“Allora ripiego, risiedo in quel luogo “che non posso lasciare incustodito” e da lì, appoggiando sul sentire di coscienza, provo ad indagare la realtà.
Ciò che trovo non è una risposta, né una domanda: trovo uno stare privo di domanda e di risposta, costituito di quell’arrendersi e affidarsi che sono il fondamento del percorso umano: quando smettiamo di porci le domande il nostro cammino finisce.”
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comprensione
Doni
Il dono di incontrare
il miracolo della vita
che pulsa.
Senza fine
Piccoli sassi
nel letto di un fiume
senza tempo,
si incontrano e si scontrano,
si frantumano e si levigano.
Questo sono le nostre ore,
i nostri giorni e i nostri anni,
piegati dall’incontro,
ridotti ad una insignificanza,
consapevoli di essere solo sassi.
Osservandoci
E’ possibile osservare le peggiori cose che l’umano compie rimanendo neutrali?
(intendendo per neutralità non la passività ma il non giudizio)
Credo che l’allenamento all’osservazione di sé aiuti..
Alla radice della neutralità stanno due fattori: la comprensione e la compassione.
Non per me
Un certo sentire si è consolidato nel tempo: quando pian piano compariva mi sembrava che tutta la realtà si trasformasse; oggi, dopo un lungo periodo di assestamento, mi sembra che si sia stabilizzato e tutto il circo delle novità è scomparso.
Oggi c’è la realtà senza aggiunte e senza condizionamento rilevante; semplicemente accade la vita e a me non interessa quello che provo, né quello che mi attraversa, né quello che mi accade: non ho interesse particolare per me.
Osservo che lo scopo più evidente di questa esistenza che sto vivendo – non l’unico, immagino – è di mettere a disposizione ciò che si esprime attraverso il mio limite, senza pretesa che sia importante.
Osservo che il rilevante non è il provare, l’esperire, il vivere una libertà: il rilevante mi sembra che sia il gesto del metterlo a disposizione, gesto che non compio io ma, direi, compie la vita.
Ti posso essere utile?
Tutta l’esperienza interiore,
tutta la meraviglia e la pienezza
e il senso e la pregnanza,
non hanno alcuna rilevanza.
Il rilevante è:
ti posso essere utile?
Dove risiede il mio essere?
Vengono persone ed ogni incontro, ogni giorno, è una meraviglia.
Ogni persona articola in modo differente la domanda ma,
nella sostanza, tutti chiedono la stessa cosa: dove risiede il mio essere?
Una pressione interiore
Una forza sconfinata,
vasta, profonda e immanente
preme e chiede
manifestazione.
Conoscenza di sé, consapevolezza, comprensione
Non di rado tutto inizia con il dolore: il disagio interiore che proviamo e che può avere cause psicologiche o esistenziali diventa talmente pressante da invadere il nostro quotidiano: quando non ci permette più una vita cosiddetta normale, in noi nasce la spinta al superamento di quello stato e quindi al cambiamento.
Naturalmente le strade per giungere a questo punto sono tante e non necessariamente condizionate dal dolore.
Sempre, quando avvertiamo la necessità di cambiamento questa è determinata da una situazione pregressa ormai alla fine e da una nuova verso cui ci sentiamo sospinti e che non sappiamo cos’è.
La base di ogni cambiamento è la conoscenza di sé, lo sviluppo di alfabeti che ci permettono di decodificare il nostro pensiero, la nostra emozione e le nostre azioni.
La necessità, la spinta al cambiamento si impatta con gli strumenti della conoscenza di noi che ci appartengono: maggiore è la dotazione strumentale, più rapido e più vasto sarà il processo di trasformazione.
Più inconsapevole di sé è la persona e più tempo e fatica saranno necessari: normalmente è così ma non è un assoluto e questo principio può essere ampiamente smentito da percorsi originali.
Come avviene la conoscenza di sé?
Attraverso l’osservazione della propria manifestazione e dei segnali di ritorno che l’altro da noi ci manda: vedo che cosa esprimo, sento, penso e osservo che cosa giunge come reazione dall’altro a ciò che ho espresso.
Dentro la relazione mi conosco, fuori della relazione è molto probabile che io ripeta i miei meccanismi senza fermarmi. La relazione è la mia insegnante, l’altro il mio maestro: se sono disposto ad imparare e non punto il dito sull’altro dicendo:”E’ sempre colpa tua!”, allora posso cogliere l’importanza di quell’essere che la vita mi ha messo a fianco come amico, compagno, collega; posso vedere che lui è lo specchio in cui vengo riflesso e quindi non mi arrabbio con lo specchio ma prendo atto che parla di me, per quanto sgradevole sia quel parlare.
Quindi la conoscenza di sé appoggia essenzialmente sull’osservare e sull’osservarsi, ma perché questa osservazione possa essere è necessario che ci sia consapevolezza, cioè che la mia attenzione non sia vaga ma focalizzata sulle scene che mi accadono.