Meditazioni quotidiane 2.1

 

 


Padre mio,
la Tua immensa bontà ha tracciato per noi
innumerevoli strade che portano alla nostra realtà,
e ogni strada ha il volto, il corpo e la voce
di chi, quotidianamente, viene a contatto con noi.
Aiutaci a pensare agli altri uomini
come vie per raggiungerTi,
consapevoli della loro presenza,
certi della loro utilità,
riconoscenti per la loro esistenza,
felici del fatto che se loro sono qui per me
a mia volta io son qui per loro,
sicuri di ritrovarli tutti, uno per uno,
lungo le innumerevoli strade
che dalla nostra realtà portano a Te.

Rodolfo


 

 


A Te, Padre,
a Te che sembri così insensibile,
a volte, così indifferente,
così lontano dalla mia realtà,
così apparentemente freddo,
così incapace di fare un miracolo per me
allorché io Te lo chiedo,
così insensibile da non saper togliere dal mio cammino
tutte le cause di sofferenza,
a Te, Padre mio, io rivolgo il pensiero
sicuro che, in realtà, sono io l’insensibile,
sono io l’incapace, sono io il freddo,
sono io che guardo Te
e, cercando d’immedesimarmi in Te,
non faccio altro che creare
una brutta copia di ciò che io sono.

Moti


 

 


Altissimo Signore, Padre nostro,
in questa sera non possiamo che ringraziarTi
per averci donato,
in mezzo
a tutti i doni che ci hai elargito,
anche la speranza.
La speranza che ci fa superare
gli 
ostacoli e le difficoltà;
la speranza che dà la forza di vivere,
la speranza che ci fa sorridere
anche nel momento più profondo del dolore
e, soprattutto, quella speranza che
accompagna
l’uomo dal suo nascere
e che, nel momento dell’estremo saluto,
così ci fa dire:
«Padre, sia fatta la Tua volontà, e non la mia».

Florian


 

 


E se io, Padre mio,
riuscissi ad essere
veramente me stesso;
se io, Padre mio, riuscissi a far arrivare sul piano fisico
ciò che veramente sono,
ciò che
il mio sentire è arrivato a comprendere,
se io fossi in grado di comunicare agli altri
questo profondo sentire che è dentro di me
e che non riesce ad arrivare pulito alla manifestazione esterna,
chissà come apparirei agli occhi degli altri!
Forse un Maestro?
Forse una persona presuntuosa?
Forse un millantatore, un imbroglione,
uno che si mette al di sopra degli altri?
Se io veramente possiedo un sentire che mi permette di aiutare gli altri,
di mettere la
parte migliore di me stesso a disposizione,
devo per forza possedere, Padre mio,
anche quell’umiltà che, sola, può far accettare
la mia condizione a chi mi sta attorno.
In realtà chi possiede un’ottima evoluzione
molte volte corre il rischio di venire isolato,
di non venir compreso,
di venire ora amato ora ripudiato,
ora stretto ora allontanato.
Eppure tutto questo sembra un nonsenso;
alla vostra mente sembra
inconcepibile il pensiero
che l’evoluto non riesca a manifestare se stesso
in maniera tale da cambiare la vita propria,
ma principalmente anche – come ci si aspetta da ogni buon evoluto –
la vita degli altri.
Non è così strano come può sembrare,
poiché si può cambiare la vita degli altri
soltanto nel momento in cui gli altri sono disponibili a cambiarla,
altrimenti – e Tu lo sai molto
meglio di me, Padre mio –
nessuno può
essere in grado di fare nulla.

Scifo


 

 


E’ a Te, altissimo Creatore,
che talvolta rivolgo il mio pensiero
cercando di raggiungerti laddove Tu sei,
incerto, ogni volta, di esserci riuscito.
Io Ti prego, Altissimo Signore,
stai vicino a tutti noi che soffriamo,
tendi una mano a tutti coloro che,
in preda alla sofferenza fisica,
hanno bisogno di sentire
la carezza di una persona amata;
metti nei nostri occhi,
nei momenti di sofferenza,
la capacità di osservare
e meravigliarsi e stupirsi,
di commuoversi per un semplice tramonto;
aiutaci a trovare dentro di noi
quella saldezza, quella forza che ci fa credere
che Tu, Altissimo Signore,
sei sempre e comunque accanto a noi.

Vito


 

 


A Te, Signore del giorno e Signore della notte,
Signore del passato, del presente e del futuro,
a Te e a Te soltanto io dedico le mie lacrime;
a Te, a Te soltanto io dedico ogni sorriso
che trovo nel corso della mia vita;
a Te, a Te soltanto dedico la mia ansia di comprendere,
il mio tentativo di andare incontro agli altri
e il mio dispiacere quando gli altri
sembrano 
allontanarsi da me;
a Te, soltanto a Te dedico la paura delle mie notti,
l’ansia dei miei giorni,
la felicità della mia vita;
a Te, soltanto a Te dedico tutto me stesso
perché è 
a Te, soltanto a Te, che tutto me stesso fa capo.

Vito


 

 


Se io Ti amassi veramente, Padre mio,
allora amerei tutto ciò che Ti appartiene.
Amerei il mondo che vedo intorno a me.
Amerei ogni gioia e ogni dolore
che vedo manifestarsi in questo mondo.
Amerei tutti i colori che lo rendono vivo.
Amerei la più piccola delle creature
che 
lo animano.
Arriverei persino ad amare me stesso.
Ma, ahimè, io non Ti amo veramente,
Padre mio, mi illudo soltanto di farlo,
poiché trovo sempre qualche cosa
da
criticare in ciò che Tu hai creato.

Vito


 

 


Padre mio, io incomincio ad arrabbiarmi
con me stesso.
Perché, perché continuo a non capire niente?
Perché continuo a dibattermi nei miei problemi
senza riuscire a venirne fuori?
Perché devo essere così testa di cavolo
da continuare a ripetere in continuazione gli stessi errori?
Perché sto sprecando così la mia vita?
Perché, perché, perché, perché.
Perché qualche volta non sto attento,
invece, a cercare qualcosa di positivo in me stesso?
Forse, se riuscissi a vederlo, a trovarlo,
a disseppellirlo dalla mia coscienza,
questo renderebbe diverso tutto il mio chiedermi
i «perché» e cambierebbe 
anche i «perché» stessi,
Padre mio.

Rodolfo


 

 


Padre mio,
Tu sei il mare ed io sono una goccia,
eppure, nel mio essere una goccia
contengo il Tuo essere mare.
Verrà il giorno, Padre mio,
in cui goccia e mare non saranno più distinguibili,
e allora l’opera tua sarà compiuta.

Scifo


 

 


Se io fossi capace, Padre mio,
di guardare veramente in fondo al mio cuore cosa troverei?
Forse riuscirei a trovare Te,
la Tua voce o il Tuo silenzio,
o forse non troverei nulla,
neanche la più piccola apparenza di emozione;
e magari mi accorgerei che nel corso delle mie giornate
tutto quello che dico e faccio è una recita,
per me stesso o per gli altri.
Il più grande mistero che io posso affrontare, Padre mio,
non è la Tua esistenza,
non è l’esistenza della Realtà con la «R» maiuscola:
cosa mi importa, in fondo, della sua esistenza se io non ci sono?
Il mio mondo è centrato sul fatto che «io» esisto in questa realtà;
ed è questa realtà, la mia piccola realtà, la mia soggettiva realtà,
la mia a volte triste a volte allegra realtà
ciò che deve costituire il perno, la ragione di questa mia stessa esistenza.
Io credo profondamente che, se sono qua,
in questa mia soggettiva e unica realtà
è perché è di questa mia soggettiva e unica realtà che ho bisogno.
E allora bisogna che la osservi,
bisogna che la guardi,
bisogna che la comprenda,
bisogna che la analizzi,
bisogna che entri dentro la mia realtà
invece di restarne sempre e comunque fuori,
come se fosse qualcosa che non mi appartiene,
qualcosa che ho paura
di osservare,
qualcosa che esiste per gli
altri
o per far da specchio agli altri
e non per essere lo specchio di ciò che io sono
e di ciò che, invece, potrei essere.
Padre mio,
dammi fino in fondo la forza
di osservare veramente me stesso.

Moti


 

 


Padre nostro,
come possiamo noi ringraziarTi
di aver messo sulla nostra strada la felicità,
la vera felicita che è soltanto quella di essere consapevoli
che Tu sei noi e noi siamo Te?

Viola


 

 


Padre mio,
non è in un giorno prefissato
che io mi ricordo di Te,
ma ogni giorno
della mia vita Tu sei presente nel mio sentire
e da questa Tua presenza io traggo 
ciò che penso
di poter adoperare per venirti incontro,
affinché la distanza che sembra
separarci
possa diminuire più velocemente.
Se il primo giorno sarà il mio lavoro
che
richiederà la mia attenzione,
io mi osserverò mentre lo starò compiendo,
per riuscire a trarre da esso
la capacità di essere giusto
e onesto.
Se il secondo giorno sarà la mia famiglia
che avrà bisogno di me, ad essa mi donerò
cercando di capire perché ha dovuto chiamarmi
senza che io mi accorgessi da solo
del suo bisogno.
Se il terzo giorno i miei amici mi cercheranno
per raccontarmi le loro gioie e i loro dolori
io li ascolterò, cercando nelle loro parole
la comprensione delle gioie e dei dolori che mi appartengono.
Se il quarto giorno avrò il desiderio di divertirmi
non mi nasconderò questo desiderio
ma dedicherò quei momenti di distensione
alla speranza di affrontare me stesso con maggiore serenità.
Se il quinto giorno i miei problemi mi assaliranno,
cercherò di ricavare da essi quella forza
che so che Tu hai messo a mia disposizione.
Se il sesto giorno vedrò una mano che si tende
farò in modo di trovare, anche se le mie tasche saranno vuote,
almeno il bagliore di un sorriso.
E il settimo giorno mi volterò ad osservare
quell’uomo che mi sono lasciato alle spalle
e che è solo appena diverso da me, fisicamente,
ma che, in realtà, non mi assomiglia più per nulla.

Scifo


 

 


Mio Dio, Padre Celeste di tutte le creature!
Colui che Tutto È, Assoluto, Amore,
come posso io, piccola creatura, avere l’ardire
di comprenderTi,
come posso io misera creatura pensare ad avvicinarmi a Te?
Eppure io so che, nonostante queste paure,
nonostante questi timori che mi frenano in alcuni momenti,
la  ragione del mio esistere è proprio l’avvicinarmi a Te,
l’arrivare a comprenderTi e so che anche Tu
ti aspetti proprio questo dalle Tue creature.
Le cose del mondo, le cose più belle del mondo,
ad un certo punto non avranno più alcun interesse
per l’individuo che sentirà nascere in sé un bisogno più intimo,
più profondo, più impellente di arrivare a comprenderTi,
perché saprà che nel momento in cui avrà compreso Te,
avrà compreso anche tutta la Realtà.
Sì, certo, le cose del mondo serviranno ancora agli individui,
all’uomo, per il suo sostentamento fisico se non altro,
pur tuttavia sarà soltanto una piccola necessità
che sarà nulla al confronto della gioia e del piacere
che egli proverà nel compiere quei piccoli passi
per arrivare a Te ed alla Realtà.
Perché Tu sei la Realtà,
perché Tu sei Colui che Tutto È
e noi siamo consapevoli di essere una piccola parte di Te,
e siamo consapevoli che anche se ci tenessimo per mano,
unendoci gli uni agli altri, non riusciremmo mai,
tutti quanti assieme, ad essere Te;
eppure sappiamo che deriviamo da Te,
che ognuno nel nostro cuore porta questa parte di Te
che lo fa sentire unito agli altri fratelli,
e questo afflato, questo bisogno di amare e di amore
giace in ogni creatura.
È impensabile credere che esistano individui
che non sentano al loro interno questo bisogno,
questa necessità,
questa spinta all’amore;
magari è un bisogno, una necessità inconscia, non razionalizzata,
magari non avvertita dell’individuo stesso ma senz’altro c’è.
Perché se tutto è amore,
se noi stessi
– piccole e misere creature – siamo amore,
ogni fratello ed ogni sorella portano con sé questo Amore.
Dio, Dio mio, Padre Celeste,
Padre di tutte le creature,
che grande gioia ci dai nel poterTi riconoscere!

Viola


 

 


Sia lode a Te, o Signore,
per tutto ciò che Tu hai creato.
Sia lode a Te, o Signore,
per la bellezza che vivifica il mondo.
Sia lode a Te, o Signore,
unico Principio Reale 
esistente di ciò che ha creato la Realtà.
Sia lode a Te, o Signore,
la cui energia guarisce il mondo.
Perché da ogni dolore ricavo la possibilità
di 
esaminare me stesso e di comprendere
quel
lo che avrei dovuto e potuto fare
per non far sorgere
 in me e in altri questo dolore.
Perché dal mio tormento nasce il dubbio,
a ogni dubbio io ho la possibilità
di rinascere 
nuovo a me stesso.
E di questo sia lode a Te, o Signore.

Anonimo


 

 


Padre mio, mio dolcissimo Padre,
ah, se io Ti amassi, anche soltanto
una piccola parte di quanto Tu mi ami,
se io credessi, anche soltanto una piccolissima
parte di quanto Tu credi in me,
se io avessi fede in Te, anche soltanto una piccolissima
parte di quanto Tu hai 
fede in me.
Ma vedi, Padre mio,
la differenza forse 
sta semplicemente nel fatto
che Tu sai 
che io sono parte di Te,
ma io non so, 
sicuramente, del tutto, in modo convinto,
di essere parte di Te.

Moti

 

La vita delle incarnazioni non umane  

d-30x30La vita delle incarnazioni non umane. Dizionario del

Il concetto che non solo gli animali e gli uomini sono esseri viventi è presente in tutti gli insegnamenti esoterici dell’antichità. Quest’idea, che risale ad una Verità emersa di volta in volta tra gli individui più evoluti di ogni popolazione, è stata la genesi di molti miti e di molte contaminazioni sulle quali si sono andate inserendo, nel tempo, le paure o le speranze degli uomini incarnati, dando forma a concetti animistici in cui, ad esempio, fiumi, montagne o alberi contenevano entità spirituali che le eleggevano a loro territorio vitale.
In una civiltà e in un pensiero moderno l’animismo non ha più possibilità di esistere, eppure quelle antiche verità possono ancora trovare un posto in cui essere situate, anche se inserite in una concezione diversa e meno fantasiosa di ciò che è la Realtà.
Uno dei termini di più difficile definizione è il termine «vita». Com’è possibile, infatti, definirla in maniera utile? Dal punto di vista dell’insegnamento filosofico presentato dalle Guide la Vita potrebbe essere individuata nell’Assoluto o nella Sua Vibrazione Prima che tutto permea, dato che è essa che porta al costituirsi e al differenziarsi della realtà sui vari piani di esistenza, frammentando in molteplicità illusoria ciò che è, invece, fondamentalmente una unità. Questa definizione, però, mi sembra non dia molto spazio alla possibilità di ragionare in quanto la conclusione, anche se estremamente importante, non può che essere una sola, ovvero che tutto è vita.
Limitiamoci, allora, a una concezione più ristretta che ci permetta di osservare qualche altro aspetto del piano astrale che stiamo esaminando e tale da poter essere accettato da ognuno di voi che ci ascoltate dall’interno del piano fisico.
Dopo aver ascoltato e accettato come possibile verità che ogni individuo sul piano fisico deve avere dei corpi adatti, sui piani inferiori, per poter interagire con l’ambiente in cui si trova a vivere, io direi che potremmo definire, momentaneamente, «vivo» ogni corpo fisico a cui sia associato per lo meno un corpo astrale, che abbia, cioè, quanto meno la possibilità di percepire emotivamente quanto succede intorno a lui. Apparentemente non rientrano in questo concetto di vita due forme tipiche del piano fisico: la forma minerale e quella vegetale, ma è così solo in apparenza; se è vero, infatti, che né il minerale né la pianta possiedono un corpo mentale strutturato e, quindi, non sono in grado di pensare e ragionare, è anche vero che entrambe queste forme possiedono, pur se in misura e struttura diversa, un corpo astrale.
Il corpo astrale del minerale è decisamente rudimentale, ed esso non possiede una vera e propria consapevolezza di esistere sia sul piano fisico sia, tanto meno, sul piano astrale e non ha, perciò, reazioni nei confronti di ciò che sta vivendo; la sua è una sorta di vita passiva in cui si viene a trovare in balia delle forze naturali atmosferiche e di quelle interne della materia stessa. Come si può immaginare il corpo astrale di un minerale, qual è il suo modo di esistere sul piano astrale e a cosa serve su di esso, visto che tutto ha una funzione nell’elaborato disegno del Grande Architetto?
Il corpo astrale del minerale, con le sue vibrazioni astrali uniformi e pesanti, costituisce sul piano astrale una sorta di banco contro cui possono infrangersi o deflettersi altre vibrazioni che agiscono sul piano astrale. Questi corpi astrali dei minerali diventano, talvolta, una sorta di rallentatori o di acceleratori delle vibrazioni del piano astrale che li colpiscono; talaltra, invece, le assorbono, trattenendole in sé con la rigidità vibratoria della materia astrale più pesante e meno malleabile che li compone, al punto che queste vibrazioni più sottili entrano, avendo trovato un varco, nel corpo astrale del minerale e continuano a rimbalzare contro le sue vibrazioni più pesanti restando «imprigionate» dentro di esso fino a quando non trovano il percorso giusto per riuscirne.
Queste particolari caratteristiche dei minerali sono state ben note nel tempo a chi si è occupato come me di magia. Ad esempio da esse è derivata la credenza (con un certo fondamento di verità) che particolari minerali o cristalli possano influire positivamente o negativamente su chi li indossa. Infatti, determinati minerali (analogamente, per fare un esempio, a quelli che sul piano fisico trattengono o respingono il calore), hanno una composizione astrale che trattiene o respinge vibrazioni astrali particolari, cosicché possono fungere, talvolta, da piccoli scudi contro vibrazioni, per fare un esempio, di dolore provenienti da corpi astrali di entità disincarnate che soffrono o da corpi astrali di persone incarnate immerse in una situazione di sofferenza.

Il rapporto tra materia astrale e fisica

d-30x30Il rapporto tra materia astrale e fisica. Dizionario del

Quello che è più difficile da concepire, da parte dell’uomo immerso nella materia fisica, è il fatto che tutto quello che accade sui vari piani di esistenza, per essere compreso a fondo e in maniera giusta, non va osservato a se stante ma che, per poterlo comprendere in una visione più giusta, ogni accadimento va riguardato nelle sue dinamiche che interessano tutti i piani di esistenza. Questa difficoltà, naturalmente, è inevitabile in quanto l’essere incarnato riesce solitamente ad essere in contatto in maniera più diretta e consapevole essenzialmente con quella parte di realtà che cade sotto la percezione dei suoi sensi fisici.
L’individuo incarnato, infatti, basa la maggior parte della sua vita, sia interiore che esteriore, sull’assunzione di elementi che fanno parte, principalmente, del mondo fisico, venendosi a trovare inevitabilmente, a concepire una realtà che, come dicono i Maestri, proprio essendo stata concepita su dati parziali e come tali travisanti, si discosta da quella che è la Realtà più vera.
Come conseguenza a questo ragionamento, verrebbe da pensare che l’uomo, allorché si trova sul piano fisico, non potrà mai avere la possibilità di comprendere la Realtà a fondo, proprio per questa sua quasi impossibilità di avere una visione globale dei vari elementi che concorrono a renderla tale. Oppure potrebbe farsi largo il pensiero che colui che non sente la spinta ad andare oltre alle concezioni tradizionali e non entra in contatto con l’insegnamento filosofico elargito dai Maestri nelle varie epoche, è condannato dalla sua limitatezza a vivere inutilmente e senza un vero senso la propria vita.
Eppure così non è e, nell’osservare lo stupefacente scenario progettato dal Grande Architetto, mi capita ancora adesso di sentirmi meravigliato e quasi sgomento dinanzi alla grandiosità di una Realtà nella quale ogni più piccola parte, ancorché apparentemente insignificante, possiede nella sua pochezza la possibilità comunque, e usando anche i pochi mezzi che magari le appartengono in quel momento, di conseguire evoluzione allargando la propria coscienza.
E’ questo il motivo per il quale vi abbiamo sempre detto che per evolvere non è necessario conoscere l’insegnamento filosofico: conoscere i meccanismi complessi della Realtà non dà, di per sé, la possibilità di evolvere (e quante persone, purtroppo, accumulano conoscenze che non danno frutti perché non sorrette da un sentire che sappia trarne il giusto succo!), a meno che chi si addentra in questo complesso e difficile ramo del sapere non lo «senta» come una «sua» strada da percorrere fino in fondo.
E, per amore di verità, non è neppure indispensabile venire a conoscenza dell’insegnamento etico-morale proposto dai Maestri: anch’esso può essere una strada utile per coloro che «sentono» di volerla percorrere, ma non è indispensabile a tutti, come non è indispensabile credere all’esistenza di un Dio per essere uomini religiosi, buoni e onesti, in quanto, comunque, esiste in ogni individuo la spinta interiore che proviene dalla parte più elevata della Realtà che porta l’essere a comprendere, in un modo o nell’altro, e, quindi a modificare la propria evoluzione attraverso il mutarsi del suo sentire che lo avvicina, a poco a poco, a quella che è la Verità.
Chiarito questo punto che mi sembrava importante da chiarire, ritorniamo ai ragionamenti riguardanti il piano astrale, ragionamenti che sono indirizzati principalmente a coloro che si interessano di comprendere la Realtà attraverso l’insegnamento proposto dalle Guide.
Da quanto è stato detto finora, è evidente che la materia fisica è in contatto con quella astrale e che le due materie, in qualche maniera, interagiscono tra di loro; cerchiamo, quindi, di vedere in che maniera e a che scopo avviene questa interazione. Alcuni di voi mi potrebbero far notare che abbiamo affermato che la materia fisica è tendenzialmente rigida e che, per la sua pesantezza e grossolanità di costituzione, la stessa vibrazione che ha effetto immediato sul piano astrale non provoca conseguenze evidenti o immediate sulla materia fisica.
Questo è vero. Eppure io vi posso dire che la vibrazione astrale agisce comunque sulla materia fisica e ne indirizza, almeno in parte, la trasformazione. In apparenza le mie parole possono sembrare in contraddizione tra di loro, ma perdono l’apparente contraddittorietà se si ragiona un poco di più su quanto è stato detto fino a questo punto.

Le trasformazioni del pianeta e l’evoluzione del sentire

Un brano del Cerchio Ifior, dal loro Forum, dicembre 2016.
Adesso che ho la possibilità di osservare il nostro meraviglioso pianeta da diversi punti di osservazione, la mia meraviglia e il mio stupore per la sua bellezza ne escono accresciuti, confermando le sensazioni che provavo quando, incarnato, la mia percezione soggettiva della realtà in cui ero inserito mi permetteva soltanto una visione limitata e parziale di tale realtà, pur avvertendo già allora, dentro di me, la certezza che tale bellezza pervadeva non soltanto la piccola porzione di mondo in cui conducevo la mia esistenza ma tutto il pianeta e l’immenso cosmo di cui fa parte.

continua..

Il piano astrale e il corpo astrale, o corpo delle emozioni

d-30x30Il piano astrale e il corpo astrale. Dizionario del

Il piano astrale – e questo è un punto fermo – è il piano che governa le sensazioni e i desideri. Bella definizione, che spiega tutto e a cui voi vi afferrate con prontezza, pronti a sbandierarla allorché qualcuno vi chiede cos’è il piano astrale, ma che, poi, non è che spieghi molto cos’è che accade sul piano astrale, vero, creature?
L’individuo che muore (questa è la parte che, chissà come mai, vi interessa più di ogni altra cosa!) abbiamo detto che abbandona il piano fisico e si viene a trovare sul piano astrale, e su questo piano astrale che cosa fa? Si crea la realizzazione di un suo desiderio.
Punto primo: qualcuno di voi ha detto che sul piano fisico c’erano le papille gustative e, quindi l’esperienza non può essere la stessa. Dico io: può darsi… però sapete che sul piano astrale esiste un corpo astrale: chi vi dice che in esso non esista l’analogo delle papille gustative del piano fisico e che gusti la materia astrale alla stessa maniera di quanto il corpo fisico gusta quella fisica?
Il discorso del corpo fisico e, quindi, dell’individuo incarnato che ha un’esperienza più completa perché ha tutti i corpi, è riferito all’evoluzione dell’individuo: siccome ha tutti i corpi collegati e possiede tutti i corpi che può possedere, è nella situazione ottimale per andare avanti nell’evoluzione, perché ha tutti gli elementi per poter comprendere. Giusto? Ma quando l’individuo non ha più il corpo fisico non fa più evoluzione, non si evolve più: tuttalpiù trae le fila di quello che ha compreso facendo esperienza sul piano fisico, ma non aggiunge più nuova evoluzione a quella che ha già acquisita, eventualmente. Sei d’accordo? Quindi è diverso il discorso: non è necessario che ci sia anche ciò che il corpo fisico ha vissuto come percezione fisiologica per costruirsi un’immagine appagante del proprio desiderio all’interno del piano astrale.
Punto secondo: pensiamo a… un gelato al cioccolato. L’individuo sul piano fisico si mangia un gelato al cioccolato: le sue papille gustative assaporano il gusto, il suo corpo astrale si sente emozionato e appagato nel suo desiderio di gelato, il suo corpo mentale dice: «Guarda che bravo: io sto mangiando il gelato e quello no, peggio per lui!», e via e via e via. Però sul piano astrale – in teoria – manca soltanto la sensazione delle papille gustative perché anche la sensazione di mangiare il gelato (che appartiene al piano fisico) è costituita da che cosa? Da quello che accade anche sugli altri piani di esistenza, quindi dal piano astrale e dal piano mentale.
Pensate un attimo… che so io: a un desiderio sessuale. In realtà, la maggior parte del desiderio sessuale di solito proviene dal piano astrale e dal piano mentale, non è detto che provenga principalmente dal piano fisico anzi molte volte, magari, la materia fisica non risponde all’impulso sessuale e questa materia verrà messa in moto allorché la parte astrale o mentale dell’individuo agirà o reagirà. D’accordo? Quindi, come vedete, per assaporare il gelato sull’astrale non è necessario possedere il corpo fisico.
Allora qualcuno diceva: «Però, se io riesco a costruirmi un Monte Bianco di gelato e incomincio dalle pendici a mangiare questo gelato, e poi, per furbizia estrema, a mano a mano che mangio lo rifaccio, mi costruisco un sogno così grande e così bello, un appagamento così piacevole che non ne uscirò mai, non sarà mai detto che io esca da questo appagamento di desiderio», vero? Allora qualcuno ha tirato fuori la teoria (la nuova teoria) della «sazietà»: quando uno arriva alla prima pendice del Monte Bianco, e la pancia astrale è abbastanza piena, incomincerà a sentire un certo dolore (indigestione di gelato astrale) allora dirà: «Basta, non ne posso più di gelato» e interromperà l’appagamento del suo desiderio. Più o meno era questo che dicevi, no? Io dico che non è così: l’abbandono di un sogno – perché tale è e altro non può essere – all’interno del piano astrale, costruito dall’individuo per appagare un suo desiderio, viene a perdere importanza, quindi a offuscarsi, quindi a non avere più abbastanza forza per sostenere la creazione di quel tipo di realtà con la materia astrale, a mano a mano che la vibrazione di consapevolezza e di comprensione prenderà a circolare più fluidamente fra il corpo astrale e il corpo akasico. Quindi non sarà una sensazione di sazietà (e, quindi, di rifiuto di appagamento) che darà l’abbandono della creazione astrale, ma sarà invece la consapevolezza di ciò che ha motivato questa creazione. In parole più semplici, anche se più inesatte, allorché le esperienze che l’individuo ha fatto sul piano fisico si trascriveranno nel corpo akasico (e, naturalmente, ogni cosa ha un suo corso perché ciò avvenga), allorché questo sarà fatto, accadrà che la comprensione attuata si ripercuoterà come vibrazione sui piani inferiori, quindi anche sul piano astrale; così l’individuo, avendo compreso, non avrà più quel tipo di desiderio e il desiderio si scioglierà come… gelato al sole!

Il piano di esistenza fisico e il suo corpo

d-30x30Piano di esistenza fisico e il suo corpo. Dizionario del

Vediamo come l’essere nasce, come incomincia a poco a poco a prendere contatto con gli altri suoi veicoli e a costruire, in questo modo e di conseguenza, la propria personalità.
Innanzi tutto l’entità che è chiamata a prendere posto in quel determinato corpo, comincia a prendere i suoi propri e veri contatti dopo il parto, immediatamente dopo la nascita vera e propria; questi primi contatti sono relativi al piano immediatamente successivo a quello fisico che, come tutti voi ricorderete, è il corpo astrale.
Questi primi contatti vanno, via via che il corpo fisico segue la sua inevitabile crescita fisica, ampliandosi fino a divenire completi, stabili; per compiere questo cammino, per arrivare alla perfezione, sono necessari più o meno sette anni del vostro tempo, sette anni del piano fisico; questo, affinché quella persona abbia il suo corpo astrale ben strutturato e ben allacciati i contatti con il relativo veicolo fisico.
Più o meno contemporaneamente l’individuo che userà, per la nuova incarnazione, quel determinato corpo, comincia anche a formare i primi contatti con il proprio veicolo mentale; però per arrivare alla completezza, per arrivare alla perfezione dei contatti con il proprio corpo mentale dovranno passare più anni, anni che vengono genericamente indicati in quattordici.
A questo punto voi potreste affermare con tutta tranquillità, che la personalità dell’individuo è strutturata, formata verso i quattordici anni.
Ciò è errato, prima di tutto perché, per il momento, non abbiamo ancora fatto menzione dell’eventuale allacciamento con il corpo akasico (non dimenticatevene l’importanza) e poi perché dovete tenere sempre ben presente una cosa: questi limiti di tempo che noi abbiamo dato (in questo caso abbiamo parlato di sette e quattordici anni) sono indicativi e non validi, genericamente, per tutti gli individui. La differenza dipende soprattutto dal grado evolutivo dell’individuo che si incarna.
Ci si potrebbe fermare sulle cose che ho appena detto, cercando di vedere in particolare come si manifesta praticamente, nel comportamento di quello stesso essere, l’allacciamento in questione, qual è lo sviluppo e come lo si vede praticamente; questo sarebbe un discorso molto interessante però è molto complesso e porterebbe via troppo tempo. Vorrei ricordarvi ancora, prima di allontanarmi, che la personalità vera e propria, così come è stata definita dal paziente amico Boris, è comprensiva di qualcosa di più, direi anche di quegli impulsi (anche se piccolissimi) che il corpo akasico invia al corpo fisico; questo, per farvi comprendere come, molto spesso, nei nostri discorsi ci limitiamo per fornirvi una maggiore possibilità di comprensione, dandovi soltanto delle piccole gocce di Verità per volta. Vito

Collegamento coscienza-corpi al momento di una nuova incarnazione

d-30x30Nascita/incarnazione. Dizionario del

Vorremmo parlare di un punto importante, quello che riguarda il collegamento tra spirito e materia – se così vogliamo dire – al momento della formazione, della creazione di un nuovo individuo incarnato sul piano fisico. Vedete, figli cari, ciò che vi porta fuori strada, che vi impedisce di comprendere nel modo giusto questo piccolo particolare è il fatto che continuate, malgrado il nostro insegnamento, a considerare il corpo akasico come se fosse colui «che fa». «Il corpo akasico (qualcuno ha detto) ha ‘scelto’ il corpo in cui deve fare esperienza, il corpo akasico ha fatto questo, ha fatto quell’altro» come se avesse una sorta di propria volontà tale da poter influire consapevolmente e nel modo migliore e più giusto in quello che sarà il suo cammino attraverso l’esperienza del piano fisico.
Ora, certamente il corpo akasico è qualcosa di molto importante per ognuno di voi, questo senza alcuna ombra di dubbio, però questa caratteristica di consapevolezza, questa caratteristica di coscienza, questa caratteristica di poter agire, di poter fare, diventa vera e pienamente effettiva in tutta la sua grandezza soltanto allorché l’individualità avrà abbandonato il piano fisico, o meglio – per essere più precisi – soltanto allorché l’individualità non si incarnerà più sul piano fisico, allorché cioè il corpo akasico avrà strutturato tutta la sua materia e sarà completamente consapevole. Prima di questo momento, il corpo akasico può essere considerato l’antitesi dell’Io; così come abbiamo detto che l’Io, in realtà, è una proiezione del corpo akasico al punto che, osservando l’Io, ognuno di voi può arrivare a capire cos’è che il corpo akasico ha compreso o non ha compreso. Allo stesso modo il corpo akasico, per ambivalenza – come direbbe il nostro amico Scifo – è ciò che l’Io dimostra, in quanto sono strettamente dipendenti, legati l’uno all’altro.
Ora, quando accade che sta per avvenire una nuova incarnazione, il corpo akasico «non sceglie» (anche se a un certo punto di evoluzione si illude magari di poter scegliere), non sceglie il corpo, il luogo e il tempo in cui avverrà l’incarnazione, ma semplicemente emette una vibrazione, e questa vibrazione si va a collegare a della materia incominciando, tramite questa forma vibratoria e le sue differenziazioni, a strutturare la materia che incontra.
Non vi è quindi ancora un collegamento neanche al momento del concepimento, ma vi è una partecipazione vibratoria da parte del corpo akasico, il quale mette in questa vibrazione che ha emesso tutte le vibrazioni che sono riferibili a ciò che ha compreso o ciò che non ha compreso; ed è questa somma di vibrazioni, questo loro interagire l’una con l’altra, questo loro scambiarsi vibrazioni all’interno dei vari piani di esistenza, che raduna la materia di ogni piano che attraversa e incomincia a plasmarla, a formarla in modo tale da avere un corpo che si adatterà il più possibile a quelle che sono le più immediate esigenze evolutive di comprensione del corpo akasico. Ecco, quindi, che tutto il periodo della gestazione sarà un periodo in cui queste vibrazioni continueranno ad agire influenzando con il loro movimento la costituzione di tutti gli elementi del nuovo corpo che si va creando; ma il vero e proprio allacciamento, il vero e proprio collegamento, inizia allorché tutti i corpi sono pronti ad esperire, allorché sono separati dall’ambiente protettivo materno e quindi il corpo incomincia da se stesso, da solo, a vivere la propria esperienza, scontrandosi immediatamente con l’impatto del piano fisico in cui si trova – spesso sgradevolmente – proiettato.
Ecco, è da questo punto che incominciano ad allacciarsi i collegamenti dei vari corpi: astrale, mentale ed akasico. Sono stato chiaro su questo? Volete qualche delucidazione?
Non si può ridurre questo discorso a una precisa formula matematica, anche perché non si tratta di una sola vibrazione, ma di un’enorme quantità di vibrazioni, come è enorme la parte non compresa ancora dal corpo akasico, e come è enorme in tutti i suoi particolari, in tutte le sue sottigliezze ciò che egli invece, magari, ha compreso fino a quel momento; ed ogni comprensione e ogni non-comprensione emette una vibrazione che si unisce o si fonde e arriva poi a proiettarsi fin sul piano fisico, con tutto quello che abbiamo spiegato. Moti

Quando il corpo fisico, astrale e mentale si dissolvono, al termine dell’incarnazione, cosa diventano?
Voi sapete che, quando l’individuo abbandona i suoi vari corpi, li abbandona un po’ per volta, uno per volta anzi; voi sapete addirittura (quelli più a fondo nell’insegnamento) che li abbandona strato dopo strato, non tutti in una volta; e quegli strati da cui l’individualità si ritira, un po’ alla volta, perdono poi, senza la forza di coesione dovuta alle vibrazioni dell’individualità, perdono la coesione tra le unità elementari che compongono la materia di quel corpo e queste unità elementari, un po’ alla volta, si separano, si lasciano, e rientrano nel ciclo interno del piano di esistenza a cui appartengono, diventando quindi, in qualche modo, materia possiamo dire «indifferenziata», pronta ad essere poi usata per altre necessità che si possono presentare, per permettere che – attraverso le modifiche della materia – possa continuare l’evoluzione di altri individui della razza.
Potremmo dire che, in una Realtà in cui tutto ha una sua funzione e nulla esiste per caso ma ottempera a diversi scopi, essa viene «riciclata». Georgei

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte prima, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Meditazioni quotidiane: 1.2

 

 


Questo non è certo il Dio
che la
maggior parte delle religioni propone.
Non è forse quantificabile.
Non è forse definibile come immagine.
Non è forse legato ad altro che ad impressioni,
a sentire, a sensazioni,
a qualcosa che, quindi, a voi appare inesprimibile,
indescrivibile,
irraggiungibile.
Pur tuttavia, al di là di qualsiasi immagine sacra,
vera o non vera,
al di là di qualsiasi grande Maestro,
vero o presunto,
al di là di qualsiasi dottrina religiosa,
al di là di qualsiasi discorso,
al di là di qualsiasi immagine individuale,
l’esistenza di Dio viene sempre recepita,
prima o poi, da un individuo nella sua Realtà,
e questa esistenza compenetra 
la realtà che voi vivete,
in modo così soggettivo da farsi presente,
da farsi sentire nei momenti meno prevedibili, più inaspettati.
C’è chi, nella storia dell’uomo,
ha trovato, sentito, riconosciuto, incontrato Dio
durante un rapporto amoroso con un’altra persona.
C’è chi l’ha incontrando sulle ali di una canzonetta fischiettata.
C’è chi l’ha trovato semplicemente vivendo una giornata di lavoro,
normale, come tutte le altre.
C’è chi l’ha trovato nella sofferenza,
chi l’ha trovato nella gioia,
ogni individuo può trovarlo in mille e mille cose che sono in Lui,
ed ognuna, creature, una per una,
vi parla proprio di Lui stesso.

Scifo 


 

 


Io non sono nulla,
sono una piccola goccia di pioggia
durante un temporale,
un minuscolo granello di sabbia
in uno sconfinato deserto,
un ago di pino
in un bosco di conifere,
un fiocco di neve in una tormenta,
un meteorite in un cielo
popolato
da miliardi di stelle;
eppure, senza di me,
quel temporale, quel deserto,
quel bosco e quel cielo
non sarebbero più gli stessi.
E questo, già da solo,
mi dovrebbe rendere felice di esistere
e di far parte di Te, Padre mio.

Hiawatha


 

 


In qualunque posto Tu risieda,
dovunque Tu sia,
qualunque cielo Tu possa occupare,
qualunque dimensione Ti appartenga,
io a Te dedico la mia gioia,
io a Te dedico la mia allegria,
io a Te dedico le mie passioni,
io a Te dedico i miei desideri,
io a Te dedico la mia sofferenza,
io a Te dedico i miei dubbi e i miei perché,
le mie resistenze, i miei rimpianti,
i miei rimorsi, i miei sensi di colpa
e le mie disperazioni.
Io Ti dedico, Dio mio, tutta la mia vita,
certo che Tu l’accoglierai tra le Tue mani
e saprai con esattezza ciò che di essa va fatto.

Moti


 

 


Mi hai insegnato la via dell’umiltà, Padre,
mi hai indicato, attraverso mille esempi,
la strada della semplicità.
Mi hai fatto dire di essere sola e semplice.
Mi hai insegnato a non pretendere nulla dagli altri,
ma a pretendere molto da me.
Mi hai insegnata ad osservare con occhio benevolo
i miei fratelli, le mie sorelle,
i miei genitori, i miei figli,
i miei compagni di viaggio.
Mi hai insegnato a non giudicare,
mi hai insegnato a non criticare,
mi hai insegnato a sentire
ciò che fa parte
del Creato
come cose che mi appartengono
anzi, come una parte di me.
Ma, malgrado tutto questo,
io mi sento un essere meschino,
un essere che accetta soltanto con la mente
le cose che Tu mi invii,
un essere che, da un momento all’altro,
pensa solo a se stesso,
giudica il comportamento degli altri,
è distruttivo nei confronti della natura e del mondo,
è distruttivo nei confronti
di se stesso.
Ma anche questa, Padre mio,
così come Tu mi insegni,
è una delle strade che mi condurranno fino a Te.
Io vorrei, però, riuscire ogni giorno ad imparare,
a compiere un piccolo sforzo,
affinché le mie parole non siano veleno,
affinché il mio sguardo non sia aggressività,
affinché il mio porgere una mano
non sia solo per prendere,
affinché il mio modo di accarezzare,
o di chiedere una carezza,
non sia un modo di giustificarmi,
o di farmi perdonare.
Aiutami, Padre mio, ogni giorno
a compiere uno di questi piccoli sforzi;
piccoli sforzi che, alla fine, mi porteranno
a poter dire 
di vivere gli altri,
di vivere i miei compagni,
i miei genitori, i miei figli, i miei amici
e gli stessi estranei come dei veri e propri fratelli.
Non chiedo molto, Padre mio,
in realtà non chiedo molto,
ma sono sicura che il Tuo aiuto giornaliero
mi potrà condurre veramente all’unione
con i Tuoi figli e con Te.

Viola


 

 


Padre mio,
ho sentito i Tuoi figli parlarmi di evoluzione.
Ho sentito che suggerivano l’idea che Tutto è Uno
e ho pensato anche che, se davvero Tutto è Uno,
dalla più piccola cosa, mi è possibile Padre mio,
se davvero lo voglio, riuscire ad arrivare fino a Te.
E assieme a questo pensiero, Padre mio, io ho gioito.
Ho gioito perché se davvero Tutto è Uno,
ho compreso che io sono Tutto
e sono Uno con gli altri fratelli che mi stanno attorno.
E che ogni carezza che a me non viene data,
che a me viene tolta per essere donata ad un mio fratello,
ha lo stesso valore della carezza che io avrei dovuto ricevere.
E che le stesse parole e lo stesso affetto che prima,
magari, era rivolto a me e adesso vedo rivolgere ad altri,
questo affetto, queste parole, ho compreso, Padre mio,
che sono
ancora e sempre miei.
E di questo Padre mio,
di questa mia
comprensione,
di questo mio sentirmi unito veramente fino in fondo con Te e con i Tuoi figli,
di questo riuscire a condividere senza invidie,
senza rancori, senza accidia ciò che gli altri hanno
e che apparentemente a me manca,
di tutto questo, Padre mio,
io Ti ringrazio dal più profondo del mio essere.

Moti


 

 


Padre mio,
sento su di me il peso dell’evoluzione,
i secoli sono sfilati davanti
ai miei occhi,
i millenni sono scivolati alle mie spalle come un fiume
che si perde
e si confonde con l’oceano.
Ed io mi trovo improvvisamente accomunato ad altri esseri
che hanno minore esperienza di me,
che hanno forse compreso qualcosa in meno
e con i quali io cerco di intrattenere
un rapporto,
un contatto perché sento che
essi hanno bisogno di me,
ma che anch’io,
in fondo, ho bisogno di loro.
E com’è difficile, Padre mio, fare tutto questo,
com’è difficile far comprendere a loro
quanto essi di me hanno bisogno e quanto io,
a mia volta, abbia bisogno di loro.
Perché se mi metto al loro stesso piano
essi finiscono con il considerarmi un individuo
da assoggettare, da sfruttare, 
da usare
senza tenere in debito conto, senza accorgersi, magari,
di ciò che cerco di far pervenire loro
attraverso la mia
esperienza passata.
Se io invece mi elevo al di sopra di loro
finisco col vederli ritrarre se stessi quasi spaventati,
ritirarsi in soggezione per ciò
che io sono.
Aiutami, quindi Padre mio,
a far loro comprendere che se pure il mio cammino evolutivo
è molto più lungo di quello da loro
percorso,
ciò non significa che anche io non dovrò ancora camminare,
perché se sono più avanti nel cammino,
non è per particolari capacità,
ma semplicemente perché ciò doveva essere
e che anche loro, prima
o poi, giustamente,
attraverseranno il mio
stesso sentiero.
Come far comprendere loro, Padre mio,
che in fondo se io sono ricoperto di materia fisica
questo sta a significare che io sono
un essere umano,
in questo momento,
così come lo sono loro?
Come far loro comprendere
che anche io sono capace di soffrire,
che anch’io incontro la disperazione,
che anche per me la disillusione,
le illusioni infrante possono far male,
che il dolore m’addolora e che la morte a volte mi spaventa?
Come far loro comprendere, Padre mio,
che anche se sulle mie spalle
c’è il peso dei secoli e dei millenni,
che se anche i miei capelli sono diventati bianchi
a forza di essere immersi nella
sofferenza in tutte le epoche
che si possano ricordare a memoria d’uomo,
malgrado tutto questo, io sono ancora un essere che abbisogna d’amore
e che amore cerca ancora di
poter donare e di poter ricevere?
Padre mio,
forse io non riesco ad essere 
abbastanza umile in quanto faccio,
o forse non vi è la possibilità da parte degli altri
di poter penetrare la mia corazza,
così come un bambino osserva le lacrime di un adulto
e pensa che quelle lacrime siano, magari, soltanto un gioco.
Fa’ loro comprendere, Padre mio,
che anche le mie lacrime, i miei sorrisi,
le mie tristezze non sono un gioco,
ma sono vere e sincere così come lo sono le loro.

Scifo


 

 


Padre, Padre mio,
io comprendo la Tua grandezza,
comprendo il Tuo Amore,
io comprendo la Tua pace,
comprendo che Tu, per farmi giungere a Te,
hai posto sul mio cammino anche la distruzione,
hai posto sul mio cammino la rabbia,
l’odio, 
il rancore, l’invidia;
hai posto sul mio cammino
tutto quello 
che di negativo
in un individuo possa esserci.
Io comprendo per questo la Tua realtà,
comprendo per questo la Tua grandezza, Padre mio,
perché so che Tu hai permesso che io uccidessi
e che venissi a mia volta
ucciso
per farmi giungere fino a Te.
Hai permesso che prevaricassi gli altri,
tutti i miei fratelli,
e che gli altri prevaricassero me,
per farmi giungere fino a Te.
Hai permesso che io odiassi gli altri,
le persone che avrei dovuto, invece, amare,
e che gli altri mi odiassero, per farmi giungere fino a Te.
Padre mio, la Tua grandezza è fatta anche di questo;
Padre mio, adesso lo so.
E se la Tua grandezza è fatta anche di questo,
anche il Tuo Amore è fatto di questo,
e sono felice per quanto mi hai amato,
sono felice che Tu mi abbia insegnato
a diventare l’Amore stesso.   

Viola


 

 


Padre nostro,
se ancora una volta ci hai rivestiti di materia,
se ancora una volta ci siamo trovati in mezzo agli altri,
incatenati ai bisogni, ai desideri,
alle necessità del nostro Io,
è perché soltanto Tu sapevi
che di questo noi avevamo ancora bisogno.
Padre nostro,
se ancora abbiamo versato lacrime,
se ancora abbiamo pianto,
perché non siamo riusciti a dare la mano
ad un nostro fratello che soffriva,
se ancora non siamo riusciti ad asciugare quella lacrima
prima che il vento l’asciugasse per noi,

è perché Tu sapevi che il nostro cammino,
la nostra strada, così doveva essere.
Padre nostro,
chissà ancora per quante vite,
chissà ancora per quante esistenze,
così dovremo essere.
Tu non puoi darci la certezza
che 
questa sia l’ultima esperienza,
Tu non puoi fare questo, Padre nostro,
ma noi confidiamo in Te e speriamo che,
prima o poi, Ti raggiungeremo,
perché siamo certi che Tu,
come un ottimo padre con un’infinita pazienza,
ci aspetterai.

Viola


 

 


Padre nostro,
Ti ringraziamo per aver messo lungo la nostra via
il dolore, la sofferenza,
perché da essa noi siamo rinati forti, felici.
Ti ringraziamo per averci dato la gioia,
la felicità nell’osservare anche il solo volo di una farfalla
perché con essa ci hai insegnato 
a capire,
a comprendere la Tua presenza
ovunque.
Padre nostro,
Ti ringraziamo per averci dato tanti altri fratelli
diversi da noi, ma identici a noi,
con i quali abbiamo potuto confrontarci,
scontrarci e comprenderci gli uni con gli altri.
Padre nostro,
Ti ringraziamo per averci offerto l’opportunità
di ascoltare la Tua voce 
attraverso le creature
che ci circondano,
di contemplare la Tua voce
attraverso i semplici fatti
che Tu continuamente ci invii.
Padre nostro,
Ti ringraziamo soprattutto per averci dato
la possibilità di esistere.

Viola


 

 


Padre nostro che sei dovunque
sia resa grazie alla Tua esistenza,
il Tuo regno è già qui
sia in cielo che in terra,
sia fatta fa Tua volontà
perché essa è ciò che muove l’intero creato,
e il Tuo regno è ovunque un essere vive,
muore, soffre, gioisce e sente.
Dacci ogni giorno
l’impulso di migliorare noi stessi,
affinché alla nostra fame di Te
possa sempre essere dato il pane
necessario a saziarci,
e aiutaci a donare agli altri
ciò che sentiamo che da Te
ci viene donato.

Viola


 

 


Padre nostro,
ti ringraziamo per averci donato
occhi per vedere, orecchi per udire,
bocca per parlare, mente per pensare
e spirito per sentire.
Ma quante volte facciamo buon uso
di ciò che, nel Tuo Amore, ci hai elargito?
Quante volte i nostri occhi
hanno visto solo ciò che volevano vedere?
Quante volte i nostri orecchi
hanno udito solo ciò che volevano udire?
Quante volte !a nostra bocca
si è aperta solo per oltraggiare?
Quante volte la nostra mente
si è soffermata davvero a pensare?
Quante volte il nostro spirito
si è sentito davvero una parte di Te?
Padre nostro,
Ti chiediamo umilmente perdono
per il cattivo uso che facciamo dei Tuoi doni.

Moti


 

 


Motore di ciò che è.
Dio presente in ogni dove.
Signore di ogni essere.
Dio che doni e che disponi.
Dio che per creare
ti è bastato affermare:
«Sia l’uomo e sia la donna».
Fa sì che chi hai creato e reso vivo
possa condurre la sua esistenza
sempre libero e sempre in pace.
Tu che sei dentro a ogni cosa,
Tu che sei fuori da ogni cosa,
nelle nuvole e nella notte, ascoltami:
fa sì che io viva i miei giorni,
fino a che avrò bianchi i capelli,
e quando le mie membra saranno stanche,
prendimi fra le Tue braccia
e aiutami a giungere fino a Te,
ovunque Tu sia!

Viola


 

 


O Altissimo Signore,
Tu che mi hai indicato la via,
questa via che porta dentro di me.
Signore, io credo in Te,
Signore, io “sento” che Tu esisti;
mio Signore, percorrerò per Te questa via;
affronterò la sofferenza che la costella,
affronterò gli ostacoli
che si pareranno 
davanti a me,
affronterò i pensieri che mi diranno:
“Torna indietro
perché più avanti c’è la sofferenza,
e alle tue spalle può esserci la pace”.
E questo perché so, o Signore,
perché ho capito, mio Dio,
che se Tu quella via mi hai indicato
è perché alla fine della strada
Tu sei là ad aspettare.

Florian


 

 


Padre mio,
ho cavalcato mille cavalli imbizzarriti
e da essi ho trovato in me le parole e i suoni
che li rendevano docili e capaci di seguire i miei desideri,
conducendomi lungo le
strade paurose della mia interiorità.
Ho incontrato sul mio cammino orde di lupi ringhianti
dai denti snudati come barriere 
poste sulla mia strada
per fermare il mio
avanzare verso di Te,
ma ho saputo tranquillizzarli con la luce di un mio sorriso,
con la forza della mia serenità.
Mi sono imbattuto in tempeste
che facevano rivoltare i mari,
portando in alto quello che era in basso
e ricacciando negli abissi più profondi
quello che era in superficie,
e sono rimasto
a galla sopra il pelo delle acque turbolente
solo grazie alla convinzione che io,
qualunque cosa potesse accadere,
non sarei mai morto veramente.
Ho sfidato il fuoco più ardente,
il lampo più abbagliante,
la grandine più tambureggiante
riparandomi sotto la volontà di giungere indenne
nel porto
della mia anima.
Ho attraversato momenti in cui il mio corpo
mi è sembrato 
un peso inutile ed ingombrante
di cui avrei voluto poter fare a meno.
Ho percorso ore interminabili in cui orgoglio,
paure e rancori 
cercavano di ridurmi come un fuscello
in balia del vento, pronto a spezzarsi
frammento dopo frammento.
Ho vissuto periodi in cui i miei pensieri
sembravano essere pensati soltanto allo scopo
di ferire me stesso o, peggio ancora,
di ferire gli altri.
Eppure, sempre, qualcosa dentro di me
è riuscito a modificare ciò che attraversavo
aggrappandosi con tutta la sua speranza
al piacevole soffio di un vento primaverile
o alla risata senza imbarazzo di un bambino
o all’incontro con una nuova, inaspettata, meravigliosa idea.
Infine, Padre mio, ti ho scorto
e tutto ciò che ho vissuto mi è apparso nella sua grandezza,
facendomi riconoscere 
che di tutto ciò, indubbiamente,
avevo
bisogno per arrivare ad essere una parte cosciente di Te.

Andrea


 

 


Padre mio, quante volte, nel corso della mia esistenza,
io mi rivolgo a Te per chiederTi qualcosa,
eppure è un po’ di tempo, Padre mio,
che non provo più il desiderio di chiederTi nulla
perché penso di aver oramai compreso che Tu
già mi dai tutto ciò di cui
io posso aver bisogno
e che è soltanto la mia mancanza di comprensione
in determinati momenti che mi impedisce di vedere
quanto grande è la Tua magnificenza.
Padre mio, io osservo le mie mani,
osservo
il mio corpo,
osservo il mio viso allo specchio e mi tuffo nei miei occhi,
e in essi resto catturato come se fossero delle porte
su degli universi incommensurabili;
guardo le espressioni che un lieve muovere delle ciglia riesce a comunicare,
guardo la gioia, la felicità, la tristezza, l’amarezza, l’ira che,
con pochissimo sforzo, riescono a manifestare e mi chiedo:
«Se una cosa così piccola riesce a fare così tante cose diverse,
stupefacenti nel loro
piccolo eppure meravigliose,
che complessità ha l’interezza del mio corpo
e quali enormi possibilità di espressione esso possiede
che io neppure riesco a immaginare, a comprendere fino in fondo?».
A quel punto, quasi annichilito dalla grandezza di quel microcosmo che io sono,
di quella grandiosa realtà che Tu rifletti e in Te si riflette,
non posso far altro, Padre mio,
che ringraziarTi per la Tua bontà.

Scifo


 

 


Io volevo chiederti, Padre mio,
quand’è che raggiungerò la Realtà con la ‘R’ maiuscola,
ma ho l’impressione che una
domanda del genere
non mi avrebbe fruttato molto perché,
ascoltando quanto i Tuoi deva hanno manifestato nel tempo,
posso arrivare da solo ad una conclusione,
che da una parte
è logica ed evidente
e dall’altra parte è
disarmante.
Infatti, mi sono risposto da solo
che arriverò alla Realtà con la ‘R’ maiuscola
soltanto nel momento in cui avrò svelato tutta l’illusione.
Certo, non può essere che così!
Questa non può essere che la verità,
ma per me, immerso nell’illusione di tutti i giorni,
immerso nei veli d’illusione che l’Io quotidianamente mi mette davanti,
non posso che sentirmi a volte stanco e quasi disperato
nel rendermi conto di quanta difficoltà incontro
nel mio tentativo di alzare il sipario
di questo Teatro delle Ombre.

Scifo

L’imprinting della coscienza nell’esperienza della materia

d-30x30L’imprinting. Dizionario del

L’’imprinting è quel processo per cui, all’interno della massa akasica indifferenziata, si vengono a imprimere degli orientamenti vibratori provenienti dalle esperienze vissute dalla materia akasica allorché è collegata, all’inizio della propria evoluzione, con quella che è la materia fisica.
Facciamo un piccolo passo alla volta e fermiamoci.
Voi avete detto che, quindi, l’imprinting influenza la massa akasica della razza che si va a incarnare e, quindi, è uguale per tutti i componenti di quella razza.
Primo errore!
Infatti, la vita dei minerali a cui la razza, al suo iniziare il percorso evolutivo, è collegata possono essere dislocati in posti molto diversi come condizioni ambientali e, di conseguenza, sperimentare “esperienze” diverse.
Inoltre, i minerali non hanno tutti la stessa composizione, quindi reagiscono diversamente all’umidità o al caldo, o al freddo, al fuoco, al ghiaccio, e via e via e via, e siccome ci sono tanti collegamenti per la massa akasica, certamente ci sarà la possibilità che venga fatta esperienza di tutti questi fattori; però si vanno a iscrivere nella massa akasica non riempiendo tutta la massa akasica, ma facendo delle zone all’interno della massa akasica: questa parte di massa akasica collegata a questa porzione di materia fisica riceve questo stimolo, quest’altra parte riceve quest’altro stimolo, e via e via e via e via. D’accordo su questo?
Questo significa, ovviamente, che nel momento in cui la massa akasica si frantumerà, i vari pezzi della massa akasica frantumata non necessariamente avranno le stesse impronte di esperienza fatte all’interno del minerale.
All’interno della porzione di massa akasica che si frantuma vige sempre una certa uniformità e coerenza di “imprinting”, al punto che possiamo affermare tranquillamente che tale massa viene delimitata, nel suo frantumarsi, dal fatto che quell’imprinting che ha fornito quel certo tipo di vibrazione accomuna quella massa e, quindi, in qualche modo la tiene legata assieme; circoscrive, quindi, le possibilità di frattura della massa akasica (per dirla in maniera più semplice).
Arrivati a questo punto, facciamo un piccolo salto… di qualche centinaio di migliaia di anni, e arriviamo alla seconda fase dell’imprinting, la fase che permette l’acquisizione di elementi, di impronte, attraverso le esperienze fatte all’interno del mondo vegetale.
Chiaramente … (voi sapete che il discorso nella realtà si replica molto spesso, quasi sempre direi, attenendosi regolarmente alla legge del “così in alto, così in basso”) il discorso è molto simile a quello che abbiamo fatto per quello che riguarda l’imprinting proveniente dal regno minerale. Ancora una volta, l’esperienza fatta dal vegetale all’interno del piano fisico porterà una vibrazione modulata in maniera diversa alla massa akasica a cui è collegata, a seconda del tipo di esperienza che la pianta, il vegetale, avrà subito. Ecco, quindi, che ci sarà una parte collegata, per esempio, (che so?) … al fatto che ci sono vegetali che vivono prevalentemente al caldo o vivono prevalentemente al freddo, vegetali che vivono nell’acqua di mare o in cima ai monti, vegetali a vita prevalentemente diurna o prevalentemente notturna, e via e via e via e via; tutto questo dà molte diverse possibilità di orientamento; giusto?
Il procedimento sarà ancora una volta lo stesso: questa impronta si andrà a depositare nella porzione di massa akasica corrispondente, fino a quando questa massa akasica si frantumerà, ancora una volta seguendo questa linea di frattura dovuta alla comunità di vibrazione. Non sto a ripetere il discorso per quello che riguarda il regno animale, anche perché è ovvio e di conseguenza.

L’evoluzione della forma del vivente: dal minerale all’umano

d-30x30L’evoluzione della forma del vivente. Dizionario del

Formato A4 per la stampa (14 pagine)

Viene inteso con “evoluzione della forma”, il fatto che necessariamente la forma animata deve subire delle modificazioni, per poter permettere all’entità che la anima di esprimere il suo grado evolutivo. Sarebbe assurdo, infatti, pensare che un’entità di alta evoluzione possa animare una materia che non le permetta di esprimere questa sua evoluzione.
Se così fosse, infatti, vi sarebbe un grosso spreco in questa incarnazione, ma nulla nell’universo è sprecato: nel cosmo, nell’universo, nel creato, vige la più perfetta economia delle cause, per cui nessuna causa inutilmente può essere mossa. Ananda

Da tutte queste definizioni, non facili né da comprendere, né da spiegare, ognuno di voi può restare confuso… apparentemente possono sembrare concetti inutili, apparentemente possono sembrare soltanto speculazioni filosofiche sulle quali in pratica, nella vita di tutti i giorni, non si può contare.
Bene: noi speriamo invece che ognuno di voi arrivi a rendersi contro che queste cose non sono soltanto speculazioni filosofiche, ma servono proprio alla vostra quotidianità!
Ma in definitiva, creature, dopo tutte queste definizioni forse un po’ astruse, inaspettate o confuse per tutti voi, come può venire definita l’evoluzione? Non quindi l’evoluzione di una razza, non l’evoluzione della materia o della forma ma proprio “evoluzione” e basta.
Vedrò io di fornirvi un elemento di questo tipo che può tornarvi utile per dare delle basi su cui appoggiarsi, poi, in futuro.
Evoluzione: passaggio da parte dell’individuo da uno stato di coscienza semplice ad uno stato di coscienza più complesso.
Oppure ancora, evoluzione: passaggio dell’individuo da uno stato di sentire ad uno stato di sentire più ampio, maggiore.
Apparentemente queste due definizioni sembrano essere la stessa cosa, tuttavia in realtà così non è: se voi osservate, per esempio, un animale, potete vedere che questo animale nel corso della sua incarnazione animale subisce un’evoluzione, ovvero passa da uno stato di coscienza più semplice ad uno stato di coscienza più evoluto. Tuttavia voi sapete – per discorsi fatti in precedenza – che l’animale possiede dei corpi abbastanza strutturati soltanto per quello che riguarda il piano fisico e il piano astrale e che soltanto in alcuni casi vi è un corpo mentale che incomincia ad essere strutturato. Quello che è il corpo akasico dell’animale, in realtà, è qualcosa di non strutturato, di uniforme e (se così si può definire figurativamente) è un ribollire di materia akasica in cerca di sistemazione.
Ora – secondo il nostro pensiero – può essere detto che un individuo ha un sentire soltanto allorché l’individuo incomincia ad avere una certa struttura fisica all’interno del piano akasico. Non è necessario che questa struttura sia molto ampia però – secondo, appunto, il nostro filosofeggiare – soltanto nel caso in cui è una porzione di corpo akasico strutturata si può davvero parlare di sentire.
Come conseguenza di quanto ho affermato, non avendo l’animale un corpo akasico strutturato non si può affermare che la sua evoluzione corrisponda a passaggi di sentire ma, tutt’al più, a passaggi di coscienza intesa, nel caso dell’animale, a passaggi, in particolare, di coscienza sensoriale. Si può quindi parlare, a proposito dell’animale, di “evoluzione sensoriale”.
A questo punto potrete comprendere benissimo da soli, senza che io vi tedi coi miei discorsi, che si può applicare il discorso dell’evoluzione a qualsiasi cosa vi possa venire in mente: vi è così un’evoluzione mentale, vi è un’evoluzione dei desideri, vi è un’evoluzione delle percezioni fisiche (e basta, d’altra parte, osservare la diversità delle percezioni fisiche tra il bambino e l’adulto), vi è un’evoluzione razziale, sociale e via e via e via. Scifo