La nascita in una nuova incarnazione

d-30x30La nascita in una nuova incarnazione. Dizionario del

Di recente, qualcuno tra voi voleva sapere se le incarnazioni precedenti influenzano l’ultima incarnazione ed eventualmente quali tracce lasciano sull’ultima vita di un individuo, come possono condizionarlo e via dicendo.
Ad ognuno di voi può essere capitato di sentire un’attrazione particolare per qualche paese, di sentire quasi il bisogno fisico di recarsi a visitare certi posti, o di avvertire internamente una repulsione per certi luoghi o per determinate epoche del passato. Questi, spesso, sono segni che quei luoghi o quelle epoche sono stati teatro di un’incarnazione di quell’individuo nel corso della sua evoluzione, incarnazione vissuta felicemente o infelicemente.
Accade che quando l’ultima incarnazione ha dei punti di contatto, come carattere, con quelle vite trascorse in altri luoghi e altre epoche, è facile che avvengano dei passaggi di emozioni, di sensazioni, di ricordi provenienti da quella vita del passato; è più facile, cioè, che vi sia un passaggio di vibrazioni fra quello che è rimasto di quella vita e ciò che quella vita, in qualche modo, ha posto in essere con la vita appena vissuta.
Questo sta a significare che le vite passate pongono le basi di quella che è ora la vita, e le pongono in modo così complesso che è molto difficile poter dire ad ognuno di voi quale vita attualmente stia influenzando ciò che vivete. Tutto questo in qualche modo coinvolge, ricorda, quella che viene generalmente definita come legge del karma, ovvero la famosa legge di causa ed effetto, per la quale un’azione compiuta in una vita passata porta a una reazione nella vita successiva. Attraverso queste reazioni, sia piccole sia grandi (non pensate, infatti, che il karma sia solo fatto di grosse malattie, di grosse influenze), si può affermare che ogni giorno che vivete, ogni attimo che vivete, è nato dall’effetto di tutto ciò che avete subito, positivamente o negativamente, giustamente o sbagliando, nelle vostre passate esperienze.
Naturalmente, adesso mi sto riferendo soltanto alle vite umane, ma per farvi comprendere che la cosa è molto più complessa, vi ricordo che non soltanto le vostre precedenti vite umane hanno posto in essere ciò che ora voi siete, ma anche tutte le altre incarnazioni vissute come animali, come piante, addirittura come minerali. Perché dovete considerare tutte le vostre incarnazioni, tutte le incarnazioni di un individuo, non come ognuna a sé stante, ma come una catena che lega molti anelli l’uno all’altro e che non può essere rotta, altrimenti la catena non avrebbe più significato. Moti

Se voi osservate un bambino nei suoi primi mesi di vita, per non dire addirittura nei suoi primi anni di vita, potete vedere che questo piccolo essere ha bisogno di attraversare determinate esperienze al fine di imparare a non commettere più certi errori. Infatti il bambino, solitamente (e direi addirittura sempre) nei suoi primi mesi di vita, ha la tendenza – per esempio – a cadere. Se voi osservaste quante volte nel corso del suo primo anno un bambino cade, vi spaventereste al pensiero di quante volte è stato vicino a morire, di quante volte i genitori si sono spaventati o preoccupati inutilmente per queste cadute; ma in realtà è sempre ben difficile che accada qualche cosa di grave, tranne casi limite. Queste cadute potrebbero sembrare degli errori, errori di comportamento dovuti all’inesperienza del bambino, errori di attenzione dovuta all’inettitudine di genitori disattenti, ma in realtà hanno una loro funzione ben precisa, ovvero quella di far imparare al bambino che non è ancora padrone del suo corpo, del senso dell’equilibrio, delle distanze, delle proporzioni, affinché in seguito – allorché le sue capacità percettive e reattive si sono sviluppate maggiormente – non commetta più quel tipo di errori e passi ad altre esperienze.
L’esempio del bambino è molto significativo per spiegare e per dare un’idea un po’ più aderente alla realtà del cammino evolutivo che un individuo compie nel corso di varie e varie incarnazioni.
Il cammino di un’individualità, il cammino di un’anima – come molto spesso si è soliti dire – comporta una specie di evoluzione da uno stadio infantile ad uno stadio più maturo; e i passaggi da uno stadio di «sentire» e di evoluzione sempre più grandi sono molto simili al percorso compiuto da una persona dal momento in cui nasce al momento in cui muore.
Cioè, vi è la necessità di compiere determinate esperienze al fine di prendere le misure dell’esistenza, prendere le misure del suo sentire, affinare i suoi strumenti, ed ottenere un’evoluzione maggiore. Ecco, quindi, che, per imparare – ad esempio – a non uccidere, è necessario sempre, e dico sempre, passare attraverso all’omicidio, perché soltanto dopo aver fatto un’esperienza di quel tipo in prima persona (e molto spesso dopo averla ricevuta da altri, sempre in prima persona) si arriva alla fine a comprendere che quel tipo di azione, quel tipo di esperienza, non bisogna più compierla.
Può colpire il fatto che stiamo parlando di omicidio, ma questo in realtà è valido per qualunque altro aspetto dell’evoluzione dell’individuo, da quello più grande come può essere appunto l’omicidio, a quello più semplice come può essere ad esempio quello di portare via una penna lasciata incustodita in un ufficio postale, atto che sembra insignificante: anche la morale comune, in fondo, non è certo pronta a stigmatizzare un comportamento del genere!
Ma, d’altra parte, ricordate anche che la morale comune non è la morale dello spirito, e che l’individuo che alla sua morte osserva poi le sue azioni è sempre un giudice molto severo ed osserva non soltanto le azioni gravi, molto gravi, che ha fatto, ma anche quelle piccole.
E questo perché, in realtà, per poter procedere non basta superare le azioni gravi, ma bisogna, un po’ per volta, superare tutte le proprie percezioni, affinare tutti i propri aspetti del sentire, fino ad arrivare ad un sentire più completo, un sentire che – ripeto – non è fatto soltanto dalla comprensione dei grossi errori fatti, ma anche di quei tanti piccoli errori che, molte volte, son di più difficile soluzione degli errori grossi, perché sfuggono facilmente all’attenzione ed è più facile ignorarli, cercando di dimenticarsene. Scifo

Morale e armonia col sentire

d-30x30Morale. Dizionario del

Come abbiamo detto più volte il concetto di «morale» non è qualcosa di fisso e ben definito nel tempo, ma si tratta di un concetto estremamente variabile, di pari passo con i mutamenti della società.
Basta pensare al secolo scorso (quindi non molto tempo fa) quando suscitava scalpore e invettiva da parte dei moralisti la donna che mostrava «impudicamente» le caviglie, al punto che si racconta che la regina Vittoria facesse coprire le gambe dei tavoli per evitare l’insorgere di pensieri lascivi! Se la regina Vittoria fosse ancora viva si sentirebbe svenire guardando un vostro giornale o vedendo l’abbigliamento che viene usato.
Semplice moda o perdita dei valori morali e decadenza dei costumi? Secondo le Guide si tratta di un momento di confusione dell’umanità che, col loro solito ottimismo, affermano preludere a un cambiamento generale della coscienza di gran parte dell’umanità: perché i nuovi valori possano essere accettati è necessario che i vecchi valori vengano superati e questo cambiamento (come accade per ogni mutamento, in realtà) passa sempre attraverso a momenti di eccesso e di confusione morale prima che la massa si renda conto che non è quello che, in cuor suo, sta aspettando.

Messaggio esemplificativo (1)

Spesso l’uomo si dibatte nelle sue stesse trappole, aggirandosi negli angusti corridoi che i concetti che ha creato gli formano attorno, rimbalzando da una parte all’altra senza posa, senza riuscire a trovare il modo di interrompere quel moto falsamente perpetuo in cui si viene così a trovare. Sto parlando del gioco dei contrari, gioco che è necessario all’ampliamento graduale dell’autocoscienza, ma che può finire col rivelarsi una trappola senza sbocco allorché l’individuo non riesce a risolvere, in un modo o nell’altro, il dubbio su quale dei due opposti si addice facilmente e maggiormente a una data situazione.
Se io vi chiedessi se preferite bere un caffè amaro o un caffè dolce, è certo che ognuno di voi saprebbe risolvere immediatamente questo contrasto senza turbamenti di sorta, ma è solo quando il gioco dei contrari si sposta su piani più «interiori» – diciamo pure più «spirituali» – che il gioco cessa di essere tale e diviene invece causa di possibili afflizioni e tormenti.
Mi riferisco a quei contrari del tipo «giusto-ingiusto», «bene- male», davanti ai quali siete soliti rimanere più indecisi, più confusi, più incerti, perché non riuscite a decidere quale etichetta applicare a un’azione o a un concetto. Poiché una domanda ci è stata rivolta in questo senso, voglio soffermarmi in particolare sulla dualità, sulla coppia dei contrari, «morale-immorale».
Morale: «Complesso di principi di varia natura che inducono l’individuo a tenere un comportamento invece che un altro». Come tutte le definizioni, anche questa ha molti difetti e pochissimi pregi, tuttavia non voglio entrare in una discussione di questo tipo, così come non è mia intenzione fare una dissertazione filosofica sul concetto di moralità in quanto risulterebbe noiosa per tutti; intendo invece cercar di scoprire da dove nasce l’idea di moralità o di immoralità, analizzando un esempio pratico, perché ritengo che niente più di un esempio possa servire per chiarire i punti di vista.
Un bimbo, felice nella sua nudità, gioca con i suoi genitali. Questa è di certo un’immagine che ognuno di voi ben conosce in quanto è altamente improbabile che non vi sia mai capitato di vedere un bimbo, anche molto piccolo, compiere con spontaneità e divertimento questo atto. Nell’osservarlo certo avrete sorriso; alcuni di voi, magari, avranno brontolato; altri saranno leggermente arrossiti ma nessuno, ne sono sicuro, avrà giudicato, anche solo per un momento, immorale il comportamento del bimbo.
Un uomo, nudo, gioca con i suoi genitali.
Non è questa un’immagine che vi sarà capitata di vedere di frequente, anche in tempi permissivi come quelli che vi sembra di vivere! Quindi, se proprio non avete un episodio di vita vissuta direttamente a cui fare riferimento, sforzatevi di dare corpo alla vostra fantasia e di immaginarvi per un attimo come spettatori di una scena del genere. Vedo le vostre espressioni: chi sarebbe nauseato, chi correrebbe al telefono per avvisare la polizia, preoccupato per altri spettatori più giovani e «innocenti», chi – magari – darebbe una sbirciatina non vista tra le fessure delle mani poste pudicamente sugli occhi, per non vedere cotanto obbrobrio… tutti insomma, chi più chi meno, giudichereste scandaloso e immorale quanto state vedendo.

Modelli positivi e negativi e immagine di sé

d-30x30Modelli positivi e negativi. Dizionario del

Cerchiamo di essere sinceri, franchi, aperti, di non avere peli sulla lingua, di non nasconderci dietro un dito, due dita, la mano, … un muro: perché l’individuo ha dei modelli?
Il motivo è uno, semplice, unico, generale, valido per tutti e indiscutibile: per una questione egoistica, perché pensa di poter prendere qualcosa da questo modello.
Questo significa che avere e sentire il bisogno di un modello sottolinea il fatto che si vorrebbe essere qualche cosa che non si è. Giusto? Cerchiamo di applicare la logica e la razionalità al discorso. Significa, ancora, cercare di voler assomigliare a qualcun altro perché si ha l’idea che ciò che l’altro fa, ciò che dice o come si comporta sia proprio quello che manca a se stessi per essere altrettanto belli, forse, come il modello.
Voi direte: «Esistono, però, i modelli negativi»; sembra che, per quello che riguarda i modelli negativi, tutto questo discorso possa non andar bene. Non è vero, creature. In realtà, la spinta è comunque sempre la stessa.
Infatti, anche per quello che riguarda il cosiddetto «modello negativo» – e ce ne sono tanti nella vostra epoca: visto che avete parlato di musica, basta pensare a certi artisti che si presentano secondo modelli certamente non molto accettabili o non molto piacevoli – quello che si desidererebbe prendere, si desidererebbe avere dal «modello negativo» che si prende come modello per se stessi, non è tanto il comportamento del modello ma quello che quel modello ottiene attraverso la presentazione dell’immagine che dà; ovvero, per essere un po’ più semplice, l’importanza, il clamore, la fama e i soldi che riesce ad acquisire dando un’immagine negativa invece che un’immagine positiva.
Quindi, alla fin fine, che il modello sia positivo o negativo non è che abbia molta importanza, sotto questo punto di vista; in realtà, il modello, poi, è un «modello»; come diceva qualcuno non è né positivo né negativo, ma diventa positivo o negativo nel momento in cui l’individuo cerca di far fruttare l’uso di questo modello per quello che riguarda se stesso.
Avendo dunque stabilito che ciò che muove l’individuo alla ricerca di un suo modello è il bisogno di avere, o l’illusione di poter avere qualche cosa che altrimenti non avrebbe, bisogna considerare gli altri elementi che si inseriscono, ovviamente, in questo tentativo di accaparrarsi il modello; perché è facile pensare: «La tal persona, il tal personaggio è il mio modello» però, prima o poi, ci si scontra col fatto che il modello talvolta non è così facilmente raggiungibile o imitabile come può sembrare, e molte volte si finisce con l’essere soltanto una brutta copia, e persinanco ridicola, del modello che si vuole imitare. Questo, perché? Perché non è così facile prendere veramente a modello un’altra persona, un’altra immagine e riflettersi talmente in essa da diventare simili in tutto per tutto ad essa?

Misticismo, religione, sentire

d-30x30Misticismo, religione, sentire. Dizionario del

Secondo le Guide il misticismo è uno stato di coscienza, «è», semplicemente, senza un perché e senza un percome.
Proprio per questo motivo risulta difficile definirlo con precisione. Certamente non è, per forza di cose, il parlare con aria ispirata di Dio, della Madonna, dei Santi e via dicendo: troppo spesso si sente qualcuno definirsi tendente al misticismo perché è (o si ritiene) molto religioso.
A ben vedere il misticismo con la religione non ha necessariamente un legame di qualche tipo, è più avvicinabile al senso di religiosità che l’individuo sente in sé (aldilà di qualsiasi etichetta religiosa di qualsivoglia tipo) nel momento in cui sente fluire dentro di sé l’essenza del divino.

Messaggio  esemplificativo (1)

Le religioni sono molte sul vostro pianeta. Sono state molte e restano ancora molte oggi. Il Cristianesimo indubbiamente è una delle religioni più dolci che siano esistite, una delle religioni più belle, con gli insegnamenti più facili da comprendere da chiunque, proprio perché esposti, all’origine, in una forma adatta alla semplice cultura delle persone che ascoltavano. Ed è bello per questa sua semplicità. Purtroppo, ahimè, si è trasformata col tempo in una religione che di semplice non ha più nulla. Non soltanto, ma il pastore di pecore è diventato col tempo un guerriero di Dio. Avete mai pensato a questo, creature? La religione cattolica ha fatto diventare l’insegnamento di pace, di fratellanza e di amore universale qualcosa che mette, invece, in mano ai suoi fedeli delle armi per combattere, per combattere gli altri, le religioni dissidenti, per combattere (che so io) anche soltanto Satana, questa ipotetica figura che, una volta ogni tanto, in qualche mente senile, per essere gentili, si ripresenta all’umanità.
Voi direte: ci sono problemi e difetti anche nelle altre religioni! Certamente, questo è fuor di ogni dubbio. Tuttavia le altre religioni hanno un pregio che la religione cristiana attuale non è riuscita a mantenere, ovvero la semplicità. Pensate alle altre religioni che esistono, quelle quanto meno di un certo valore spirituale, e vedrete che nei secoli e nei millenni sono rimaste costanti nel loro presentarsi al mondo, non hanno mai avuto l’ansia di fare grandi proselitismi, di arrivare in qualche modo ad essere le uniche depositarie della verità.
Solo per questo, creature, e anche per il fatto che, culturalmente, è la religione più vicina a tutti voi, mi soffermo spesso a indicarvi certe cose ironico-divertenti che qua e là costellano il cammino dell’attuale cristianesimo, diciamo così, anche se ormai chiamarlo cristianesimo forse non potrebbe neppure avere più tanto senso. Scifo

Nel venirvi a parlare di Dio noi non vogliamo indurvi ad essere forzatamente mistici: il misticismo è qualche cosa che l’individuo ha al suo interno ad un certo punto della sua evoluzione. Ed è tanto facile, invece, volersi convincere a tutti i costi di essere mistici, e, quindi, dimenticarsi che la propria realtà e la propria evoluzione, di mistico non possiedono ancora quasi nulla.
Quanti uomini si nascondono dietro parole che ritengono divine o sante, e dimostrano ad ogni piè sospinto che queste parole servono loro soltanto come scusa, come paravento per giustificare quelle che sono le loro passioni.
Il vero mistico è colui che non ha bisogno di parlare, di dire, perché si sente già talmente unito a Dio che ogni suo atto, ogni sua espressione, ogni suo modo di essere, anche un suo silenzio, parlano da soli. Rodolfo

Poi, in fondo, se è vero, fratelli, che Dio esiste in tutta la realtà che vi circonda, e se è vero che misticismo significa sentire un afflato insopprimibile verso la divinità, allora bisogna anche comprendere che il mistico può anche essere semplicemente una persona che ama la vita, ama la realtà, ama i suoi simili, ama ciò che lo circonda, dalla più piccola cosa alla più grande, in quanto, amando tutte queste cose, in realtà, egli già ama Dio, egli già manifesta il suo misticismo. Billy

Se, nei secoli, nei millenni dell’uomo, tutti coloro che hanno parlato di Dio facendo spesso una grande confusione tra Dio e le religioni, se tutti costoro, dicevo, fossero stati veramente dei mistici, certamente il loro esempio sarebbe stato tale da modificare radicalmente la vostra società. Ben pochi, invece, nei secoli, sono stati coloro che veramente vivevano un vero misticismo.
Queste poche persone, questi pochi individui, questi pochi esseri che sono diventati talmente famosi da essere conosciuti dall’intera umanità, sfuggono in realtà alla comprensione di coloro che si accostano a ciò che essi sono stati.
Comprendete figli che il vero misticismo, il vero sentirsi attratti in modo quasi insopportabile dal richiamo di Dio, non può essere veramente compreso se non da chi, lui stesso, avverte lo stesso richiamo. Certo, chi osserva il vero mistico può restare colpito dalle sue parole, dalle sue espressioni, da quell’atmosfera di dolcezza che magari emana intorno a sé, tuttavia non può parteciparvi, può soltanto, come quasi sempre succede, cercare di imitarla nella speranza più che altro di essere considerato alla stessa stregua di coloro il cui giudizio gli importa.
È per questo motivo che il misticismo, in fondo, non viene mai veramente compreso ed anche coloro che cercano di studiarlo proprio per il fatto di avvicinarsi ad esso razionalmente, di comprendere razionalmente ciò che razionale, secondo la razionalità umana, non è, non potranno mai arrivare a classificarlo e a comprenderne la vera essenza. Moti

Libertà dai condizionamenti

d-30x30Libertà dal condizionamento. Dizionario del

La vera libertà – ci insegnano le Guide – esiste soltanto all’interno dell’individuo, nel suo modo di vivere le esperienze, nella sua possibilità di esprimere il sentire raggiunto.
L’uomo veramente libero – aggiungono – non è quello che si sente libero di fare tutto ciò che vuole ma è quello che mette confini alla propria libertà di azione consapevolmente, per agire in accordo con il suo sentire e perché non accada che la sua libertà possa essere di danno ad un’altra creatura.

Messaggio esemplificativo (1)

Ogni essere umano, figli, allorché si trova immerso nella materia che deve sperimentare per portare avanti la propria evoluzione ha, tra i vari temi che lo spingono, la ricerca della libertà. Come tutti gli aspetti che riguardano l’individuo, anche la ricerca della libertà può essere osservata da vari punti di vista. Forse il modo migliore per comprendere questo anelito verso la libertà che un individuo possiede è quello di cercare per prima cosa di esaminare quale sia questa libertà. Moti

Eh già, creature, cos’è la libertà per voi? Io sono sicuro che se dovessi parlare singolarmente con ognuno di voi, nessuno di voi avrebbe le idee chiare in proposito. È facile, è semplice, è utile, fa colpo dire: «Sono alla ricerca della libertà» ma quale libertà? Se voi riusciste ad essere un attimo sinceri con voi stessi – e magari anche un po’ più di un attimo – e osservaste questa vostra ricerca della libertà nella vostra vita quotidiana, di tutti i giorni, vi accorgereste che la libertà che andate cercando è ben poca cosa. Osservatevi un attimo, pensate a voi stessi; pensate a voi stessi in una situazione in cui avete detto: «Io ho bisogno di essere libero, cerco di essere libero, devo essere libero» e, alla fin fine, dopo esservi osservati, esaminate quello che intendevate dire e vi renderete conto che il vostro voler essere liberi significava, quasi sempre, essere liberi da responsabilità, essere liberi di fare ciò che più vi aggrada, senza dover pensare se ciò che fate può disturbare gli altri, essere liberi insomma di comportarvi come più appaga il vostro Io. Lo so che può essere demoralizzante questo discorso, però rientra nella logica dell’evoluzione. Senza dubbio voi avete tutti, uno per uno, la spinta verso qualche cosa e questo senso di ricerca della libertà è più che altro un’espressione della vostra insoddisfazione interiore, che poi voi ricoprite di parole che, come sempre, sono limitative. Ricercare la vera libertà è qualche cosa di diverso, qualcosa che non può essere legato ai bisogni dell’Io, perché i bisogni dell’Io sono dei condizionamenti; sono dei condizionamenti che rispondono ai condizionamenti che vi vengono posti dall’esterno, ma rispondono anche – più che altro – ai condizionamenti che vi ponete voi stessi in quanto sono legati alle cose che non avete ancora compreso; e, poiché non avete ancora compreso, influenzano il vostro modo di comportarvi, danno un aspetto al vostro Io e alle sue reazioni, fanno sì da indirizzarvi verso le esperienze che vi mostreranno poi dove, quando, come e perché sbagliate. Siete d’accordo su questo?
E allora, dove può essere la libertà? Può essere «libertà», come è diventato di moda negli anni scorsi, lasciare… che so io… la famiglia, il proprio ambiente lavorativo, il proprio paese, e andare a cercare libertà in terre lontane? Ma la libertà e la verità, se esistono, sono vicine; non è necessario andare a cercarle lontano, altrimenti sarebbe sempre un continuo spostarsi da un paese all’altro e diventerebbe una gimcana senza senso in cui tutti voi vi perdereste in continuazione. Se fosse così, bisognerebbe davvero pensare a un Dio capriccioso – e anche abbastanza indisponente – che si diverte a mettere la possibilità di libertà soltanto per quelli che hanno i soldi per pagarsi un aereo e andare… che so io… in India; ma è troppo triste pensare all’idea di un Dio cosiffatto. Se davvero Dio ama allo stesso modo tutte le sue creature deve porre per le sue creature, allo stesso modo, la possibilità di comprendere la verità, di trovare la propria condizione di libertà, di arrivare a contatto con la Realtà, e quindi ognuno di voi, guardandosi attorno, restando nel posto dov’è, può – se vuole veramente, se veramente questo è il suo anelito più sentito, se veramente questo è ciò che desidera – trovare i modi per ottenere la propria libertà scoprendo la Verità.
È questo forse il punto importante da comprendere, creature: per essere liberi è necessario, prima di tutto, essere liberi da se stessi; per essere liberi da se stessi e dai condizionamenti che automaticamente l’individuo si pone è necessario che l’individuo riesca a scoprire la propria verità, a conoscere se stesso, a vedere se stesso come agisce, come reagisce, a comprendere i propri errori, a fare in modo da non commetterli più, altrimenti tutto quello che non è stato scoperto verrà portato con sé in qualunque posto si vada… e quale libertà può esserci quando le catene vengono trascinate in giro per il mondo e mai abbandonate in nessun posto? Nessuna, creature. Ne consegue, con un piccolo ragionamento logico, senza grosse difficoltà per chiunque, che la libertà non può essere altro che una condizione interiore, non può essere cercata all’esterno; può essere conquistata (questo sì), può essere avvicinata per gradi (questo anche), può essere afferrata (questo accadrà sempre e comunque) soltanto nel momento in cui l’individuo riuscirà a mettere da parte le barriere che frappone fra i propri desideri e la propria condizione interiore; soltanto nel momento, insomma, in cui egli riuscirà veramente a comprendere se stesso. Scifo

E nel momento in cui l’individuo sarà riuscito a porre attenzione a ciò che dice, a ciò che pensa e a ciò che fa, nel momento stesso in cui egli sarà riuscito a raggiungere i perché che motivano le sue azioni, i suoi pensieri e le sue parole, nel momento stesso in cui egli sarà riuscito a mettere mattone sopra mattone per dare il via alla costruzione del suo Io più vero, ecco: in quel momento l’individuo si sentirà libero sempre e comunque dovunque egli sia. Certamente l’esterno esisterà sempre; certamente le responsabilità (che poi, in fondo, appaiono come delle catene) esisteranno sempre, ma sarà «il modo» di vivere tutto questo che cambierà la situazione, perché l’individuo si sentirà libero anche mentre ottempererà alla sua responsabilità e saprà che, comunque sia, quella libertà che ha creato al suo interno non potrà mai essere fatta assopire da nulla che sia intorno a lui, poiché sempre lo accompagnerà nel corso del suo cammino. Rodolfo

E allora, figli, in quel momento, l’uomo vero che andava cercando la libertà si guarderà allo specchio e probabilmente non si riconoscerà più, perché dal suo viso saranno sparite le tensioni, dal suo viso saranno spariti i contrasti, nei suoi occhi non vi saranno più lampi di tristezza, di amarezza, di rabbia, di ira, di aggressività e quando volgerà gli sguardi attorno non vedrà più – nelle persone – altri esseri che in qualche modo limitano la sua libertà, ma altri esseri che potranno condividere con lui la sua stessa libertà oppure altri esseri che egli potrà aiutare a cercare di raggiungere la loro libertà perché non accade mai che le libertà raggiunte da due individui si scontrino l’una con l’altra; anche se apparentemente gli individui sono diversi, la libertà ottenibile è sempre e comunque la stessa. Moti

E allora, creature, proprio in quel momento, nel momento in cui i condizionamenti esterni non avranno più senso perché, pur esistendo, non influiranno più su di voi, nel momento in cui i condizionamenti «interni» non avranno più alcun senso perché voi li saprete riconoscere e sarete voi ad essere loro padroni e non loro padroni di voi, in quel momento persino i condizionamenti fisici (come dicevate) cesseranno di diventare delle catene per voi, e sarà giunto il momento, per voi, creature, di abbandonare la ruota delle nascite e delle morti. Certo, tutto questo cammino è faticoso, certamente percorrere questa strada non è cosa da poco e, se così non fosse, non diremmo che avete necessità di un centinaio di vite per riuscire a compiere tutto questo cammino. Certamente, fare queste cose comporta dei tormenti, delle rivoluzioni interiori, molto coraggio, molta buona volontà, molta forza di guardare in faccia la propria verità, ma viene sempre un momento nella vita di un individuo in cui ciò può e deve essere fatto e, questo, sapendo che porterà al superamento non tanto dell’Io – poiché questo avverrà in modo indolore – quanto della sofferenza che fino a quel momento vi aveva tormentato, e ciò che vi deve aiutare ad andare avanti con coraggio cercando di fare del vostro meglio per compiere tutti i passi dolorosi e difficili che dovete compiere nell’osservare voi stessi e andare incontro alla vostra libertà, in modo tale che quando girerete l’angolo e vi scontrerete con essa, essa vi riconoscerà, voi la riconoscerete, e sarete veramente un tutt’uno. Scifo

1  L’Uno e i molti, vol. XI, pag. 23 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Leggi sociali e coscienza

d-30x30Leggi sociali e coscienza. Dizionario del

In accordo con il loro concetto di rivoluzione che viene intesa come un cambiamento graduale della società conseguente all’ampliamento del sentire di ogni singolo individuo incarnato e non come una lotta di fazione contro fazione, le Guide ci hanno sempre detto che le leggi sociali hanno una loro funzione, sia che possano essere ritenute giuste, sia che vengano percepite come sbagliate: quella di mettere l’individuo davanti alla personale reazione di fronte a tutto ciò che (positivamente o negativamente) può condizionarlo, acquisendo in questo modo la possibilità di ampliare la conoscenza di se stesso.

 Messaggio esemplificativo (1)

In questo mondo ci sono tantissime leggi che gli Stati emettono, più o meno giuste. Il nostro comportamento deve seguire quelle leggi oppure le può anche evitare, contestare?
Questo è un discorso un pochino delicato perché, secondo l’insegnamento delle Guide, la risposta corretta da dare a questa domanda sarebbe che le leggi esistono ma dovrebbero essere seguite nella misura in cui il sentire dell’individuo sente che sono giuste. Questa dovrebbe essere la risposta corretta. Il problema è che dare una risposta di questo tipo fornisce un’arma, una scusante alla persona perché chiunque allora, a quel punto, sulla base di un’ipotetica evoluzione posseduta potrebbe rifiutarsi di seguire qualsiasi legge. Le leggi, d’altra parte, sono spesso delle catene, spesso sono ingiuste, però in linea di massima sono, teoricamente, anche se magari sbagliate, fatte per cercare di fornire delle condizioni abbastanza giuste alla popolazione cui sono rivolte. Pensate – per dire una banalità – al divieto di mangiare carne di maiale dei popoli arabi; sembra una legge stupida, tutto sommato, e invece no, ha una sua logica razionale perché la carne di maiale provoca certe reazioni fisiologiche che in un certo ambiente, con una certa temperatura costante, alta, nel tempo può provocare dei problemi fisiologici. Questo non toglie che l’individuo potrebbe anche rifiutarsi di seguire una legge del genere perché, magari, è goloso di maiale e allora si rimpinza di maiale e non gliene frega un accidente della legge e va avanti così.
Ritornando a quanto dicevo prima, è pericoloso fare il discorso al di fuori di questi incontri e dire alle persone: «Chi per ‘sentire pensa di non seguire le leggi perché non le sente giuste non le deve seguire». Il modo migliore di comportarsi da parte di chi ha una certa sensibilità e una certa coscienza è quello, intanto, di cercare di comprenderle; perché poi, in realtà, voi parlate delle leggi ma non conoscete le leggi. Solitamente parlate o per sentito dire o perché i giornali, che riportano le cose come vogliono loro, hanno accennato a una certa legge, però nessuno di voi si prende mai la briga di andare a leggere il testo della legge. Magari leggendola non capirebbe niente perché, molte volte, sono fatte apposta perché non si capisca niente, però invece parlate per approssimazione, solitamente. Allora, dicevo: l’individuo con una certa coscienza dovrebbe, intanto, rendersi conto, cercare di capire, documentarsi su quello di cui sta parlando e, in quel momento, quando ha tutti gli elementi per poter decidere, se ha una buona coscienza, una buona evoluzione, potrebbe dire: «Questa legge mi sta bene» o «Questa legge non mi sta bene» e allora deciderà se seguirla o meno; e, a livello individuale, il discorso può anche essere giusto.
Certamente, poi, ci si può scontrare con le reazioni delle istituzioni, ma questo è un discorso a parte. Il problema, invece, di coscienza dell’individuo che si trova in questa situazione non è tanto quello, quanto il fatto che, però, le leggi esistono anche per gli altri. Non so se riuscite a vedere il problema. Certamente l’individuo con una grande evoluzione può dire: «Io mi sento al di fuori di questa legge e non la seguo, ma nel momento che non la seguo quanti altri, inconsciamente, verranno dietro a me non seguendo questa legge che io non sento e che, tanto, so già che non infrangerò perché, se è una cosa giusta, certamente io comunque non andrò contro questa legge; e se è una cosa sbagliata, non ci posso poi fare nulla, alla fin fine, se non dare il buon esempio? E quante persone mi verranno dietro soltanto perché, magari, io sono un esempio e loro seguono quello che io dico? E quanto male posso fare col mio comportamento, facendoli mettere in situazioni che non capiranno, in contrasto con le istituzioni, in contrasto con chi sta intorno a loro e poi magari li stigmatizza ritenendoli dei diversi, o degli anarchici, o dei rivoluzionari, e via dicendo?».
Il problema è che bisogna essere abbastanza consapevoli da trovare il modo «giusto» in cui reagire. Certamente il modo giusto non è partire a testa bassa facendo saltare come birilli tutto quello che sta intorno, ad esempio; certamente il modo giusto non è quello di andare a mettere bombe in giro.
Vi pongo una domanda io, se permettete, vediamo se riuscite a darmi una soluzione.
Io sono un individuo che lavora; faccio già fatica a lavorare perché lavoro ce n’è poco e tre quarti di quello che lavoro se lo porta via lo Stato. È una legge che io ritengo iniqua, non è giusta (giusto? Penso che siate tutti d’accordo perché quando vi si tocca il portafoglio siete sempre d’accordo), quando vedo poi, oltre tutto, che intorno a me si fanno sprechi su sprechi, i miei soldi vengono usati male, non funziona più niente, non funzionano i trasporti, non funziona il governo, alla televisione non c’è più niente (e questo è drammatico veramente) e via dicendo… voi ridete, ma sapeste quanti dicono questa cosa!… E allora ritengo che questa sia una legge iniqua e non la voglio seguire e non la seguo e allora non pago più le tasse. Supponiamo che uno riesca a fare in modo tale da non essere scoperto dalle istituzioni e quindi non pagarne le conseguenze istituzionali: sarebbe nel giusto o nello sbagliato?
Voi potreste rispondere che se uno si prende le sue responsabilità, possono anche essere giuste le due cose.
Ma giusto per chi? È giusto per la persona che così può, che so io… avere 400 cassette di film registrati (per fare un esempio sciocco)? Certo, obietterete «la vita è fatta anche di cose, si vive in un mondo dove, insomma, si deve constatare anche il bello, l’estetica; insomma io non vedo tutto quel «peccato»… Insomma, c’è anche il fattore della bellezza; a me non va di dire che un bel gioiello è bello e non poterlo possedere!»
Ma vedete, cari, un bel gioiello è bello che lo si possieda o meno! Non è necessario possedere qualcosa perché sia bella. Anche il cielo è bello, ma non è di nessuno! Qua stiamo parlando a livello di coscienza personale, non stiamo parlando a livello generale, e di un caso particolare. Ora io dico: sì, potrebbe in teoria essere giusto se non ci fosse il fatto che, magari, quelle quattro lire di tasse non pagate potrebbero venire a mancare che ne so… alla pensione di un’ottantenne che non ha un’altra fonte di sussistenza, per esempio.
E allora, miei cari, noi vi diciamo una cosa: non potete contestare le istituzioni nel momento che vi mettete da voi stessi fuori legge. Potete contestare quello che accade nel momento che siete in pace con la vostra coscienza e che nessuno può attribuire colpe a voi. Allora, forse, il modo migliore sarebbe pagare tutte le vostre tasse e poi chiedere un rendiconto di quello che è stato speso; questo sarebbe un ben altro discorso; e quelle che vanno veramente per il bene della comunità sono un conto, e quelle che vanno invece, che so io, a finanziare i partiti, che non dovrebbero essere finanziati è tutto un altro discorso: ma nessuna voce mi sembra che si sia levata altamente sdegnata sui mezzi pubblici per il finanziamento dei partiti, che non dovrebbe esservi per volontà popolare. Qualche accenno sì, ma abbastanza leggero, anche perché poi tutti i giornali son legati a qualche partito e quindi qualcosa ricevono a loro volta.
Mi rendo conto che possa sembrare come chiedere al tacchino di organizzare la festa di Natale!
Ma vedete, cari, il problema è questo: bisognerebbe che il tacchino si mettesse in testa che son tanti i tacchini e potrebbe essere lui quello che è nella festa ma potrebbe anche essere un altro; e finché è un altro va tutto bene, ma se si tratta di essere lui sul piatto di portata il discorso è diverso. Georgei

1  L’Uno e i molti, vol. VIII, pag. 229 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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La legge dell’oblio delle vite passate

d-30x30La legge dell’oblio delle vite passate. Dizionario del

Sapere chi si è stati nelle vite passate non è di nessuna utilità perché nel presente ci sono già tutti gli elementi di cui abbisogniamo per andare avanti nel nostro percorso evolutivo.
È per questo motivo che esiste la legge dell’oblio, ovvero il fatto che difficilmente, tranne in casi molto particolari, ci si può ricordare di qualcosa che riguarda le vite precedenti. Essa, inoltre, costituisce per l’individuo incarnato una protezione, dal momento che ricordare tutte le malefatte che si sono compiute nelle vite trascorse opprimerebbe talmente la consapevolezza dell’incarnato da rendergli la vita difficilissima e da bloccarlo sotto il peso soffocante e inestricabile dei sensi di colpa.

Messaggio esemplificativo (1)

Molto spesso ci si chiede perché il ricordo delle vite precedenti non accompagna l’individuo nel corso delle sue incarnazioni, e questo, potrebbe in un primo momento anche apparire non giusto, in quanto il fatto di avere dei ricordi degli errori compiuti potrebbe aiutare a far sì che quegli stessi errori non vengano più compiuti.
Ma, in realtà, non è così, esiste la legge dell’oblio che fa dimenticare, al momento della nuova incarnazione, tutto ciò che si è stati, e questo è molto giusto: infatti se si ricordassero tutte le azioni compiute nel corso delle vite precedenti, se si avesse coscienza di tutte le cattiverie, di tutte le meschinità che si sono commesse, dei tradimenti, degli omicidi, delle violenze e via dicendo, l’individuo vivrebbe la sua nuova vita o con grandissimi sensi di colpa che impedirebbero di agire, oppure tormentandosi continuamente nel dolore e nella sofferenza.
Mentre invece non sapendo quello che è costata la propria evoluzione, cioè tutti i passi necessari (anche se brutti e dolorosi) che si sono dovuti attraversare, si può vivere la vita partendo da una base di serenità, affrontando tutte le esperienze come se fossero nuove. Se non vi fosse la legge dell’oblio di fronte ad ogni esperienza che proponesse una scelta dolorosa di qualche tipo, inevitabilmente, l’individuo si fermerebbe e il fermarsi è sempre un danno per l’evoluzione: è molto meglio sbagliare piuttosto che non sbagliare non facendo nulla.
Lo scopo delle vite è quello di prendere coscienza di un determinato stato interiore, e per far questo è necessaria l’azione, azione che verrebbe inibita, bloccata, frenata dal ricordo di esperienze negative vissute in epoche precedenti.
Soltanto quando l’individuo avrà raggiunto una buona evoluzione e di conseguenza un certo equilibrio interiore, allora, qualche ricordo potrà affiorare, anche se questo affiorare sarà soltanto a livello di sensazione; d’altra parte bisogna ancora considerare che certe attrazioni per epoche storiche, per determinati paesi e paesaggi molto spesso sono motivati dal fatto di aver vissuto in quell’epoca o in quel paese, e questi sono i primi pallidi riscontri dei ricordi che stanno affiorando. Andrea

Sta scritto nelle parole della Bibbia una piccola frase, piccola ma densa di significato, una piccola frase che rispecchia perfettamente l’insegnamento che noi vi andiamo dicendo.
Questa piccola frase così dice: «Non v’è memoria alcuna dei giorni che innanzi a noi sono stati, così come non vi sarà alcuna memoria nel tempo avanti per coloro che appresso a noi verranno».
Questa piccola frase racchiude in sé l’essenza dell’insegnamento riguardante il tema della reincarnazione, e in particolare la «legge dell’oblio». Infatti la misericordiosa legge dell’oblio permette alla goccia divina di poter proseguire nel proprio cammino evolutivo senza il timore di grossi sconvolgimenti interiori.
Infatti, se non vi fosse la legge dell’oblio, quanti problemi sorgerebbero per ognuno di voi, problemi che si aggiungerebbero a quelli non indifferenti che la vita di tutti i giorni vi para innanzi!
Il pensare, magari, di essere stati dei compagni di viaggio infedeli, di essere stati degli assassini, dei truffatori, di essere stati degli arrivisti, il pensiero di essere stati degli individui dediti alla sola materialità, senza scrupoli e rispetto per gli altri, renderebbe pesanti i vostri giorni che già sono minati dalle difficoltà che la vostra società, il vostro mondo, il vostro stesso modo d’essere vi propongono.
Ed anche il non sapere quello che vi aspetterà, ha in sé lo stesso senso, e non solo, ma permette alla goccia divina di trattenere dentro di sé tutto quello che oggi ha raggiunto, per poterlo poi verificare nel momento giusto, nell’occasione giusta, quando le condizioni si mostreranno adatte e sarà possibile compiere l’intero ciclo evolutivo. Michel

1  L’Uno e i Molti, vol. V, pag 78.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Introspezione e conoscenza di sé

d-30x30Introspezione e conoscenza di sé. Dizionario del

Intanto, vorrei chiarire una cosa: introspezione non è sinonimo di psicoanalisi.
Le Guide hanno palesato più volte una certa cautela nei confronti della psicoanalisi, mai nei confronti dell’introspezione perché essa è senza dubbio indispensabile (senza però dimenticarsi di vivere la vita) per arrivare a conoscere se stessi.
Forse è il significato del termine introspezione che varia a seconda se si è in un contesto psicoanalitico o… di «insegnamento» delle Guide.
In senso psicoanalitico credo che si intenda andare alla caccia delle proprie streghe interiori, arzigogolando mentalmente fino allo spasimo, spesso finendo anche in balia delle ipotesi più inverosimili ed azzardate (famosi, in merito, gli eccessi… «sessuali» di Freud), il tutto finalizzato alla ricerca della felicità o, quanto meno, di una vita priva di grandi tormenti.
Secondo l’insegnamento, invece, l’introspezione (unita alla costante osservazione di se stessi) è intesa come il guardare i propri movimenti interiori che si traducono in comportamenti esterni come se si fosse un osservatore, quindi un porre l’attenzione a ciò che si fa, si dice e si sente, con la dichiarata finalità di far arrivare al corpo della coscienza gli elementi che gli sono necessari per raggiungere nuovi segmenti di comprensione

Messaggio esemplificativo (1)

È chiaro che su ciò che si vive ci si possa anche ragionare sopra per cercare di capire le proprie spinte più profonde, ma non è indispensabile per avere una vera comprensione: chi deve capire non è il corpo mentale ma è il corpo akasico e per il corpo akasico il fattore importante è proprio l’attenzione che si pone a questo scambio personale tra interno ed esterno, perché è in questo modo che gli pervengono i dati da elaborare per raggiungere ulteriori livelli di comprensione.
È inevitabile che l’uomo incarnato cerchi di comprendere con la mente e, armato di apparente buona volontà, cerchi di trovare una ragione a quello che lo turba.
Quello che, secondo me, dovreste capire è che il pensiero (dal momento che appartiene al corpo mentale) è una parte dell’Io, il quale tende a strutturarlo secondo i propri comodi, così, molto spesso, anche le cose più evidenti sfuggono all’attenzione della mente secondo quei meccanismi che così bene Freud (diamogli almeno questo merito!) ha codificato, quali la rimozione, la censura e così via. Ora, il discorso del «conosci te stesso» penso che debba essere osservato su due livelli diversi.

1  LIVELLO: conoscenza di se stessi a livello di consapevolezza di individuo incarnato all’interno del piano fisico.

A questo livello si può usare la mente per cercare le proprie motivazioni, basta rendersi conto che, comunque, si troveranno solo quelle più superficiali o quelle che, comunque, stanno già affiorando spontaneamente alla coscienza.
I problemi che si potranno risolvere non saranno mai i problemi più profondi, ma quelli più semplici e che, magari, porteranno a un comportamento esteriore diverso da quello che si era tenuto fino a poco prima.
Soltanto che sarà un cambiamento solo teorico, perché in profondità il problema di fondo, quasi certamente, esisterà ancora e sarà solo il suo manifestarsi nella vita di tutti i giorni che permetterà il cambiamento. Questo potrà portare a dei migliori rapporti con gli altri e con l’esterno, ma bisogna essere consapevoli che è soltanto un nuovo atteggiamento, nato principalmente dal tentativo di sfuggire delle situazioni di sofferenza, non una comprensione acquisita, e che il problema che stava alla base, comunque, è solo «costretto» a manifestarsi in maniera meno turbolenta.
È qualcosa di analogo all’ipocrisia anche se la motivazione è diversa: mentre l’ipocrita agisce in malafede per acquisire qualche tipo di vantaggio, la costrizione operata dall’Io ha il solo scopo di aiutare i rapporti ad essere una minor fonte di dolore di quanto erano in precedenza.

2  LIVELLO: conoscenza di se stessi a livello della coscienza.

A questo livello la mente diventa semplicemente un punto di passaggio dei dati che arrivano al corpo akasico e, anzi, le stesse reazioni della mente ai pensieri che elabora arricchiscono la mole di dati che il corpo akasico riceve.
Il corpo akasico non pone più che una leggera attenzione ai pensieri elaborati dal corpo mentale, perché il suo lavorio interiore non si basa sui pensieri ma sui concetti che nascono dall’osservazione delle azioni e delle reazioni di tutti i corpi inferiori alle situazioni affrontate.
Dalle sue osservazioni nascono delle ipotesi che il corpo akasico raggruppa e che ritiene giuste salvo successivi aggiornamenti.
È così che costituisce la sua comprensione, il suo sentire: ampliandolo gradatamente a mano a mano che nuovi elementi gli vengono forniti dall’esperienza sul piano fisico.
Fare quello che dicevo prima, ovvero porre attenzione a quanto accade nel corso di un’esperienza, focalizza il risultato di quello che si è vissuto e aiuta i dati ad arrivare più rapidamente al corpo akasico. In definitiva, quindi, accelera la possibilità di comprensione del corpo akasico. Naturalmente è a questo livello che i problemi possono veramente essere risolti e superati senza semplicemente metterli in disparte o nasconderli a se stessi per dare un’immagine migliore di se stessi a sé e agli altri.
Che le cose stiano davvero così è evidentissimo da quello che ci succede: quante volte, dopo aver sviscerato mentalmente tutti gli elementi di un problema che ci assilla, il problema continua ad esistere? Oppure sembra sparire per ripresentarsi poi, inaspettatamente, in un’occasione successiva?
Quante altre volte, invece, ci capita di accorgerci che quello che era un problema fino a ieri improvvisamente non lo è più e, magari, mentalmente non ce ne eravamo neppure resi conto?
Nel primo caso si è operato un fittizio «conosci te stesso» a livello di consapevolezza dell’individuo incarnato sul piano fisico.
Nel secondo caso il «conosci te stesso» è stato messo in atto con profitto dal corpo akasico che ha messo al posto giusto i tasselli di comprensione. Margeri

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Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Famiglia, amore, relazione karmica

d-30x30Famiglia, amore, relazione karmica. Dizionario del

Mi sembra abbastanza evidente che la concezione di famiglia, così come era fino a poco tempo fa, all’interno della società di oggi non ha più molto senso; no? La famiglia ha troppe strade, ha troppe possibilità, troppe diversità; una volta tra padre e figlio c’era già un certo distacco, ma adesso tra padre e figlio il distacco è molto aumentato, perché la generazione non è più di 16, 17 o 18 anni ma a momenti è di 11 anni; no? E, quindi, con tutti gli elementi della società che cambiano così velocemente, con questa nuova tecnologia, è difficile che una famiglia possa restare veramente unita senza subire i colpi di questa diversità tra genitori e figli, per esempio.
Certamente l’errore che si fa è quello di voler a tutti i costi puntare il discorso sulla famiglia; certamente la famiglia sarebbe importante, è importante, ha avuto la sua importanza sia storica che reale nel corso della storia dell’uomo per creare la società, creare l’individuo, far crescere i figli, ma ora come ora forse si dovrebbe riuscire a passare a un concetto di famiglia un po’ diverso, a quella famiglia del futuro che era stata accennata, tanti e tanti anni fa, se non sbaglio da «papà» Moti in un messaggio sulla rivoluzione in cui parlava del nuovo mondo, quando i figli non saranno più figli miei o figli tuoi, o figli di quell’altro, ecc., ma saranno figli di tutti. A questo modo, un po’ alla volta si arriverà, si dovrebbe arrivare ad avere una famiglia allargata; ma non allargata nel senso sessuale come si intendeva fino a qualche anno fa, una famiglia allargata in senso di interiorità, per cui tutti sono genitori e tutti sono figli; e dove non arriva un genitore a capire uno dei figli, può arrivarci un altro a portare il suo aiuto, e aiutare quel figlio che non è compreso dall’altro genitore a comprendere qual è la cosa migliore da fare. E io credo che passare da questa unità cellulare di «famiglia» ad una famiglia pluricellulare sia un passaggio difficile, una traduzione difficile che porterà senza dubbio dei problemi ma che, un po’ alla volta, poi verrà – per forza di cose – accettata, inevitabilmente.

Messaggio esemplificativo (1)

“Che l’uomo non separi ciò che Dio ha unito» … Pensateci un attimo, figli nostri; è mai possibile che una figura come quella del Cristo possa avere proferito una frase così sconclusionata come questa?! In realtà, infatti, la frase originale era leggermente diversa; quel tanto di diversità che bastava a dare un senso più grande e più completo alla frase stessa e bastava a togliere la possibilità ad eventuali autoproclamatisi intermediari fra gli uomini e la divinità, toglie – dicevo – la possibilità a questi intermediari di speculare sui rapporti d’amore che si vanno ovviamente creando nel corso del fluire delle vite individuali all’interno della realtà fisica. Moti

Difatti, creature, l’originale frase del Cristo era leggermente diversa e diceva: «Nessun uomo può separare ciò che Dio ha unito».
Apparentemente, sembra che dica la stessa cosa; in realtà la differenza è molto sottile; infatti, con questa frase viene affermato che l’uomo, comunque sia, non ha la capacità di intervenire, di modificare, in quello che è il volere dell’Assoluto; che ciò che Dio ha creato per l’individuo, in realtà, esistendo per il bene stesso dell’individuo, non può essere lasciato in balia dei capricci o dei desideri o delle azioni di altri uomini; che, non essendo a conoscenza della vastità e della Realtà dell’Assoluto, non possono quindi avere la facoltà di modificare secondo il loro intendimento quello che la Volontà Divina ha messo in atto.
Noi, che per anni vi abbiamo parlato delle varie leggi dell’esistenza, della creazione della Realtà, possiamo subito pensare che la frase possa essere anche interpretata in un altro modo dal punto di vista filosofico, ovvero «nessun essere umano può separare ciò che la legge karmica ha unito»; che poi, alla fin fine, è sempre la stessa cosa! Però tenete presente, creature, che questo, alla fin fine, è un corollario di quello che noi vi diciamo quando affermiamo che i rapporti d’amore che create nel corso delle vostre esistenze sono per forza di cose eterni e indissolubili e restano scritti nell’Eterno Presente, nelle vostre coscienze, in maniera tale che ogni volta che nel corso del vostro continuo immergervi e uscire dalla materia all’interno del piano fisico essi saranno pronti a riallacciarsi, a ritrovare quel contatto d’amore quando vi troverete a condividere un altro periodo di esistenza assieme a coloro che avete amato in altre vite, nei momenti che trascorrete durante quella vita in corso.
Questi rapporti d’amore, creature, sono il substrato su cui si va tessendo, un po’ alla volta, lentamente ma con costanza, l’intero tappeto della coscienza della materia akasica di cui fate parte; sono le cellule, gli atomi, le monadi, i primi elementi coi quali mettete in comune la vostra capacità di amare e di essere amati; costituiscono quell’ordito di base che arriva a farci affermare che l’Archetipo Permanente più grande e importante, che in sé tutto racchiude e comprende, è l’archetipo dell’Amore, ma amore inteso come donazione di se stessi, amore inteso come capacità di dare agli altri senza aspettarsi di ricevere nient’altro in cambio; l’amore che, per esistere, basta a se stesso e non ha bisogno di null’altro; qualcosa di apparentemente così lontano dalla vostra qualità e dalla vostra essenza di oggi.
Eppure, creature, io so, io sono sicuro, io sono certo che dentro di voi quell’Amore già esiste e vi manca soltanto la capacità di riuscire ad accettarlo; perché vedete, creature, è facile dire: «io amo, io ti amo» e via e via e via, ma le parole sono parole, possono nascondere altri mille significati al di là delle parole che vengono usate! In realtà, amare non è necessariamente dire delle parole, non è necessariamente essere sempre presenti, ma è invece, necessariamente, sentire al proprio interno la presenza della persona amata anche quando la persona amata magari non è più presente; essere certi che quel legame che si è costituito continua e vive perché si sente interiormente che non è stato spezzato neppure nel momento della morte; significa essere certi che, all’interno dell’archetipo dell’Amore, tutte le piccole e grandi storie d’amore che ogni individuo vive nel corso della sua vita sono lì, a testimonianza dell’ampliarsi, dell’ingrandirsi, del costituirsi dell’amore individuale di ognuno di voi in quell’Amore che tutto unisce, che tutto è, perché appartiene al Tutto. Scifo

1  La ricerca nell’ombra, pag. 125.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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