Le officine della compassione

Ditemi, cos’è una famiglia se non un’officina della compassione?
Non è forse il luogo delle viscere esposte, della confidenza ed esposizione estrema?
E non è il luogo su cui viene deposto un velo di silenzio a volte, di accoglienza risentita altre, di accettazione senza condizione altre volte ancora?
Un velo su noi, sull’altro: un vedere il limite che grida e un coprirlo a volte; un affrontarlo, altre; un combatterlo, anche; un integralo quando ne siamo capaci.
Accade solo in famiglia? Se ieri sera avete visto Italia-Germania, avete anche visto i rigori sbagliati e, infine, l’ultimo fatale errore: c’è in voi del risentimento per quel giovane che ha sbagliato?

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La vocazione di Francesco

Ho visto ieri sera al telegiornale le immagini di quella bambina che piange ai piedi di Papa Francesco.
Credo di aver compreso ciò che l’attraversava mentre l’aiutava ad alzarsi, in quei momenti in cui un mondo l’ha attraversato: tutto il suo passato, il suo presente e il suo futuro, tutta la sua vocazione di discepolo di Cristo erano lì.
Lì, il servo e il suo Signore erano attoniti di fronte al pianto dell’umano che cerca e invoca una soluzione, una vita, una normalità.
Lì, l’impotenza e la vocazione che contiene in sé una ribellione all’impotenza, si incontravano.
Lì veniva confermata nell’intimo suo la determinazione a non flettersi mai di fronte all’indifferenza, all’impossibilità, alla resa, ad esserci ancora sul teatro delle vite degli ultimi per dare loro voce, per essere la loro voce nel deserto delle voci.

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Prendersi troppo sul serio

Dice Catia commentando il post su Identificazione e gioco: “Capisco che la vita è rappresentazione dove accadono le scene utili al nostro cammino evolutivo, ma non riesco a leggerla come gioco. Non ho allora compreso? Sono ancora troppo identificata?”
Troppi di noi si prendono troppo sul serio e questo dipende dal tasso di identificazione.
La vita è vissuta più come dramma che come rappresentazione: il dramma implica identificazione, la rappresentazione un certo grado di neutralità.
I torti subiti, i tradimenti, le incoerenze, le ingiustizie vengono rubricate negli angoli più austeri della sconfinata biblioteca del censore.
Il censore ci induce a fare sul serio, ad essere seri perché la vita è una faccenda seria.
No, la vita è una rappresentazione: né commedia, né dramma. Non è ne seria, né faceta, è un’officina esistenziale.

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L’ordinarietà del male

L’intervista di Bruno Vespa al figlio di Totò Riina ha sollevato molte discussioni: non entro nel merito.
Salvo Riina descrive la banale quotidianità di una persona la cui vita è intrisa di distruttività, di male.
Possiamo ammettere che quella persona, quelle persone sono come noi? Amano i loro figli e la le loro famiglie, magari sono anche premurose e sollecite, non sono dei mostri.
Hanno una visione della vita e una loro morale e tengono assieme una fede primaria e infantile con la pratica feriale dell’omicidio e del malaffare.
Non sono dei mostri, perché abbiamo così timore di vederli nella loro quotidianità?
Perché dovremmo ammettere che l’orrore che è in loro potrebbe essere anche in noi?

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Gli assoluti, la compassione, l’amore

Cosa sono gli assoluti? Quei valori alti ed ultimi di cui parlano la morale, l’etica, la religione.
Una delle grazie di questa vita è stata per me la possibilità di crescere lontano da una formazione religiosa.
La mia era una famiglia di contadini e di comunisti; sono cresciuto nella fascinazione dell’anarchia e del Cristo di San Francesco. Più tardi lo zen è stato casa.
Tutto il cammino è avvenuto e avviene lontano dagli assoluti, dalle adesioni, dalle promesse, dai doveri.

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