giungono fino a me e mi sembra di aver capito
che tutta la mia esistenza all’interno del piano fisico è regolata
da uno stupendo equilibrio di dare e avere,
come se un grande ragioniere tirasse le fila dell’esistenza
e riuscisse a compensare, in modo incredibilmente splendido,
la vita di ogni individuo.
Eppure, malgrado forse possa aver capito questo,
non riesco a rendermi conto di quando sarà che il dare e l’avere
avranno un senso reale, un senso meno egoistico, un senso più sentito.
Come vorrei poter capire se e quando ciò potrà mai accadere.
Moti

Figlio mio, attraverso il meccanismo del dare e dell’avere
tutta la realtà che io ho creato si struttura e si completa;
nulla esiste in essa che non porti ad uno scambio di vibrazioni
e da questo scambio di vibrazioni il risultato che si ottiene
è un perfetto equilibrio tra ogni più piccolo fattore di ciò
che io ho «sognato».
Tu adesso mi chiedi quando il dare e l’avere,
nei rapporti con gli altri, diventerà un Dare
e un Avere
con la «d» e con la «a» maiuscole;
è semplice, figlio mio, molto semplice:
questo accadrà nel momento in cui nessuno dei due interlocutori
avrà ancora la spinta
a dire «Io ho dato di più»
o «Tu hai ricevuto di più».
Scifo

 

Il nostro orizzonte esistenziale e spirituale

Vi propongo queste parole del Cerchio Ifior che mirabilmente esprimono il senso compiuto del procedere interiore e l’approdo nell’esperienza dell’unità.

Quando comprenderò con tutto me stesso che «Tutto È Uno»
che sarà di me, Padre?
Moti

Tu non avrai più la tua famiglia,
ma ogni uomo, animale, pianta, cristallo
sarà un membro della fratellanza universale.

continua..

Domande sulle forme-pensiero

d-30x30Forme-pensiero. Dizionario del

D – Le creiamo noi queste forme-pensiero?

Diciamo che una buona parte delle forme-pensiero è creata da voi, certamente.

D – Le crea anche qualcun altro?

Beh, le possono creare – cosa a cui nessuno aveva pensato – le entità disincarnate che hanno abbandonato il piano fisico, che risiedono sul piano astrale. Avendo ancora un corpo astrale e un corpo mentale significa che il loro corpo mentale è ancora all’interno del piano mentale e agisce sulla materia mentale; essendo spinti da desideri, all’interno del piano astrale questi desideri, se sono molto forti, molto concentrati, possono provocare la creazione di forme-pensiero.

D – Ma le forme-pensiero create nel piano astrale e nel piano mentale possono essere sia positive che negative e influiscono anche sul piano fisico?

Diciamo che possono influire; però, perché possano influire, vi debbono essere parecchie circostanze concomitanti: intanto bisogna vedere se intendono che possono influire sulla persona che ha prodotto la forma-pensiero o se intendi che possano influire su altre persone. Ti faccio io le domande, invece di farle tu a me, così vediamo di chiarirci di più le cose, vero? Allora, cosa vuoi sapere: se influiscono sulle persone che hanno pensato o sulle persone al di là di quella catena …

D – Io penso che le persone siano, almeno penso, una specie di «antenne» che magari, forse, possono captare o meno le forme-pensiero degli altri piani…?

Sì, certo; su questo posso essere – in linea di massima – d’accordo; però qua, a questo punto, bisognerebbe fare un attimo un piccolo corso accelerato sull’antenna. No, non è una battuta, cari, perché, vedete, le antenne non sono tutte uguali: ogni antenna ha una gamma di ricezione delle onde che può percepire, e ognuno di voi è un’antenna diversa. Questa diversità di gamma di onde che ognuno di voi può percepire da che cosa è data? E’ data, principalmente, da come siete costituiti, quindi è data principalmente dal vostro corpo fisico, astrale e mentale ma, in particolare, dal vostro sentire, da ciò che avete compreso e quindi, di riflesso, dai problemi che voi vi trascinate in questa vita, che dovete cercare di risolvere per avere una maggiore comprensione. Fino a qua ci siamo? Questo fa di voi delle antenne che emanano delle vibrazioni diverse l’una dall’altra, completamente diverse, anche se – sotto certi punti di vista – simili; poiché le necessità evolutive e anche le condizioni evolutive del sentire di ognuno di voi è diverso e quindi le onde che emanate sono sempre e comunque diverse l’uno dall’altro; al punto tale che un’entità disincarnata potrebbe riconoscere ognuno di voi soltanto osservando le vibrazioni che emettete.

D – Quindi siamo energia?

Certamente, siete energia.

D – Tutti?

Tutti quanti; e non solo tutti ma «tutto» proprio. Ora, il discorso delle forme-pensiero: la forma-pensiero che cos’è? Non è altro che una creazione energetica che parte da un individuo che si condensa in materia. Si può immaginare così, la forma-pensiero. Questa materia si condensa in quel particolare modo sotto la spinta delle vibrazioni emesse dall’individuo, che l’ha creata; quindi è una particolare forma energetica anch’essa. Ora, la persona incarnata sul piano fisico può essere antenna per quel tipo di forma-pensiero nel momento che possiede una certa affinità vibratoria con questa forma-pensiero. In quel momento, senza dubbio, vi è la possibilità che possa entrare in contatto con questa forma-pensiero, che vi sia uno scambio di energia tra lei e la forma-pensiero. D’accordo?

D – Questo dipende dai «sentire» analoghi?

Diciamo che dipende «in parte» dal sentire analogo e, di conseguenza, anche dai problemi analoghi.

D – Anche i problemi?

Anche i problemi analoghi. Supponiamo che la forma-pensiero di cui stiamo parlando sia una forma-pensiero dovuta a un desiderio molto forte – un classico, proprio: di panna montata, qua, per la nostra amica G. – una grande golosità di questa panna montata: se la persona incarnata sul piano fisico (faccio un esempio proprio terra-terra, non è poi così chiara, immediata, la situazione) possiede lo stesso tipo di golosità, lo stesso desiderio per la panna montata, ecco che questa vibrazione, che è un desiderio – perché il desiderio è, comunque sia, una vibrazione – può risuonare della stessa vibrazione della forma-pensiero che desidera la panna montata. Allora le due vibrazioni si trovano, si riconoscono, in qualche modo si alimentano l’una con l’altra e il desiderio di panna montata della persona che è entrata in contatto con la forma-pensiero diventa ancora più acuto.

D – E influisce anche sull’ambiente?

Dipende dal tipo di forma-pensiero. Certamente vi è una forma-pensiero ambientale, ma quella è una forma più generale, che non è dovuta a una persona sola, bensì a un gruppo di persone, o a un insieme più vasto di persone. Se voi poteste osservare dal nostro punto di vista il pianeta e vedere le masse di vibrazioni del pianeta, vi accorgereste che – così come se guardaste il pianeta a infrarossi vedreste le zone più calde, le zone meno calde, e via dicendo – vi sono delle zone di vibrazioni particolari che accomunano un certo ambiente, altre di vibrazioni particolari che accomunano un altro, e via dicendo. Questo è dovuto al fatto, per esempio, … che so io … che nella società occidentale molti siano attratti dal desiderio di possedere delle cose; questo fa sì da creare un tipo di vibrazione che si incontra di più nell’ambiente occidentale in modo particolare; e se voi poteste guardare dal nostro punto di vista la parte occidentale del vostro pianeta vedreste che vi è questa comunanza di vibrazione che forma, se non una forma-pensiero, quanto meno una zona vibratoria comune di tutte queste persone che hanno questo tipo di interesse o di spinta interiore.

Georgei


Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Meditazioni quotidiane 3.1

 

 


Bastò che tu dicessi:
«Sia la Luce » e la Luce fu.
Ciò che Tu vuoi È, mio Dio,
perché Tua è la volontà.
Essa è uno dei Tuoi aspetti
e da Te pervade il Creato;
essa è il filo che lega a Te ogni individuo,
è la scala sulla quale ogni uomo può salire
fino ad arrivare a sprofondare in Te,
perché chi vuole davvero, sa amare davvero,
e chi ama davvero sa riconoscere l’Amore,
e chi riconosce l’Amore
non può non riconoscerTi,
e chi Ti riconosce
non può non comprendere
di essere una Tua parte,
una piccola immensa scintilla
della Volontà e dell’Amore
che da Te emana e che a Te riporta.

Al di là dei nostri fallaci pensieri,
al di là delle nostre imperfette sensazioni,
al di là delle nostre egoistiche società,
al di là delle nostre infinitesime conoscenze,
al di là delle nostre speranze,
delle nostre paure,
dei nostri dolori e delle nostre gioie,
dei nostri desideri e del nostro continuare
a essere schiavi del nostro Io,
dacci sempre la volontà di volere,
accompagna con il Tuo Amore
il nostro brancolare nel buio
della nostra inoperosità
alla ricerca di ciò che «sentiamo»
esistere in noi,
ora calpestato, ora deriso,
ora schernito, ora sfuggito,
ora cercato, ora temuto,
ora maledetto, ora agognato
e che si chiama Amore.
Viola


 

 


A Te, Padre mio, mi rivolgo
con parole forse già troppo conosciute
e ti sussurro con tutto l’amore
che riesco a trovare dentro di me:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il Tuo nome,
venga il Tuo regno,
sia fatta la Tua volontà
così in cielo come in terra.
Io spero, Padre, di amarTi
almeno una piccola parte di quanto
Tu sempre mi hai amato.
Florian


 

 


Padre mio, io mi immergo nella materia
partendo dall’incoscienza di me stesso;
vivo la mia vita incosciente e, alla fine,
muoio apparentemente incosciente.
Poi sembra che tutto, per un attimo più o meno lungo, sia finito;
ed ecco che io mi
ritrovo di nuovo ad essere sollevato dalla ruota,
a essere immerso nella materia,
a vivere una nuova vita con i tormenti,
le mie delusioni, i miei affanni, qua e là qualche gioia,
per arrivare al momento della paura definitiva
ed essere di fronte a una mano invisibile
che sembra spenga l’interruttore della mia luce
cosicché
sprofondo di nuovo nel buio.
Certo, questa potrebbe essere l’idea di un ciclo:
dapprima la luce e poi il buio;
un ciclo però – secondo la mia concezione,
forse limitata ma, ahimè, umana –
va da un polo ad un altro!
Padre mio invece, osservando la mia vita,
mi sembra che essa compia il suo ciclo dal buio
per ritornare al buio e tutto questo,
Padre mio,
aggiunge ansia al mio vivere l’esistenza.
Scifo

Figlio mio, tu osservi le tue vite come
fossero una candela che ora si accende e ora si spegne,
ora si accende ancora per spegnersi nuovamente, in continuazione.
Ma come posso, figlio mio,
farti comprendere che non è la candela quello che è importante per te,
bensì la luce che la anima?
Ma come posso, figlio mio,
farti comprendere che se tu sapessi osservare con attenzione,
scopriresti che non esiste un attimo in cui non vi è la luce
ma sempre essa è presente in maggiore o minore misura?
Ma come posso, figlio mio,
farti comprendere che è proprio soltanto questa variazione
della sua intensità ciò che costituisce un ciclo delle tue molte esistenze?
Labrys


 

 


Padre mio, Padre mio dolcissimo,
io mi rendo conto che Tu hai fatto tutto per me
e che tutto quello che esiste intorno a me
esiste non «per me soltanto» ma «anche per me»
e ciò mi rende umile nei Tuoi confronti.
lo vorrei, Padre mio,
vorrei anch’io poter fare 
qualcosa per Te,
ma cos’è che posso mai 
fare io, povera creatura?
Moti

Figlio mio, metti da parte questa tua apparente umiltà:
non sei «più prediletto» adesso che hai detto queste cose,
non ti amo di più per le parole che hai pronunciato,
non sei il mio figlio preferito perché manifesti
il desiderio di fare qualcosa per me.
Non vi è nulla che tu possa fare per me.
In compenso, ricordalo sempre, vi è molto che tu puoi fare per te.
Scifo


 

 


Padre mio, io non ci capisco più niente,
anzi non soltanto non ci capisco più niente,
ma non riesco neanche più a capire che cosa dovrei capire!
Io mi sono messa lì con impegno,
mi sono presa i miei bei libri, e li ho letti, accuratamente,
cercando di capirli, ho cercato di comprendere quello che hanno detto i filosofi,
così come mi è stato chiesto, ho cercato di comprendere le varie teorie di pensiero;
ho cercato di capire quello che hanno detto i vari Maestri dai più esotici ai più tradizionali;
ho cercato di capire gli insegnamenti,
ho cercato di comprendere cosa accidentaccio sia questa percezione soggettiva della realtà
che io non dovrei vedere ma che vedo, ma che è una illusione,
e allora siccome è una
illusione è diversa da quello che vedo,
e non so che cos’è perché è un’illusione anche il
fatto che io mi illuda!
Ho cercato di allargare il mio «sentire».
Ma non so se ci sono riuscita perché non ho capito che cosa sia il sentire.
Ho cercato di incontrare Te, Padre mio,
sempre che Tu sia mio Padre, perché io non Ti ho ancora incontrato
e quindi non posso metterci la mano sul fuoco!
Spero nel domani così come, chi dice che parla in Tuo nome, afferma che si debba fare.
Insomma sono una fucina di dubbi, un calderone di discorsi,
un insieme di confusioni tremende, che però – sinceramente – in certi momenti mi aiutano,
tenendo occupata la mia mente quando proprio non ho altre cose cui pensare.
Ma allora, Padre mio, stammi a sentire:
se davvero sono Tua figlia, se davvero mi ami, fai qualcosa,
cerca di farmi capire qualcosina in più!
Non Ti dico di mettermi lì la Tua parola scritta a lettere di fuoco sulla pietra,
ma quanto meno un’idea, un’intuizione, un modo per comprendere,
un modo più chiaro per comprendere, cerca di farmelo arrivare. 
Ti prego.
Zifed

Figlia mia, io ti chiamo figlia ma, in realtà, non sei mia figlia.
Coloro che io mando a parlarti, ti chiamano sorella, ma non sono tuoi fratelli.
Ciò che vedi intorno a te, e che tu pensi – sbagliando – sia l’unica vera realtà,
non è altro, effettivamente, che un’illusione.
Io non sono tuo padre, perché tu da me non ti sei mai staccata
e quindi io e te siamo una cosa sola;
le creature che ti parlano in mio nome non sono tuoi fratelli poiché, come capirai un giorno,
essi fanno parte di te come tu fai parte di loro e riuscire a scindere te da loro,
anche questa, figlia mia, è un’illusione.
La realtà che tu vivi è un’illusione
soltanto perché tu sei limitata da ciò che sei in questo momento,
e limitata dal fatto che ti guardi attorno e sei colpita dalla bellezza di un fiore;
e limitata dal fatto che guardi i tuoi figli e li ami più di ogni altra persona al mondo;
e limitata dal fatto che tu segui i pensieri della tua mente,
e la conoscenza che ti possono dare i libri;
e limitata dal fatto che tu ti guardi intorno e, nel guardarti intorno,
nella tua mente passa l’elenco delle cose che tu osservi.
Io non posso, figlia mia, in un solo colpo farti comprendere qual è la verità.
Tutto quello che posso è far sì che ti arrivino gli elementi affinché tu, lentamente,
riesca a incamminarti lungo la giusta strada.
Io ho posto sul tuo cammino una miriade di tappe che tu devi raggiungere
per arrivare alla Verità: alcune le hai raggiunte – il non uccidere i tuoi simili
o il riuscire ad essere meno egoista – altre dovrai ancora incontrarle,
raggiungerle e superarle, e non sono meno difficili delle altre.
Tuttavia, io so che andrai avanti con pazienza, con costanza,
superando una meta alla volta, e so anche che la prossima meta che
ho posto sul tuo cammino, la prossima meta necessaria
affinché tu riesca a comprendere qualcosa di più della realtà
di me stesso e della nostra unione,
è quella di non fare più differenza tra l’Uno ed i Molti.
Figlia, io ti aspetto al termine della strada.
Moti


 

 


Padre, Padre mio, io non riesco a capire se ho difficoltà di apprendimento
o se, invece,
il mio Io mi impedisce di affrontare con una certa serenità
quegli insegnamenti che voi, ormai, da tanti anni, mi portate.
Infatti, rileggendo quanto voi avevate suggerito di fare, mi sono scontrato,
ancora una volta, con la vostra realtà, così ben lontana da quella che è la mia realtà.
Avete parlato di orgoglio, o, meglio, ancora di orgogl/Io – per dirla alla Zifed – ma,
per quanto accettassi mentalmente quanto voi avete affermato,
mi sono reso conto guardando retrospettivamente, osservando le mie azioni,
di essermi comportato, nel corso di tutti questi anni, facendo sì che il mio «orgoglio»
non dico la facesse da padrone, ma almeno arrivasse a trionfare sulla mia umiltà.
Forse, la mia è soltanto una mancanza di volontà, di volontà di non essere orgoglioso;
forse, la mia è, come dicevo prima, un’incapacità di apprendimento,
una difficoltà di apprendimento.
Ma allora io dico: se continuo a commettere questi stessi errori perché, fratelli miei,
voi che avete sempre mostrato nei nostri confronti una sì grande pazienza,
perché non date un’ulteriore prova di essa, aiutandomi interiormente a capire
e a non commettere più quegli errori che mi turbano,
che mi infastidiscono e che mi fanno sentire terribilmente egoista?
Federico

Il fatto è figlio mio, che allorché noi ti parliamo di ciò che è l’uomo,
tu ti fermi ad osservare l’uomo nelle sue manifestazioni più
eclatanti,
più evidenti, più importanti, senza tenere conto che ciò che più evidentemente appare
agli occhi di colui che osserva, in realtà, è soltanto la superficie che nasconde
la maggior parte, invece, di ciò che sta alle spalle e che può essere osservata soltanto
con un esame approfondito e accurato e, perché no, spietato.
Certo, l’uomo è mosso nella sua esistenza da mille pulsioni;
noi, soltanto per citarne alcune, abbiamo parlato di orgoglio,
di aggressività, di dolcezza, di amore,
e solitamente quando voi ascoltate le nostre parole, prendete questi aspetti,
li valutate, li riferite il più delle volte agli altri e vi riferite sempre,
in particolare, appunto alle manifestazioni più evidenti, più forti.
La realtà è ben diversa: la realtà è che uno stimolo,
un impulso in un individuo può sì 
affiorare in maniera evidentissima agli occhi di tutti,
ma tuttavia può esistere invece anche senza affiorare in questa maniera così
eclatante.
Ciò non toglie che esista, che possa essere incontrato, riconosciuto e scoperto, vissuto ed osservato.
Scifo


 

 


Io ho ascoltato le tue parole, io ho ascoltato, Maestro,
i tuoi discorsi filosofici e credo anche di aver compreso ciò che tu intendi dire.
Riconosco la logica del tuo insegnamento,
riesco a vedere dove ciò che dici può portare,
tuttavia, al di là dell’insegnamento individuale,
non posso dimenticare che sono
inserito in una realtà concreta e fisica.
E non mi dire, Maestro, che per te la realtà concreta e fisica è ormai superata,
perché io non riesco a comprendere una tale condizione
ma sono invece immerso nella materia,
e mi sembra quindi giusto che proprio tu, Maestro,
che prima di me sei passato attraverso la stessa via,
debba per forza di cose riuscire a comprendere e cercare di aiutarmi.
Perdonami se, forse, non sono umile come un discepolo dovrebbe essere ma,
d’altra parte, ciò che sto vivendo provoca al mio interno delle tensioni tali
per cui non sempre è facile 
accettare senza reagire anche con una certa aggressività,
perché si sa, soffrire non è mai piacevole.
Io vivo la mia vita attraversando questa esperienza che, come dici tu,
potrebbe anche essere karmica, e che, d’accordo, potrebbe interrompersi
se io riuscissi a rimuovere al mio interno le cause che l’hanno mossa nel passato;
pur tuttavia, ripeto, sono immerso nel concreto della vita materiale,
e non so che
fare in questa direzione.
Io mi guardo intorno e vedo il mio lavoro, o ciò che di esso resta,
e non riesco a capacitarmi di come stanno andando le cose,
ed è ancora più doloroso per me il fatto che il cattivo andamento del mio lavoro
non coinvolge soltanto me stesso ma anche altre persone,
e questo «essere responsabili per gli altri», Maestro,
proprio tu me l’hai insegnato.
Dovresti, quindi, aiutarmi, darmi il modo per far sì che io possa adempiere
a queste mie responsabilità verso gli altri.
Io vedo la mia famiglia, vedo le tensioni che in essa stanno crescendo,
le incomprensioni, le incapacità di comunicare,
di partecipare gli uni con gli altri quelli che sono i problemi,
le impossibilità di risolverli, di affrontarli assieme
e anche per questo, per la mia compagna, per i miei figli, Maestro,
io mi sento responsabile, e se è una mia situazione karmica
quello che io sto attraversando, non riesco ad accettare
che altri debbano soffrire per ciò che a me deve accadere.
Ti prego, quindi, Maestro, tu che sempre hai dato mostra di amarmi,
tu che sempre hai
dato mostra di aiutarmi, di comprendermi,
di sapere e di essere molto più saggio di me,
fai qualcosa anche questa volta affinché possa uscire
dalla sofferenza e dal dolore.
Non tanto per me, quanto per chi da me,
in qualche modo, dipende.
Scifo

Figlio mio, quanto tu hai appena detto dà mostra di quanto poco, in realtà,
tu hai assimilato e compreso di ciò che io ho tentato di inculcare nel tuo essere,
nel corso di questi incontri.
Infatti dovresti comprendere, aver compreso, aver ormai assimilato,
accettato fino in fondo
il fatto che nell’intero universo non esiste
e non può esistere l’ingiustizia.
Per questo motivo, figlio mio, io ti dico che se tu con la tua sofferenza di oggi
stai vivendo una situazione karmica, e in questa situazione tu vedi altre persone
coinvolte e da te dipendenti, questo non è motivo di disequilibrio nel disegno divino
e di ingiustizia nel suo volere, bensì di equilibrio e di giustizia
per il fatto che anche queste altre persone, in realtà, stanno vivendo il loro debito karmico.
Con questo, figlio, non intendo dire che tu non debba preoccuparti per loro,
né tanto meno intendo dire che tu non debba sentirti responsabile per gli errori
che puoi fare e che su altri possono ricadere.
Tuttavia, ripeto, ricorda che accade sempre e soltanto il giusto per ogni individuo,
e che tutto ciò che accade, anche se non sembra sotto il coinvolgimento dell’esperienza,
accade, sempre e comunque, solo per il bene dell’individuo stesso.
Però – tu dici, tu chiedi, tu implori – in concreto cosa fare,
quale può essere la via migliore per cercare se non di risolvere immediatamente
la situazione dolorosa quantomeno di attenuarla, di migliorare le condizioni
di chi accanto ti sta e che di riflesso soffre o può soffrire assieme a te?
Io ti dico, figlio mio: se ancora non riesci a comprendere la tua causa interiore,
se ancora ti sembra di vivere una situazione senza via d’uscita,
se ancora vedi così lontana la soluzione al tuo problema,
metti in atto un primo 
insegnamento, ovvero l’incominciare da poco e da vicino.
Ricorda che tu soffri per la tua situazione e che quindi è qualcosa in te,
o di te che va
mutato.
Allora osservati, osservati nella vita di tutti i giorni, osservati con la tua compagna,
con i tuoi figli, e guarda prima di tutto, come trasformare
ciò che con essi non è giusto così come è.
Fai sì, se ti riesce, di diventare tale per cui essi non saranno più parte negativa
del tuo karma, ma potranno diventare una fonte di sostegno, di aiuto,
di serenità e, quindi, di ausilio alla tua comprensione.
Fatto ciò, figlio mio, rivolgi la tua attenzione al tuo esterno, osserva il mondo del tuo lavoro,
compi la stessa ricerca e modifica anche per il tuo lavoro,
per il tuo stare con chi con te lavora, in modo tale da ottenere le condizioni concrete
e materiali migliori che tu desideri per poter veramente arrivare al nucleo
di ciò che devi fare, ovvero comprendere qualcosa che è al tuo interno, parte di te.
E ti accorgerai, dopo questo cammino, figlio mio,
di aver fatto già quasi tutto il percorso e più soltanto poche sfumature
avrai da mutare per uscire dalla tua situazione karmica.
Allora, lentamente, la vita ti ritornerà amica, il sorriso comparirà ancora sulle tue labbra,
le tue notti saranno ancora serene e tu andrai sorridente incontro ad una nuova esperienza.
Questo io ti dico, figlio mio, affinché tu possa comprendere.
Moti


 

 


Al di là del bene e del male,
al di là delle frontiere che mi separano dai miei fratelli,
al di là del dolore, che mi fa rinchiudere come se fossi dentro ad un’ostrica,
al di là di tutto questo ho conosciuto l’Amore.
Ma non quell’amore che voi potete pensare
ma quell’Amore che riesce veramente ad andare oltre al bene
che io posso aver creato, ed al male che io posso aver arrecato ai miei fratelli.
Al di là di tutto questo, al di là del pensiero di essere legato alla materia,
si può incontrare veramente l’Amore.
Anche voi incontratelo, affrontate i fantasmi della mente
che vi tengono legati al bene e al male, alle frontiere, alla separatività, all’egoismo,
a tutto ciò che fa di voi un essere ancora meschino e pieno di illusioni.
Florian


 

 


Se io conduco la mia vita senza far male a nessuno,
se io lavoro facendo esattamente quello per cui vengo pagato,
se io so accarezzare i miei figli quand’è il momento,
o, quand’è il momento, corteggiare la mia compagna,
se io conduco fa mia vita in questo modo chi potrà mai dire
che io non ho vissuto nel modo giusto?
Scifo

Se, figlio mio, nel tuo non fare male agli altri
contemporaneamente non trovi il modo di aiutare gli altri,
se il tuo lavoro è in proporzione a quanto ricevi
e non è fatto perché è il tuo senso del dovere, della giustizia e,
perché no? anche del piacere che ti induce a lavorare,
se ai tuoi figli non neghi una carezza allorché da essi ti viene richiesta,
pur tuttavia non sai dare loro una carezza
quando meno se l’aspettano e senza motivo,
se alla tua compagna non neghi il tuo amore,
eppure questo tuo amore te lo tieni in tasca
quando essa non te lo richiede,
io posso dirti, figlio mio, che se pure non posso affermare
che tu vivi la tua vita in
modo sbagliato neppure posso affermare
che la tua vita sia condotta veramente nel modo più giusto.

Moti


 

 


Padre mio, nel corso della mia vita
ci sono dei momenti in cui somiglio ad un cristallo
ed il mio cammino sembra essersi
fermato,
bloccato su posizioni da cui faccio
fatica a smuovermi,
posizioni in cui nulla più mi sembra importante,
in cui mi sento indifferente, distaccato;
abbandonato senza avere neanche la capacità di soffrire,
di gioire, di amare.
Vi sono poi momenti in cui la mia vita
assomiglia a quella di una pianta ed io cerco
allora le sensazioni più diverse,
lascio che siano le sensazioni ad arrivare sino a me
senza far nulla in fondo più che muovermi, girarmi,
affinché possano toccarmi più facilmente
e restando tutto sommato passivo
nei confronti di ciò che la vita o l’esistenza mi mandano incontro.
Vi sono poi molti momenti in cui la mia vita sembra quella di un animale
e allora lascio che i miei passi, le mie azioni e i miei pensieri
siano mossi quasi ciecamente dall’istinto,
dagli impulsi fisici, dalla ricerca del piacere,
dell’appagamento, della soddisfazione,
andando spesso a schiantarmi a testa bassa contro gli ostacoli
senza fermarmi 
un attimo ad alzare gli occhi per cercare di comprendere se,
dove, come e quando 
ho commesso l’errore che mi ha posto l’ostacolo davanti.
Vi sono poi dei momenti in cui la mia vita è quella di un essere umano
che vive in una
società di cui si sente parte, che si interessa agli altri,
che ama, che vive, che gioisce, che soffre, che si accompagna, che si sposa,
che diventa genitore; che lavora, che si demoralizza, che si rallegra,
che spera, che si dispera, che vive.
Vi sono poi, Padre mio, dei rarissimi momenti in cui mi sento Te,
ed è grazie a quei momenti, Padre mio, che la vita mi sembra degna di essere vissuta,
è grazie a quei momenti, Padre mio, che comprendo come tutto ciò che sto vivendo
va oltre la mia capacità di comprensione, va al di là di quanto io, per il momento,
riesca ad immaginare, anche se, per qualche breve attimo di intuizione,
la Tua Realtà, diventa anche la mia realtà.
Padre mio, spero che presto non esistano più due realtà per me.
Rodolfo

Figlio mio nel corso del tuo cammino evolutivo sei stato un cristallo, un minerale,
ma ciò aveva una logica ben precisa e non è avvenuto soltanto per soddisfare un mio capriccio.
In quella forma, figlio, hai incominciato ad essere sensibile agli stimoli, avvertendo,
anche se per te, ora, in modo quasi incomprensibile, che l’avvicendarsi delle stagioni,
del sole e della luna, del vento e della pioggia, esisteva ed influiva sull’ambiente di cui tu,
inconsapevole, facevi parte.
Quando questa comprensione si è strutturata al tuo interno,
ha fatto sì, creatura, che tu abbandonassi la forma minerale,
e riprendessi
il tuo ciclo evolutivo come elemento vegetale.
Ed anche ciò non è stato senza scopo.
Io volevo che tu acuissi la tua sensibilità,
che comprendessi il movimento, che cominciassi a sentire in te il desiderio
che spinge all’azione, fosse anche quella così semplice
di essere inondato di luce.
Ti ho posto poi, a vivere nel regno animale
affinché tu potessi affinare al meglio le nuove percezioni
che avevi sperimentato, 
ben sapendo che in questa nuova forma
avresti lentamente incominciato a separare te stesso da ciò che ti circondava,
creando i presupposti per far nascere l’illusione della
separatività,
l’illusione dell’Io contrapposta
al non-Io.
Come un padre attento al bene dei suoi figli
ti ho fatto vivere quindi in forma umana,
affinché tu potessi comprendere attraverso la gioia ed il dolore
l’illusione che stavi vivendo, e riuscissi a superare le separatività ed il tuo egoismo.
Ti ho preparato poi una nuova forma, quella del superuomo,
non tanto dissimile fisicamente da quella che già conosci,
ma in verità molto diversa interiormente,
in modo tale che tu avvertissi la mia presenza in te stesso ed in ogni creatura
che io ho posto al tuo fianco lungo il tuo cammino, e fossi, infine,
pronto
a riunirti a me, chiudendo il circolo della tua evoluzione.
Figlio mio, viandante affaticato, sono qui ad aspettarti,
non in cielo, non in terra, smetti di chiamarmi e resta in silenzio ad ascoltare,
io non ti ho mai abbandonato, tu non mi hai mai abbandonato,
io sono in te e tu sei in me,
per sempre, figlio mio.
Scifo


 

 


Padre mio, quando tu mi hai dato la possibilità di vivere in questo mondo
io sono stato, per un po’ di tempo, felice;
ho assaporato la gioia delle cose che mandavi intorno a me,
ho goduto del Tuo amore che io ritrovavo ogni giorno scoprendo un gioco nuovo.
Ma poi, Padre mio, io sono cresciuto, sono diventato adulto, sono diventato un uomo
e Tu non mi hai più dato felicità ma soltanto dolore;
e ho conosciuto la sofferenza ogni giorno.
Hai fatto di tutto per me, Padre mio, anche se non ne comprendo le motivazioni,
anche se ne intuisco la causa, mi hai fatto soffrire in ogni modo:
mi hai privato delle cose che più amavo,
mi hai privato di un figlio,
mi hai privato di un amore al quale volevo dedicare tutta la vita.
Mi hai provato mettendomi ultimo in mezzo agli uomini.
Mi hai fatto soffrire togliendomi la possibilità di diventare una persona importante,
rispettata dagli altri, amata, richiesta.
Ma perché, Padre mio, tutta questa sofferenza?
Perché, Padre mio, non hai continuato a infondermi,
a darmi quella felicità che io godevo nei primi giorni della mia vita?
Aiutami, Padre mio!
Aiutami a comprendere il perché di tutto questo, dammi la mano,
dammi la mano
perché voglio capire, Padre mio!
Viola

Figlio mio, ho ascoltato le tue parole ed è per questo che ora, in qualche modo,
io
faccio giungere a te la mia voce anche se so che molto facilmente, figlio,
tu non vorrai
ascoltarla; so che molto facilmente preferirai distogliere la tua attenzione
per cercare di
seguire ciò che, magari, anche soltanto a mezzo metro di distanza
starà accadendo
sul tuo piano di esistenza.
Figlio mio, tu ti lamenti della tua sofferenza,
e tendi a far risalire la causa di questa tua sofferenza fino a me,
come se io, figlio mio, potessi divertirmi a creare per te dolori,
affanni, tristezza, e non ti rendi conto, figlio, che questi dolori,
questi affanni, questa tristezza nascono in te perché tu stesso,
con le tue mani, li stai facendo nascere,
perché tu stesso ti immergi così completamente e totalmente soltanto
in ciò che riguarda l’esteriorità da dimenticarti di creare in te stesso quei supporti,
quegli aiuti, quelle grucce che potrebbero farti superare senza
fatica
anche il più grande affanno.
Figlio mio, se tu non riesci neppure ad ascoltare per un attimo il silenzio,
se il restare in silenzio provoca in te nervosismo, imbarazzo, tensione,
impazienza, come puoi pensare di riuscire ad ascoltare il tuo essere?
E se non riesci ad ascoltare il tuo essere, figlio mio,
a che scopo rivolgi a me delle
preghiere che, tanto, non potresti poi vedere esaudite
sotto forma di discorso perché il mio discorso, figlio, passerebbe attraverso il tuo intimo?
Comunque io continuo a parlarti, figlio,
poiché il tempo per me non ha importanza e le mie parole, in un modo o nell’altro,
continuo a inviarle, siano esse parole che giungono da un tuo fratello,
siano esse parole che giungono da un fiore, da un tramonto, da un’aurora, da una notte;
e se non sarà oggi sarà domani, se non sarà domani sarà tra
mille anni, figlio mio,
ma tu riuscirai a sentire le mie parole che il vento, in continuazione,
ti porta.
Moti


 

 


Padre, Padre mio, ancora una volta hai permesso
che la Tua voce giungesse a me attraverso i Tuoi messaggeri,
ed ancora un’altra tristissima volta, Padre mio,
io mi chiedo a quanto tutto questo mi possa servire,
osservandomi nella vita di tutti i giorni in cui dimentico i momenti di serenità,
i momenti di pace, i momenti quasi di beatitudine e divento l’essere meschino
che continua sempre e soltanto a pensare a se stesso,
e non sa rivolgere lo sguardo attorno per asciugare anche una sola lacrima
ad un proprio fratello.
Padre mio, a cosa servono questi Tuoi messaggeri
quando io vado nel mondo spinta
soltanto dal desiderio di guadagnare,
di possedere, di mettere in mostra il mio Io, di fare opere d’arte, di scrivere,
di parlare, di far godere gli altri di queste mie capacità quando Tu, invece,
attraverso i Tuoi messaggeri, mi insegni l’umiltà, la semplicità,
mi insegni a godere anche del solo silenzio?
Padre mio, è inutile che Tu continui ad inviarmi queste voci,
è inutile che Tu cerchi di farmi maturare,
perché io continuo inevitabilmente ad essere l’uomo egoista
che ancora oggi sento dentro di me.
Se solo Tu potessi aiutarmi, Padre mio,
se solo Tu fossi in grado di darmi un’indicazione,
ma non soltanto semplicemente attraverso queste voci che restano voci e basta,
ma direttamente con qualcosa di vero 
e di tangibile
che mi gratifichi in qualche modo nel mio Io più profondo,
allora anche io, Padre mio, riuscirei a sorridere veramente.
Non più parole quindi, Padre mio,
ma qualcosa di più. Grazie.
Viola

Figlio mio, tu ti aspetti da me ciò che io non voglio fare,
tu ti aspetti da me che io dia corpo ai tuoi desideri,
che io accontenti i tuoi bisogni,
che io appaghi ciò che tu vuoi non soltanto pregando
ma esigendo addirittura che io faccia ciò.
Eppure, figlio mio, se io ti ho dato una mente è stato perché tu imparassi
ad usare questo strumento così sensibile che io per te ho creato,
è stato affinché tu riuscissi ad impadronirti della logica e – attraverso la logica –
rendere più giusti, più veri, più indirizzati verso me i tuoi pensieri e i tuoi desideri.
Se tu ti ascoltassi, figlio mio, allorché chiedi, implori e pretendi,
se tu stessi attento all’assurdità delle tue parole,
se tu usassi le tue parole per vagliare con attenzione ciò che tu dici,
stai pur certo, figlio mio, che il tuo viso diventerebbe rosso e taceresti.
Pensi davvero che io possa fare per te ciò che tu stesso non riesci a fare?
Pensi davvero che riuscirei a convincerti senza arrivare alla costrizione?
Perché nessun individuo può essere veramente convinto contro la sua volontà.
Pensi davvero che io per te potrei creare qualche fenomeno meraviglioso,
inaudito e strabiliante che possa far breccia nel tuo non credere,
che possa far sì che tu da un momento all’altro trovi la fiducia
non soltanto in me ma addirittura in te stesso?
Io ti garantisco, figlio mio, che per quante meraviglie per te abbia posto nel mondo,
per quante meraviglie per te abbia posto su quei piani che tu non conosci,
per quante meraviglie io, soprattutto, figlio mio, abbia posto al tuo interno,
non ve n’è nessuna che possa essere per te convincente se tu non vuoi essere convinto.
La tua preghiera, quindi, figlio mio, è raccattata dal vento ma è dal vento dispersa.
E la mia risposta, figlio mio, io l’ho affidata al vento
ma tu non sei stato capace di afferrarla.
Scifo


 

 


Padre, Padre mio, mio Creatore,
Tu mi
hai dato la possibilità d’essere testimone di fenomeni strani, inusitati,
di fenomeni che hanno sconvolto il mio credo interiore,
che hanno cambiato il corso della mia esistenza,
che hanno dato un colore diverso alla mia vita,
passando da un grigio squallido ad intensi colori di luce.
Le parole che Tu hai affidato ai Tuoi messaggeri affinché esse giungessero a me,
erano talmente dense di significato che non sarebbe sufficiente una vita
per riuscire veramente a comprenderle.
Questo dicevo.
Ma adesso mi rendo conto, Padre mio, Altissimo Signore e mio Creatore,
che questi Tuoi messaggeri continuano a giungere a me per ripetere sempre le stesse cose;
non trovo infatti in ciò che Tu ora mi mandi nulla di veramente nuovo e originale;
ed io allora mi chiedo, Padre mio, che senso ha continuare a ripetere le stesse cose,
continuare a dirmi che devo amare gli altri miei fratelli come me stesso,
continuare a dirmi che devo essere sincero con me stesso e sincero con gli altri,
continuare a ricordarmi di dire sempre la verità anche al prezzo di creare
al mio interno della sofferenza?
Padre mio, mi chiedo che senso ha continuare a pensare che l’evoluzione
alla quale io dovrò giungere è così lontana, ma veramente così lontana,
che tutto questo mi appare quasi come un gioco senza senso?
Perché dunque affaticarTi ancora affinché le Tue parole giungano a me,
perché permettere che io possa continuare ad ascoltarle,
perché non far sì che quanto viene speso in fatica, in lavoro, in energia,
non venga usato diversamente a convincere colui che a tutto questo non vuole credere?
Padre mio, mio Creatore, prima di continuare a parlarmi degli stessi concetti
Ti prego di dare una risposta ad un dubbio, ad un’idea,
ad un qualcosa che da più tempo giace dentro di me:
perché non usare tutto ciò che stai usando per far parlare i Tuoi messaggeri,
per creare invece un fenomeno meraviglioso, fantastico,
che possa dare la certezza a tutti gli altri che Tu esisti veramente?
Michel

Figlio mio, se tu pensi veramente che possa essere il fenomeno meraviglioso,
il fenomeno fantastico a darti la certezza, significa mio caro che ben poco hai capito
di ciò che volevo dirti; e se tu, figlio mio, quasi con rammarico mi chiedi
perché ti sto ripetendo le stesse cose da anni,
quasi con tristezza mi chiedi perché non ti ho dato nulla di nuovo,
io non posso dare una risposta al tuo chiedere se non rivoltando la domanda;
infatti, figlio mio, io qui ed ora ti chiedo:
e tu, da queste mie parole, da secoli ripetute, quanto sei riuscito a cambiare?
Per quanto sia vero che da anni ripeto le stesse cose,
per quanto sia vero che da secoli si ripete lo stesso insegnamento,
è vero che tu oggi come oggi, così come eri ieri,
e così come probabilmente sarai domani,
ancora non hai imparato – solo per fare un esempio – ad avere rispetto
per te stesso, per i tuoi compagni di viaggio, per i tuoi fratelli,
ad un punto tale affinché tu ti possa chiamare veramente
Uomo.
Viola


 

 


Se io potessi ascoltarti, Padre mio,
se io non fossi così pronto a tapparmi le orecchie
per non udire ciò che, in mille modi diversi, Tu fai arrivare fino a me,
se io non fossi così intento a perseguire i miei fini egoistici
da non porre attenzione alle tante voci che mi parlano in Tuo nome,
se io non fossi così intento a captare i rumori del mondo materiale
da non porgere ascolto alla Tua voce che parla ininterrottamente
anche attraverso i palpiti della mia coscienza,
cosa Ti udrei dire per rammentarmi i miei doveri
nel percorrere questa strada inusuale che cerco di seguire
per
ricongiungermi a Te?
Moti

Dal momento stesso che tu ti fermi ad ascoltare, figlio mio,
è tuo dovere cercare di capire fino in fondo;
è tuo dovere ascoltare non solo ciò che ti gratifica
ma anche ciò che ti colpisce perché se
!a freccia giunge al tuo cuore
ciò accade perché hai lasciato i! tuo cuore dove non dovevi lasciarlo;
è tuo dovere esprimere il tuo pensiero su ciò che ti viene detto
dimostrando a te e agli altri 
che non partecipi solo per fare atto di presenza,
o per non sentirti escluso da qualcosa che, in qualche modo, sembra elevare dalla massa;
è tuo dovere confrontarti con le parole che ti vengono rivolte e,
ove tu le ritenga giuste e
giustificate, cercare di correggere te stesso
facendole diventare un tuo sentire;
è tuo dovere prendere g!i insegnamenti che ricevi e cercare di applicarli
prima di tutto su te stesso, perché solo così darai mostra a chi non riesce ad accettarli
che essi, se vissuti giustamente, hanno il potere di mutare l’individuo e,
attraverso di lui, il mondo
intero;
è tuo dovere essere condiscendente verso chi non la pensa come te
e non voler imporre ciò che credi giusto, perché le parole giuste sono Mie parole,
e le Mie parole non hanno bisogno di apostoli ma entrano e si fermano nell’animo
di colui che è pronto a riceverle e a farne buon uso;
è tuo dovere accettare !e critiche e non criticare ricordando che il tuo diritto
ha gli stessi confini dei diritti altrui e, se Mi ami davvero,
devi saper accettare con un sorriso che da
altri venga varcato il tuo confine
senza avere l’idea di varcare tu, a viva forza, il confine
altrui;
è tuo dovere dare spazio agli altri senza imporre !a tua presenza
e senza pretendere attenzione per te stesso invece che per altri,
perché come puoi giudicare e comprendere se una parola,
una carezza o un’azione sono più urgenti per te o per un tuo fratello?
È tuo dovere rispettare chi parla e chi ascolta
senza impedirgli di parlare o di ascoltare,
così come vorresti che a te fosse permesso di parlare e di ascoltare
quando è il tuo momento di farlo;
è tuo dovere essere sincero con chi ti sta a fianco
senza mascherarti con falsi sorrisi o con voluta indifferenza
perché sai bene quanto male faccia scorgere un falso sorriso
o sentirsi ignorati volutamente;
è tuo dovere non fare delle parole che ti vengono rivolte una scusa
per un tuo agire sbagliato, per un nascondere il braccio dopo aver scagliato la pietra,
attribuendo ad altri la responsabilità di un’azione che appartiene solamente a te;
è tuo dovere non fare delle parole dei Miei figli l’unico scopo della tua vita,
dimenticando che per quanto importanti esse siano non lo sono a tal punto
da farti trascurare i tuoi doveri di uomo, di sposo, di figlio e, soprattutto, di genitore;
è tuo dovere non fare delle parole dei Miei figli un testo sacro
senza il quale non avere il coraggio di agire e di pensare,
un oracolo al quale ricorrere per non prendere da te solo la responsabilità delle tue azioni,
perché questo farebbe di esse non solo una cosa priva di vero valore
ma addirittura una causa di inibizione del tuo sviluppo;
è tuo dovere accettare e vivere ciò che ritieni giusto,
ma rifiutare e chiedere spiegazioni su ciò che ti sembra errato,
partecipare attivamente e non estraniarti,
essere, insomma, caldo o freddo ma non essere tepido
perché la tepidezza non porta al tuo intimo e,
quindi, a Me;
è tuo dovere, figlio Mio, osservarti come sei e modificarti, dopo esserti compreso,
perché dal tuo lavoro su te stesso dipende non soltanto la tua vita e quella dei tuoi cari,
ma la vita di ogni Mia creatura;
è tuo dovere dare agli altri anche il poco che ti è possibile donare
ma è anche tuo dovere accettare con gioia dagli altri ciò che gli altri ti donano,
senza pensare a doverlo restituire un giorno,
senza la paura di restare obbligato e condizionato,
perché quanto ricevi in dono è sempre un Mio dono
e Io non mi attendo da te alcuna ricompensa.
Se sei qui per imparare come dici, figlio Mio, sforzati di farlo,
se sei qui per cambiare te stesso cerca in tutti i modi di non ristagnare,
se sei qui per comprendere approfitta delle possibilità che ti vengono offerte,
se sei qui per conoscere non imporre limite e direzione alla tua conoscenza,
se sei qui per dare agli altri abbandonati alla gioia di dare
senza distinguere tra giovane e vecchio, simpatico e antipatico,
intelligente e sciocco, buono e cattivo,
perché ricorda,
figlio Mio, che in ogni creatura Io sono
e ciò che dai ti verrà reso in misura maggiore.
Figlio Mio, i tuoi doveri non li scrivo a lettere di fuoco sulla lapide
perché nessuna lapide può conservarli così a fungo
quanto lo fa la Mia voce che parla dentro di te;
e non ho posto angeli caduti sul tuo cammino per punire i tuoi errori,
né giudici per decidere le tue pene o per emettere giudizi sul tuo operato:
per te non ho posto altro carceriere, altro giudice e altro aguzzino che te stesso.
Sii ciò che sei il più profondamente possibile, figlio Mio,
e scoprirai che le voci dei fratelli che vivono con te nel mondo della materia,
e la tua stessa voce, non sono, in verità, che un’unica voce, la Mia,
e allora niente e nessuno dovrà rammentarti i tuoi doveri
perché tu stesso sarai !a luce che li sussurra all’universo.
Viola


 

 


Quando comprenderò con tutto me stesso che «Tutto È Uno»
che sarà di me, Padre?
Moti

Tu non avrai più la tua famiglia,
ma ogni uomo, animale, pianta, cristallo
sarà un membro della fratellanza universale.
Non ti vedrò più lavorare al fine di raggiungere
maggior prestigio e maggior guadagno,
ma il tuo lavoro sarà eseguito nella coscienza
di contribuire nel tuo possibile a creare un mondo
in cui la Mia voce sarà la voce del Tutto.
Non avrai più amici perché non considererai più alcun nemico:
e quando darai, lo farai 
senza bisogno che il dare ti venga richiesto
e senza che esso venga dettato dai tuoi bisogni personali.
Non avrai più padroni, dipendenti, superiori e inferiori,
ma in ogni altro tuo simile tu vedrai te stesso in una delle tante tappe
che avrai percorso o che dovrai ancora percorrere.
Le tue preghiere non avranno più un indirizzo e una forma,
ma la tua vita, i tuoi pensieri, le tue parole e i tuoi sentimenti
diverranno essi stessi, senza intenzione, preghiere.
Perderai la passione, l’orgoglio, l’invidia,
tutto quello che hai o che desideri avere.
Il desiderio, la presunzione non ti spingeranno confusamente
verso la ricerca di Me 
perché Io ti apparirò presente in tutto ciò che ti circonda
e ciò che Io ad ogni istante ti donerò ti basterà per sentirti appagato,
unito e inscindibile da ogni creatura che Io ho posto per te sulla tua via.
Non avrai più bisogno di chiamarmi,
di cercarmi, di adularmi, di combattermi,
di rifiutarmi, di accettarmi, di capirmi,
perché Io sarò te e tu sarai Me in un modo così profondo
che di nient’altro avrai bisogno 
che di questa consapevolezza.
Se sorriderai diventerai il Mio sorriso,
se porgerai aiuto sarai la Mia mano,
se consolerai sarai una Mia carezza,
se accetterai un’offesa sarai la Mia carità,
se parlerai sarai la Mia voce,
se abbraccerai sarai la Mia dolcezza,
se sopporterai sarai la Mia pazienza,
se perdonerai sarai la Mia pietà,
se amerai sarai il Mio amore
e ciò che darai ad ogni Mio atomo
Ci apparterrà per sempre, figlio Mio.
Viola

Meditazioni quotidiane 2.2

 

 


A te, Padre mio, con tutto l’amore che conosco,
io rivolgo 
il mio ringraziamento.
Certo non tutto ciò che Tu mi invii
è
facile da affrontare,
certo alla mia mente
avventata
sembrano molti di più i momenti di dolore,
di sofferenza che i momenti di gioia e di felicità,
ma, quando il vento che mi ha portato con sé
smette di soffiare ed io riesco a trovare in me
un attimo per guardare indietro,
mi accorgo che, alla fin
fine, gioia e dolore,
finiscono per equivalersi e sono stato io, soltanto io,
nella mia avventatezza, che non ho saputo vivere intensamente
la gioia tanto quanto ho  vissuto intensamente il dolore,
che non ho saputo assaporare ogni aspetto della mia vita,
che pure esiste per me, è così per me,
per farmi crescere, non per punirmi o per altre motivazioni.
Con quelle poche parole, Padre mio,
che io riesco a trovare faticosamente nella mia mente,
Ti ringrazio comunque e sempre
per avermi dato quel dono che è la vita,
che così spesso io non riesco a riconoscere come tale.
Grazie, Padre mio, comunque e sempre.

Moti


 

 


Grande Spirito che tutto circondi,
io mi riconosco nelle tue creature,
siano esse una pianta,
siano esse un animale,
siano esse un essere umano,
ma questo purtroppo accade soltanto a tratti,
perché se davvero io mi 
riconoscessi in Te,
attraverso la 
mediazione di tutto ciò che mi circonda,
in quell’attimo non avrei più bisogno di tornare a vivere.
Eppure sono proprio quei momenti,
Grande Spirito, Padre mio,
che mi spingono e mi danno la forza
per andare avanti.

Hiaiuatha


 

 


Padre mio se quanto accade,
accade per il 
nostro bene,
perché è necessario che accada,
fa sì che io, comunque, non resti insensibile
ciò che avviene, ma trovi in me un motivo in più
per proiettare al mio interno l’esperienza 
di chi sta soffrendo
così da arrivare a comprendere ciò che io devo comprendere,
in modo tale che, un domani, altre persone non debbano soffrire
altrettanto per aiutare la mia comprensione.
Padre mio, aiutami ad essere d’esempio agli altri
affinché chi, per cattiva comprensione, cerca di prevaricare gli altri,
riesca, osservandosi, anche magari soltanto per un momento,
a fermare il suo agire e a rendersi conto di quanto sta facendo.
Padre mio fa sì che io non sia passivo di fronte alla Realtà,
ma collabori con essa, 
affinché il fine ultimo
venga raggiunto in 
armonia, da tutti.

Moti


 

 


Padre mio, nella mia vita di tutti i giorni,
a volte riesco anche a trovare un momento
per
distogliermi dal mondo e cercare la Verità.
I miei occhi, allora, si volgono intorno,
osservano ciò che li circonda;
le mie orecchie 
si tendono ad ascoltare
anche il più piccolo 
suono alla ricerca di una parola di Verità;
la mia mente analizza, esamina, critica, giudica;
tutto il mio essere, in fondo, è teso verso la ricerca,
eppure, Padre mio, la verità sembra allontanarsi sempre di più da me,
e come un fantasma malizioso mi sfugge tra le dita
non appena sembra che io stia per afferrarla,
e mi schernisce, mi deride e sparisce dietro 
all’angolo della mia mente.
Padre mio, aiutami, Ti prego:
se io sento 
interiormente questo bisogno di Verità,
se io sento che conoscere la Verità può darmi pace,
può farmi essere diverso,
fa qualche 
cosa Tu, Tu che tutto puoi,
per aiutarmi in 
questa mia ricerca affannosa
e così spesso 
disperata!

Moti


 

 


Padre mio, io non riesco ad accettare le persone intorno a me,
questa mia difficoltà ad accettare mi sembra che punti il dito accusatore
verso di me per dirmi: «Tu, che non
accetti gli altri,
è semplicemente perché non accetti te stesso».
È facile dire così, certamente sono lontano dall’accettare veramente me stesso,
così
come sono lontano dall’accettare veramente gli altri,
ma questa «accettazione» che io
cerco, so davvero, sento davvero che cosa è?
È una cosa dettata dalle leggi del vivere comune,
è una cosa dettata dagli archetipi sociali,
è una cosa dettata dai dogmi della
religione o è qualcosa di diverso,
qualcosa che devo sentire nascere e premere,
e crearsi e crescere dentro di me,
come se fosse
un  «mio» archetipo personale che, solo,
indica quello che io devo fare, raggiungere, sentire?
Forse, Padre mio, se io mi preoccupassi meno di quello che gli altri pensano di me
e di più di ciò che io penso di me stesso,
gran parte dei miei problemi avrebbero un altro significato e un altro senso.

Rodolfo


 

 


Padre mio, lo so che tutto quello che mi accade ha una sua ragione di esistere,
sono consapevole del fatto che ogni esperienza nel corso della mia vita
si presenta per aiutarmi a comprendere, a migliorare, ad avvicinarmi a Te passo a passo;
io cerco con tutta la mia forza, con le possibilità che ho per poterlo fare,
di rivolgermi verso di Te, a volte scegliendomi dei modelli da seguire
per poter riuscire – attraverso questi modelli – ad arrivare a identificarmi
sempre di più con l’idea che ho di Te, Padre mio.
Ma ahimè, io sono soltanto un pover’uomo, sono un figlio della realtà fisica,
con i legami, i condizionamenti, le strategie del mio Io che mi rendono ciò che sono
e ciò che manifesto all’interno della realtà fisica in cui mi trovo a fare esperienza;
e così accade spesso che persino la scelta dei miei modelli non sia la migliore che io potessi fare.
E poi perché scegliere un modello quando esisti Tu, Padre mio,
unico e vero – anche se inesprimibile modello – che parli dentro di me?
L’ascoltarti potrebbe rendere la Tua voce così forte e così limpida,
così pura da permettermi – se riuscissi ad ascoltarla con attenzione,
ad osservarla con attenzione – da modificare veramente il mio essere,
senza per questo arrivare ad accomodamenti o a compromessi
con quella che è la realtà esterna?
Questa realtà esterna che è fatta di continue maschere che io devo calare su ciò che sono;
questa realtà esterna che mi impone delle scelte che a volte preferirei non fare;
questa realtà esterna che mi presenta un mondo governato da individui
che non hanno una consapevolezza di se stessi ma sono, in realtà, guidati soltanto,
accecati sempre, da ciò che il loro Io reclama a gran voce per la sua volontà di potenza.
Padre mio, che vita difficile quella in cui sono immerso!
Eppure sarebbe tutto così semplice,
se io riuscissi a comprendere veramente chi sono e cosa sono.

Moti


 

 


Padre mio, com’è difficile questa vita che Tu mi hai donato!
Com’è difficile percorrere la strada che Tu hai tracciato
e che con tanta facilità io perdo di vista nel mio affannoso,
faticoso andare avanti!
Molte sono le cose che mi distolgono dal sentiero,
tante sono le paure che rendono
incerto il mio camminare;
tanti, tantissimi
sono i desideri che mi fanno perdere di vista
per un attimo, o per intere vite, qual è la
direzione giusta che stavo percorrendo.
Eppure, alla fine, Padre mio, so che la strada è sempre lì,
e sono certo che non la perderò mai veramente
perché la Tua voce mi chiama comunque in continuazione,
senza sosta, con amoroso e sollecito affetto,
ed è a questo
amoroso e sollecito affetto che io affido la mia vita,
la mia esistenza,
i miei dubbi, le mie paure, i miei desideri,
le mie fatiche, le mie ore, i miei giorni,
il mio essere qui, in Te e con Te.

Rodolfo


 

 


Padre mio, oggi, nel corso della mia vita, ho fatto una scoperta
e, per un momento, mi son sentito Cristoforo Colombo che scopriva l’America:
ho scoperto che sono capace di
aprirmi agli altri,
che sono capace di mostrare agli altri quello che ho dentro,
frapponendo un’infima parte delle barriere
che sono così bravo ad esibire normalmente.
E allora – mi sono chiesto – perché non l’ho mai fatto?
Perché, con tutte le possibilità che l’esistenza mi ha presentato,
ho preferito selezionare il mio darmi agli altri,
ho preferito negarmi a volte, ho preferito ammantarmi di tristezza,
o di delusione, o di vittimismo, allontanando gli altri da me,
invece di andare col cuore in mano e vedere se qualcuno lo poteva prendere?
Qual è la ferita che avevo paura di mostrare?
E ancora: “Ma c’era davvero questa ferita o, ancora una volta,
era una mia illusione, era un mio modo sbagliato, un mio timore,
una mia emozione fuori luogo?”
Questi saranno gli ultimi interrogativi che accompagneranno la mia esistenza
e ai quali dovrò dare una risposta che mi permetta di non ricominciare da capo
con gli stessi errori e le stesse sofferenze la prossima vita.
Magari adesso che, dopo essermi donato agli altri,
ho scoperto che si può stare meglio anche con un piccolo atto come questo,
forse riuscirò a farlo ancora con maggiore facilità
e questo già potrà essere un aiuto, Padre mio.

Scifo


 

 


Padre mio, io mi guardo attorno ad ogni istante
che passo lungo la mia strada faticosa e resto colpito,
emozionato, frastornato da ogni cosa nuova che incontro
e che mi fa comprendere quanto poco, in realtà, io conosca
e sappia.
In quei momenti, in quei rari, rarissimi momenti,
io riesco per un attimo a trovare veramente in me il senso dell’umiltà:
allorché mi sento sperduto, piccola goccia di colore anonima
– ma non per questo meno importante – sulla grande tela che Tu,
con
infinita pazienza, costanza e bontà hai creato.
Eppure, tendo l’attimo successivo a dimenticarmi
di quel senso di piccolezza di cui mi ero impadronito,
tendo a pensare a me stesso come se fossi il centro intero dell’universo
e non soltanto il piccolo centro del mio universo personale
del quale io sono abituato a considerarmi signore onnipotente e padrone;
perdo il senso della vastità del Tuo «Disegno»,
perdo il senso della grandezza, delle sfumature,
delle variazioni che Tu hai saputo creare,
perdo il senso della realtà delle altre gocce che sono sulla tela assieme a me
e me ne sto nel mio angolo, rappresentazione spesso statica
di qualcosa che possiede in se stesso, per sua stessa concezione,
una dinamicità estrema che permea tutto il Disegno
pur
rendendolo apparentemente fermo.
Eppure, Padre mio, non è che non desideri essere umile,
non è che io voglia con tutto me stesso cercare di essere migliore di come sono,
e allora arrivo a chiedermi:
«Ma sarà davvero, poi, colpa mia, responsabilità mia se io sono ciò che sono,
o non sarà semplicemente che io sono così perché così è stato dipinto nel Tuo Disegno
e, per non scombussolare tutto il Tuo lavoro, io devo per forza di cose adeguarmi ad esso?».
E allora, a questo punto, mi chiedo ancora:
«Ma quale è, in fondo, la mia vera responsabilità?
Di quanto o di cosa io posso essere responsabile? Di ciò che faccio?
Ma ciò che faccio è scritto, è dipinto, Tu l’hai dipinto;
quindi – semmai – Padre mio, la responsabilità non può essere che Tua!
Di ciò che dico?
Ma ciò che dico io lo dico perché Tu, Padre mio,
hai scritto che io lo dica, e allora come posso essere responsabile di questo?».
Tutto ciò che io sono, in fondo, risponde a queste caratteristiche
e tutto questo sembra riportarmi allora a considerare la responsabilità
sotto un altro punto di vista, finendo poi col portarmi a concepire
una responsabilità infinita che non mi appartiene
ma che appartiene soltanto a Te;
e anche se io non comprendo la necessità del Disegno,
anche se io non comprendo la necessità della sofferenza,
anche se io non comprendo la necessità della morte, del
dolore,
delle disgrazie, della solitudine, della disperazione,
allora, malgrado questo, io non posso far altro che dire:
«Sia fatta la Tua volontà» perché la responsabilità, Padre mio,
non può essere che Tua.
Tutto ciò che posso fare, o cercare, o illudermi di cercare qualcosa di più,
è cercare, o illudermi di cercare di conoscere più di quello
che un attimo prima conoscevo;
cercare, o illudermi di cercare di aiutare le altre persone;
cercare, o illudermi di cercare di essere migliore;
ma quell’immagine sulla tela, Padre mio,
esiste davvero, o anch’essa è soltanto un’illusione nella Tua Realtà?

Scifo


 

 


A Te Padre mio, ancora una volta mi rivolgo,
ma questa volta non per porti delle domande,
bensì per rivolgerTi certi pensieri che sono, spero, delle mie acquisizioni.
Io, Padre mio, sono immerso in questa materia che Tu, con una fantasia inimitabile,
hai saputo plasmare, creare, modificare, rendere sempre diversa attimo dopo attimo,
e con la mia consapevolezza, con la mia coscienza
sospesa tra cielo e terra,
sospesa tra la realtà fisica e la mia parte spirituale,
io mi trovo a dover affrontare giorno dopo giorno l’incontro
con gli avvenimenti che nella Tua materia fisica si svolgono.
Com’è facile, Padre mio,
com’è facile – per me e anche per tutte le Tue creature – arrivare a considerare
questa vita che Tu ci hai donato come se fosse continuamente una fonte
di
inesauribile e inevitabile sofferenza;
eppure, Padre mio, io sento che così non è, così non può essere,
perché questo non rientrerebbe nella logica della Tua essenza,
non potrebbe rientrare nel Tuo modo di essere il voler far soffrire
in continuazione coloro che da Te stesso sono scaturiti.
Questo – al di là di ogni discorso filosofico, al di là di ogni ragionamento mentale,
al di là di ogni insegnamento che io possa affrontare –
e solo questo pensiero mi basta per comprendere che la sofferenza che incontro
è una sofferenza che esiste soltanto perché in tal modo io la vivo.
Oh, certo, tra i miei compagni di viaggio c’è chi può aver perso
improvvisamente un
amore, che, inaspettatamente, ha visto spezzarsi quel filo,
quel legame che univa due persone e che sembrava essere indissolubile,
e questa persona certamente mi dirà che la sofferenza non è solo sua,
che in fondo colui o colei che ama o che ha amato,
e che amerà probabilmente per tutta la vita, non esiste più
e, quindi, la sofferenza non può essere soltanto una cosa sua.
Eppure io penso che quando sono nato, Padre mio,
nel momento stesso in cui ho cominciato ad aprire gli occhi alla vita,
in quello stesso momento ho incominciato a morire
e l’idea della morte mi ha accompagnato per tutta la vita.
Fin dai primi anni ho compreso che, prima o poi, non soltanto gli altri individui
ma anche lo stesso Io che sperimenta la materia in questo momento
abbandonerà il piano fisico.
Ecco così che l’idea della morte è diventata per me
– che io lo volessi o meno – familiare.
Certamente, posso non avervi posto molta attenzione,
come sempre accade quando le cose sembra che succedano agli altri
e che siano così lontane, ma col passare degli anni,
con i giorni che hanno portato via a poco a poco molte persone care,
ecco che quest’idea si è fatta sempre più vicina a me e, quindi, non mi sembra giusto
né logico pensare che io non potessi veramente essermi quasi arreso,
abituato all’idea che la morte prima o poi mi avrebbe toccato molto più da vicino
di quanto potessi pensare e che quindi, conoscendo questo fatto come una cosa vera,
la sofferenza sarebbe stata per me certamente non annullata,
ma quanto meno compensata dalla comprensione di un fatto che comunque,
prima o poi, sarebbe accaduto.
Certo, l’essere immerso nella materia costituisce uno dei miei più grandi limiti,
ma è soltanto un limite apparente, Padre mio,
io lo so;
io lo so, per aver sentito le voci dei Tuoi figli, che ciò che osservo non è la Realtà,
la Realtà più grande, definitiva, ma è soltanto la copertura di una realtà immensa
di cui io conosco solamente una piccola porzione e forse, Padre mio,
forse ho anche compreso il perché di questa limitazione,
forse sono arrivato a comprendere che se davvero non avessi questa limitazione
e potessi vedere tutta la realtà fin dal mio primo incarnarmi,
resterei talmente annichilito da ciò che potrei vedere e conoscere
da trovarmi completamente bloccato nella mia evoluzione.
E poiché, Padre mio, l’idea di Te, che mi accompagni con la Tua bontà
lungo il cammino per condurmi per mano fino a congiungermi,
a diventare una vera parte di Te, mi appartiene e non mi lascia mai
anche quando io da essa distolgo l’anima,
proprio per questo motivo, Padre mio,
io sono convinto, sono certo e so, sento, comprendo,
che tutto ciò che mi accade non può accadermi altro che per il mio bene
e la mia crescita, e per questo,
Padre mio,
ti son grato e ti ringrazio.

Moti


 

 


Padre mio, quante volte io mi osservo nelle mie giornate,
guardo i miei comportamenti,
i miei atteggiamenti,
osservo ciò che io sono, ciò che mi sforzo di essere,
ciò che voglio apparire di essere,
e quante volte – nel corso di questa mia osservazione interiore –
scopro in me stesso cose di cui non sospettavo neppure minimamente la presenza.
E  allora, come tutte le creature ferite nelle proprie aspettative,
la scoperta di come veramente sono porta con sé la sofferenza;
e l’incontro con la sofferenza,
Padre mio,
mi porta quasi inevitabilmente
a reagire ad essa
mettendomi, di fronte
al mondo che mi sta dinanzi,
una maschera dopo l’altra per non apparire come colui che soffre,
per apparire come colui che è sicuro
di sé, come colui che sa,
come colui che può, come colui che ha capito,
come colui che ha compreso la vita e guarda talvolta da un gradino più alto
i propri fratelli a voler significare, quasi con una certa sufficienza,
che comprende i loro problemi perché egli li ha già ormai superati.
Poi, altrettanto inevitabilmente, qualcosa scatta al mio interno
e allora finisco col ritrovare quel minimo di umiltà
che è necessaria per andare oltre a tutto questo,
e allora mi
osservo con maggior attenzione
e le mie maschere cadono ai miei piedi una dopo l’altra
come fittizie creature che non hanno alcuna vera ragione di esistere,
e il mio mostrarmi agli altri diventa un essere me stesso
consapevole dei difetti e anche dei pregi derivanti dalle comprensioni raggiunte;
e l’umiltà che sgorga dentro di me come un piccolo timido fiume
riesce a farmi restare in secondo piano
anche quando mi rendo conto che sarebbe molto facile ergermi
a protagonista della scena se soltanto lo facessi
e se soltanto un attimo prima l’avessi voluto fare.

Anonimo


 

 


Una cosa mi chiedo, Padre mio:
io mi guardo nel mio essere in contrasto con gli altri;
io mi guardo nel mio voler essere più degli altri;
io mi guardo nel mio lottare con gli altri e con me stesso;
io mi guardo nel mio essere io tutti i giorni,
un giorno dopo l’altro, e mi chiedo:
«Ma se davvero voglio cambiare la mia vita,
allora perché non la cambio?»

Moti


 

 


Quante volte Padre mio,
quante volte io potevo comprendere
e non ho compreso.
Quante volte Padre mio,
potevo fare e non ho fatto.
Quante volte Padre mio,
io potevo aiutare eppure non ho aiutato.
Quante volte Padre mio,
ho proiettato me stesso lontano
quando c’era bisogno di me vicino.
Quante volte Padre mio,
mi sono dimenticato della Tua esistenza
per cercare soltanto ciò di cui avevo bisogno,
senza rendermi conto che c’erano altri bisogni
di cui ero responsabile.
Cosa devo fare, Padre mio,
sentirmi in colpa per questo?
Proprio tu mi hai insegnato
che sentirsi in colpa non serve a nulla.
Tutto ciò che posso fare, Padre,
è cercare da domani di essere diverso.

Moti


 

 


Padre, perdonami l’orgoglio
che mi impedisce di chiedere scusa per un mio errore,
quello stesso orgoglio che non mi fa piegare di fronte all’altrui ragione,
quello stesso orgoglio che mi fa incrinare un matrimonio,
rovinare un rapporto, sciupare un’amicizia,
piuttosto che chinare il capo ed ammettere
di avere errato.
Ti prego, Padre mio, perdonami anche per quell’orgoglio
che non mi fa accettare le idee degli altri,
che mi impedisce di sentirli miei fratelli
anche nei momenti in cui mi rivolgono delle critiche
– giuste o sbagliate che esse siano –
che non mi fa comprendere che un rimprovero, una opposizione,
possono anche essere segno di aggressività repressa
ma sempre sono segno di non indifferenza,
cioè d’amore nei miei confronti.
Concedimi il Tuo perdono, Padre mio,
per tutte le lacrime che, per orgoglio,
non ho
lasciato sgorgare dai miei occhi.
Tu lo sai che c’erano, ed erano copiose dentro di me,
ma sai anche quanta fatica mi costa mantenere integra
la mia immagine di essere orgoglioso, forte,
invulnerabile alle avversità, intoccabile dal dolore.
Aiutami, Ti prego, Padre mio,
a trovare l’unico orgoglio che veramente valga la pena di possedere:
quello di sentirmi una Tua creatura
e di poterTi chiamare Padre.

Viola

Il piano e il corpo mentale, il cervello, il linguaggio, l’intelligenza, la memoria

d-30x30Il piano e il corpo mentale. Dizionario del

Formato per la stampa, A4, 16 pagine

Il piano mentale, il suo corpo
Lingua e linguaggio
L’intelligenza
La memoria

[…] Anche il piano mentale è costituito di materia che si va formando grazie all’aggregazione di quell’unità materiale di base della materia mentale che abbiamo definito in passato unità elementare mentale.
La materia del piano mentale – analogamente a quanto avevamo detto per il piano astrale – è suddivisibile (per comodità teorica) in sette sottopiani classificabili in base alla densità della materia mentale che li compone. Si va così dal sottopiano di materia più densa (oltre il quale si arriva alla materia astrale) a quello meno denso (oltre il quale si arriva alla materia akasica).
Come la materia del piano astrale possiede la capacità di mutare e trasformarsi sotto la spinta dei desideri e delle emozioni rispondendo alle sollecitazioni emotive che provengono dall’esperienza vissuta sul piano fisico, altrettanto accade per il piano mentale. In questo caso, però, è il pensiero a indurre trasformazioni nella materia mentale che risponderà sollecitamente ad ogni pensiero emesso da un corpo mentale, mettendo in essere particolari caratteristiche come, ad esempio, la possibilità, per chi è disincarnato e consapevole sul piano mentale, di poter arrivare a conoscere tutto quello che nel passato dell’uomo è stato conosciuto con l’ausilio della sola spinta del desiderio di conoscere.
E’ evidente che anche su questo piano la spinta ad agire è fornita dal desiderio e, quindi, dai bisogni del corpo akasico: senza di essa l’individuo non si muoverebbe e la vita dei suoi corpi sui vari piani sarebbe estremamente statica.
Ritornando un attimo alla suddivisione in sottopiani del piano mentale, possiamo sostenere che i piani inferiori, quelli più densi, hanno influenza principalmente sulle funzioni fisiche e fisiologiche (nonché su quelle astrali) del corpo dell’individuo oltre che sull’uso del linguaggio e delle parole, mentre quelli più sottili forniscono all’individuo le capacità di pensiero, ovvero le capacità di elaborazione, di sintesi, di correlazione e via dicendo, tutte quelle capacità, insomma, che solitamente – per chi non è addentro come voi all’insegnamento esoterico – vengono erratamente attribuite al cervello.
Il cervello, invece, non è il produttore del pensiero: esso costituisce il principale punto di contatto del corpo fisico con il corpo mentale, è una sorta di ricettore, di traduttore di ciò che il corpo mentale elabora, ed ha il fine di rendere possibile all’individuo incarnato di esternarsi sul piano fisico e di relazionarsi sia con la complessità esterna che con la personale complessità interiore. E’ attraverso il cervello (ma non solo, perché la materia mentale contatta anche direttamente tutti i punti del corpo fisico mettendo in atto meccanismi locali di autodifesa fisiologica, per esempio) che il corpo mentale influisce sul corpo fisico, lo fa muovere e agire per seguire ciò che i pensieri che il corpo mentale ha elaborato lo inducono a sperimentare nel corso della vita.
Se vi chiedessi a cosa serve il corpo mentale sono certo che tutti voi rispondereste che serve per pensare ed io non potrei che assentire, tuttavia il corpo mentale è più complesso e ha altre importanti funzioni oltre a quella di elaborare il pensiero, funzioni che osserveremo più avanti. D’altra parte per quanto riguarda il pensiero potreste commettere l’errore che esso abbia la sua nascita, la sua genesi, all’interno del corpo mentale, mentre in realtà non è così: il pensiero nasce e viene a formarsi sotto la spinta dei bisogni di comprensione dell’akasico e, ancora più precisamente, sono le vibrazioni akasiche che, interagendo con la materia mentale, mettono in moto all’interno di essa quell’insieme di vibrazioni che porta la materia mentale ad elaborare quella forma di dati concatenati che costituisce quello che comunemente viene definito pensiero.
Ma vedremo in seguito di fornirvi un quadro un po’ meno approssimativo di come e perché ciò avvenga, sperando di riuscire ad essere il più chiaro possibile in un campo difficile da spiegare mettendolo alla portata di individui incatenati alla fisicità.
Naturalmente anche per il corpo mentale è valido quanto detto per il corpo astrale: esiste un’atmosfera mentale ed esiste un ambiente mentale; le loro caratteristiche generali sono rapportabili a quanto detto per il corpo astrale e fisico (Ndr: vedere il volume «La fonte del desiderio e delle emozioni «) e su di esse non ha molta importanza soffermarci più che tanto, se non per sottolineare che l’ampiezza e la forza di quest’ambiente e di questa atmosfera sono direttamente riferibili alla qualità e alla forza delle vibrazioni emesse dalle materie che compongono il corpo mentale dell’individuo incarnato.
Ascoltando le vostre discussioni mi sembra di aver individuato un fraintendimento delle parole dell’insegnamento o, quanto meno, una non perfetta comprensione di quale sia il rapporto tra il corpo mentale dell’individuo ed il suo essere vivo all’interno del piano fisico. Vediamo se riesco a riassumere uno dei luoghi comuni a cui siete fortemente attaccati e dal quale voglio cercare di farvi un poco discostare.
Voi dite: «L’organo che manifesta il corpo mentale è il cervello».
Bene, fratelli miei, non è esattamente così: come al solito la Verità è più ampia di quanto solitamente la mente umana riesca a immaginare, anche nei suoi momenti di più sfrenata inventiva! Per farvi comprendere dove voglio arrivare devo, purtroppo, tornare un attimo indietro a concetti ormai lasciati alle spalle però necessari per portarvi a comprendere.
Avevamo detto spesso che le materie dei vari corpi dell’individuo non sono (come può apparire a prima vista a causa della catalogazione usata per fornirvi le nozioni dei piani di esistenza) una sopra l’altra ma, più giustamente, esse si compenetrano, cosicché delimitando una qualsiasi porzione del corpo dell’essere incarnato, si individua non soltanto una porzione di corpo fisico ma, anche, una porzione di corpo astrale e una di corpo mentale. Questo significa che un’esperienza che interessa una certa porzione del corpo fisico, interessa contemporaneamente una porzione del corpo astrale e una del corpo mentale.
Per fare un esempio pratico: state raccogliendo delle rose dal vostro giardino quando una delle sue spine vi punge un dito.
Cosa si può presumere che accada ai vostri corpi inferiori in concomitanza con la puntura di quella spina?
Come conseguenza della lacerazione della pelle del vostro dito vi sarà la reazione da parte del vostro corpo fisico, reazione che porterà, per esempio, alla fuoriuscita di sangue o all’arrossamento della parte ferita.
Contemporaneamente la spina avrà provocato al vostro dito una sensazione di dolore e questa sensazione di dolore si trasforma, all’interno del vostro corpo astrale, in un’emozione: vuoi una semplice emozione di risposta alla sensazione fisica del dolore subito vuoi, per fornirvi un esempio, la stizza per non essere stati abbastanza attenti nel cogliere la rosa.
La vostra reazione irata giunge al vostro corpo mentale che, sfrondandola dalle emozioni avvertite, la analizza e deduce da quell’esperienza le conseguenze logiche che può trarre da quel piccolo incidente, ad esempio la necessità di prestare una maggiore attenzione alle proprie azioni.
Quello che voglio sottolineare è che tutto questo lavorio può avvenire completamente al di fuori del vostro cervello: la materia mentale collegata al dito ferito porta al corpo mentale i risultati di quell’esperienza senza necessariamente passare per il cervello.
Penso che voi non sarete completamente d’accordo con le mie parole o, quanto meno, che nutrirete dei forti dubbi: forse che, obietterete, il dolore sentito non passa per il cervello? Non posso che essere d’accordo con voi su questo punto, tuttavia le cose non stanno propriamente come pensate voi.
Per prima cosa vorrei ricordarvi che l’organo che voi definite cervello è un insieme di materia fisica al quale, come dicevo poco prima, è collegata sia una porzione di materia astrale che una porzione di materia mentale. Se siamo d’accordo (e penso di sì) che ogni materia interagisce con le altre nei corpi dell’individuo, allora dobbiamo arrivare a dedurre che il cervello è comunque sottoposto direttamente anche alle influenze del corpo fisico e a quelle del corpo astrale, e non solo a quelle del corpo mentale. Tant’è vero che un forte trauma fisico può provocare, per fare un esempio, una totale amnesia, così come una forte emozione può ripercuotersi sui centri del linguaggio siti nel cervello provocando un’improvvisa balbuzie o un’incapacità a profferire alcunché.
Allora, in che senso è stato detto, in passato, che il cervello è la centralina del corpo mentale?
Nel senso che il cervello è costituito in maniera tale da fare da raccolta per la maggior parte dei dati provenienti dalle sensazioni e dalle emozioni che provengono dall’esperienza sul piano fisico (attenzione: solo la maggior parte, però, e più avanti vi spiegherò cosa resta fuori) radunandoli in maniera compatta per favorirne la ricezione da parte del corpo mentale il quale, in risposta, attraverso il cervello stesso, diramerà gli aggiustamenti che riterrà necessari (sia alla materia astrale che a quella fisica) in base ai dati ricevuti.
In altre parole, se non vi fosse il corpo mentale a sovrintendere il cervello, la nostra puntura al dito potrebbe avere come conseguenza, per esempio, uno sgorgare del sangue molto più protratto nel tempo di quanto accade in realtà, perché le difese automatiche del corpo fisico non garantirebbero il pressoché immediato attivarsi del lavorio fisico che permette di accelerare il processo di arresto del sangue.
Allo stesso modo il dolore provato sarebbe più duraturo nel tempo, di conseguenza l’emozione del corpo astrale più intensa e prolungata con le ovvie conseguenze che ciò potrebbe portare. Ecco, quindi, che il cervello può essere senza dubbio visto anche come l’organo a cui è collegato il corpo mentale ma, principalmente, va immaginato come l’organo usato dal corpo mentale per diramare nel corpo astrale e nel corpo fisico le direttive che da lui provengono.
Avevo affermato in precedenza che il cervello raccoglie le risultanze della maggior parte delle percezioni, delle sensazioni e delle emozioni che provengono dall’esperienza fatta sul piano fisico, lasciando così intendere che vi è una parte di queste percezioni, sensazioni ed emozioni che possono non arrivare al cervello.
Così è, infatti: esiste una grande quantità di piccole sensazioni e percezioni fisiche, oltre che di emozioni astrali, che possiamo definire localizzate in una determinata area fisica o astrale, le quali perdono velocemente la loro valenza di disturbo, cosicché le reazioni che provocano non arrivano al cervello ma vengono in qualche maniera gestite e sistemate, direi quasi automaticamente, da quella porzione del corpo mentale collegato alle parti in questione. Accade cioè che determinate porzioni di materia del corpo mentale, senza passare per il flusso e riflusso tra cervello e corpo mentale, mettono in atto e coadiuvano le leggi naturali che, spontaneamente, tendono a riportare tutta la materia di tutti i piani ad una condizione di stabilità e di equilibrio.
E’ chiaro, ad esempio, che un piccolo e trascurabile foruncolo cutaneo non viene aiutato a risolversi direttamente dal cervello o dal corpo mentale nel suo insieme, bensì dalla parte di materia del corpo mentale ad essa collegata, la quale metterà in azione localmente quell’attività biologica e fisiologica che porterà gradatamente alla guarigione del foruncolo in questione.
Quello che mi premeva farvi capire con questi miei ragionamenti, era che il cervello, di per se stesso non è autonomo se non nella misura in cui mette in atto le leggi della natura all’interno del corpo fisico, e anche in questo caso è comunque costretto a incanalarsi e a muoversi lungo i binari che le leggi naturali gli hanno messo a disposizione..
Volevo, inoltre, farvi rendere conto che il corpo mentale influisce su ogni individuo anche al di là del suo cervello… se così non fosse non avrebbero senso, ad esempio, i lunghi anni di vita dei cerebrolesi, e la loro esistenza potrebbe soltanto sembrare una prova evidente dell’inesistenza di Dio o, quanto meno, della sua indifferenza – se non addirittura ostilità – verso l’essere umano.
Le Guide, nel corso degli anni, hanno tolto a quest’organo del corpo umano molta della sua importanza (pur non potendone certamente negare l’assoluta necessità e insostituibilità) asserendo, ad esempio, che la concezione comune che sia il nostro cervello a pensare sia sbagliata e che, in realtà, colui che pensa è il corpo mentale, cosicché il cervello obbligatoriamente deve essere identificato più come l’organo del corpo fisico che riflette sul piano fisico i pensieri emessi dal corpo mentale che come il rappresentante principe dell’individuo stesso. A mia volta io vorrei togliere al cervello un’altra ipotetica funzione che la mitologia del paranormale gli attribuisce: quella di essere l’organo che trasmette telepaticamente.
La telepatia avviene non da cervello a cervello come solitamente viene ritenuto, bensì da corpo mentale a corpo mentale, attraverso le energie e le materie proprie del piano mentale. Nelle comunicazioni telepatiche non si può trovare, quindi, nulla che possa venire misurato con l’ausilio di una strumentazione fisica, e questo dà ragione ai detrattori del paranormale che affermano di non aver riscontrato emissioni cerebrali particolari che possano dare ragione di un passaggio di informazioni telepatiche da un individuo ad un altro.
Naturalmente ciò non prova che costoro abbiano ragione, ma semplicemente che essi – con la presunzione e la mancanza di umiltà che spesso accompagna la scienza – presumono e teorizzano sulla base di informazioni altamente deficitarie che, in quanto tali, non consentono loro una visione adeguata della realtà, quanto meno per l’argomento in questione.
Dal canto mio sorge spontaneo il chiedermi: è poi davvero così importante ed essenziale provare l’esistenza della telepatia o dimostrarne l’inesistenza?
Esistono senza alcun dubbio altre cose ben più importanti ed essenziali (oltretutto già ben più che provate) a cui dedicare le proprie energie. E’ provata l’esistenza di milioni di persone che non hanno di che cibarsi o che muoiono per le strade durante l’inverno perché non hanno una casa in cui vivere.
Ma, purtroppo, è tipico di una certa categoria di esseri umani preoccuparsi più di dimostrare l’esistenza o l’inesistenza della telepatia che, magari, di far crescere in maniera sana – interiormente ed esteriormente – i propri figli.

* * *

Parola, lingua, linguaggio

Tra i doni che il Grande Architetto ha elargito a quella fase dell’evoluzione che è rappresentata dall’essere umano, ve n’è uno che può essere considerato lo strumento principale per il rapportarsi dell’uomo non soltanto con se stesso ma, specialmente, con ciò che gli è esterno.
Questo dono è la parola.
La parola fornisce all’uomo i mezzi per esprimere ciò che prova interiormente, per attuare i dettami della sua evoluzione o dei suoi bisogni di comprensione all’interno del piano fisico.
Certamente anche un muto può rapportarsi con la realtà a lui esterna e con quella interiore ma, certamente, rapportarsi agli altri attraverso il linguaggio dei gesti o, magari, la scrittura, non offre le stesse possibilità di evidenziare le sfumature del proprio essere che offre l’uso del linguaggio, né la stessa velocità di esternazione di se stessi.
Il linguaggio dell’uomo è strettamente correlato all’evoluzione dell’essere umano; come disse una volta il fratello Scifo: il linguaggio di una popolazione è andato differenziandosi da quello di un’altra non soltanto per ragioni «filologiche «, ma anche per consonanza di tipo di vibrazione ai bisogni evolutivi di una certa popolazione.
Se ci pensate un attimo con attenzione potrete facilmente rendervi conto da soli che le varie lingue sono associate a particolari caratteristiche generali delle popolazioni che le usano; basti pensare alla lingua italiana che con la sua complessità, la sua vivacità, il suo fluire un po’ fracassone identifica abbastanza precisamente quali sono le peculiarità caratteriali della popolazione italiana… fornendo, ovviamente, non un’immagine del singolo individuo, bensì quella della popolazione nel suo complesso.
«All’inizio era la Parola» viene detto negli antichi testi sacri».
Avete mai provato a pensare a questa frase rapportandola all’insegnamento che vi abbiamo proposto in questi anni?
Come la si può tradurre nell’ottica del nostro insegnamento filosofico?
E’ sufficiente pensare che la parola è un suono, quindi un’emissione di vibrazioni, per trovarsi la soluzione a portata di mano: gli antichi saggi (che avevano afferrato la Verità ma potevano soltanto offrirla in maniera che si svelasse solo a chi era pronto a recepirla) sapevano, evidentemente, quanto da noi detto, ovvero che la creazione della Realtà, la formazione dei Cosmi, il Grande Disegno, hanno avuto origine da una vibrazione Prima che ha indotto nelle materie che attraversava quel soffio – ancora una vibrazione, a ben vedere, e il Soffio è l’analogo orientale del termine Parola (o Verbo) usato dagli occidentali – che vivificava e differenziava la materia dando il via alla creazione della Realtà.
Non è mia intenzione addentrarmi in questioni filosofiche troppo profonde e complesse che possono magari soddisfare il palato di alcuni di voi ma che risultano certamente noiose e troppo rarefatte per la maggior parte degli altri possibili lettori di questi miei discorsi..
Voglio invece arrivare ai rapporti tra il cervello e il corpo mentale per quello che riguarda la parola.
E’ evidente che il cervello è strettamente legato alla parola: il semplice fatto che la medicina abbia accertato la presenza nel cervello di particolari aree che permettono lo sviluppo e la produzione del linguaggio da parte dell’individuo ne è una prova decisamente incontestabile.
Se il cervello non ha quelle aree integre all’individuo non è possibile parlare.
Ma è possibile che, anche in quelle condizioni menomate, egli possa pensare? Certamente sì: anche questo, dall’osservazione dei fatti della vita, risulta incontestabile.
Ma il pensiero del muto è fatto di parole?
Ancora una volta bisogna rispondere di sì, anche se la conseguenza logica di quanto stavamo dicendo potrebbe aver fatto supporre una risposta negativa a questa domanda. Vediamo di arrivare a questo punto partendo da un’altra angolazione.
Il corpo mentale, abbiamo detto, è il vero «pensatore «, è colui che pensa, mentre il cervello è soltanto l’organo attraverso il quale i pensieri del corpo mentale si «fisicizzano» per espletarsi nella realtà fisica dell’individuo.
Tuttavia il corpo mentale non pensa necessariamente solo attraverso parole: usa simboli, concetti, condensazioni di dati, vibrazioni complesse propri della materia mentale che, comunque, non sarebbero riconoscibili come parole così come siete abituati ad ascoltarle voi.
Due entità consapevoli sul piano mentale possono comunicare tra di loro, ma la loro comunicazione può non avvenire attraverso le parole bensì attraverso l’uso di vibrazioni che hanno la stessa funzione della parola per l’uomo incarnato, ma che portano in sé una massa molto più complessa di dati e di elementi rispetto alla parola, cosicché la comunicazione risulta più completa e ricca di informazioni.
Com’è, allora, che viene a formarsi la parola quale risultato della trasmissione dei pensieri del corpo mentale verso il fisico?
Ciò avviene attraverso la decodifica delle vibrazioni del pensiero del corpo mentale attuata spontaneamente da certe zone del cervello che ricevono le vibrazioni mentali e, per approssimazione o similitudine, le associano a quegli schemi vibratori che, al suo interno, sono associati alle varie parole.
Se si considera il fatto che la creazione cerebrale delle parole del linguaggio dell’individuo è subordinata alle cose apprese nel corso dell’esistenza (dalle voci degli altri – i genitori in particolare – a ciò che l’individuo impara studiando, leggendo, comunicando e via dicendo) ci si può rendere facilmente conto che la traduzione del pensiero del corpo mentale in parola all’interno del cervello è, ovviamente, condizionata dagli schemi di linguaggio presenti nel cervello in questione, schemi che gli permetteranno di esprimere in maniera esatta solo una parte dei reali pensieri del corpo mentale.
Per farvi un esempio di ciò che potrebbe accadere, il corpo mentale di un pigmeo potrebbe meditare sulla fisica quantistica ma il pigmeo non potrebbe mai tradurre in comunicazione comprensibile agli altri pigmei intorno a lui questi pensieri perché non ha assimilato nel proprio cervello gli schemi vibratori necessari per esprimere concetti di quella portata e di quella complessità.
Ciò non significa (e qua torniamo all’impossibilità di giudicare gli altri) che il pigmeo in questione non abbia magari in sé, e anche compresi, quei concetti.
Né tanto meno, ovviamente, che tale impossibilità lo possa far classificare inferiore rispetto ad un fisico quantistico che, molto spesso, per fare un esempio, perde più facilmente contatto con la realtà e con ciò che è importante nella vita di quanto accade al più ignorante e incolto dei pigmei! Ne consegue, a questo punto, la funzione e l’utilità della cosiddetta «cultura «: attraverso di essa vengono forniti al corpo mentale degli schemi e delle associazioni cerebrali più complesse e diversificate che gli offrono la possibilità di trasmettere all’esterno di se stesso, durante la comunicazione fisica, una maggiore quantità di sfumature e di concetti.
Come sempre esiste il rovescio della medaglia che, nel caso dell’uomo colto, è costituita dalla presunzione che può permeare chi possiede una certa cultura o l’incapacità, fra la diversificazione estrema delle sfumature, di perdere di vista quelle che sono le linee logiche e più importanti del pensiero trasmesso dal corpo mentale (che, non dimentichiamolo, ha la funzione di avviare verso la comprensione) caricandolo di sovrastrutture spesso superflue che offrono spunti e occasioni all’Io per mascherare meglio ciò che non vuole conoscere, riconoscere o affrontare.

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Intelligenza

Definire cosa sia l’intelligenza è sempre stato alquanto ostico per tutti coloro che, nei millenni, si sono provati a farlo.
Nella maggioranza dei casi essa ha finito con l’essere definita rapportandola a particolari qualità dell’individuo, rendendo quindi la definizione, già di per sé, soggettiva e relativa al punto di vista di chi ha tentato di definirla.
Ancora oggi non vi è una definizione unanime: chi la definisce come capacità di risolvere problemi, chi la teorizza come capacità di adattarsi alle situazioni nuove, chi la divide in settori cercando di isolarne i vari fattori, arrivando, così, a parlare di intelligenza motoria o verbale o attitudinale… e via dicendo.
In tutti i casi, però, la conseguenza sembra essere stata quasi sempre questa: l’intelligenza dell’individuo è stata vista, nei secoli, come qualcosa di strettamente legato a ciò che egli esplica sul piano fisico, nel suo rapportarsi quotidiano con ciò che la vita di ogni giorno, di volta in volta, gli presenta.
Io ritengo che tutti questi criteri (anche se utili per cercare di quantizzare qualche aspetto particolare dell’individuo) hanno il difetto di cercare di voler dimostrare qualche cosa senza avere una vera idea di partenza di che cosa sia, realmente, ciò che si desidera misurare, ed hanno nella loro relatività i limiti stessi della loro capacità di definire univocamente cosa sia l’intelligenza.
Facciamo alcuni esempi per cercare di chiarire cosa intendo dire.
Se l’intelligenza potesse essere definita, come sostengono alcuni, come la «capacità di risolvere problemi» questo dovrebbe significare, per assurdo, che un bravo falegname è senza ombra di dubbio più intelligente che so io, di un Einstein per il quale piantare nel modo giusto un chiodo era qualcosa che andava al di là delle sue possibilità manuali (o, forse, del suo interesse).
Se l’intelligenza potesse essere definita come «capacità di adattarsi alle situazioni nuove «, invece, la maggioranza di voi potrebbe essere facilmente etichettata come «idiota» dal momento che non riuscirebbe a fare ciò che riesce a fare, egregiamente e senza grosse difficoltà, una qualunque scimmia nelle foreste indiane, cioè sopravvivere.
Se vogliamo, perciò, trovare una definizione di intelligenza che sia adattabile ad ogni creatura, bisogna trovare un metro uniforme, che valga per chiunque e in qualunque condizione quotidiana egli possa trovarsi… e non vi può essere che un elemento che soddisfi pienamente queste condizioni a cui poter fare riferimento: l’evoluzione.
Tenendo, quindi, come punto di partenza l’evoluzione, secondo me si potrebbe definire l’intelligenza come la capacità di trarre elementi utili per la propria comprensione (e quindi per la propria evoluzione) riuscendo a non farsi fuorviare da ciò che si sta vivendo.
Non ha più alcun senso, usando quest’ottica, parlare di persone più intelligenti o meno intelligenti: ha maggiore intelligenza chi ha compreso più elementi della Verità e più facilmente riesce ad attenersi ad essa, e questo accade come semplice conseguenza derivante dal fatto di aver più elementi compresi e quindi maggiore possibilità di intrecci e di connessioni tra di essi.
Questo non significa che chi è più intelligente sia più bravo, oppure che sia migliore, né, tanto meno, che di fronte ad un’avversità non soffra.
Significa solamente che, con tutta probabilità, la sua sofferenza sarà limitata, nel tempo e nell’intensità, dalla comprensione della Verità.
Significa che cercherà non di prevaricare chi appare meno intelligente di lui ma di apprendere da costui quelle sfumature che egli stesso, magari non ha ancora appreso.
Significa essere consapevoli di aver imparato molto ma, anche, di aver ancora molto da imparare, con l’enorme senso di umiltà che, inevitabilmente, ciò porta con sé.
Voi, da bravi scolari che hanno assimilato l’insegnamento rileverete che avevamo detto che nessuno, quando è incarnato, esprime realmente, fino in fondo, l’evoluzione che possiede, essendo soggetto alle limitazioni espressive dei corpi transitori che di volta in volta possiede e che, essendo mirati a conseguire essenzialmente, nel corso di quella vita, solo definite porzioni di comprensione, non sono strutturati in maniera tale che le comprensioni accantonate nel corpo akasico (e quindi l’evoluzione raggiunta) possa fluire in maniera soddisfacente e manifestarsi nell’individuo nel corso della sua esperienza sul piano fisico.
Questo non invalida il rapporto che abbiamo cercato di definire tra evoluzione e intelligenza dell’individuo, ma pone semplicemente dei limiti alla sua espressione, portando con sé l’ovvia conseguenza che, comunque, dal comportamento che tiene l’individuo nel corso della sua vita non è possibile (specialmente osservandolo dall’esterno) risalire alla sua intelligenza reale, né, tanto meno, arrivare a quantificare l’evoluzione che egli possiede.
Lasciando l’Assoluto fuori concorso perché con Lui, com’è ovvio, non esiste possibilità alcuna di gareggiare, volete sapere chi, secondo me, è l’individuo più intelligente di chiunque altro? E’ quell’individuo che è capace di seguire in maniera spontanea il Grande Disegno, sorretto dalla consapevolezza che ciò che accade accade perché è necessario che accada e che, comunque, niente di meglio per sé potrebbe mai auspicare che accadesse.
«Comportamento passivo alla orientale» sentenzierete voi, ma non vi è nulla di passivo in quanto ho affermato: non ho detto che il Grande Disegno va subito passivamente anzi, l’intelligenza viene messa in atto e dimostrata nel momento stesso in cui l’individuo riesce a seguire (oppure, al limite, cerca di opporsi ad esso) andando contro ciò che il suo Io transitorio gli detterebbe di fare e riesce a rendere utile per una sua ulteriore crescita proprio la constatazione della differenza tra ciò che il suo Io vorrebbe che fosse e ciò che, invece, nella realtà quotidiana dei fatti, è.
L’intelligenza, quindi, fratelli miei, non è un attributo del corpo fisico, né del cervello, né del corpo mentale.
E’, invece, un attributo dell’intero individuo con tutti i suoi corpi e nasce e si struttura – parallelamente a quanto accade per la comprensione – proprio a seguito di come egli riesce ad usare nella maniera migliore tutti quei corpi, tutti quegli strumenti che gli sono stati forniti per aiutarlo ad avvicinarsi, passo dopo passo, alla Verità.
Da quello che ho detto in precedenza sembra che io attribuisca un ruolo di poca importanza alla cultura.
Non potreste pensare niente di più sbagliato: la cultura è un’acquisizione importante per ogni essere umano perché gli fornisce gli strumenti per comprendere meglio, attraverso l’uso appropriato del suo corpo mentale, ciò che vive. Inoltre, come ho accennato in precedenza, fornisce catene logiche, addentellati, possibilità di paragone, di connessione, di confronto con ciò che altri hanno detto o fatto nei secoli e che, magari, lui non ha mai esperito.
Se prendessimo un evoluto e gli facessimo vivere una vita situata in un ambiente culturalmente molto povero, teoricamente sarebbe un individuo che vive una vita tra le più infelici ed inutili perché gli verrebbero a mancare i mezzi per esprimere il suo livello evolutivo (anche se, come sempre accade in ogni incarnazione, l’evoluzione personale viene espressa soltanto in maniera limitata rispetto all’evoluzione reale posseduta). Questo è vero solo teoricamente, però, e vorrei spiegarvene i motivi.
Innanzi tutto ogni individuo che si incarna lo fa nel tempo e nel luogo più adatti ad esprimere il proprio livello evolutivo.
In secondo luogo non dovete pensare che la vostra cultura sia data soltanto da ciò che avete appreso nel corso della vita corrente: il concetto di cultura andrebbe considerato, in realtà, molto più vasto e complesso, e dovrebbe abbracciare tutto quello che l’individuo ha imparato e conosciuto nel corso delle sue varie vite.
Infatti, ciò che è stato sperimentato e che si ha imparato durante le varie reincarnazioni non è andato perduto ma ha lasciato, all’interno del corpo akasico dell’individuo, quelle tracce importanti e insostituibili che noi abbiamo definito comprensioni e che sono essenziali alla costituzione e a all’allargamento della coscienza, del sentire dell’individuo e, di conseguenza della sua evoluzione..
In altri termini: se si può affermare che il cervello del neonato, nei primi momenti di vita può essere considerato una «tabula rasa» (cioè privo di cognizioni), lo stesso non non si può affermare per il corpo mentale che, per la sua vicinanza al corpo akasico che «gestisce» la sua costituzione, ritrova facilmente gli allacciamenti con ciò che ha appreso e compreso nelle vite precedenti, dando luogo ad una base su cui il nuovo individuo incarnato andrà ad aggiungere le nuove conoscenze e comprensioni che incontrerà nel corso della vita che si troverà a dover vivere.
Questo spiega determinate «inclinazioni» dell’individuo: per esempio chi ha trascorso una vita studiando musica può, nelle vite successive, mostrare una particolare facilità per tutto quello che riguarda la musica, trovando in sé capacità insospettate o particolare velocità di apprendimento (sarebbe meglio dire di riapprendimento!) in quell’ambito.
Non dimentichiamo che il corpo mentale si costituisce certamente in base alle necessità evolutive dell’individuo nel corso della vita che va a vivere, tuttavia raccogliendo il tipo di materia mentale che l’evoluzione raggiunta (e quindi anche la conoscenza) gli permette di attrarre a sé.
Dire – come talvolta viene detto – che il corpo akasico «ordina» la costituzione di un particolare corpo mentale può, forse, trarre in inganno: è probabilmente più esatto dire che il corpo mentale si costituisce, ad ogni incarnazione, grazie alle sollecitazioni vibratorie dei bisogni di comprensione dell’akasico in maniera tale che viene data preminenza alla raccolta di quel tipo di materia mentale che può essere più valida nell’aiutare, appunto, a raggiungere le comprensioni di cui l’akasico sente la mancanza.
Vediamo di fare un esempio pratico. Supponiamo che l’individuo che si deve incarnare abbia necessità di comprendere che non è la cultura la cosa più importante della vita.
Sotto la spinta delle vibrazioni akasiche possono esservi – per non complicarci troppo le cose – almeno due diverse possibilità (ricordate, naturalmente, che stiamo semplificando molto le cose: non vi è mai un solo fattore vibratorio di richiesta akasica, ma molteplici, ed essi si combinano dando vita a un corpo akasico che risponde a tutti questi molteplici fattori a seconda dell’urgenza o dell’importanza delle cose da comprendere).
In un primo caso il corpo mentale raccoglie in sé principalmente materia dei sottopiani mentali superiori, quelli più rarefatti e preposti al ragionamento, fornendo così, all’uomo che nasce, un corpo mentale portato a conoscere, a correlare, a paragonare; portato, cioè, a fare della cosiddetta «intelligenza umana» il perno, il motore della propria esistenza. E’ evidente che, possedendo con un corpo mentale di tale genere, la sua vita sarà portata verso la sperimentazione delle proprie capacità mentali con la tentazione di considerarle il mezzo principe per agire nelle giornate. Ciò lo potrebbe portare alla comprensione che il ragionamento, la cultura, la conoscenza da soli non bastano a rendere l’individuo migliore.
In un secondo caso potrebbe accadere, invece, esattamente l’opposto: il corpo mentale si costituisce (sotto la spinta di altre necessità ritenute dall’akasico probabilmente primarie) raccogliendo materia dai sottopiani più densi del mentale, quelli a cui fanno capo la vita istintiva e la reattività fisiologica e fisica.
In questo caso l’individuo non avrebbe «l’intelligenza» adatta per occuparsi più che tanto della cultura e della conoscenza, ma potrebbe arrivare a comprenderne l’utilità e la necessità in determinati aspetti della vita; ecco che così potrebbe arrivare a rendersi conto – come nell’altra ipotesi che abbiamo fatto – che l’individuo ha necessità di tutte le sue componenti e che nel momento in cui ne adopera una sola a scapito delle altre crea una disarmonia e, quindi, una maggiore difficoltà di comprensione per l’akasico che riceve dati parziali, poco collegabili agli altri che gli giungono inducendolo a rinviare le vibrazioni di richiesta di maggiori informazioni utili ad una vita successiva.
Tutto questo sta a significare che può accadere, per assurdo, che l’individuo di ottima evoluzione non abbia un corpo mentale tale da brillare per «intelligenza» agli occhi degli altri uomini che l’osservano.
Questo significa ancora che (lo abbiamo già accennato in precedenza, ma essendo un elemento la cui comprensione è basilare ci tengo a ripeterlo) è difficile giudicare l’evoluzione di un individuo incarnato sulla scorta di come si comporta nel corso della vita perché, certamente, non mostra tutta l’evoluzione che possiede ma soltanto quella che riesce a farsi strada nelle materie che compongono, in quel momento, i suoi corpi transitori.
Ai fautori della conoscenza non posso che rivolgermi ricordando loro che, come dicono sovente le Guide, conoscere non significa aver compreso. Se così fosse la via verso la Verità sarebbe semplicissima e ben delineata: basterebbe leggere per tutta la vita immagazzinando dati su dati.
Certamente avere una base ben articolata di conoscenza aiuta il corpo mentale a ben strutturare, a sua volta, i dati che gli provengono dall’esperienza fisica ma non bastano a dargli la comprensione di quello che sta vivendo. E ne è dimostrazione la vita «sconsiderata» o poco «intelligente» di molti dei cosiddetti «geni» della scienza.
A coloro che si dimostrano ansiosi di conoscere, nella speranza di fare più presto a comprendere, dico invece che la comprensione non è una formula matematica: inserisco una conoscenza e da essa ricavo una comprensione! Molte volte le conoscenze sono errate, sono incomplete, sono illusorie, si contrastano tra di loro, cosicché è lecito affermare che è meglio conoscere poco e ottenere da questo poco una piccola ma sentita comprensione, piuttosto che conoscere molto e, magari, non ottenerne alcuna.
A chi cerca, invece, di conoscere la Verità suprema ricordo che la strada verso di essa è costruita sui mattoni costituiti dalle piccole comprensioni di tutti i giorni e che ogni piccola comprensione quotidiana dimenticata alle spalle nella ricerca della Verità suprema non fa altro che rendere questa Verità più lontana, irraggiungibile e impossibile da comprendere anche se non da conoscere.
Ma la conoscenza – e questo lo ricordo a tutti – da sola non basta a dare evoluzione.
Da quanto vi ho esposto sino a questo punto si potrebbero dedurre abbastanza facilmente quali sono le varie funzioni del corpo mentale, tuttavia forse val la pena di fare su di esse un discorso un poco più strutturato, in modo da fornirvi un quadro complessivo e organico e facilitare così una visione più unitaria e logica di quanto ho detto frammentariamente.
Abbiamo osservato in precedenza cos’è il cervello in realtà e come, pur essendo un organo straordinariamente complesso e utile per l’individuo, non debba alla fin fine essere considerato che una sorta di centralina di smistamento dei vari segnali vibratori che provengono dagli altri corpi e, in particolare, dal corpo mentale. Già perché – e forse dalle mie parole non risultava abbastanza chiaro – al cervello pervengono anche le vibrazioni provenienti dal corpo astrale ed esso, adoperandole in concomitanza con quelle che gli vengono dal corpo mentale, provvede a modularle e articolarle in maniera da riuscire a farle affiorare nel modo in cui l’individuo affronta le esperienze che gli si presentano nel corso della vita.
Risulta evidente, da quest’analisi, che il cervello diventa una sorta di interfaccia tra ciò che è interiore nell’individuo e ciò che di sé appare all’esterno dell’individuo stesso. Possiamo perciò vederlo come un traduttore di stimoli interni in reazioni esterne e, in ultima analisi, come lo strumento che permette alle vibrazioni degli altri corpi di arrivare a manifestarsi sul piano fisico nella vita di relazione con gli altri, dando una forma rappresentabile a se stesso e agli altri di quello che abbiamo definito col termine «Io».
«Io» che è certamente illusorio, perché nessuna delle persone incarnate è veramente ciò che dall’Io viene manifestato ma che, comunque, offre la rappresentazione di come ciò che serve al corpo akasico per raggiungere elementi di comprensione, influenza il modo di agire dell’individuo e interpreta nell’esperienza pratica quotidiana i bisogni della coscienza.
In rapporto al cervello, dunque, la funzione del corpo mentale è quella di fornirgli la decodificazione di ciò che riceve dall’akasico in una forma tale che esso possa a sua volta renderla adatta a interagire con ciò che l’individuo sta attraversando sul piano fisico.
Se è vero che l’individuo può raggiungere delle comprensioni anche se è solo, in cima alla più alta delle montagne, è anche vero che ha maggiore possibilità di comprendere nei momenti in cui, invece, si trova a contatto con le altre persone, con le quali può condividere le esperienze che fa, confrontando le proprie reazioni, i propri ragionamenti, le proprie deduzioni con quelli altrui.
Nel primo caso la comprensione raggiunta sarà meno complessa e avrà, comunque bisogno di una verifica in cui ciò che si ha compreso viene applicato nel rapporto con gli altri individui. Infatti uno degli aspetti fondamentali che caratterizza l’essere umano e la sua evoluzione è dato dall’essere egli un uomo «sociale» e costituito in maniera tale che la vita di relazione gli è necessaria e indispensabile per comprendere tutte quelle sfumature, piccole ma importanti, che precisano e chiariscono la comprensione, rendendola completa.
E’ ovvio che per poter sfruttare al massimo la vita di relazione diventa estremamente necessario poter comunicare in qualche maniera con gli altri esseri umani, e poterlo fare in una maniera tale che la comunicazione non si limiti a risposte categoriche (sì-no) ma fornisca un quadro più completo agli interlocutori. E’ necessario, cioè, avere una piattaforma comune sulla quale poter interagire e sulla quale inserire gli elementi personali dell’individuo in modo da poter cercare una condivisione dei tratti in comune dell’esperienza o di poter offrire una pluralità di possibilità l’uno all’altro per far sì che vi sia veramente uno scambio e non soltanto una constatazione del modo di essere dell’altro.
Questo è reso possibile dalla presenza del linguaggio. Senza dubbio una porzione di comunicazione avviene anche attraverso quel linguaggio non corporeo che è fatto di gestualità, espressioni fisiche, mimica facciale, ma questo tipo di linguaggio non verbale può mettere in mostra quelli che sono i bisogni del momento dell’individuo, senza fornire però, a lui stesso o a chi lo osserva, alcun elemento aggiuntivo che serva a comprendere la complessa realtà interiore della persona.
Il linguaggio offre, invece, una possibilità ben più strutturata e completa perché presenta una miriade di dati aggiuntivi e, se ci si sofferma con attenzione ad ascoltare una persona che parla, si possono intanto dedurre degli elementi importanti della persona stessa: la cultura che possiede, l’ambiente sociale di appartenenza, la capacità di esprimere se stesso e via dicendo, tutte nozioni di base che danno già da subito una prima visione di ciò che è, in quella vita, quella persona. Si possono intravedere quali sono i suoi interessi, qual è la sua capacità di costituire delle relazioni, di compiere delle analisi, quali sono i suoi limiti mentali e così via rendendo ancora più definito il quadro che ci si costruisce dell’altra persona.
Certo, non bisogna dimenticare che spesso, nell’osservare gli altri, si vede solo ciò che, per qualche motivo personale, ci colpisce in maniera particolare, magari perché appaga qualcosa in noi stessi, e si trascurano o non si vedono cose che per noi sarebbero scomode da accettare; ciò non toglie che si agisce, comunque, su una base comune, perché comuni sono i punti di partenza e le meccaniche che ci spingono: dal bisogno di raggiungere la comprensione all’andare incontro alla sofferenza quando non si riesce a fare quell’ultimo piccolo passo che porterebbe alla visione di una porzione più reale di noi stessi, perché magari abbiamo paura di rendercene conto, senza accorgerci che l’unico modo per modificarla e renderla indolore è proprio quello di guardarla, riconoscerla e accettarla, inducendola così a trasformarsi.
Su questo tessuto comune si inserisce il linguaggio vero e proprio, meraviglioso strumento di comunicazione e interazione evolutiva: è principalmente attraverso il linguaggio che si definisce se stessi non solo agli occhi degli altri ma anche ai propri: il pensiero individuale arriva alla coscienza dell’essere incarnato principalmente sotto forma di parole (in maniera minore sotto forma di immagini o altro). Volete trovare una maniera per nascondere chi siete agli occhi vostri o altrui? Niente di più facile, il linguaggio vi offre due possibilità estreme, due maschere che solitamente sapete usare in maniera istintiva con invidiabile destrezza: non parlare o parlare troppo; nel primo caso non si offre il supporto del linguaggio nascondendosi dietro l’impenetrabilità, nel secondo caso si sommerge se stessi sotto una massa di parole col risultato di fornire così tanti elementi in così poco tempo da rendere impossibile ricavarne la realtà di chi sta parlando che si trova ad essere così, anche in questo caso, impenetrabile.
Una delle funzioni del corpo mentale è anche quella di fornire all’individuo la capacità di ragionare, ovvero di trarre deduzioni, compiere delle analisi, estrarre delle sintesi da quanto l’individuo sta sperimentando.
Ripetiamo quanto già è stato detto altre volte: il corpo mentale è costituito da materie provenienti da tutti i sottopiani del piano mentale che possono essere, per comodità, immaginati divisi in due grandi sezioni: il mentale inferiore e il mentale superiore.
Il mentale inferiore (non in senso spaziale né di qualità) è quello composto dalla materia più grossolana, più vicina a al limite in cui si passa da materia mentale a materia astrale. Esso fornisce, fra l’altro, le vibrazioni collegate al linguaggio vero e proprio, quello composto dalle parole e dagli schemi linguistici appresi nel corso dell’incarnazione.
Il mentale superiore, invece, con la sua materia più sottile, dà la possibilità all’individuo di compiere ragionamenti astratti, meno collegati al linguaggio dell’individuo ma più collegati ai bisogni di comprensione e, quindi, alle vibrazioni che provengono al mentale dal corpo akasico.
Come e su che basi viene operata questa analisi e sintesi, purtroppo, non mi è possibile spiegarlo in questo contesto, in quanto non vi sono ancora state date le basi necessarie per poter attuare un ragionamento accettabile.
Per appagare la vostra ovvia curiosità, comunque, vi posso anticipare che il tessuto su cui viene compiuto il lavoro di analisi e sintesi da parte del corpo mentale nel corso dell’evoluzione dell’individuo incarnato è costituito da ciò che proviene da quegli elementi della realtà che abbiamo denominato archetipi. In particolare, per quanto riguarda ad esempio il linguaggio, dagli archetipi transitori.
Un’altra funzione non trascurabile del corpo mentale può essere individuata nel suo interagire e alimentare i desideri e le emozioni che attraversano il corpo astrale alla ricerca di uno sbocco, di una manifestazione sul piano fisico attraverso il corpo fisico dell’individuo.
Per quanto le emozioni siano un’espressione del corpo astrale è indubbio che il loro manifestarsi non sia casuale ma segua una logica rapportabile all’interiorità dell’individuo e, avendo una loro base logica, appare ovvio che abbiano un collegamento anche piuttosto forte con il corpo mentale dell’individuo, anche se, apparentemente, molto spesso può sembrare che le reazioni emotive siano quasi completamente prive di logica nel loro manifestarsi.
In realtà ad ogni emozione (e anche ad ogni desiderio) è collegato un ragionamento del corpo mentale, composto da più elementi: in primo luogo dal tentativo di comprendere qualcosa richiesto dal corpo akasico, in secondo luogo dalla ricerca di tradurre questa spinta in maniera utile all’individuo per sintetizzare nuovi dati sulla base di analisi e deduzioni fatte all’interno del corpo mentale sulla scorta delle spinte akasiche, in terzo luogo inviando segnali verso la realtà fisica in maniera da poter ricevere risposte dall’esperienza.
Attraversando il corpo astrale queste richieste provocano reazioni nella materia astrale, reazioni più o meno violente o complesse in accordo con l’intensità del bisogno di comprendere o con la complessità della comprensione richiesta ed è proprio in particolare dall’intensità del bisogno di comprendere che scaturiscono dal corpo astrale le emozioni arrivando a manifestarsi, nella maniera che tutti voi ben conoscete per esperienza diretta, sul piano fisico.
Quando l’intensità emotiva raggiunge una soglia che può essere dannosa per l’individuo (il quale magari non è ancora pronto per affrontare una certa comprensione) scatta una reazione automatica indotta dal corpo mentale nel rendersi conto del livello di pericolo ed è così che l’individuo raggiunge una sorta di black-out sia emotivo che mentale: il mentale interrompe le sue vibrazioni per dare tempo all’astrale di mettere ordine nel caos vibratorio venutosi a creare e, sulla scorta di quel dato, il corpo mentale tenterà un approccio diverso o meno intenso al problema che sente di dover risolvere per le richieste dell’akasico.
Mi rendo conto che quanto detto in questo paragrafo andrebbe analizzato ancora più profondamente perché reca con sé delle implicazioni non di poco conto.
Ma ciò esula dal mio compito (e probabilmente anche dalle mie capacità) per cui mi accontento di avervi dato questa visione generale delle molteplici funzioni del corpo mentale.

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Memoria

Avete mai pensato con una certa attenzione, fratelli miei, alla memoria e che cosa comporti per l’individuo la possibilità di ricordare?
Senza dubbio le cose che posso dirvi in proposito sono ovvie e possono apparire a prima vista banali, ma proprio l’ovvietà e l’apparente banalità delle cose vi induce spesso a non soffermarvi e a ragionare su di esse, dando tutto per scontato, senza magari accorgervi di cose che possono avere la loro importanza se comprese un po’ più profondamente ma che, invece, restano incomprese perché sottovalutate.
Vediamo di osservare alcune implicazione per la presenza o l’assenza della memoria facendo riferimento, com’è mio compito, all’insegnamento.
Per prima cosa è necessario sottolineare che, senza la possibilità di ricordare, andrebbe persa qualsiasi possibilità di poter evolvere. Infatti l’evoluzione procede per successive acquisizioni ed ampliamento di ciò che si è precedentemente acquisito e, se non si conservasse la traccia di quanto compreso in precedenza ad ogni incarnazione si dovrebbe ricominciare tutto da capo.
Questo concetto, tra l’altro, dà già la possibilità di comprendere che la funzione della memoria, pur essendo tipica per l’uomo incarnato del suo corpo mentale, è una funzione che deve in qualche modo anche essere collegata al corpo akasico, poiché è in esso che vengono fissate le comprensioni acquisite.
Ed è logico che debba essere così, dal momento che il corpo mentale, così come il fisico e l’astrale, sono corpi transitori il che sta a significare che alla fine dell’incarnazione vanno persi e, quindi, se la memoria fosse un’esclusiva di uno di questi corpi, essa andrebbe certamente persa con l’abbandono del corpo in questione.
Ma, vi chiederete allora, dov’è veramente situata la memoria? Che reale relazione c’è con quelle aree che i neuro fisiologici indicano esistere all’interno del cervello umano e che insegnano essere le aree del ricordo e, perciò, della memoria?
Vedete, fratelli miei, come appare evidente da quanto ho detto poc’anzi la memoria non può essere appannaggio di un solo corpo dell’individuo, ma è una funzione che si riscontra in tutti i corpi dell’individuo.
E’ ovvio che esiste una memoria che opera già a livello fisico: se così non fosse la catena genetica non avrebbe la possibilità di riformare le cellule distrutte perché non vi sarebbe il «ricordo» delle informazioni adatte.
E’ altrettanto ovvio che esista una memoria a livello di corpo astrale: se un’emozione di paura non restasse immagazzinata con la sua intensità emotiva questa intensità emotiva si presenterebbe sempre come una bomba sconosciuta ogni volta che la situazione emotivamente «forte» si ripresenta. Accade invece che l’emozione «forte» diventa sempre meno forte ogni volta che la situazione si ripete e, più volte si ripete, più debole diventa l’emozione.
Questa perdita di intensità dell’emozione sotto l’influenza di uno stimolo ripetuto avviene perché l’emozione è già conosciuto, ricordata e quindi, sempre di più ad ogni ripetizione dell’esperienza, sfrondata di intensità per focalizzarsi su altri aspetti emotivi dell’esperienza.
Per quanto riguarda il corpo mentale non vi sono dubbi che esista una memoria: basta pensare al fatto che se non esistesse la memoria di ciò che si fa, si dice o si pensa non sarebbe possibile condurre un ragionamento ed estrarre da esso deduzioni, ipotesi o anche solo semplici considerazioni. Ma allora, dov’è situata la sorgente della  memoria?
Certamente non nel cervello, come potrebbe pensare qualcuno di voi. Il cervello conserva in una sorta di «memoria» temporanea gli accadimenti della quotidianità in una sorta di memoria «tampone» che distribuisce le risultanze dell’esperienza vissuta ai corpi cui compete quel settore di esperienza: la parte emozionale al corpo astrale, la parte razionale al corpo mentale, affinché essi provvedano in qualche maniera a sottoporle a un primo ordine vibratorio da inviare poi, come dato utile per la comprensione dell’esperienza, al corpo akasico. Tuttavia questa memoria «tampone» posseduta dal cervello è evidente che viene annullata al momento della morte dell’individuo, anche solo per il fatto che l’organo cerebrale perde la sua funzionalità.
Risulta chiaramente che la memoria «permanente» non può che essere situata nel corpo che non è transitorio, ovvero nel corpo akasico.
Tutto ciò che viene vissuto, le emozioni, i ragionamenti, i fatti e tutto il complesso corredo che li accompagna si trascrive all’interno del corpo akasico dell’individuo, fissandosi definitivamente in esso allorché viene raggiunta una comprensione.
E’ a questo bagaglio di riferimenti che il corpo akasico fa riferimento per indurre i corpi inferiori a ricercare certe esperienze e non altre.
In parole povere il corpo akasico deve necessariamente possedere una memoria per poter correlare tra loro le esperienze e trarne quei collegamenti che lo inducono a muovere i corpi inferiori nel corso dell’incarnazione alla ricerca delle situazioni più adatte per appagare il suo desiderio di comprendere senza ombra di dubbio ciò che «sente di non aver compreso».
Volendo, si potrebbe arrivare persino a sostenere che il sentire è memoria, anche se una tale osservazione non sarebbe precisa: il sentire appartiene ai sottopiani più sottili del corpo akasico dell’individuo, mentre la memoria di ciò che ha vissuto nel corso delle varie vite è immagazzinato nei sottopiani più densi. certamente, comunque, le due situazioni (memoria e sentire) sono in collegamento tra di loro e interagiscono continuamente: per inviare le sue richieste di esperienza ai fini della comprensione il sentire deve necessariamente fare riferimento a quello che nella memoria del corpo akasico risulta che sia già stato sperimentato, in maniera tale da ampliare una certa esperienza o esplorare parti o sfumature di essa che non risultano ancora essere state esplorate nella maniera adeguata.
Per concludere questo discorso (per forza di cose approssimativo e certamente non esauriente in tutte le sue particolarità), volevo accennare a due elementi importanti che sono strettamente collegati alla memoria: il senso del tempo e la sensazione di esistere.
Il senso del tempo scaturisce dall’osservazione in successione degli avvenimenti compiuta dai corpi inferiori nel corso della vita. Ovvero: il corpo fisico stabilisce il tempo in base alla successione delle sensazioni che egli percepisce, in base alla sequenzialità delle emozioni che lo coinvolgono, in base ai ragionamenti che esse provocano nel corpo mentale. Senza la memoria e il ricordo questa successione non sarebbe percepibile: tutto apparirebbe contemporaneo.
Il tempo (sensazione, estremamente soggettiva, al di là delle convenzioni attuate dall’essere umano allorché è incarnato con la fittizia divisione in unità di tempo quali l’ora, i minuti o i secondi) esiste nella soggettività proprio grazie alla percezione soggettiva dell’Io, il quale tende a considerare se stesso come un punto fermo della realtà, al quale, seguendo la sua visione egocentrica, tutto va riferito.
Se esiste, ovviamente, deve avere una sua funzione, vero fratelli? Certamente ne ha più di una e quella che mi preme sottolinearvi in questo ambito è quella di dare un ordine di invio al corpo akasico dei dati dell’esperienza in forma via via più ampia, partendo dal semplice dato per arrivare all’articolazione più complessa che comprende ancora il dato semplice ma lo completa con dati aggiuntivi che possono fornire all’akasico una visione più completa dell’esperienza.
La successione delle comprensioni segue, passo passo, la successione delle esperienze fatte nella realtà soggettiva ed è ancora funzionante e percepita come una serie di raggiungimenti temporalmente successivi da parte del corpo akasico nel costruire il mosaico della sua comprensione: non può accadere, ad esempio che un individuo capisca una sfumatura di comprensione prima di aver capito la base della comprensione stessa.
Questo è valido per il corpo akasico fino a quando non si arriva alla parte di esso in cui viene scritto (o sarebbe meglio dire «riscritto») il sentire.
In questa zona dell’akasico non vi è più successione ma tutto è contemporaneo in una maniera tale che a me, in questa sede, è impossibile spiegarvi, anche perché lo so per averlo sentito dire dai Maestri e non per esperienza diretta. La memoria e il senso del tempo portano alla sensazione di essere un’entità che attraversa la realtà in un lungo peregrinare attraverso la vita, alla sensazione di essere «io» che mi riconosco nel tempo e che attraverso il tempo secondo un filo conduttore a cui sono sempre collegato e nel quale mi identifico.
Questo dà all’Io e alla consapevolezza individuale dell’uomo incarnato la sensazione di esistere. Ma è una sensazione fallace e transitoria perché basta uno squilibrio che provochi una forte perturbazione a livello fisico, astrale o mentale, per attraversare momenti in cui non si riconosce più se stessi e si ha la sensazione di non essere più la stessa persona.
La sensazione di esistere, l’illusione di esistere pur nell’apparente realtà e concretezza del mondo fisico, diventa alla fine coscienza di esistere allorché essa si confronta con il complesso dell’individualità all’interno del corpo akasico, laddove il contatto con la coscienza superiore dell’Assoluto rende inamovibile la certezza che ognuno di noi, malgrado la propria effimera esistenza, «è» ben al di là di quella che può essere l’illusoria esistenza individuale di un Tizio, di un Caio o di un Sempronio.
E in questa coscienza di esistere si annulla il tempo, perde importanza il ricordo e acquista preminenza il concetto che prima di tutto si «è», in maniera totale e definitiva.
Nel corso di una delle mie vite mi sono interessato di magia e di esoterismo e, nel percorrere la mia strada lungo la ricerca della conoscenza mi sono imbattuto in un’antica pergamena della quale non si sapeva la provenienza.
Essa diceva, in una scrittura rapportabile a quella usata dai sacerdoti egizi:

Padre mio,
ho cavalcato mille cavalli imbizzarriti
e da essi ho trovato in me le parole
e i suoni che li rendevano docili
e capaci di seguire i miei desideri,
conducendomi lungo le strade paurose
della mia interiorità.
Ho incontrato sul mio cammino orde di lupi ringhianti
dai denti snudati come barriere poste sulla mia strada
per fermare il mio avanzare verso di Te,
ma ho saputo tranquillizzarli con la luce di un mio sorriso,
con la forza della mia serenità.
Mi sono imbattuto in tempeste
che facevano rivoltare i mari,
portando in alto quello che era in basso
e ricacciando negli abissi più profondi
quello che era in superficie,
e sono rimasto a galla sopra il pelo delle acque turbolente
solo grazie alla convinzione 
che io,
qualunque cosa potesse accadere,
non sarei mai morto veramente.
Ho sfidato il fuoco più ardente,
il lampo più abbagliante,
la grandine più tambureggiante
riparandomi sotto la volontà 
di giungere indenne
nel porto della mia anima.
Ho attraversato momenti in cui il mio corpo
mi è sembrato un peso inutile ed ingombrante
di cui avrei voluto poter fare a meno.
Ho percorso ore interminabili in cui orgoglio, paure e rancori
cercavano di ridurmi come un fuscello in balia del vento,
pronto a spezzarsi frammento dopo frammento.
Ho vissuto periodi in cui i miei pensieri
sembravano essere pensati 
soltanto allo scopo
di ferire me stesso o, peggio ancora, di ferire gli altri.
Eppure, sempre, qualcosa dentro di me
è riuscito a modificare ciò che attraversavo
aggrappandosi con tutta la sua speranza
al piacevole soffio di un vento primaverile,
o alla risata senza imbarazzo di un bambino,
o all’incontro con una nuova, 
inaspettata, meravigliosa idea.
Infine, Padre mio, 
ti ho scorto…
e tutto ciò che ho vissuto
mi è apparso nella sua grandezza,
facendomi riconoscere 
che di tutto ciò, indubbiamente,
avevo bisogno per arrivare ad essere una parte cosciente di Te.
(Andrea)

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

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I sogni, le aspirazioni, i progetti e la loro realizzazione

d-30x30I sogni, le aspirazioni, i progetti. Dizionario del

[…] Volevamo parlare, invece, dei vostri sogni da svegli, di quei sogni che fanno parte della vostra vita quotidiana e che con essa sono strettamente intessuti.
Chi di voi non sogna, durante la giornata, qualche cosa? Chi di voi non si perde, talvolta, in sogni ad occhi aperti? Chi di voi non s’immagina, magari anche solo per pochi momenti, una realtà futura diversa per se stesso, nella quale ciò che vivrà è diverso da quanto sembra che sarà veramente se le cose andassero secondo una logica consequenziale degli avvenimenti?
Ma vediamo come si ricollega quanto abbiamo detto nel corso di questo ciclo con i sogni fatti in stato di veglia.
Se prestate attenzione ai vostri sogni per più di un attimo, vi renderete conto che essi sono il derivato diretto di quelli che sono i vostri desideri e che, nella quasi totalità dei casi, essi esprimono il vostro Io.
Prima, quindi, di interessarvi all’interpretazione dei sogni notturni, vi consigliamo di dedicarvi all’interpretazione dei vostri sogni in stato di veglia.
Infatti mentre quelli notturni sono molto complessi e nascono dal lavorio del vostro Io (quindi dal vostro corpo fisico, da quello astrale e da quello mentale) ma, anche, dalle vibrazioni del vostro corpo della coscienza e, ancora, da quelle che provengono dal vostro Sé, dalla vostra scintilla, quelli in stato di veglia sono principalmente sotto il dominio del vostro Io, anche solo per il fatto che, durante lo stato di veglia, la vostra consapevolezza è centrata principalmente su ciò che state vivendo e, quindi, sulle reazioni del vostro Io agli avvenimenti che, quotidianamente, stimolano il vostro Io a desiderare e, di conseguenza, a «sognare» qualche cosa di diverso da quanto, nella realtà, sta vivendo direttamente.
Con questo, non intendo certamente affermare che anche attraverso i sogni in stato di veglia non si possano trovare elementi che possono essere fatti risalire alla vostra coscienza o agli impulsi inviati dalla vostra scintilla (ci mancherebbe altro!) ma, semplicemente, che l’elemento preponderante e, quindi, oggettivamente più facile da indagare risulta essere il riflesso del vostro Io su di essi.
Sognare da svegli, direte voi, fa parte dell’illusione.
Giustissimo. Ma, a ben vedere, forse che anche vivere l’esperienza non fa parte dell’illusione? Per uscire dall’illusione bisogna aumentare la propria coscienza e per aumentare la propria coscienza è necessario, come abbiamo sempre detto, vivere l’esperienza, soggettiva o reale che sia. Altrimenti bisognerebbe pensare che coloro che non sono sani di mente e vivono in un illusorio mondo autistico o completamente avulsi dalla realtà sono stati abbandonati a se stessi dall’Assoluto e messi in condizione di perdere una vita intera. In realtà anche in questi casi l’evoluzione si amplia perché l’illusione, vissuta come vera, ottiene lo stesso risultato dell’esperienza reale.
Attenzione, però: diversa è l’illusione in cui ci si cristallizza volutamente per rifiutare di affrontare qualche realtà personale sgradevole o non tale da appagare i propri desideri, ed essa fa fermare la possibilità di esperienza che ricomincerà soltanto quando l’individuo riuscirà a trovare il desiderio e la forza interiore di non soggiacere alla forza di improbabili sogni.
In altre parole il sogno, anche irrealizzabile, che induce l’uomo a muoversi nella realtà del mondo fisico dandogli la spinta a cercare di concretizzare il proprio sogno è un sogno che diventa fonte di azione e di comprensione, ma un sogno che resta soltanto un’ipotesi mentale, una fuga dalla realtà, una scusa per non agire, un paravento dietro a cui nascondersi non può rivelarsi, alla fine, che una sorgente di dolore perché il sentire si scontra contro questa rigida barriera formata dall’Io e, non trovando la maniera per smuovere dall’interno l’individuo, in qualche maniera metterà in atto quel meccanismo esteriore che, con conseguenze spesso drammatiche, tenterà di ristabilire il fluire delle vibrazioni tra corpo della coscienza e corpo inferiore.
Un adagio popolare afferma: «Il valore di un uomo è ravvisabile nel valore dei suoi sogni».
E’ vero, figli e fratelli, ma più giusto sarebbe affermare anche che il valore dell’uomo è ravvisabile nella maniera in cui si adopera per realizzare questi suoi sogni.
Ma, come ho detto all’inizio, sul sogno ritorneremo più ampiamente in un prossimo ciclo, cercando di arrivare a farvi comprendere che i sogni notturni e i sogni in stato di veglia non siano poi due cose così lontane tra loro. Abn-el-tar

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