La fine della ricerca non è la fine dell’imparare

Disteso sul prato guardo il cielo tra i rami pieni di germogli di un’acacia. Giorni fa, parlavo con una persona che mi raccontava della sua formazione e di come, ad un certo punto, fossero in lei morte le domande.
Ho parlato anch’io, più volte, della fine di quella spinta interiore che ci porta a cercare e a porre domande, a sé e agli altri.

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Per i giorni in cui mi dimentico di te

Comunque tu ti perda, questa avviene sempre in me.
Insieme a te cammino, rido, soffro, attendo.
Ogni volta che cadi, con te cado.
Ogni volta che ti perdi, con te mi perdo.
Sono il perdersi e il ritrovarsi,
sono te che incontri,
sono l’incontro e sono il non trovarsi.

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La vita è il dispiegarsi della consapevolezza dell’Assoluto

Questo post, non semplice, prende le mosse da uno stimolo di Matteo relativo all’articolo del 18.1:
Allora, seguendo sempre Zenone e parafrasandolo, finché si parla di cogliere l’essere nel presente, nell’istante, nel singolo fatto, ciò è possibile. Ma se poi si vuole trovare la consistenza del divenire, dell’essere del divenire, allora questo sembrerebbe impossibile (sempre logicamente parlando). Esiste un modo, con le parole, per superare questa impasse della razionalità e spiegare più chiaramente “il divenire è l’essere”?

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L’esperienza della meraviglia e l’aggettivo meraviglioso

Prendiamo spunto dal commento di Cristina sulla nostra bacheca fb, riferito al nostro post del 13.1:  “Io vorrei scrivere: siamo un meraviglioso soffio di vento”.
Che cos’è l’esperienza della meraviglia? Sorge di fronte all’eclatante, al manifestamente bello, significante?
Può darsi. Nella visione comune immaginiamo sia così. Nella nostra esperienza non possiamo parlare di questo, ma di qualcosa d’altro.

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Tutti gli esseri procedono assieme

Non mi è facile spiegare questo titolo; è un’esperienza interiore, un sentire consolidato per la cui espressione ho un alfabeto limitato.
Tutti gli esseri, è veramente tutti gli esseri, di qualunque natura, forma, non forma, collocazione temporale.

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Stranieri ai nostri passi

Che cosa può allontanarti dalla realtà? Da quel risiedere stabile, privo di dubbio, neutrale?
Fondamentalmente, il credere di esserne parte; l’adesione al pensiero che afferma: esisto e partecipo della realtà degli esistenti.

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L’attore, il regista, l’osservatore

Ho sempre pensato, letto e convenuto che la vita non fosse altro che un sogno, o un film, se si preferisce la metafora. Nel tempo tasselli di comprensione si sono via via costituiti e quel sapere è diventato un’evidenza.
Vivo come un sognatore consapevole, o come un attore sulla scena, vedendo simultaneamente l’attore ed il regista.

Camminare nell’amicizia

E’ un invito che rivolgo innanzitutto alle persone che percorrono questo Sentiero: camminiamo in una prossimità, in una vicinanza, in una simpatia, in una attenzione reciproca, in una apertura che non pone condizioni.
Incontro dopo incontro, gettiamo le basi di un’amicizia, di una fratellanza e sorellanza, di quel senso di essere viandanti accomunati dagli stessi passi, fatiche, cadute, gioie.

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Chi sono io?

Veronica ci manda questa metafora che ci serve da stimolo per precisare qualcosa:
Chi sono io? 
Chiese un giorno un giovane a un aziano. Sei quello che pensi, rispose l’anziano, te lo spiego con una piccola storia:
Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
“Sono una papà e una mamma” pensò una bambina innocente.

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