Evoluzione della coscienza e della forma

d-30x30Evoluzione della coscienza e della forma. Dizionario del

L’evoluzione è stata definita come il passaggio da uno stato di coscienza limitato ad uno stato di coscienza più ampio.
In realtà, come vedrete nell’affrontare i volumi sull’insegnamento filosofico l’accezione del termine evoluzione è molto più ampio e complesso, e investe non solo l’essere umano ma l’intera Realtà.
Il messaggio che è stato scelto forse sarebbe stato più adatto per i volumi che seguiranno, ma i curatori hanno pensato che avere un anticipo del concetto di evoluzione proposto dalle Guide sarebbe stato utile anche in questi volumi sull’insegnamento etico-morale, in quanto anche l’etica e la morale sono sottoposte ad una sorta di evoluzione, in concomitanza col mutare degli elementi sociali e con l’ampliamento del sentire individuale.
E, tutto sommato, mi sono trovato d’accordo con loro.

Messaggio esemplificativo (1)

Fra le varie leggi sulle quali si basa l’andamento della razza umana, e non soltanto della razza umana ma dell’intero cosmo, vi è la legge dell’evoluzione.
Ma come si può definire, in realtà, l’«evoluzione»? Rodolfo

Qual è il significato più semplice che si può dare a questa parola? Osservando la realtà che si vive da incarnati, apparentemente tutto evolve, tutto cambia, tutto muta, è un continuo fermento di trasformazione; basta questo per dire che si tratta di evoluzione o vi è qualche cosa di più che dà un significato particolare al termine di evoluzione, che non la rende limitata al semplice cambiamento di forma dell’individuo che attraversa il piano fisico? Scifo

Tutto cambia, tutto muta, tutto evolve; ciò che voi siete oggi non è ciò che eravate ieri e non è ciò che sarete domani, e questo voi lo sapete per averlo sperimentato sulla vostra pelle giorno dopo giorno vedendo il vostro viso riempirsi di rughe, i vostri capelli riempirsi di fili argentei; questa è l’evoluzione della vostra materia, del vostro corpo, del vostro fisico, ma il senso in cui noi usiamo il termine «evoluzione» è qualcosa che va oltre il mutamento della forma, è qualcosa che la comprende ma che è più ampio come concetto. Moti

Per «evoluzione», creature, noi intendiamo il passaggio dell’individuo nel tempo dallo stato di non coscienza ad uno stato di coscienza, da uno stato di assenza di coscienza ad uno stato via via più ampio di coscienza e quindi di «sentire». Scifo

Tutto, nell’ambiente in cui siete inseriti, nel corso dei millenni ha subito delle metamorfosi.
Agli inizi, quando ancora il pianeta non portava in sé il germe della vita ma stava raffreddandosi per arrivare a creare le condizioni affinché le prime forme di vita incominciassero a manifestarsi, ecco che già si poteva parlare di evoluzione; certamente non dell’evoluzione di una coscienza individuale ma, quanto meno, evoluzione dello stato di coscienza della materia che prendeva coscienza di se stessa e, un po’ alla volta, sotto la spinta delle varie vibrazioni provenienti dall’Assoluto, cambiava la sua intrinseca natura. Moti

Eccessi e coscienza

d-30x30Eccessi e coscienza. Dizionario del

«La vita dell’uomo è accompagnata, nel suo svolgersi, da una catena ininterrotta di corpi fisici che fanno capo ad una stessa unità ma che, se si volesse guardare con attenzione, si noterebbero essere una successione di corpi fisici diversi: dal corpo del neonato a quello del bambino, a quello dell’adolescente; da quello del ragazzo a quello dell’uomo maturo e, infine, a quello dell’essere umano ormai vecchio.
Tutti questi corpi portano con sé degli elementi favorevoli ma anche degli elementi sfavorevoli; certo, fin che si è giovani, in condizioni perlomeno psicologiche normali, fin che non si arriva sulle soglie della vecchiaia, ci si accorge solitamente del proprio corpo fisico soltanto allorché c’è qualche cosa che non va. Pensateci un attimo, creature, e osservate il vostro passato: quando eravate più giovani, o voi che siete giovani adesso, quante volte avete ecceduto in comportamenti che, magari, sapevate anche essere sbagliati e dannosi per il vostro fisico, e avete trascurato, ignorato, anzi usato spesso, quasi per vantarvi di fronte agli altri degli eccessi compiuti, le conseguenze che ne derivavano? Questo è normale, perché in quei momenti il vostro corpo fisico dimostrava una ripresa, una capacità di ripresa tale per cui era facile soprassedere ai problemi e dimenticarsi quali erano le conseguenze degli eccessi.»
Con queste parole Scifo introduceva un messaggio sul tema dell’«eccesso», tema attualmente di triste attualità, considerati gli eccessi che vengono portati avanti nelle varie trasmissioni televisive, facendoli diventare a poco a poco delle «normalità» agli occhi di chi sta osservando, col risultato che, in nome dell’audience, si presentano sempre nuovi eccessi, un po’ più «eccessivi» di quelli ormai superati, al fine di catturare l’attenzione della massa e aumentare i proventi provenienti dagli sponsor.
Il mondo attuale è eccessivamente governato dalla brama del denaro e del potere, ma fino a quando potrà andare avanti così? Fino a quando si troveranno nuovi eccessi e nuove trasgressioni? Sarà un processo lento, ci dicono le Guide, ma anche questo avrà una fine con lo stabilirsi di un nuovo stato di coscienza. Non resta che augurarci che, quando ci incarneremo ancora fra circa trecento anni (come ci è stato insegnato essere la media tra un’incarnazione e l’altra), questa fase sarà ormai superata e ci ritroveremo a vivere in un mondo dove la norma e il traguardo non sono più l’anormalità!

Messaggio esemplificativo (1)

Intere filosofie hanno basato tutto il loro parlare sulla teoria dell’eccesso. «Portare una cosa all’eccesso – è stato detto – significa arrivare velocemente a comprendere di più, significa riuscire a superare i propri problemi».
C’era chi disse una volta: «Per far passare la gola di cioccolata, la cosa migliore è fare indigestione di cioccolata». Teoria discutibile; eppure teoria che, molto spesso, più di una persona abbraccia.
Noi, contrariamente a quanto può sembrare dalle mie parole, non siamo contrari gli eccessi; gli eccessi non sono dannosi per il corpo fisico a meno che non siano eccessi prolungati nel tempo. Scifo

Ma viene un tempo, viene un momento, figli e fratelli, in cui l’eccesso porta al corpo fisico delle conseguenze a cui il corpo fisico non riesce a rimediare o, perlomeno, non riesce a rimediare così velocemente. Accade, allora, che, per cercare di rimediare ciò che non va nel corpo fisico, le energie vengano sottratte a qualche altra funzione e questo porta a una catena, a una successione di spostamenti di energie fisiche che trasporta il problema fisico da un organo all’altro rendendo, così, il vivere delle persone un continuo susseguirsi di piccoli o grandi acciacchi, che rendono più triste la vita per chi non sa scorgere intorno a sé non soltanto quello che lo rattrista ma anche quello che lo può far gioire. Rodolfo

La propria personale salute diventa, col passare del tempo, un elemento a cui ogni individuo incomincia a porre sempre più attenzione, arrivando poi all’eccesso – ancora una volta – di ridurre la propria esistenza a qualcosa che ruota intorno alla paura di star male, di morire, di soffrire fisicamente. Quante persone vivrebbero in maniera più serena se riuscissero a ignorare per un po’ di tempo quei piccoli dolori fisici che accompagnano la loro esistenza! Ma – ahimè – l’Io di ognuno è talmente portato al vittimismo che, anche nella situazione spiacevole, cerca di fare qualcosa che possa tornare a suo vantaggio; ed ecco, allora, il crearsi di quella catena psicologica, interiore, che arriva a sfruttare i propri malanni per ottenere l’attenzione degli altri, per apparire più forti di quello che si è, per – insomma – dimostrarsi il centro dell’esistenza non soltanto propria ma anche di tutte le persone che lo circondano. Moti

Quando noi avevamo parlato di psicosomatismo, avevano detto che tutte le malattie dell’essere umano, praticamente tutte, avevano una loro componente psicosomatica.
Questo, cosa significava? Voleva significare che tutto quello che voi attraversate di doloroso per il vostro corpo fisico è tutto riconducibile, alla fin fine, a quelli che sono squilibri interiori di ognuno di voi; o, meglio ancora, che ogni vostra non-comprensione ha una ripercussione che arriva a manifestarsi nel vostro corpo fisico, all’interno del piano fisico in cui conducete le esistenze.
Avevamo parlato di percentuali molto alte; ma, se volessimo proprio essere precisi, vi dovremmo dire che in realtà «tutte» le malattie hanno una componente psicosomatica. Immagino che qualcuno di voi dirà: «Ma se io vado per strada e, improvvisamente, mi prendo un virus che mi fa venire … che so io … mal di gola o mal di pancia o mal di stomaco, come fa ad essere psicosomatico?». Lo psicosomatismo, se si vuole ragionare un attimo con attenzione, sta nel fatto che voi, in quel momento, avevate abbassato le vostre difese immunitarie e, quindi, avevate permesso che il virus riuscisse a penetrare in voi e a crearvi i problemi fisici che vi assillano.
Questo dello psicosomatismo è un argomento veramente vasto da trattare, così come quello della salute di ognuno di voi. La medicina, così come la conoscete, offre molte alternative; molto spesso – terribilmente spesso – alternative che finiscono per essere dannose mentre curano; tuttavia, attualmente, è diventato di moda rivolgersi alle medicine alternative. Ecco, così, il fiorire di tantissime teorie alternative, il fiorire di persone che pretendono di essere capaci di guarire, improvvisandosi (che so io?) pranoterapeuti o fitoterapisti e via e via e via, senza avere in realtà la conoscenza, la capacità e la sensibilità, per poter veramente fare ciò che vorrebbero fare.
Molti di costoro possono anche essere in buonafede; tuttavia, se pensassero con un po’ più di attenzione a se stessi, se si rendessero conto che aiutare gli altri nel campo della salute non è così facile come può sembrare, se si facessero un vero e attento esame di coscienza, si renderebbero conto che il corpo umano è così complesso, gli equilibri del corpo umano sono così delicati, che interagire con questi equilibri, influire su questi equilibri senza avere le cognizioni, l’esperienza, la capacità e – ripeto – «la sensibilità» giusta per poterlo fare, potrebbe, alla lunga, provocare anche dei danni non indifferenti.
Vi è, poi, quella parte di persone che rifiuta la medicina tradizionale per affidarsi a caso – direi quasi «a naso» – alle medicine alternative aspettandosi di avere chissà quali conseguenze meravigliose! Certamente, in buona parte dei casi, con le medicine alternative le piccole cose si possono anche curare e si riescono a limitare gli effetti che le medicine sintetiche possono avere sul fegato o su altri organi delicati del genere; tuttavia, non dimentichiamo che, se la vostra medicina scientifica non ha capito tutto dell’essere umano, se pure la vostra medicina scientifica ha ancora molte lacune e spesso va più per tentativi che per cognizione di causa, tuttavia, ha la capacità, la possibilità, di attenuare i sintomi velocemente, di far soffrire meno chi sta soffrendo; e questo, in realtà, ben poche medicine alternative riescono a farlo!
Non aspettatevi, creature, di poter essere guariti da queste medicine di tutti gli affanni che vi affliggono. Se proprio volete cercare di fare qualche cosa che migliori la vostra condizione di esistenza, partite – come sempre noi suggeriamo – principalmente da voi stessi: osservatevi attentamente, guardate quali motivi ci possono essere per ciò che state soffrendo, e vi assicuriamo che se veramente, con sincerità, voi faceste questo, riuscireste non dico a star sempre bene ma, quantomeno, a vivere con uno spirito più giusto e più in grado di aiutarvi a star meglio ogni piccolo o grande malanno che attraversate. Scifo

Cosa dirvi ancora, figli, su questo argomento? Forse ricordarvi che se avete un corpo fisico, se vi è stato dato un corpo fisico, questo corpo fisico vi è stato dato affinché voi lo usiate nel mondo in cui vi trovate; e, come tutte le cose che voi possedete per poterle usare nello scorrere delle vostre giornate, anch’esso ha bisogno di una certa manutenzione, di una certa attenzione, di una certa cura; cosa che molte volte voi vi dimenticate di mettere in atto. State quindi attenti a conservare ciò che vi viene dato, affinché domani non piangiate per non averlo saputo trattare meglio; e, a quel punto, non dovrete prendervela con nessun altro che con voi stessi. Moti

1  L’Uno e i molti, vol. Vii, pag. 43 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Credulità, fiducia, discernimento

d-30x30Credulità, fiducia, discernimento. Dizionario del

Nel corso degli anni le Guide ci hanno ripetuto più volte di cercare di essere sempre aderenti alla realtà e di non peccare di credulità, in particolar modo per quello che riguarda l’ambito paranormale, dove gli approfittatori e i disonesti costituiscono gran parte dei sedicenti medium, sensitivi, guaritori, maestri, adepti e via dicendo.
Certamente, non si deve fare di tutta un’erba un fascio, e credere acriticamente che tutto ciò che viene spacciato come straordinario sia veramente tale. Purtroppo, solitamente, le persone si avvicinano a queste tematiche spinte da un dolore, una malattia, un desiderio di partecipare a qualcosa che va oltre la norma, correndo il serio rischio di cadere nelle mani di persone che fanno della credulità altrui il mare in cui pescare benefici.
Se questo era valido trent’anni fa, quando le Guide hanno incominciato a presentarsi, è ancora più valido al giorno d’oggi, dove una miriade di «esperienze straordinarie», «tecniche miracolose», medicine alternative e guaritori che promettono grandi guarigioni, medium e sensitivi dai grandi poteri e in grado di mettere in comunicazione con qualunque trapassato spuntano come funghi.
È quindi indispensabile mantenere sempre i piedi ben piantati per terra e conservare intatto il proprio senso critico.
Le Guide hanno detto sempre che niente va mai accettato acriticamente o per fede cieca, nemmeno le loro parole, perché non basta dichiarare di essere delle entità di una certa evoluzione perché questo sia vero.

Messaggio esemplificativo (1)

L’altro giorno stavo parlando con Zoraide, che era mia zia quando ero zingarella in mezzo ai cavalli scalpitanti e ai begli uomini dagli occhioni neri. Dovete sapere che questa mia zia era la “maga” della compagnia, e così, parlando con lei, è venuto fuori l’argomento dell’astrologia.
Allora, ho chiesto a lei di dirmi qualche cosina per potervela poi venire a dire, dato che mi era stato affidato l’incarico di fare un messaggio importante.
Ecco, così, che sono qui per ripetervi quello che Zoraide mi ha detto. Naturalmente, sono cose interessanti perché mia zia non era una come me, ma sapeva moltissime cose ed era versata in tutto.
Voi dovete sapere (ve lo dico come se fossero cose mie, ma non lo sono) che l’astrologia è una scienza antichissima, che risale alla notte dei tempi, tant’è vero che questa scienza (perché è proprio una scienza, non campata in aria come si potrebbe decidere guardando certi giornaletti che pubblicano oroscopi!) discende, come metodo, addirittura dagli antichi Atlantidei.
Voi, ora come ora, siete abituati a considerare l’astrologia composta da 12 segni zodiacali, però (e neanche tanti millenni fa), gli astrologi ne consideravano invece la bellezza di 15. C’erano, infatti, altri tre segni zodiacali, che sono andati perduti col passare del tempo, dopo che c’è stata la divisione dell’anno in 12 mesi.
Questo cosa significa? Significa che questa differenza, com’è logico, fa sballare tutti i conti astrologici.
Comunque, mia zia mi ha detto che conoscendo bene tutte le leggi matematiche, esoteriche, fisiche e astronomiche si può arrivare a definire il passato, il presente e il futuro delle persone, però… però, c’è una cosa che adesso non si sa più e che porta ad un errore di base: il fatto è che è possibile applicare il metodo astrologico soltanto agli uomini, mentre alle donne non è possibile; non è, insomma, possibile ricavare notizie sicure sul presente, il passato e il futuro delle donne.
Naturalmente, mi ha anche spiegato il perché (che è piuttosto complicato) ma, per rendervela un po’ più semplice, anche perché non è che abbia capito bene fino in fondo, vi dirò che è principalmente una questione energetica; siccome la donna è un essere completamente diverso dall’uomo sia fisiologicamente che come energia e persino come evoluzione e come poteri, ed ha delle caratteristiche particolari che rendono difficile poter operare astrologicamente quantizzando con sicurezza (che bella frase!) il suo passato, il suo presente e il suo futuro.
E difatti, se voi guardate attentamente, le persone che sono più incomprensibili, indecifrabili, strane, imprevedibili, sono sempre femmine.
Quindi, care signore astrologhe che tanto vi date da fare e vi rivolgete più che altro proprio alle donne, rendetevi conto che quello che fate è completamente sbagliato e dovreste rivolgervi invece agli uomini, perché solo nel loro caso potete veramente applicare l’astrologia con efficacia e fare degli oroscopi giusti.
Fra le tante cose che mia zia mi ha spiegato, mi ha anche detto qual è il metodo più sicuro per fare un oroscopo perfetto e sicuro al 100%; ve lo spiego esattamente come me l’ha spiegato lei così, se sarete abbastanza bravi, potrete avere il passato, il presente e il futuro spiegato senza veli davanti a voi!
Per prima cosa, dovete sapere l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto secondo esatto in cui la persona è nata.
Fatto questo, dovrete estrapolare il torom in cui l’indirizzo è andato dalla causistica della casa astrologica all’antecedente dell’ascendente. Fatto questo, tutto il passato vi si presenterà davanti in modo chiaro e potrete capire che cosa quell’individuo ha vissuto nei suoi anni precedenti.
Questo è un metodo sicurissimo e infallibile per conoscere il passato, ma è invece un po’ incerto, mi ha detto Zoraide, per il presente ed il futuro.
Naturalmente, mi ha detto anche tante altre cose: ad esempio, mi ha fatto l’oroscopo per tutti voi e mi ha detto che avevate tutti degli elementi in comune. Mi ha detto, per esempio: “Che stiano tutti attenti perché avranno dolori al fisico, o `bastonate’, o perdite economiche”. Comunque, ha aggiunto, purtroppo, che si preparano dei mesi certo non facili per tutti.
Ecco, mi sembra di avervi detto tante cose interessanti e anche cose nuove che nessuno (o quasi) sa più, cose… “esoteriche”, quindi, per piacere, non divulgatele perché in cattive mani potrebbero anche essere pericolose: figuratevi come potrebbe essere usato il metodo che vi ho detto per sapere il passato da parte di un governo o da parte di qualche persona male intenzionata! (2) Zifed

2 Il contenuto del messaggio di Zifed sull’astrologia va riguardato come un’ulteriore esemplificazione degli errori di credulità in cui si può incorrere, stigmatizzati nel messaggio successivo da Scifo. Infatti questo messaggio è pervenuto antecedentemente a quello di Scifo e sulle prime, pur tra qualche perplessità, tutti lo avevamo ritenuto veritiero e non ironico. Questa meccanica è tipica dell’insegnamento scelto dalle nostre Guide che tendono a farci toccare con mano e in pratica la bontà di quanto ci vengono ad insegnare.

Dunque, creature, una delle scienze più antiche di cui ancora rimangono le tracce ai giorni nostri è l’astrologia; le sue basi, infatti, si possono far risalire addirittura alla civiltà di Atlantide, quella grande civiltà, quella grande razza, che precedette sul pianeta Terra l’incarnazione della razza attuale, e che più della razza attuale basò la sua vita e la sua evoluzione sullo studio e l’approfondimento di concetti filosofico-magici, considerando però come magia non quella delle fatture, dei malocchi e di cose del genere – che attualmente sembrano prosperare nella vostra civiltà, specialmente quando vi sono dei “polli” da spennare – ma considerando invece magia la scienza della conoscenza, della conoscenza non soltanto del mondo fisico ma anche del mondo ultra fisico.
L’astrologia è dunque una scienza che in qualche modo fa da “ponte” tra le due razze, anche se la maggior parte dei suoi elementi sono stati – col passare del tempo, dei secoli, dei millenni – un po’ alla volta travisati, mutati, arrivando alla vostra epoca in forma tale da fare dell’astrologia, di norma per lo meno, più un insieme di piccole cose per donnette pettegole che altro.
Uno dei punti cardinali su cui l’astrologia attualmente si basa è quello che indica l’influenza che hanno i pianeti, le stelle e i corpi celesti in generale sull’essere umano.
Viene infatti affermato che questi corpi celesti che roteano nell’universo con i loro movimenti e le loro vibrazioni influenzano la vita di ogni essere umano dal momento della sua nascita almeno fino al momento della sua morte.
Tuttavia questo concetto che sta alla base dell’astrologia attuale è completamente errato: infatti non è vero che siano gli astri, i pianeti, le stelle ad influenzare la vita dell’essere umano, bensì è vero il contrario.
Mi spiegherò meglio, perché certamente questo punto lascerà sconcertati coloro che ascolteranno le mie parole.
Intendevo significare che ogni essere umano – nel corso della sua vita – non viene influenzato dagli astri ma è tale per cui egli, con le sue vibrazioni, influenza invece gli astri, i pianeti e le stelle.
Ricordate, infatti, che ogni essere umano, in realtà, è un piccolo microcosmo, ovvero una ripetizione in piccolo (anche se relativamente piccolo) di quello che è il macrocosmo e che ha in sé delle forze, delle energie, delle vibrazioni di una potenza eccezionali. Tant’è vero che, allorché riesce ad aprire i sensi dei vari corpi che lo costituiscono, l’individuo acquista gradatamente delle capacità che hanno del sovrumano. Il fatto stesso di essere costituito da vari corpi, da materia appartenente a diversi tipi di qualità di materia (fisica, astrale, mentale…) fa dell’essere umano un accentratore e un dispensatore di energie straordinario, così straordinario da poter con queste sue energie, con queste sue vibrazioni, influenzare il moto dei pianeti, influenzare il loro clima, influenzare l’accensione e lo spegnimento degli astri.
Noi abbiamo affermato più volte, insistito più volte (e più volte affermeremo e insisteremo ancora) che la verità non può essere una cosa illogica.
Infatti se è vero che la verità è ciò che permea tutto il creato e se è vero che la Verità Assoluta è l’Assoluto stesso, questo sta a significare che non vi è spazio per le cose casuali, e siccome le cose casuali sono al di là di qualsiasi logica, non vi è spazio per l’illogicità. Ne consegue, quindi, che la verità deve necessariamente possedere una sua logica e che qualsiasi cosa venga detta in nome della logica non può e non deve stridere con altre cose dette nello stesso nome.
Vi possono essere, magari, delle differenze; vi possono essere delle verità che quando vengono allargate possono mutare prospettiva mutando la verità più piccola che era stata enunciata; tuttavia, specie allorché si tratti di un insegnamento di qualche tipo, ogni piccola verità che componga l’insegnamento deve costruire un quadro coerente, logico, arrivando a spiegare tutte le cose, senza lasciare nei, senza contrasti, senza diventare assurda e arrampicarsi sugli specchi per poter spiegare ciò che sembra non poter essere spiegato.
È sempre accaduto nel corso dei millenni, accade adesso e accadrà ancora, che presunte Guide, presunte Entità, vengano a portare il loro insegnamento all’essere umano.
Benissimo, dico io, questa è una cosa grandiosa, è una prova in più – se ve n’è bisogno – che il mondo fisico non è limitato a se stesso ma è seguito ed è in collegamento continuo col mondo ultra fisico il quale, spoglio dai vincoli della più pesante materialità, ha forse maggiore possibilità di poter aiutare, di poter fare comprendere chi è ancora stretto nella materia fisica.
Ecco così che da più parti presunti spiriti portano insegnamenti. Tuttavia io userei una certa cautela prima di prendere un insegnamento di qualsiasi tipo e di affidarmi ad esso ciecamente; tenete presente, infatti, che per poter comprendere se un insegnamento è vero (e questo, lo abbiamo visto prima, si può comprendere soltanto allorché se ne vede la logica continua, la razionalità continua, la spiegazione continua di causa ed effetto per arrivare a spiegare l’insieme del quadro) non basta ascoltare quest’insegnamento per brevi tratti, non basta ascoltare alcune pagine di messaggi e non basta neppure ascoltarli per alcuni mesi o, addirittura, per alcuni anni.
Infatti è facile poter creare un insegnamento fittizio, irreale e non veritiero se viene portato avanti per un tempo limitato, limitando quindi anche le possibilità di errore, di contraddizione, di essere colti in fallo.
Quindi a tutti coloro che si accingono a fare una ricerca di tipo spirituale, a cercare di comprendere un insegnamento, il mio suggerimento è di portare pazienza e seguire l’insegnamento che a loro sembra più confacente e giusto per un periodo non indifferente di anni 5, 6, 7, anche 8 anni, perché solo dopo un periodo così lungo si può avere un quadro di quanto è stato detto, si può veramente vedere le contraddizioni che vi possono essere state e ci si può veramente fare un’idea se ciò che è stato detto è verità o meno.
Non mi riferisco a casi evidenti di produzioni più o meno inconsce da parte di menti che si barcamenano alla bell’e meglio con sciocchezze o fumosità spesso scoordinate e prive di logica (anche se, magari, con tante belle parole affettuose per colpire la sensibilità e il bisogno di affetto che ogni persona, in fondo, ha in sé), ma ai casi in cui i presunti insegnamenti vengono presentati da menti accorte che, quindi, sanno fare bene la coordinazione di quello che affermano mantenendosi sul filo del rasoio con abilità… ma, anche in questi casi, se il tempo è abbastanza lungo il rasoio finirà per tagliare loro le piante dei piedi e per mostrare ai creduli che ascoltavano ingenuamente che il sangue che ne sgorga è sangue umano e non essenza divina!
Voi direte che Scifo, come suo solito, sta partendo per la tangente e dall’astrologia sta arrivando a tutt’altro!
Non è così: infatti tra i problemi che affliggono coloro che si gettano a testa bassa in un vero o presunto insegnamento, vi è quello di correre il rischio di accettare qualsiasi cosa venga detta (dalla più elevata alla più grande baggianata) soltanto perché apparentemente colui che la proferisce è un’entità, uno spirito, un Maestro… (o sedicente tale) che ha lasciato il piano fisico, e supponiamo che così sia davvero.
Ma io vi dico, creature, di fermarvi un attimo a ragionare perché qualsiasi individuo che abbandona il piano fisico si porta con sé buona parte di ciò che era sul piano fisico e non è quindi detto che ogni individuo che lascia il piano fisico, alla sua morte diventi improvvisamente una diramazione divina, un piccolo “Colui che sa”.
È molto più facile, infatti, che colui che lascia il piano fisico sia ancora lo stesso di prima, con le stesse miserie, le stesse incomprensioni, gli stessi pregiudizi e soltanto in più una maggiore possibilità di muoversi all’interno del nuovo piano d’appartenenza.
Quindi c’è sempre da prendere con cautela ciò che un sedicente spirito dice (e supponiamo sempre che sia uno spirito veramente), e l’unico metro, l’unica possibilità per comprendere se ciò che viene detto è nella verità o no è, come dicevo prima, di seguire per lungo tempo ciò che viene detto con spirito critico, con acutezza, rilevando le contraddizioni, gli errori e via e via e via, senza quindi accettare per oro colato tutto ciò che viene portato a chi ascolta.
Quanto avevo detto io come introduzione al discorso riguardo all’astrologia è uno di questi esempi: se io avessi continuato con bella faccia tosta a parlare, certamente ciò che stavo dicendo sarebbe stato accettato dai più: sarebbe stato accettato, “compreso”, assimilato e ritenuto una verità “vera”, mentre non era altro che una delle tante baggianate che prima citavo.
Infatti, vi rassicuro, non è assolutamente vero che l’individuo influenza i pianeti, ma è certamente vero invece il contrario, ovvero che i pianeti, le stelle, gli astri hanno una certa influenza sull’andamento della vita di ogni essere incarnato. Attenzione, però: supponiamo che chi ha ascoltato fosse per un momento – magari – accecato dal fideismo, o fosse tanto convinto della realtà di Maestro di colui che parlava da credere fino in fondo alla baggianata detta. Questa persona potrebbe obiettare che, in fondo, in base a quanto ho detto io sulla logicità e sulla razionalità delle cose, il mio discorso non era, su queste basi, poi assurdo. Infatti mi ero premurato di far riferimento ai vari piani di esistenza. Mi ero premurato di far notare le energie che l’individuo può mettere in moto, di portare, quindi, tanti piccoli elementi che in se stessi potevano avvalorare l’assurda ipotesi che vi avevo portato.
Ecco, quindi, che si rivela come vero ciò che io affermavo prima, ovvero che non basta ascoltare un messaggio o alcuni messaggi per alcuni mesi per poter dire se ciò che viene detto è la verità o meno, ma è necessario osservare, ascoltare un insegnamento in un arco di tempo non indifferente, in modo da avere il maggior numero possibile di elementi su cui poter giudicare. Perché vi garantisco, creature, che nessuna entità poco evoluta, così come nessun inconscio (per astuti che possano essere) sono in grado di portare avanti un insegnamento per una decina d’anni senza cadere, prima o poi, in contraddizioni, in assurdità logiche, in irrazionalità che non hanno alcuna giustificazione e che dimostrano, quindi, quanto l’insegnamento apportato non era nella verità.
Molte volte è stata posta la domanda se e quanta verità vi sia nelle religioni, ed è stato risposto che in ogni religione vi è una buona parte di verità, anche se poi, solitamente, vi sono stati aggiunti degli elementi, delle deformazioni che hanno portato lentamente queste religioni a divergere in uno o più punti dalla verità.
Un esempio di questo tipo di credenze è quella che viene comunemente definita “metempsicosi”.
Per chi non conoscesse questa parola dalla dizione così difficile, spiego che essa è una teoria la quale afferma che ogni individuo che muore – se ha condotto la sua vita in modo maligno, colpevole, cattivo – si reincarnerà nella vita successiva non in un altro essere umano bensì in un essere inferiore, ovvero in un animale.
Teoria suggestiva, certamente, perché all’essere umano, così presuntuoso, così convinto della propria superiorità sugli altri animali del pianeta Terra, può far piacere che altri esseri umani che giudica (attraverso la mediazione del suo Io) condurre una vita negativa, sconteranno il fio delle loro colpe incarnandosi in animali più o meno simpatici. È un po’, in fondo, l’analogo del concetto cattolico dell’inferno in popoli e in genti che sono molto più vicine alla natura e all’animismo, per cui – invece di creare sensi di colpa e reazioni ai propri istinti, facendo balenare davanti agli occhi l’idea delle fiamme senza fine – han finito per far balenare davanti agli occhi di questi popoli l’idea della reincarnazione “punitiva” in esseri animaleschi.
Io vorrei questa sera farvi notare, attraverso l’insegnamento che fin qui abbiamo portato, quanto la teoria della metempsicosi, in realtà, sia semplicemente assurda.
Se, infatti, diamo per scontato che evolvere significa un sempre maggiore allargamento di coscienza, se diamo per scontato – come sempre abbiamo affermato – che l’individuo ad ogni incarnazione conquista sempre, qualunque tipo di vita conduca, un’evoluzione maggiore in misura più o meno grande a seconda delle motivazioni che hanno spinto le sue azioni, com’è possibile che un individuo, alla fine della vita fisica, allorché si ripresenta nella materia per vivere ancora, si incarni in un essere che ha, chiaramente, un’evoluzione, un sentire e una coscienza inferiori a quella dell’essere umano?
Direi che basterebbe questo punto per far comprendere quanto questo concetto, il concetto della metempsicosi, sia errato; ma non è il solo. Certamente voi ricorderete che abbiamo parlato a lungo, più e più volte, dei vari corpi che costituiscono l’essere umano.
Abbiamo cioè parlato del corpo fisico, del corpo astrale, del corpo mentale, del corpo akasico e dei corpi spirituali, affermando che, a mano a mano che l’individuo si evolve, essi acquistano sempre maggiore sensibilità, hanno cioè i loro sensi sempre più affinati, sempre più adatti ad esprimere la nuova evoluzione raggiunta. E quest’insegnamento, mi sembra, è stato compreso e accettato da tutti.
Ma se è così, allora applichiamo la logica e la razionalità al concetto di metempsicosi: infatti l’animale, per evoluto che esso possa essere, non avrà mai dei corpi strutturati, dei sensi strutturati sui vari piani, capaci di esprimere l’evoluzione anche dell’uomo più inevoluto; ricordate infatti che l’animale ha un corpo fisico, possiede anche un corpo astrale di una buona struttura, incomincia a possedere anche un corpo mentale meno informe, tuttavia il corpo akasico è ancora informe. Il che sta a significare che un essere umano che abbisogna di un corpo mentale già ben strutturato e ha un corpo akasico che incomincia a strutturarsi già più complessamente, non può certamente incarnarsi in un essere che non gli permette di esprimere ciò che il suo corpo akasico gli può fare esprimere, anche perché in quel modo, chiaramente, vivrebbe una vita inutile alla sua evoluzione.
Infatti, ogni incarnazione successiva serve per poter esprimere maggiormente ciò che si è imparato, e incarnarsi in un corpo che non possa far esprimere l’evoluzione conseguita è, ripeto, un’incarnazione inutile; e nella logica dell’universo, nella logica dell’Assoluto, non vi può essere nulla che sia inutile e irrazionale!
Naturalmente tutto quanto detto, più tanti altri elementi, possono indicare come la metempsicosi non sia una dottrina accettabile sia dal punto di vista logico, sia dal punto di vista razionale, non sia quindi parte della verità.
Tuttavia anche senza andare a cercare teorie esotiche come può essere questa, accade molto spesso di sentire teorie altrettanto assurde frequentando circoli spirituali o spiritici disseminati un po’ dovunque.
Ci raccomandiamo quindi a tutti coloro che credono che noi e le altre guide di altri gruppi che da anni e anni stiamo operando, stiamo portando una certa verità con una certa coerenza, una certa logica, una certa razionalità, di ricordare quanto detto fino a questo punto, di ragionare sempre su ciò che arriva alla loro mente… anche su quello che da noi proviene, perché è giusto, è logico, è bello addirittura essere pronti a notare ogni incongruenza che viene affermata anche da chi più si ama, stando sempre attenti a non perdere la misura della realtà, stando sempre attenti a non cadere nell’irrazionalità, nell’illogicità, a non voler spiegare le cose più semplici con le teorie più fantastiche create magari per incantare gli altri o per incantare, al limite, persino se stessi, perché non v’è peggiore assertore della verità di colui che vuole a tutti i costi credere in ciò che afferma senza prima aver meditato se ha compreso e se ciò che sta proponendo agli altri ha davvero la possibilità di essere la verità che afferma. Scifo

Lo scopo del mio intervento è quello di negare categoricamente la possibilità che qualsiasi entità, per quanta alta evoluzione abbia raggiunto, possa avere la possibilità di ritornare nel mondo fisico prendendo come involucro, come corpo fisico, il corpo di un animale.
Nego questo sia per le ragioni che già a suo tempo sono state addotte, sia anche perché ritengo che sia facile – molto spesso – fare confusione, osservando il comportamento di taluni animali che danno mostra di possedere già qualche cosa di umano.
Effettivamente ciò è vero: esistono degli animali (e possiamo questo osservarlo nei cani, ad esempio, e le cronache riportano spesso episodi in cui queste bestiole si sono comportate alla stregua di come si sarebbe comportato un uomo di una certa evoluzione) che hanno un comportamento molto vicino a quello dell’uomo; anzi, in taluni casi addirittura migliore.
Questo è vero, lo affermo e lo confermo, ma dico anche che il comportamento di questi animali è motivato semplicemente dal fatto che essi si trovano alla loro ultima incarnazione animale: sono alla soglia dell’incarnazione umana, ma non sono entità che hanno magari già lasciato la ruota delle nascite e delle morti in qualità di uomini e sono tornati nel mondo fisico incarnati – ad esempio – in un cane.
Non aggiungo altro e lascio la possibilità ad ognuno di voi di meditare su queste cose, lasciando l’argomento ad altri tempi perché è un argomento interessante e sul quale vi sarà l’opportunità e la possibilità di parlare a lungo, soddisfacendo gli amanti di queste povere bestiole che vivono assieme a voi nel mondo fisico. Vito

1  La ricerca nell’ombra, pag. 149 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Cambiare la propria vita

d-30x30Cambiare la propria vita. Dizionario del

“Se vuoi cambiare la tua vita, cambiala!» ha esortato più volte Scifo nel corso degli anni.
In effetti, se ci pensiamo bene e con onestà, troppe volte ci lamentiamo della nostra vita, eppure non facciamo niente per modificare il suo andamento, non tanto nelle condizioni pratiche che ci si presentano, quanto nel nostro modo di porsi nei suoi confronti, di affrontarla a viso aperto, senza tentare soltanto di «apparire», ma cercando con buona volontà di «essere».
Siamo noi stessi – dicono le Guide – a ricoprirci di catene e, spesso, siamo nel nostro intimo migliori di come finiamo con l’apparire anche ai nostri stessi occhi.

Messaggio esemplificativo (1)

L’esistenza che state conducendo, in certi momenti, all’uomo che la vive può dare l’impressione di essere simile ad un avvoltoio che gira sul suo capo in attesa del momento buono per calarsi con furia per lacerare coi propri artigli quello che è il tessuto stesso della propria vita. E voi, uno per uno, che quell’istante vivete, attraversate attimi di sbandamento, travagliati dai vostri tormenti, angustiati dai problemi che via via si sottopongono alla vostra attenzione… e quanti tra di voi finiscono poi per avvicinarsi a noi! Vedete, figli, non c’è nessuno tra voi che, in realtà, si sia accostato a questi incontri sotto la spinta di un pensiero ottimista o positivo, ma la spinta che muove sempre chi a noi si avvicina è il desiderio di ricevere qualcosa in cambio, di comprendere cosa gli sta succedendo, di rendergli più accessibile quell’esistenza nei giorni difficili.
Purtroppo, ahimè, non sempre è possibile fare molto per ognuno di voi, individualmente, ed è per questo allora che noi così spesso vi invitiamo a modificare la vostra realtà, se volete vivere meglio. Ricordate la frase che disse qualche tempo fa il fratello Scifo e che poteva sembrare quasi una battuta cabarettistica ma che nasconde una grande verità? La frase era: «Se davvero volete cambiare la vostra vita, allora cambiatela».
Cosa significava quella frase? Significava che finché voi continuate a vivere «allo stesso modo» le ore che passate sul piano fisico, finché voi continuate a sentirvi sovrastare dagli avvenimenti, finché voi avvertite l’esistenza come una spada di Damocle, pronta a tagliarvi il collo da un momento all’altro, allora difficilmente riuscirete a trovare la serenità. Il nostro compito, figli, è proprio quello di cercare di aiutarvi a raggiungere un equilibrio diverso, una nuova serenità interiore, e come potremmo fare per portare avanti questo compito così difficile, anche perché non è mai individuale, ma deve essere reso il più generale possibile perché serva a più persone contemporaneamente?
Il modo migliore per farlo è quello di indurvi a poco a poco, con pazienza, lentamente, a cercare di trasformare il vostro modo di essere inseriti nella vita. Questo avviene attraverso alcune parti dell’insegnamento, che sono essenziali per questa modifica della concezione della propria realtà, e una delle parti principali è quella che vi ricorda che tutto ciò che accade accade sempre e soltanto per il vostro bene. Anche l’avvenimento più sfortunato non va vissuto come sfortunato e basta, ma va visto in prospettiva considerando il fatto che anch’esso ha la sua necessità per voi e che anch’esso porterà – passato il momento di travaglio interiore – a modificare qualcosa di voi stessi.
Quindi noi vi chiediamo, figli, di abituarvi a pensare alla vita in modo più positivo di quello che fate solitamente. Se cercaste di osservare gli avvenimenti che vi circondano, che vi interessano più o meno da vicino, con maggiore obiettività, con maggior attenzione, riuscireste sempre ad accorgervi che tutti questi avvenimenti sono delle indicazioni che vi mettono in mostra quali sono le cose che dovete cambiare in voi; quelle cose, superate le quali, cambierà la qualità stessa della vostra vita.
E allora, figli nostri che arrivate a noi tendendo la mano, aspettando che noi sulla vostra mano mettiamo chissà quale regalo, io non posso far altro che mettere tra le vostre dita un piccolo fiore di consapevolezza, cercare di annaffiare questo fiore che vi doniamo e sperare che voi abbiate il coraggio di annusarlo e di scoprire un nuovo profumo per rendere la vostra vita diversa.
Certo, i fenomeni meravigliosi, strani, paranormali, possono attirare la vostra attenzione, la vostra curiosità, darvi l’illusione di aumentare la vostra fede e la vostra credenza in qualcosa che esiste al di là del piano fisico, ma chi da anni partecipa a questi incontri, chi da anni ha ricercato all’interno dei fenomeni, si rende conto che il fenomeno in se stesso alla lunga non basta per dare quell’equilibrio, quella certezza interiore che modifica il porsi davanti alla vita; ed è questo il punto più importante – alla fin fine – per ognuno di voi: non è tanto «osservare la cosa meravigliosa», quanto riuscire a rendersi conto che la cosa meravigliosa esiste sempre e comunque nei vostri pressi e che basta cambiare «il modo» di osservare la realtà per rendersene conto e, quindi, sentirsi già diversi. Quante cose meravigliose vi passano accanto e, poiché voi non sapete guardare con occhi giusti, scivolano via senza essere debitamente considerate da voi! Bene, figli, dovreste arrivare a comprendere che non sono importanti i fenomeni, non siamo importanti noi, non è importante persino l’insegnamento filosofico, se prima non riuscite ad acquistare questa nuova visione della realtà che fa della vostra vita non una nemica ma una compagna che vi accompagnerà sempre con mano ferma attraverso le vostre esperienze, sempre così necessarie. Io mi auguro, figli, che riusciate a raggiungere questa certezza perché così – io lo so per essere passato attraverso questo prima di voi – vi renderete conto che la vita non era quella che voi credevate, ma era molto più bella e giusta. Moti

1  L’Uno e i molti, XI, pag. 19.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Il bene e il male nella comprensione del Cerchio Ifior

d-30x30Bene e male. Dizionario del

L’eterno dilemma su ciò che è bene e cos’è il male è stato presentato dalle Guide nei brani che seguono.
Certamente, non è un dilemma veramente risolvibile, perché nulla è davvero «bene» sempre e in qualsiasi situazione, così come nulla è «male» per l’eternità e in maniera imperdonabile.
Nel complesso schema della realtà che ci hanno presentato le Guide in questi trent’anni e oltre di insegnamento a poco a poco si è arrivati a comprendere la relatività dei concetti, il loro sfumarsi nei loro opposti, completando un circolo, un ciclo che porta, alla fine, a riconoscere che bene o male non sono altro che la diversa faccia di uno stesso aspetto, entrambi necessari per mantenere integra la Realtà e permettere, attraverso la sperimentazione diretta degli opposti nel corso del proprio percorso evolutivo, di ritrovare l’equilibrio a cui tutta la Realtà fa capo.

Messaggio esemplificativo (1)

Fin dai primordi dell’uomo e dai suoi primi, goffi tentativi di rappresentarsi la realtà che si trovava a dover affrontare nel corso delle sue esistenze, questi si è trovato di fronte alla necessità di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male, quindi, di dover fare una distinzione filosofica all’interno di ciò che stava vivendo.
Il semplice uomo delle caverne risolveva in maniera immediata e, per la sua semplice evoluzione, soddisfacente, la questione, forte della poca esperienza che ancora possedeva, derivante per la massima parte da quell’eredità di imprinting e di istinto che proveniva dal suo recente passaggio incarnativo attraverso il regno animale: era qualificabile come bene tutto ciò che aiutava la sua sopravvivenza (dal cibo, alle pelli per coprirsi dal freddo, al fuoco per rischiarare le sue notti buie e spaventose) e, invece, come male tutto ciò che poteva rendere il decorso della sua vita estremamente doloroso e difficile (dalla fame al freddo, alle malattie), finendo spesso col abbreviarne in maniera drammatica il protrarsi negli anni.
Poi, nacque l’idea di qualcosa di immanente, di invisibile, di imprecisabile che governasse la vita dell’essere umano, una larvata sensazione dell’esistenza di entità superiori che, con la loro benevolenza o con la loro accidia, condizionavano e indirizzavano la vita dell’uomo in maniera positiva o in maniera negativa.
Dapprima questa forza, al di sopra delle potenzialità umane, venne personificata negli elementi della natura, facendo immaginare ogni forza della natura come entità superiori di fronte alle quali l’uomo si trovava in balia della natura stessa: le piogge lo sferzavano, il sole illuminava i suoi giorni riscaldandoli, il vento asciugava le sue misere vesti, il mare flagellava le coste proclamando la sua forza irresistibile.
L’osservatore più attento di quelle epoche si accorgeva che la delimitazione tra i due termini contrapposti bene/male non era così precisa, anzi, spesso sfumava oppure era presente, in ogni elemento della natura, una tale ambiguità e ambivalenza che diventava difficile, all’uomo dell’epoca, dare ad ognuno di essi una connotazione precisa: se la pioggia scrosciante allagava la sua caverna e rendeva piene di terrore le sue notti illuminate a tratti dai lampi e squassate dal rombo dei tuoni contemporaneamente dava rigoglio alle piante di cui si cibava; se il sole dava sicurezza ai suoi giorni e calore al suo corpo poteva anche far bruciare la sua pelle e far seccare quelle stesse piante che erano una preziosa fonte di sussistenza; il vento che rendeva piacevoli le giornate estive rendeva spesso insopportabili quelle invernali; il mare che travolgeva le fragili imbarcazioni che l’uomo cercava di costruire per solcare le onde ospitava una fonte di delizioso cibo.
Finalmente Urzuk, il primo filosofo nella storia dell’uomo, arrivò a comprendere che le cose non stavano proprio come tutti avevano pensato fino a quel momento e che le forze della natura non erano vive – nel senso umano del termine, almeno – ma corrispondevano a leggi naturali, spontanee e non avevano caratteristiche tali da poter loro attribuire caratteristiche di benevolenza o di malvolenza.
Per voi, uomini raffinati del terzo millennio dell’era moderna, tutto questo sembra ovvio e persino banale.
Ma, riuscite a immaginare il nostro Urzuk che sforzo di creatività dovette compiere per abbandonare le antiche e fortemente vittimistiche concezioni del passato e concepirne di nuove? Non vi sembra che un tale epico sforzo avrebbe dovuto far sì che il suo nome venisse tramandato con gloria fino ai giorni vostri? Di fronte allo scorrere dei millenni, ahimè, la gloria, gli onori e la propria personale esistenza, per importante che sul momento possano essere sembrati, finiscono  con  l’offuscarsi e cadere  inevitabilmente nell’oblio, e del  «grande uomo» del passato, alla lunga, non resta traccia, se non nella catena di eventi che ha messo in moto permettendo al Grande Disegno di svilupparsi lungo le sue complesse vie.
Sono certo che una curiosità è nata dentro di voi: come ha fatto Urzuk, così limitato nelle conoscenze e nelle capacità intellettive a rendersi conto che le forze della natura non erano divinità benevole o malevole, a seconda delle occasioni, bensì semplici azioni meccaniche messe in moto dalla natura?
Possibile mai che voi, raffinati e sensibili pensatori del terzo millennio, figli della tecnologia e della conoscenza, piccoli sapienti a contatto con le grandi filosofie del passato e con gli insegnamenti attuali, non abbiate già sulla punta della lingua l’ovvia risposta?
Urzuk, nella sua semplicità, siccome non aveva la televisione o il videoregistratore o i libri per riempire le sue giornate, nel tempo libero osservava il grandioso spettacolo che la natura instancabilmente gli metteva in scena e fu così che un pensiero sfavillò nella sua coscienza:
«La tempesta infuria anche quando io sono bene al riparo nella mia grotta sopraelevata all’interno della montagna, il sole cocente non mi scotta se mi siedo al riparo di un albero frondoso, il vento non mi sferza più se solo giro l’angolo di una roccia, il mare percuote lo stesso le spiagge con le sue onde anche nei giorni in cui io non mi avventuro sulle sue acque. Non posso che arrivare a concludere che nessuno di questi avvenimenti è veramente rivolto contro di me, ma pioggia, vento, sole e mare continuano semplicemente a fare ciò che hanno il compito di fare, indipendentemente dal fatto di potermi nuocere o aiutare.»
Ora che ne ho parlato vi sembra una cosa così semplice da sembrare quasi ridicola, e, nella vostra altezzosità, magari pensate anche che, in fondo, il nostro Urzuk non ha conquistato una concezione poi così notevole…
Ah, creature mie, se ricordaste più spesso il ragionamento di Urzuk e lo faceste vostro ogni volta che vi lamentate di quello che vi accade, ogni volta che vi sentite come se il mondo intero fosse lì soltanto per crearvi delle difficoltà!
Ritornando al nostro Urzuk c’è poco altro da dire su di lui: non era certo un Leonardo da Vinci e per nobilitare la sua esistenza ha avuto soltanto quell’unico pensiero, abbozzo informe di un ragionamento filosofico, tentativo persino sorprendente – viste le possibilità di pensiero dell’uomo dell’epoca – di applicazione di quel processo logico che ultimamente abbiamo cercato di insegnarvi.
Dopo non lungo tempo ché la vita dell’uomo all’epoca, era decisamente più corta di quella dell’uomo attuale, Urzuk morì, come sempre accade all’uomo incarnato, anonimo e inconsapevole esempio dell’omerica frase: «nati non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza».
E, come sempre accade ad ogni individualità finché non ha portato a termine il suo programma di comprensione all’interno del piano fisico, Urzuk si reincarnò.
Il suo nuovo nome non ha importanza (per comodità continueremo a chiamarlo Urzuk, così come, per comodità, creeremo una improbabile linea incarnativa di Urzuk come simbolo dello sviluppo dell’idea di bene-male nell’uomo), ma nel tempo la sua minuscola idea era stata accettata dai suoi discendenti che le avevano apportato piccole correzioni e piccoli ampliamenti, cosicché essa era diventata ormai un elemento fisso delle concezioni dell’uomo, anche se non aveva avuto per molto tempo degli sviluppi significativi.
Ma il nuovo Urzuk era uno di quegli uomini la cui esistenza era necessaria al Grande Disegno per aggiungere nuovi colori e nuove forme alla sua complessità, ed egli non tradì il suo compito, ponendosi ancora di fronte al tentativo di comprendere meglio cos’era il bene e cos’era il male.
«Se – egli si disse – il bene e il male che mi accadono sono indipendenti dalla mia presenza sul pianeta (probabilmente non usò questo termine ma semplicemente l’equivalente del termine «mondo») è ovvio che non dipendono da me. Tuttavia io sento che esistono. Quindi deve esserci un qualche essere che ha in mano le redini delle vicende umane».
E nacque così il concetto di Dio: un essere immanente, al di sopra della realtà umana, che presiedeva a distribuire, più o meno capricciosamente o giustamente, benefici o disgrazie ad ogni essere umano incarnato.
Un Urzuk successivo, antesignano dell’ipotesi dell’esistenza del libero arbitrio nell’uomo e un po’ stufo di sentirsi in completa balia degli avvenimenti, si domandò come influenzare in qualche modo le decisioni divine in favore dell’umanità.
E così nacque il concetto di religione: magari, dimostrandosi servile, ossequente, adorandolo e facendogli offerte, l’uomo avrebbe potuto indurre la divinità a essere più spesso benevola che malevola, magari avendo un occhio di riguardo verso i suoi adoratori a scapito di chi non lo aveva riconosciuto come Dio e che quindi, con ottima probabilità, avrebbe attratto più facilmente su di sé il male, facendo beneficiare, conseguentemente, di una maggior quantità di bene, tutti coloro che amavano, servivano e riverivano il Dio.
L’Urzuk seguente – incarnatosi non molto dopo (ed infatti l’idea che questi escogitò è quasi contemporanea a quella precedente) – perfezionò furbescamente quanto ideato dal suo predecessore: “Siccome il Dio ha un caratterino niente male, potrebbe anche sentirsi infastidito dalle preghiere di tutti gli uomini che lo adorano: tutte quelle lamentele e quei piagnistei alla lunga possono risultare irritanti. Però, se un solo uomo si prendesse il compito di far da portavoce per tutti gli altri… oltre ad aiutare gli altri fedeli e a sollevare un po’ il Dio dalle mille e mille voce imploranti diverrebbe anche il primo beneficiario del bene divino».
E così nacque il concetto di sacerdote, necessario e insostituibile intermediario con la divinità.
Probabilmente, in qualche punto della catena reincarnativa il pensiero filosofico di Urzuk aveva incominciato ad incrinarsi, a mostrare qualche pecca, anche se dal punto di vista logico la successione delle idee che mise alla luce sembrarono ineccepibili nelle varie epoche in cui nacquero.
Infatti, nacque il concetto di Chiesa al fine di radunare in un unico corpo fedeli e sacerdoti. E poi il concetto di Papa, intermediario degli intermediari, uomo infallibile (da notare la contraddizione in termini dei due concetti), vicario in Terra di un Dio sfuggente.
E il concetto di bene e male? Gli Urzuk lo risolsero, infine, o no?
Ahimè, se ne disinteressarono, attratti da altre esigenze e da più immediate questioni. Non che la cosa venisse ignorata, semplicemente un Urzuk, forse il meno creativo di tutti gli altri, arrivò ad immaginare che la volontà di Dio è imperscrutabile e quindi il bene e il male sono imperscrutabili anch’essi in quanto espressione dell’intervento divino nella vita dell’uomo.
Ma, ormai, il primo Urzuk aveva dato il via – come sempre accade – a una catena di imitatori che, nei secoli, diedero vita alla filosofia, interessandosi a tutto ciò che riguardava l’uomo.
Il concetto stesso di bene/male venne esaminato nelle sue varie prospettive, creò linee di pensiero, tendenze di ragionamento, dal materialismo al pessimismo, dal materialismo storico di Marx alla psicoanalisi, mentre il concetto altalenava tra la ricerca all’esterno dell’uomo e la ricerca, invece, al suo interno, spesso contraddicendo se stessa e dando luogo a miriadi di concezioni.
Anche noi non siamo da meno e abbiamo proprio intenzione di parlarvi del bene e del male alla luce di quanto vi abbiamo detto nel corso di questi anni.
Alcuni di voi si annoieranno, altri ne saranno felici e se sarà un bene o un male per voi solo il tempo potrà dimostrarlo.
Resta il fatto che nel grande Disegno così sta scritto e, perciò, così faremo.

* * *

Nel precedente messaggio che vi ho fatto pervenire sul concetto bene/male, sono stati rilevati due presunti errori da alcuni di voi (ma solo da alcuni… questo perché gli altri non li avevano visti, o non avevano avuto il coraggio di sottolinearli, o avevano preferito ignorarli pensando che non avevano poi così tanta importanza, o, magari, perché non li avevano ritenuti errori? Credo che esaminare dentro di voi, uno per uno, il perché del vostro comportamento possa farvi capire qualcosa di più di voi stessi e di come vi ponete nei confronti di quanto vi comunichiamo, quindi vi prego vivamente di cercare di farlo).
Mi rendo conto che, probabilmente, avevo sopravvalutato la vostra possibilità di capire veramente l’ottica in cui stavo parlando.
Eccomi, perciò, qui a fornirvi gli elementi che avete trascurato nel muovere i vostri appunti (ma preferisco mille volte una critica sbagliata che nessuna critica) a quanto avevo scritto.
Il primo, il più banale e, secondo me, il più ovvio, è che il mio dire: «anonimo e inconsapevole esempio dell’omerica frase: «nati non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza» può avere diverse connotazioni, grazie alla complessità della lingua italiana: poteva voler significare – anche se con un certo sforzo linguistico perché ci sarebbe stato un modo più semplice di dirlo – che la citazione era attribuibile a Omero, così come hanno pensato alcuni di voi; ma poteva anche voler significare (e secondo me, linguisticamente è l’accezione più corretta del termine «omerico» in questo contesto) che la frase era di derivazione omerica in quanto, originalmente, omerico era il personaggio (Ulisse) a cui Dante attribuisce il periodo… «incriminato», anche considerato il fatto che lo strumento che uso, se pure imperfetto, ha fatto il liceo classico e, senza ombra di dubbio, è scritto nella sua memoria, da cui traggo spesso i concetti e le espressioni, che tale frase è dell’Alighieri e non di Omero.
Non sto cercando di giustificare un mio errore (quando il mezzo che si usa per fare qualcosa è imperfetto anche i risultati che si ottengono usando quel mezzo possono avere delle imperfezioni) ma sto cercando di allargare il vostro modo di esaminare le cose, ricordandovi che difficilmente c’è una sola possibile interpretazione per qualsiasi cosa con cui venite a contatto e, perciò, possedere una certa elasticità mentale è indispensabile per avere una visione più completa di quello spicchio di Realtà che, quando siete incarnati, potete abbracciare.
Per parlarvi invece della frase da me usata: «E nacque così il concetto di Dio: un essere immanente, al di sopra della realtà umana, che presiedeva a distribuire, più o meno capricciosamente o giustamente, benefici o disgrazie ad ogni essere umano incarnato.», devo ricordarvi che poco prima avevo usato lo stesso termine, dicendo: «Poi nacque l’idea di qualcosa di immanente, di invisibile, di imprecisabile che governasse la vita dell’essere umano, una larvata sensazione dell’esistenza di entità superiori che, con la loro benevolenza o con la loro accidia, condizionavano e indirizzavano la vita dell’uomo in maniera positiva o in maniera negativa».
Il mio ragionamento era sviluppato in rapporto alla prospettiva che teneva conto dell’evoluzione di Urzuk (cioè dell’essere umano) nei secoli e dei riflessi che essa aveva sul suo approcciarsi al concetto di bene/male, cioè al suo graduale avvicinamento ai dettami dell’archetipo bene/male (permanente, com’è ovvio) a mano a mano che il suo corpo akasico acquisiva granelli di sentire attraverso l’esperienza incarnativa.
È ovvio che nell’esaminare il concetto di divinità vi sia uno stretto rapporto tra le dualità bene/male e immanenza/trascendenza, le quali sono indubbiamente collegate indissolubilmente tra di loro, fino a costituire una sorta di completamento reciproco (come d’altra parte accade per tutti gli archetipi permanenti, i quali non sono mai ognuno a sé stante ma si integrano tra di loro al punto che, secondo me, risulta impossibile parlare di un solo archetipo permanente, se non correndo il rischio di un’approssimazione pericolosamente male interpretabile).
Se ricordate quanto avevamo affermato, avevamo detto che ogni archetipo permanente, per poter diversificare i percorsi delle sperimentazioni individuali ma anche per una sua necessità interna di completezza di vibrazione, non esprime un concetto singolo, ma una scala di gradazioni del concetto stesso che va da un polo all’altro del concetto (percorrendone la dualità degli opposti, come ad esempio bene/male) passando attraverso tutte le possibili sfumature e combinazioni intermedie: nell’archetipo «bene» è presente anche la sua contrapposizione duale «male» ma anche, che so io, la gradazione 10 per cento di bene e 90 per cento di male, o 50 per cento e 50 per cento e così via, che segnano tutte le possibili gradazioni (noi, di solito, le definiamo sfumature) per mezzo delle quali all’individuo incarnato è possibile sperimentare la realtà che attraversa nel suo incedere incarnativo. Ogni gradazione sperimentata, però, dall’ipotetico 100 per cento di bene all’altrettanto ipotetico cento per cento di male dà la possibilità di comprendere l’interezza dell’archetipo che si sta sperimentando.
Il mio uso del termine «immanente» teneva conto proprio di queste sfumature di gradazioni: per l’uomo più primitivo la divinità era pressoché totalmente immanente, tant’è vero che era ritenuto divino ogni fenomeno atmosferico e gran parte degli accadimenti naturali a cui era sottoposto: dal giorno alla notte, dalla luna al sole, dal tuono alla pioggia e via dicendo, insomma si trattava dell’animismo più profondo anche se la sensazione della presenza di un elemento di trascendenza era, comunque, presente, anche se l’individuo ne era poco consapevole.
Col passare dei secoli, l’immanenza della divinità perse in percentuale rispetto alla sua trascendenza ma si può dire (azzardando un po’ e riferendosi essenzialmente all’occidente) che, tranne sporadici episodi storici, fu con il cristianesimo che il concetto di trascendenza incominciò a sovrastare quello di immanenza, giocando, nel contempo, un ruolo determinante sulla determinazione di ciò che è bene e di ciò che è male nella concezione etico-morale non del solo individuo ma delle società che si sono andate via via formando e, di conseguenza, nel contribuire alla formazione dei vari archetipi transitori collegati alle molteplici società che via via prendono forma sul pianeta.
Naturalmente, c’è anche il rovescio della medaglia: malgrado il prevalere del concetto di trascendenza legato alla divinità quello di immanenza perde forza ma non scompare e anche la religione più «trascendente» nei secoli ha contemplato sempre una certa percentuale di immanenza, quanto meno come possibilità della divinità di intervenire nella realtà dell’uomo attraverso interventi diretti come, per esempio, i miracoli. Scifo

Abbiamo osservato di recente il concetto di bene/male nel modo più generico possibile, preoccupandoci, più che altro, di farvi notare lo sviluppo del concetto stesso, nei secoli, dal punto di vista della dinamica del suo sviluppo all’interno delle varie società umane di cui l’ipotetico Urzuk era un rappresentante di comodo per simboleggiare il più generico essere umano (2).
L’idea «bene/male» può essere fatta risalire, come genesi, a un archetipo permanente tra i più pregnanti, in quanto coinvolge l’individuo nel suo percorso evolutivo in tutte le fasi della sua storia passata e lo coinvolgerà anche, indubbiamente, nella sua storia futura: la ricerca del bene (ipotizzabile come tendenza ad avvicinarsi sempre di più all’ancora più ampio archetipo «amore») risulta essere, alla fin fine, l’ossatura dell’interiorità dell’individuo, la meta ancora incompresa che deve essere via via precisata per poter veramente arrivare a consonare con le vibrazioni proprie dell’archetipo dell’amore.
Nella «Critica della ragion pratica», Kant cantava le lodi de «il cielo stellato sopra di me e la legge morale al mio interno», arrivando a sottintendere, più o meno apertamente, che ogni essere umano ha un senso etico innato che trascende i dogma o i dettami di qualsiasi religione e che, da solo, sarebbe già di per sé sufficiente a indirizzarlo verso la migliore via da percorrere.
Rapportando questo concetto agli insegnamenti che vi abbiamo portato negli anni, questa intuizione kantiana si avvicina molto alla scoperta dell’esistenza di quegli archetipi permanenti che, abbiamo detto, risuonano nel Cosmo richiamandoci come fari subliminali verso la scoperta del bene e del male, dell’amore e, infine, di Dio stesso.
Una giusta osservazione che potreste muovere a confutazione di quanto ho appena detto sarebbe quella che sottolineasse come il concetto di «bene» (parallelamente a quello di «male») ha preso connotazioni spesso estremamente diverse nella storia dell’essere umano. «E allora – potreste chiedervi e chiedermi – non si riesce a comprendere com’è possibile che questo senso innato kantiano o, per parlare con la nostra terminologia, l’influsso dell’archetipo permanente in questione, abbia dato il via alla miriadi di concezioni diverse di quest’unico concetto.»
La risposta sarebbe abbastanza immediata e comprensibile intuitivamente ricorrendo ad altri concetti basilari dell’insegnamento quali la percezione soggettiva della realtà e il diverso grado di comprensione di ogni individuo che si accinga a dare una connotazione al concetto di «bene»; è ovvio che per l’individuo il concetto di «bene» è estremamente relativo in quanto strettamente influenzato dalla sua percezione della realtà e dal grado di comprensione, di sentire, raggiunto.
Io volevo, però, sottolineare un altro particolare che, assieme a quelli appena citati, può contribuire a dare una risposta più particolareggiata che spieghi in modo più complesso il perché della discrepanza tra il concetto di «bene» dell’archetipo permanente e quello elaborato dall’essere umano.
Senza dubbio il «bene» espresso dall’archetipo permanente è da ritenersi assoluto, in quanto comprendente in sé tutte le possibili sfumature dal «bene» al «male» che aiutano a precisarlo e a renderlo completo. E le vibrazioni che l’accompagnano sono uniformi e costanti nel tempo (caratteristica che – avevamo detto – accomuna tutte le vibrazioni tipiche degli archetipi permanenti): l’archetipo permanente non cambia nel tempo ma il fascio vibratorio che emana, nella sua complessità, è assolutamente identico in ogni epoca temporale e in ogni posizione spaziale nella quale opera.
Ciò che provoca la discrepanza che potreste aver sottolineato è la ricaduta degli effetti delle vibrazioni dell’archetipo permanente sull’umanità, e quest’effetto è dato  dalla  formazione degli archetipi transitori. Questi, infatti, dal momento che nascono dal tentativo di un gruppo di individui aventi vicina evoluzione (e, di conseguenza, vicina comprensione) di adeguarsi inconsapevolmente alle vibrazioni costanti e decise emanate dall’archetipo permanente senza però avere ancora la comprensione adeguatamente strutturata per poter vibrare veramente all’unisono con la vibrazione emessa dall’archetipo permanente. Ne consegue che la concezione del «bene» codificata dall’individuo è costruita attraverso approssimative interpretazioni personali (spesso sbagliate o fuorvianti) di quello che l’individuo «crede» di aver compreso totalmente, con risultati chiaramente, spesso molto distanti da ciò che l’archetipo permanente suggerisce costantemente come «reale», così reale da potersi ritenere assoluto. Su questo effetto vorrei che vi soffermaste con un po’ più di attenzione di quanto possiate aver fatto fino ad oggi: ogni archetipo permanente ha la sua «brutta copia», anche in molte copie, spesso diversissime tra loro, cioè un archetipo transitorio che cerca di imitare, per quanto gli è reso possibile dalla comprensione del gruppo di persone ad esso collegate, ciò che percepisce, attraverso le sue possibilità percettive e di sentire, l’idea «assoluta» espressa dall’archetipo permanente.
Come potete notare il discorso è ampiamente strutturato e complesso in una maniera stupefacente, pur essendo, alla fin fine, semplice sia nella sua logica, sia nella sua meccanica, sia nello sviluppo della sua strutturazione.
Ma non vorrei addentrarmi, adesso, in un discorso così complesso e difficile per tutti voi: ci riserviamo di ritornare su questo discorso in un’altra occasione, se sarà possibile farlo.
Ritorniamo, dunque, al nostro concetto di «bene», lasciando per il momento da parte le risposte più ampiamente filosofiche e limitandoci a quelle osservazioni più semplici che, con maggiore facilità, possono venire affrontate da ognuno di voi.
Una domanda che ognuno può percepire in attesa di risposta dentro di sé è: «Qual è il «bene» per l’individuo?».
È ovvio che non esista una risposta univoca a questa domanda ed è per questo motivo che vi suggerirei di osservare i vari punti di vista, le varie prospettive in cui essa può essere esaminata alla ricerca di un quadro più complesso di quello comunemente accettato.
“Qual è il bene per il mio corpo fisico?».
La risposta è a prima vista ovvia e banale: il proprio corpo fisico gode del suo massimo aderire al bene quando ogni sua componente è in perfetta armonia, senza scompensi, sbalzi energetici, sofferenze e malattie. In fondo, se ponete attenzione al vostro corpo fisico vi renderete conto che esso è un perfetto quanto complesso meccanismo che, per poter rimanere integro e manifestare la «vita» dell’individuo, necessita che tutte le innumerevoli parti che lo compongono non solo lavorino in maniera costante e adeguata ma, soprattutto, che queste parti riescano a interagire e a completarsi con tutte le altre permettendo la sopravvivenza fisica dell’individuo.
Per dirla come potrebbe dire Scifo, ancora una volta è individuabile il principio del «così in alto, così in basso»; basta assimilare il corpo dell’individuo al concetto di «cosmo» per notare l’analogia con ciò che nel cosmo succede, permettendogli di esistere, ovvero l’interazione tra le sue parti costituenti, la necessità della loro presenza e l’aderenza alla spinta evolutiva che proviene dalla Vibrazione Prima.
Sulla scorta di questi elementi potremmo arrivare ad affermare che il massimo bene per il corpo fisico dell’individuo è individuabile nel suo trovarsi nella condizione ideale per portare a termine il compito per cui è necessaria la sua esistenza, ovvero permettere all’individuo incarnato di immergersi nella materia del piano fisico ed interagire con essa in maniera tale da poter acquisire, attraverso i processi dell’esperienza, il maggior numero di elementi utili per consentire all’intero «individuo», di cui il corpo fisico costituisce solo un aspetto, di procedere nel suo percorso evolutivo aggiungendo sempre nuovi frammenti di comprensione che lo portano sempre più verso la riunione con il Tutto. In mancanza, interruzione o malfunzionamento delle sue parti costituenti – pur esistendo una certa elasticità e compensazione tra i veri elementi – il corpo finisce col non poter più essere uno strumento utile e, quindi, più o meno velocemente si degraderà fino a portare all’abbandono di quella materia fisica da parte dell’individualità a cui essa era collegata.
Sembra tutto così ovvio, sembra tutto così logico, sembra tutto così facile… al punto da arrivare a provare un grande stupore nel rendersi conto che l’uomo dovrebbe facilmente arrivare a comprendere che deve avere cura del proprio corpo come se fosse un bene prezioso mentre, evidentemente, questo non accade che raramente e, di solito, nei momenti in cui entra in gioco la sofferenza fisica e la paura di star male. Negli ultimi anni della vostra storia il vostro corpo viene vessato in continuazione dalle condizioni ambientali in degrado, dai ritmi di vita incalzanti, dal nascere di tendenze apertamente autodistruttive come l’attuale uso di forare labbra, naso, palpebre e quant’altro per inserirvi ornamenti metallici e non. È lecito domandarsi come mai si ha una tale noncurante indifferenza (quando addirittura non rasenta l’autolesionismo) nel benessere della propria fisicità.
Le risposte possibili sono molte, alcune talmente soggettive che bisognerebbe darle individuo per individuo, ma altre, invece, più facilmente generalizzabili. Ombra

1  Sfumature di sentire, vol. III, pag. 201 e segg.
2  Quest’ultima parte del messaggio non può essere compresa appieno se non si conosce la teoria degli archetipi permanenti e transitori presentati dalle Guide, ma abbiamo preferito lasciarlo per non interrompere la continuità del discorso che si andava sviluppando. Per approfondire la teoria degli archetipi si rimanda al volume sull’insegnamento filosofico.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Alimentazione, diete, equilibrio. Cerchio Ifior

d-30x30Alimentazione. Dizionario del

Una corretta alimentazione – ci insegnano le Guide – è indispensabile per rendere il nostro corpo fisico il più adatto possibile ad affrontare le esperienze nel corso della vita sul piano fisico.
Questo significa limitare al massimo gli eccessi e mantenere equilibrata nelle sue varie componenti l’assunzione di cibo.

Messaggio esemplificativo (1)

Il corpo umano è certamente il meccanismo più complesso e straordinario che voi possiate conoscere, tanto che la sua straordinarietà appare evidente malgrado, in fondo, la conoscenza totale del suo funzionamento e delle complesse dinamiche tra i vari organi che lo compongono vi sia ancora per larga parte ignota.
È un fatto evidente che l’uomo comune ha la tendenza ad immaginare il vestito fisico che costituisce il perno della sua esistenza all’interno della materia come un tutt’unico nel quale vi siano, al massimo, alcuni organi particolarmente degni di attenzione e di cure specifiche.
Questi organi (cosiddetti «vitali») assumono importanza, di solito, agli occhi dell’uomo quasi sempre e solamente nel momento in cui provocano degli intoppi nell’esplicazione delle sue attività quotidiane. Ecco così che l’uomo sofferente di asma, per fare un esempio, si accorge di possedere dei bronchi e dei polmoni ogni volta che viene colto da un accesso asmatico ed allora reagisce, imponendosi grosse privazioni sotto la spinta della paura, dell’ansietà e del malessere fisico. Ma basta che l’attacco cessi per un tempo abbastanza rassicurante perché l’individuo, solitamente, si dimentichi degli organi di cui tanto si era preoccupato, riprendendo la sua vita usuale e, con essa, le abitudini malsane che lo avevano condotto a quella situazione di sforzo bronchiale e polmonare che gli aveva procurato l’intenso malessere fisico.
Se voi riusciste a rendervi conto davvero di quale meccanismo complesso costituisce ognuno di voi, certamente riuscireste a porre una maggiore attenzione a quello che fate, agli sforzi a cui vi sottoponete, agli squilibri in cui vi crogiolate e agli scompensi alimentari, in modo particolare, a cui siete soliti  indulgere.
Naturalmente, nel fare questo mio semplice discorso, parlerò solamente dell’aspetto fisiologico della questione, perché se dovessi parlare anche di quello psicologico (e che in fondo è il principale, perché è quello che spinge ad attuare comportamenti sbagliati) certamente non basterebbero ore ed ore di discorsi. Quello che, a mio parere, è assurdo ed anche grave è il fatto che, molto spesso, nella vostra epoca l’alimentazione viene strumentalizzata a fini economici per favorire certi prodotti industriali, più che venire usata, invece, come strumento ottimale per contribuire al benessere fisico dell’individuo attraverso la divulgazione e, quindi, la prevenzione di errori comuni.
È invalsa da non molto tempo la moda di abbondare con pasti sintetici in sostituzione dei pasti normali, al fine di ottenere un veloce dimagramento del corpo. Vi raccomando, fratelli miei: non lasciatevi suggestionare da slogans pubblicitari o da miraggi di corpi snelli e ben fatti, perché vi assicuro che tutti questi alimenti – cosiddetti «ipocalorici» – sono veramente più dannosi che altro. Certamente il dimagramento può venire ottenuto: ma a quale prezzo!
Lo stomaco e l’intestino subiscono un contraccolpo non indifferente; specialmente per quanto riguarda la flora batterica, il fegato, la milza ed il pancreas si trovano improvvisamente a dover lavorare su sostanze inusuali (perché in gran parte sintetiche) senza l’ausilio dei consueti microrganismi presenti nel cibo naturale; la muscolatura è in continua tensione e il dispendio di energie, non compensato adeguatamente, va a incidere in modo negativo sull’equilibrio nervoso dell’individuo, riflettendosi poi in vari modi – a seconda della predisposizione di base – sulla salute della persona.
Chiaramente, come dicevo  prima,  il dimagramento  viene  ottenuto. Ma è veramente un dimagramento dei  grassi  e,  in  particolare, della cellulite, oppure il dimagramento avviene a spese di altre sostanze non inutili e in sovrappiù, bensì insostituibili e necessarie? Vi posso garantire che è vero il secondo caso e che, alla fin fine, con queste diete la persona grassa ha perso il grasso solo in minima parte  mentre  ha,  invece,  eliminato  principalmente  proprio  altre sostanze (ad esempio degli azotati) la cui carenza si farà certamente sentire successivamente.
Non è certo conoscere e curare il proprio corpo questo, fratelli, così come non è operare secondo coscienza – bensì mettere in atto un vero e proprio crimine – il comportamento degli industriali che vendono questi prodotti e quello dei governi che, invece di tutelare la salute pubblica, autorizzano il commercio di tali prodotti pur sapendone i pericoli, preoccupati solo di mantenere intatti gli equilibri di potere e i propri conti in banca.
Naturalmente, vi sono casi particolari in cui queste diete possono essere indicate e sortire effetti, ma generalizzarle a chiunque voglia usarne o abbia dei problemi di peso (spesso più immaginari che reali) sarebbe come proporre la lavanda gastrica quale norma quotidiana e salutare, basandosi sul presupposto che, in casi di intossicazione, la lavanda gastrica ha benefici risultati.
Qualcuno tra voi potrebbe obiettare che quanto ho detto fino a questo punto, anche se giusto, serve a ben poco, perché dice che cosa non fare ma non dice che cosa fare.
Il fatto è, fratelli miei, che ogni uomo – per quanto fisiologicamente simile ad un altro possa sembrare – in realtà è a sé stante. O meglio: ha di certo dei parametri fisiologici simili a quelli posseduti dagli altri ma, all’interno del proprio corpo, ha degli equilibri tutti suoi, delle proporzioni ormonali personali, dei rapporti tra le comunicazioni nervose praticamente unici, cosicché non sono poi molti i consigli che si possono dare e che possono venire applicati universalmente e in modo salutare da chiunque.
E questa considerazione la porgo – lo ripeto ancora – solamente osservando la fisiologia umana pura e semplice, quale effetto di rapporti ed equilibri fisiologici; immaginate, quindi, come si frazioni ancora di più la diversità di equilibrio fisiologico tra uomo e uomo considerando l’influenza della psiche su questi equilibri e le variazioni che essa apporta alle basi su cui essi si poggiano. E pensate che il frazionamento diviene inimmaginabile se si ricorda l’influenza che ha la parte spirituale e i vari corpi dei piani diversi da quello fisico, sul corpo materiale di ogni incarnato.
Senza dubbio ricorderete che una volta, parlando del corpo dell’uomo, avevo affermato che anch’esso – e non solo l’ambiente societario e familiare – non viene acquisito casualmente al momento dell’incarnazione, ma risponde a determinate esigenze dell’esperienza da farsi da parte di chi in quel corpo si trova a dover vivere sul piano fisico.
Pensate (per ritornare all’esempio delle persone in sovrappeso) ai casi in cui non è possibile, se non, tutt’al più, per breve tempo, ridurre a valori normali l’obesità: questo accade perché quelle persone hanno bisogno – per ragioni evolutive – di comprendere qualche cosa attraverso quel tipo di esperienza, cosicché niente e nessuna cura avrà su di esse un effetto dimagrante duraturo… almeno fino a quando le persone in questione non avranno raggiunto quella comprensione che l’esperienza che stavano vivendo tendeva a far loro comprendere.
Ritornando a cosa fare di concreto per il proprio corpo, io direi che vi è una prima regola importantissima che, se venisse sempre seguita, porterebbe a notevoli benefici fisici o al miglioramento delle funzioni fisiologiche: bandire l’eccesso. E non mi riferisco solamente all’eccesso alimentare, ma all’eccesso in generale, come il dormire troppo o il dormire troppo poco, oppure fare anni e anni di inattività atletica e poi gettarsi improvvisamente in un periodo di super attività. È certo che il fisico umano possiede delle grandi doti di adattamento alle situazioni più stressanti, ma un eccesso di qualsiasi tipo – specie se attuato in modo brusco – anche se può venire assorbito e compensato in qualche modo abbastanza velocemente, tuttavia sovraffatica e logora gli organi sottoposti a sforzo, usurandoli prima del tempo e facendo insorgere, spesso, reazioni organiche apparentemente non in relazione con gli sforzi fatti ma, in realtà, da essi strettamente dipendenti.
Il corpo umano si sta adattando alle condizioni ambientali attuali in cui l’inquinamento è sempre più rilevante, in modo tale da limitarne e – quasi – annullarne tutti gli effetti nocivi. Ma pensate voi che ciò sarebbe stato possibile, e senza conseguenze drammatiche, se l’inquinamento del pianeta, invece di avvenire in modo lento e graduale, fosse stato improvviso e brusco? Certamente no. Ricordate che è possibile immunizzarsi anche al più potente dei veleni (cosa risaputa ed attuata nelle epoche precedenti), assumendo giornalmente ed in modo graduale delle piccole dosi del veleno in questione, dando così al corpo la possibilità di crearsi un nuovo equilibrio che tenga conto di questa sostanza che non era compresa nell’equilibrio precedente.
Bandire gli eccessi dunque, fratelli cari, è il primo passo da compiere, un passo che è universalmente applicabile con effetti salutari.
Direi che l’alimentazione dell’essere umano che vive questo periodo storico dell’umanità è in gran parte errata, perché non è adeguata al tipo di vita che conduce.
Tuttavia, secondo il mio punto di vista, è difficile fare un discorso generale con delle regole precise che possa abbracciare il bisogno alimentare di tutti gli individui: dovete tener conto, fratelli miei, che ogni individuo (anche fisicamente e non soltanto spiritualmente) ha dei bisogni particolari che competono soltanto a lui e che soltanto in minima parte combaciano con i bisogni delle altre persone.
Quindi sarebbe più giusto, allora, seguire quella via che certe correnti hanno cercato di seguire con una dieta «personalizzata» da individuo a individuo.
Molti, di questi tempi, per un certo disgusto dovuto a scandali legati proprio all’alimentazione, hanno la tendenza al giorno d’oggi a rivolgersi ad alimentazioni provenienti da altri Paesi e, in particolare, provenienti da Paesi orientali. Qua il discorso si fa molto complesso: vi sarebbero molte cose da dire e, in realtà, quasi tutte a sfavore di queste alimentazioni esotiche.
Vorrei quindi portare soltanto alcuni punti che mi sembra importante considerare, prima di rivolgersi a queste diete non del proprio Paese.
Voi tenete conto che queste diete sono state create per popolazioni che vivono in un ambiente, non soltanto culturale ma anche fisiologico, in gran parte diverso da quello occidentale; tenete presente che, ad esempio, la fisiologia del popolo cinese, dopo secoli di alimentazione particolare dovuta a sostanze precise che si trovano negli alimenti di quelle terre, ha delle diversità rispetto alla popolazione occidentale, cosicché un’alimentazione che può andare bene per quei popoli, in realtà, portata in Occidente, può non andare  bene ma, anzi, può urtare contro particolari bisogni alimentari tipici degli occidentali.
Tenete poi presente anche un altro fattore: molto spesso, alla  base di queste diete «esotiche» vi è una teoria «spirituale» piuttosto profonda che nasce da ragioni culturali del popolo in questione, risalenti magari a millenni fa. Considerate allora che queste popolazioni hanno vissuto una storia particolare che non è per niente simile a quella della popolazione occidentale: sono popolazioni, di solito, vissute in territori non molto ricchi (né come produttività agricola né come produttività, in particolare, faunistica) ed ecco quindi che i saggi che hanno cercato di migliorare le condizioni di quelle popolazioni, hanno indirizzato queste genti verso diete particolari povere di proteine animali, anche e proprio perché l’allevamento o la caccia non era tale da poter garantire il fabbisogno alimentare di queste persone. Questo fattore non è riscontrabile nel popolo occidentale, in cui vi è un alto uso di proteine animali data la felice situazione faunistica di queste terre.
D’altra parte, per vedere quanto queste diete possano essere buone ed efficaci, considerate un attimo la situazione fisica delle popolazioni da cui provengono. Molte volte voi – sentendo parlare, ad esempio, di «macrobiotica» o di altre diete del genere – siete portati a ritenere, soltanto perché vengono dall’Oriente, che debbano essere portatrici di toccasana, equilibrate e via dicendo; ma questo non è affatto vero, tant’è vero che la medicina sa benissimo che il corpo umano ha bisogno anche di determinate proteine animali, ed eliminare del tutto o in gran parte le proteine animali secondo certe idee spirituali (in certi punti anche discutibili, tutto sommato) provoca degli squilibri organici piuttosto evidenti che si ripercuotono in particolare maniera nei giovani, nei bambini, cioè in coloro che in modo particolare hanno bisogno proprio delle energie che può procurare la proteina animale.
Ritornando un attimo alle concezioni filosofiche sbagliate che si possono incontrare alla base di certe diete, vi sono molti elementi che appaiono chiaramente assurdi, a chi ben sappia osservare.
Vi sono, per esempio, delle concezioni dietetiche orientali che rifiutano completamente la carne, il latte, le uova e qualsiasi prodotto proveniente da un essere vivente, perché ritengono che lo spirito, in questo modo, non nutrendosi di prodotto… «vivo» possa diventare più leggero, più spirituale.
Guardate, fratelli miei, questa è una concezione completamente assurda e, per capire questo, basta pensare che ogni individuo, ogni persona, in realtà assorbe di continuo migliaia e migliaia di esseri viventi attraverso l’atmosfera e, quindi, non basterebbe certamente rinunciare alla carne per rinunciare all’assunzione di materia animale e dovrebbe, almeno, come minimo, anche rinunciare a respirare. D’altra parte che cos’è la materia viva? Fare una distinzione tra materia viva animale e altra materia viva in fondo è abbastanza assurdo, ed è ancora più assurdo in queste dottrine che considerano come certa la teoria dell’unicità del Tutto: se il Tutto è un insieme omogeneo allora, come affermano le Guide, la vita è riscontrabile non soltanto nella materia animale, ma anche in quella vegetale, anche nell’aria che si respira, nell’acqua che si beve e via dicendo; e allora bisognerebbe rifiutare di mangiare tutto per non «appesantirsi» di questo tipo di energie «materiali».
Questi sono molti dei punti assurdi che si possono trovare nelle filosofie di queste alimentazioni (accanto, naturalmente, a cose giustissime) le quali possono andare bene in determinati casi quando vi sono particolari situazioni fisiologiche, particolari appesantimenti degli organi che devono subire, per un certo periodo, un alleggerimento delle loro funzioni.
Quindi, d’accordo: si può fare, per un certo periodo, alcuni mesi magari, una dieta, ad esempio, macrobiotica, però – a lungo andare – una dieta del genere, portata agli eccessi, in continuazione, porta alla costituzione di inevitabili squilibri all’interno del fisico, cosicché sarebbe meglio alternare con altrettanti mesi in cui la dieta comporta l’assunzione delle sostanze non presenti nell’alimentazione dei mesi precedenti.
Questo perché, ricordatelo sempre, la salute e la malattia, in realtà, non sono altro che equilibrio e disequilibrio dell’organismo. Quindi, quando questo equilibrio in qualche modo viene turbato, inevitabilmente l’organismo ne risente; se il corpo ha bisogno di determinate sostanze bisogna dargliele, non negargliele, perché altrimenti il corpo reagisce e nascono così i sintomi e le malattie. Andrea

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Adolescenza e identità personale

d-30x30Adolescenza. Dizionario del

Uno dei momenti più difficili per chi fa il genitori incomincia solitamente quando i figli entrano nell’età adolescenziale, periodo di tempo in cui finiscono la strutturazione del corpo fisico e iniziano a predisporre una loro identità personale indipendente. Come si può facilitare ai giovani questo percorso? Secondo le Guide l’ideale sarebbe, senza dubbio, cercare di aiutarlo a portare l’attenzione su se stesso; questo è uno dei punti principali che difficilmente viene considerato; molto più facilmente i genitori, o gli educatori tendono più ad usare un sistema di premi-punizioni, oppure di colpa o approvazione, e via dicendo. Invece di usare queste dicotomie che, molte volte, forniscono delle scuse all’Io dell’adolescente per giustificare i propri comportamenti, sarebbe utile riuscire a riportare l’attenzione dell’adolescente sulle proprie motivazioni, sul proprio comportamento, sul perché delle proprie reazioni. L’interazione è quasi indispensabile. È importante, sottolineano le Guide, non lasciarsi condizionare da quelle che possono essere reazioni aggressive: molte volte l’adolescente respinge perché ha paura di dimostrarsi debole. Come intervenire? Si deve insistere senza forzare, senza dare l’impressione di scardinare quello che l’altro è, ma si può cercare di far arrivare lentamente, con gradi, a passettini a determinate conclusioni la persona con cui si sta parlando. Certo che, se partite a lancia in resta: «Stai sbagliando, la situazione è questa, questa e questa», l’adolescente sempre e comunque si ritirerà se non addirittura combatterà contestando quanto viene detto. Non si tratta soltanto di fornire delle alternative di pensiero o di modalità ma di cercare di mettere in atto un procedimento che porti l’adolescente stesso a comprendere che c’è un’alternativa alle sue reazioni aggressive e quale potrebbe essere.

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Aborto, morale, responsabilità nella visione del Cerchio Ifior

d-30x30Aborto. Dizionario del

Se accettiamo quello che dicono le Guide nell’insegnamento filosofico (ma la stessa cosa viene detta in molte altre religioni, persi no in quella cattolica, intransigente oppositrice della possibilità di abortire) tutto quello che accade accade perché è già scritto che accada (in ambito religioso: «niente può essere al di fuori della volontà di Dio, anche se le sue strade sono imperscrutabili», in ambito tradizionale: «non muove foglia che Dio non voglia») il problema non dovrebbe sussistere: sia che un bambino veda la luce sia che gli venga impedito di nascere questo accadrà perché così è scritto che debba accadere. Questo dal punto di vista filosofico.
Indubbiamente, dal punto di vista etico/morale il discorso diventa diverso, ma – secondo le Guide – non tanto per l’eventuale bambino che non nascerà (per lui esisterà, comunque, una nascita alternativa, quando ne avrà bisogno) quanto per le implicazioni collegate alle persone coinvolte nella situazione: la decisione di abortire o no avrà certamente un peso non indifferente non solo nel prosieguo della loro vita, ma anche nel loro percorso evolutivo.
L’importante – dicono – è che la decisione sia presa consapevolmente, e non dovrebbe essere condizionata dall’esterno ma appartenere soltanto alle persone direttamente coinvolte: come è stata loro la responsabilità di quella possibile nascita deve essere loro anche quella del possibile aborto.
È evidente che la questione è molto più complessa di così, dato che molte altre persone finiscono con l’essere coinvolte nella situazione (ad esempio i medici che dovrebbero praticare l’aborto, o gli scienziati che «inventano» pillole abortive) ma, secondo le Guide, il punto di vista non cambia: si tratta sempre e comunque di una personale assunzione di responsabilità da parte di tutte le persone che entrano in gioco.
La domanda che mi viene spontaneo pormi è se sia più giusto permettere l’aborto o lasciare venire al mondo bambini non desiderati, che nascono magari in condizioni sociali tali che, senza dubbio, la loro vita non potrà che essere un inferno?
Probabilmente, come dicono le Guide, le istituzioni dovrebbero mettere più impegno nel dare una corretta educazione sessuale ai
giovani, in maniera tale che il problema finisca col non sussistere… ma, indubbiamente, entrano in gioco fattori politici, economici e religiosi, l’esame dei quali esula dal compito che mi è stato assegnato di fare queste considerazioni iniziali prima dei vari concetti che vi proponiamo.

Messaggio esemplificativo (1)

Questa volta voglio raccontarvi una storia, forse un po’ inconsueta – visti i protagonisti – ma vi sarete certamente accorti che i miei interventi sono sempre un poco sconcertanti, tanto da suscitare reazioni brusche e opposizioni varie… il che – ben lungi dal dispiacermi – mi sollecita invece ad andare avanti, perché significa che, malgrado il tono a volte indisponente che cerco di usare, in realtà ciò che dico – anche se non accettato e condiviso totalmente – per lo meno riesce a ottenere quello che è il mio scopo: aiutarvi a uscire dal vostro fermarvi in schemi di pensiero rigidi e, in quanto tali, più dannosi che utili all’avanzamento dell’individuo.
Un giovane ovulo innocente di nome Paola, se ne andava per la sua strada tranquillo e ignaro di ciò che il suo più prossimo futuro gli avrebbe fatto accadere. Stava attraversando un angusto vicolo quando, un poco più innanzi, fece la sua comparsa una banda di spermatozoi baldanzosi e spregiudicati.
Atterrita dallo spavento, la povera Paola non seppe fare altro che continuare ad avanzare, incerta sul da farsi; nel frattempo, la frotta di teppisti aveva preso a mormorare e ad agitarsi alla sua vista finché, improvvisamente, il più mascalzone di loro – un tal Francesco – si mise a correre verso la giovane Paola, trascinando con il suo esempio gli altri suoi compagni, cosicché l’intero gruppo si precipitò in avanti compatto non senza, però, che ognuno di loro non cercasse di intralciare in qualche modo gli altri, per cercare di essere il primo e l’unico ad arrivarle accanto.
Fu questione di pochi attimi, tanto che Paola non fece neppure a tempo a riordinare le idee, che Francesco – dimostrandosi il più furbo e il più veloce degli assalitori – le piombò addosso e, con determinata violenza, la costrinse a cedere alla sua passione, proclamando nel contempo, il diritto del più forte nei confronti dei suoi degni compari i quali, infatti, ligi alle regole del gruppo, si limitarono a gironzolare intorno, mascherando la delusione patita dietro l’indifferenza.
Questa – un po’ ravvivata a modo mio, per rendere meno noiosa l’esposizione dei fatti – è l’idea che l’uomo in genere ha di ciò che avviene al momento della fecondazione, al momento cruciale di quel «fattaccio» senza il quale non solo non vi sarebbe più nessun motivo di stare a discutere sulla giustizia o l’ingiustizia dell’aborto, ma anche non vi sarebbe nessuno con cui discuterne. Creature mie, è tutto sbagliato: non stiamo facendo della letteratura legata alla società di appartenenza e, quindi, facendo uso degli elementi che più possono fare acquistare il prodotto; stiamo invece parlando di un avvenimento naturale e concreto, che si ripete in tutte le civiltà di ogni tempo e di ogni luogo.
La nostra Paola non è poi così ingenua come si può credere, né subisce passiva e impotente gli attentati alla sua virtù; usa, invece, tutte le civetterie possibili per scatenare la corsa dei suoi assalitori; e non solo: prima di incominciare il suo percorso sapeva bene ciò che sarebbe successo e aveva mire ben precise su di un particolare spermatozoo che – guarda caso – era proprio quel Francesco che, alla fine della storiella, è risultato il suo conquistatore. Per continuare nel tono scherzoso con cui ho incominciato, vi dico che la scaltra Paola si era preventivamente informata sui gusti della sua anima gemella, e aveva fatto tesoro di quelle informazioni, procurando di usare il belletto che più le avrebbe messo le ali ai piedi, dandole quella spinta necessaria a farle battere i colleghi nella corsa! Non contenta di questo – per essere sicura della buona riuscita del suo «programma» – si era allenata a dare schiaffoni a quelli che, incuranti della sua scelta ben precisa, avessero osato cercare di soppiantare il suo amato, malgrado le «emanazioni di sdegno e di repulsione» che lei avrebbe emanato di continuo verso di loro.
Affermo così che, in realtà, l’incontro tra ovulo e spermatozoo «non è legato in nessun modo alla casualità», ma che Paola «doveva e poteva» venire fecondata «solo» da Francesco e non da un altro che, magari, malgrado tutte le sue precauzioni, fosse riuscito ad arrivarle vicino per primo.
Che significato può avere tutto questo? Vediamo un attimo che cosa afferma la vostra scienza genetica: l’individuo è formato dall’incontro tra ovulo e spermatozoo i quali contengono, separatamente, tutta una serie di piccoli attivatori chiamati «geni» i quali, combinandosi fra loro, formano le precise caratteristiche morfologiche del nuovo corpo che, in embrione, si costituisce all’atto della fecondazione. Parlando più semplicisticamente  si può dire che, dato un ovulo con il suo particolare patrimonio genetico e la frotta di spermatozoi emessa ad ogni eiaculazione – ognuno con una dote genetica diversa – si ha un’individualità fisica diversa e un corpo diverso, a seconda dello spermatozoo fecondante. Ma se è vero che solo quello spermatozoo può fecondare quell’ovulo, ciò significa «necessariamente» che era quell’individuo e non un altro che «poteva e doveva» essere costituito, «al di là di ogni possibile fattore casuale». A questo punto, un tipo moderatamente curioso si potrebbe chiedere a che scopo proprio quel corpo e non un altro, e che differenza può fare.
Una differenza grandissima: come spesso abbiamo affermato, l’entità che si incarna ha bisogno non solo del tipo di ambiente adatto ad espletare le esperienze che le sono necessarie all’evoluzione, ma anche ha bisogno del corpo più adatto a quell’ambiente e al tipo di esperienze che dovrà affrontare. Supponiamo, ad esempio, che l’entità abbia bisogno di sperimentare la maternità: è evidente che sarebbe una «grossa difficoltà» se finisse, per caso, col trovarsi in un corpo maschile! Si rende così necessario per lei che il sesso sia femminile, e il discorso può essere allargato a tutte le caratteristiche fisiche; così il fecondatore della nostra Paola «non poteva essere che Francesco», in quanto «solo dal connubio Paola – Francesco» sarebbe nato il «ricettacolo adatto» all’entità che «doveva» incarnarsi.
Lasciamo stare, per ora, come avviene questa scelta ben precisa e chi la opera, per non trovarci ad andare troppo lontano, rischiando di confondere un discorso già abbastanza confuso, e sentiamo che cosa può venire in mente al nostro ipotetico curioso. «Ma lo spirito entra già nell’embrione fin dal suo primo costituirsi?» Sì e no. L’entità che si incarna incomincia subito, infatti, attraverso i vari piani, ad operare tutti gli allacciamenti con il veicolo a cui sarà legata sul piano fisico; ma questo allacciamento non è immediato, bensì relativamente lento e graduale tanto che «in pratica» soltanto circa dopo il settimo anno di età entità e corpo saranno già in buona parte legati tra di loro.
Tutto ciò che ho appena detto, investe il problema più vasto e generale della libertà dell’uomo: se la casualità non esiste già a livello genetico, è mai possibile che essa esista a livello più macroscopico, ad esempio a livello di tessuto individuale umano? Io affermo che – almeno sul piano fisico – non è possibile e che tutto accade come doveva accadere; che non esistono il caso fortuito, la combinazione inattesa, la coincidenza improbabile, ma che nell’universo fisico è tutto preciso e regolato come e più del meccanismo del più perfetto orologio.
Attenzione però, creature care: ho parlato del piano fisico, di ciò che voi vivete; ma non dimenticate che il discorso investe anche piani ben diversi dal vostro e sui quali tutto potrebbe essere tale da soggiacere al caso più sfrenato… ma, accontentiamoci, per ora, di quanto detto fin qui.
Certo vi chiederete che cosa c’entri tutto questo con l’aborto. Il mio intento era quello di farvi pensare che, forse, il problema – sotto un certo punto di vista – non esisteva nemmeno. Se, infatti, niente accade per caso nel vostro piano di esistenza ma è tutto preciso e previsto nel disegno universale, allora anche l’aborto stesso non può non avvenire se così doveva essere; anzi, si può affermare che se esso fosse previsto dall’esistenza e non venisse procurato dagli uomini, in qualche altro modo l’aborto si sarebbe concretizzato ugualmente!
Perché questo? Forse perché l’abortista più convinto è proprio quel Dio – ironia della cosa – tirato in ballo da più parti per convincere la massa a fare o non fare una determinata cosa? Cari miei, i piani di Dio sono così immensi che sfuggono ad ogni possibile critica o valutazione e, nel nostro piccolo, possiamo solo cercare di trovare qualche elemento utile per comprendere – sul piano umano – gli aborti procurati dalla natura e quindi, in definitiva, da Dio stesso. Scifo

In ciò che noi vi diciamo esiste un pericolo che non dovete sottovalutare: noi abbiamo appena affermato che, in definitiva, l’uomo non può che «vivere un certo tipo di vita» e che in realtà, qualunque cosa egli intenda fare, non potrà mai evitare un’esperienza che gli era stata assegnata. Questo concetto è alquanto pericoloso, perché può indurre a quel tipo di fatalismo e supinità che, ad esempio, l’uomo occidentale crede di percepire nella maggior parte delle popolazioni orientali, all’interno delle quali questi concetti – facenti parte da generazioni del loro modo di pensare – sono stati spesso travisati dalla gente comune. Così può accadere che qualcuno, ascoltando le nostre parole dica: «Se è così, allora non mi preoccupo minimamente di ciò che faccio o che non faccio: tanto l’esistenza, o il destino, o Dio hanno fatto i piani per me e io non posso fare altro che vivere subendoli». No, figli, se pure in un certo senso ciò può anche essere vero, non è una cosa da farsi, e cercherò di spiegarvi il perché.
Noi vi abbiamo detto che ogni uomo vive la sua vita per fare delle esperienze che lo aiutino a scoprire la divinità che esiste da sempre dentro a lui – anche se egli ne è inconsapevole – per trovare in se stesso la consapevolezza della sua vera natura; la quale non è limitata al corpo che temporaneamente possiede, né alla sua personalità, al suo Io, che è solo una creazione fittizia per cucire e regolare, secondo certi schemi, le sue azioni, in vista delle esperienze che da esse derivano. E questa consapevolezza di cui stiamo parlando non appartiene al mondo concreto, bensì al mondo interiore.
Mi spiego meglio con un esempio. Come vi ha detto Scifo, quando una persona si trova davanti alla possibilità di impedire a una nuova creatura – un figlio – di nascere, quando cioè si trova di fronte alla decisione di un aborto, sotto un certo punto di vista potrebbe anche sedersi e aspettare che i piani dell’esistenza vadano a buon fine poiché, qualunque siano le decisioni di questa persona, la nascita o la non nascita di quella creatura non dipende veramente da lei.
Infatti, se la persona – mettiamo il caso – decidesse di farla nascere comunque, e ciò non dovesse invece accadere nel tessuto della storia umana, vi sarebbe comunque un aborto; così, allo stesso modo, se la persona prendesse la decisione di interrompere quella gravidanza prima del tempo e ciò non fosse previsto, succederebbe certo qualcosa che le impedirebbe di concretizzare la decisione presa. L’importante, figli cari, non è tanto la decisione che l’individuo ha preso, quanto il cammino interiore che l’ha portato a prendere proprio quel tipo di decisione, poiché il muoversi nella propria interiorità – sia sbagliando, eventualmente, che agendo nel modo giusto – è ciò che schiude, poco alla volta, il cammino che rende sempre più ampie e accessibili le vie che portano alla consapevolezza della propria realtà interiore.
Ecco quand’è che il sedersi e l’aspettare passivi che l’erba cresca diventa un errore, un comportamento inutile, che non ottiene altro che rimandare ad una successiva occasione l’acquisizione di una nuova e utile esperienza. L’esperienza va vissuta, figli cari, non tanto agendo esteriormente quanto introiettandola ed esaminandola dentro di sé; l’azione nel mondo concreto non è che un mezzo per smuovere le cause interiori che portano all’autoconoscenza, alla scoperta di se stessi, allo svelare la propria realtà interiore e, quindi, a raggiungere il Dio del quale ogni creatura è parte. Moti

È difficile trovare qualcosa di nuovo sull’argomento di questa volta, anche perché – per quanto riguarda il problema morale della questione – in altre sedi son già stati espressi concetti ai quali è difficile aggiungere qualche cosa. Tuttavia eccomi qua, anche se un po’ in imbarazzo, dato che mi è stato detto: «Figliola Zifed, va e dì anche tu il tuo autorevole parere!»… Be’, forse «autorevole» non c’era, ma perdonatemi la mia civetteria!
È possibile fare un discorso genericamente valido su questa questione? Voi non lo sapete, ma mi piace molto andare in giro e mettere il naso nelle situazioni del mondo materiale e, credetemi, se ne vedono di tutti i colori!
Ho visto un importante e venerato uomo – uno dei più accesi sostenitori del diritto alla vita – sfogare le sue frustrazioni su un bimbo di dieci o undici anni ospite di un orfanotrofio. In questo caso mi chiedo: il diritto alla vita non conta più niente? Non era forse meglio, umanamente parlando, che a quel bambino venisse impedito di nascere e di vivere, per dover vivere a quel modo? Io – molto umanamente, lo riconosco, e troppo spesso dimentica dei «perché» di Dio – preferirei che una creatura non venisse alla luce piuttosto che vivesse in quelle condizioni; perché quella non è certo una vita su cui qualcuno possa aver voglia di reclamare un diritto.
Anche un suicida ha diritto alla vita, eppure nessuno si scandalizza poi molto se qualcuno si suicida. Potete dire, in questo caso, che la decisione è presa dallo stesso interessato, consapevolmente e, in qualche frangente, ciò può anche essere vero; ma io sono sicura, per averlo vissuto direttamente, che molto più spesso chi si suicida lo fa perché sono le persone che lo attorniano e la società stessa che lo ospita a negargli il diritto alla vita, negandogli il diritto al lavoro, alla sicurezza, alla famiglia, all’amore, alla serenità, alla felicità, a tutto ciò che, per egoismo e disinteresse altrui, viene di continuo negato a gran parte della gente e che costituisce delle componenti del più generico diritto alla vita; mancando le quali lo stesso diritto alla vita, poco alla volta, viene ad essere privo di senso e a decadere.
Ho visto famiglie già numerose e nella più grande ristrettezza economica, procreare senza sosta solo perché qualcuno ha detto loro che prendere delle precauzioni è contro natura, e che il volere di Dio sta nelle parole «Crescete e moltiplicatevi»… chi glielo ha detto? Se non sbaglio, persone che hanno fatto della non procreazione una regola, un modo di vita.
Ho visto donne decidere di interrompere una maternità, per non dover interrompere i loro divertimenti mondani.
Ho visto qualcuno discutere e accalorarsi con degli amici, difendendo con decisione il diritto alla vita, proprio durante una battuta di caccia.
Eh sì, queste cose sono del mondo e nel mondo in continuazione!
Io penso che abbia proprio ragione chi affermava che il problema sta ancora più a monte; che, in realtà, il momento dell’aborto è solo un momento finale e che è come discutere se mangiare o no un piatto di spaghetti, quando il sugo è fatto e la pasta è già stata condita!
Il problema risale per lo meno al momento dell’accoppiamento, perché già lì gli interessati decidono il diritto alla vita di un potenziale nascituro; e, allora, perché non chiedere al popolo di varare una legge sulla tutela o sul divieto dell’atto sessuale? Perché mi sembra chiaro che qualunque atto sessuale completo crea un potenziale diritto alla vita, così come qualunque mezzo anticoncezionale lo vieta.
A chi, dunque, spetta il compito di decidere se avere o meno un rapporto sessuale completo e senza precauzioni? Ahi, ahi, non mi ci raccapezzo più amici, non so più cos’è giusto e cos’è sbagliato; anzi, non so neppure più dov’è e di chi è il problema. Sono proprio terra – terra, amici, consolatevi!
Già, creature care, di chi è il problema? Zifed

Da come sono prospettate le cose sul vostro piano di esistenza, sembrerebbe proprio che il problema non sia del singolo ma della comunità, della società; può anche essere vero, e allora spendiamo due parole per esaminarlo sotto questo punto di vista. Cos’è giusto per la collettività: permettere o impedire l’aborto?
Se vediamo la cosa dal punto di vista economico – finanziario della collettività – intesa come il maggior utile per la maggior parte degli individui – non vi sono dubbi: l’aborto non solo va permesso, ma deve addirittura essere incoraggiato al massimo. Quale soluzione migliore, infatti, potrebbe esservi per gran parte dei problemi che rendono asfittica e traballante la situazione, non solo di uno stato ma dell’intero pianeta? In un colpo solo – anche se proiettato nel tempo di qualche decennio – si risolverebbero contemporaneamente quei grossi problemi che sono la sovrappopolazione, la disoccupazione, la mancanza di cibo, la crisi degli alloggi e la carenza di strutture per l’infanzia.
Abbiamo però fatto i conti senza il volere di coloro che dovrebbero esprimere la volontà della collettività; senza coloro, cioè, che stanno ai vertici dei governi e delle organizzazioni mondiali.
Anche per loro non vi sono dubbi: l’aborto deve venire impedito con tutti i mezzi, perché per loro significa minor numero di consumatori, aumento delle paghe per carenza di mano d’opera, minori introiti aziendali, minore profitto personale, minor potere. Ma è giusto che il diritto alla vita debba essere definito da tali questioni utilitaristiche ed economiche?
Allora, forse, il problema appartiene essenzialmente alla sfera religiosa… ma anche per le varie religioni – stati negli stati – si può fare un discorso molto simile a quello che è stato appena fatto, perché anche in questo caso l’utilitarismo e l’economia la fanno da padroni, sfruttando la questione per fini che, anche se non del tutto individuali, sono per lo meno partitici.
Lasciamo stare, poi, la sfera politica poiché già il fatto che una questione prospettata come «diritto alla vita» venga usata come strumento di sopraffazione tra un partito e l’altro (partiti che – non dimentichiamolo – sono costituiti da esseri umani aventi a loro volta diritto alla vita), squalifica la possibilità che il problema le appartenga davvero. Appartiene allora alla sfera morale? Scifo

Già in precedenza, figli, parlando della morale abbiamo affermato che molto meglio sarebbe riuscire a essere «amorali», cioè «al di fuori di ogni morale imposta da convenzioni non sentite». La prospettiva nella quale avevamo fatto questo discorso non era stata capita da alcuni, così – prima di continuare sull’argomento di cui stavamo parlando – vorrei cogliere l’occasione per chiarire alcune cose. Noi non abbiamo affermato che le regole morali in un vivere collettivo non siano necessarie: abbiamo invece affermato che la vera morale è quella che nasce dalla coscienza dell’individuo e che – essendo ogni individuo ad un diverso grado di contatto con la propria coscienza, cioè ad una diversa ampiezza del suo sentire – è ingiusto da parte di chiunque giudicare morale o immorale il comportamento altrui, basandosi sulla propria personale concezione morale o – peggio ancora – su di un ideale morale non suo, ma fornitogli dalla società di appartenenza.
Affermavo, insomma, che il vero individuo morale è quello che non ha morale, che non agisce legato a schemi preordinati da altri, ma compie veramente e in modo sentito ciò che la sua coscienza gli detta.
Così avremmo potuto dire, per fare un esempio semplicistico, che è più morale un libertino che compie le sue azioni in pieno accordo con il suo vero sentire, di un asceta che mortifica il suo corpo in tutti i modi per non sentire e per sopprimere gli impulsi libertini che dal suo essere emanano.
Questo, naturalmente, vale solo in relazione all’individuo in questione e non in relazione a coloro sui quali le sue azioni possono ripercuotersi negativamente.
In poche parole, sostenevamo che la morale è solo un fatto puramente individuale, e in questa prospettiva intendo proseguire il discorso che Scifo aveva incominciato.
Il problema dell’aborto, infatti, non può essere in realtà legato ad altro che a chi si trova in quella particolare situazione: dover scegliere se mettere al mondo o meno un’altra creatura. E’, quindi, un problema non generalizzabile, né di competenza della società, ma è individuale e, come tale, agganciato a una situazione in cui esso si può presentare.
Dal punto di vista morale, si può affermare che il problema appartenga, al massimo, ai potenziali genitori che si trovano di fronte alla questione e che la soluzione della questione stessa non può venire risolta con l’imposizione dall’esterno, ma deve essere lasciata alla coscienza di coloro che vivono direttamente la situazione. Solo loro, infatti, sono in grado di sentire se, in piena coscienza, possono davvero espletare il compito, assumersi la responsabilità che, più o meno volutamente, si trovano a dover affrontare.
Essere genitori vuol dire avere l’obbligo interiore di cercare di dare ai figli il massimo che si può loro dare, e questo non riguarda certo in prevalenza l’aspetto materiale: riguarda invece soprattutto quella sfera emotiva fatta di calore, affetto e amore, in cui una nuova vita ha bisogno di essere nutrita e accresciuta. Certo, l’uomo non è mai uguale da momento a momento, e una decisione presa oggi in piena coscienza può domani essere anche vista e percepita come una decisione sbagliata, come un errore che, se fosse possibile, non verrebbe più ripetuto.
Ebbene, figli cari, ciò rientra in quella necessità di esperienza di cui parlavamo all’inizio; e ricordate anche che ciò che conta – allorché verrà fatta l’autocritica sulle proprie azioni, all’abbandono del corpo fisico – non è tanto la conseguenza che la decisione avrà portato, quanto l’intenzione con cui quella decisione è stata posta in essere.
Qualcuno potrebbe obiettare, a questo punto, che nei nostri discorsi abbiamo proprio trascurato il principale oggetto della questione, proprio colui per il quale si reclama il diritto alla vita. Ebbene, figli, lasciamo da parte il fatto che, in realtà, fino al momento della nascita il potenziale bimbo non è ancora altro che una parte stessa della madre: se è il destino dell’entità che deve occupare quel posto che vi preoccupa, annullate le vostre preoccupazioni in quanto essa è proprio quella che meno soffre; nessuno le può negare il diritto alla vita, poiché anche al di fuori di un corpo di carne ed ossa è viva; e anche posto il caso che non sapesse già in partenza il destino riservato alla sua nascita in quel particolare caso, l’esperienza le è comunque utile e, inoltre, l’occasione per ritornare in un veicolo fisico nel quale avanzare, lungo il suo cammino, è solo rimandata al momento in cui avrà assimilato e compreso l’esperienza che ha appena affrontato. Moti

1  Il canto dell’upupa, pag. 109 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Limiti, fretta di cambiare, perseveranza

Padre mio,
nell’osservare il modo di condurre la mia vita mi rendo conto che ci sono molti aspetti del mio essere vivo all’interno del piano fisico che dovrebbero essere modificati.
Arrivato a questo punto della mia evoluzione conosco quali sono i punti principali su cui dovrei operare per trovare un maggiore accordo con ciò che la mia coscienza mi suggerisce, osservando il mio modo di essere in cerchi sempre più ampi.
Io dovrei essere un compagno, un genitore, un figlio, un amico migliore.

continua..