Condizionamento e libertà

d-30x30Condizionamento. Dizionario del

Direi che la definizione più semplice, più immediata e più generale che si possa dare al termine «condizionamento», è questa: «fattore che con la sua influenza provoca un determinato comportamento».

Messaggio esemplificativo

Il concetto di condizionamento va di pari passo con quello di libertà. Comprendere, quindi, qual è il condizionamento, qual è la sua influenza, la sua importanza, la sua nascita e – al limite – la sua fine porta, inevitabilmente, a comprendere qual è, in realtà, la libertà dell’individuo. Ecco perché le Guide hanno iniziato questo tipo di argomento quale premessa per poter comprendere un concetto così importante – e scottante – per ogni individuo che si accosta a noi, qual è quello della libertà individuale e del libero arbitrio.
È tipico dell’individuo che pensa agli argomenti ed ai perché dell’esistenza, tendere a pensare in modo escatologico: o meglio, tendere a vedere soltanto le cose che più colpiscono, in grande, senza rendersi conto che vi possono essere altri fattori più piccoli, più sottili, ma per questo non meno egualmente importanti. Io sono sicuro che se ad ognuno di voi chiedessi un esempio di condizionamento mi verrebbe risposto – con grande probabilità – che l’essere umano è condizionato dalla società… oppure da ciò che i mezzi di comunicazione fanno pervenire alla massa… oppure che è condizionato dalle condizioni lavorative… oppure che è condizionato da quella che è la sua situazione sociale, la sua vita all’interno del suo ambiente familiare… E se pure, questo, in parte può anche essere vero, io dico, fratelli, che il condizionamento è tante altre cose. Pensate, per fare dei piccoli esempi, a quanto è condizionata la vostra vita anche soltanto dal semplice fatto che voi respirate! Avete mai pensato a questo, fratelli?
Il fatto stesso di respirare finisce per essere, per ognuno di voi, una forma di condizionamento. Allo stesso modo vi sono migliaia di altre piccole forme di condizionamento, che vi accompagnano nel corso della vostra vita. Il fatto, ad esempio, di avere le scarpe sporche, può condizionarvi a certi comportamenti. Il fatto di non essere capaci a parlare in pubblico, può indurvi alla timidezza; ed anche la timidezza – molto spesso – è una forma di condizionamento. Potrei certamente trovare altre migliaia di esempi, ma questo non è il mio compito. Ognuno di voi pensi per conto proprio a quante cose condizionano la propria vita, e si renderà conto che in ogni momento della sua esistenza esiste qualcosa che lo indirizza a certi comportamenti, a certi modi di essere, a certi modi di agire e, persino, di pensare… e di amare. Rodolfo

Quando si usa il termine «condizionamento», solitamente gli si dà una connotazione negativa. Vero, questo? Invece, se ci pensate bene, secondo la famosa ambivalenza – ed è una cosa a me cara – non è detto che il condizionamento sia sempre negativo. Ad esempio, una legge umana che – attraverso l’imposizione di determinate pene – impedisce all’uomo di uccidere un altro uomo, è un condizionamento: perché l’uomo, se non fosse sottoposto al condizionamento (magari con la paura del carcere a vita) non avrebbe il freno per non commettere un omicidio.
Siete convinti che è un condizionamento, questo? Ecco quindi che in questo caso il condizionamento non è negativo, ma è un condizionamento utile perché riesce ad ottenere questo scopo. Allo stesso modo, naturalmente, vi sono tanti altri esempi. Il buon Rodolfo, prima, parlava del condizionamento che vi dà – momento per momento – il fatto stesso di respirare. È evidente che voi respiriate meccanicamente (e quasi sempre senza rendervi conto del fatto che state respirando); ma, se poneste attenzione al vostro respiro vi rendereste conto – anche – che «dovete» respirare: non potete fare a meno di respirare. Potete anche provare a stare senza respirare il più possibile, ma prima o poi il respiro dovete emetterlo ed immetterlo. Questo è chiaramente un condizionamento di tipo prettamente fisiologico, ma non dimenticate che avete un corpo fisico con delle sue meccaniche che, per il fatto stesso che sono insite all’interno del vostro corpo fisico, volenti o nolenti vi condizionano. Pensate, d’altra parte, alla sessualità e a quanto essa vi condizioni nell’arco di tutta la vostra vita. C’è forse, però, qualcosa che va esaminato di pari passo al condizionamento: è possibile che il condizionamento agisca su tutti allo stesso modo, oppure no?
E se non agisce su tutti allo stesso modo allora: perché non agisce su tutti allo stesso modo? Come mai il condizionamento che su una persona serve da freno su un’altra scivola come se neanche esistesse?
Questa direi, creature, è una domanda legittima, sulla quale forse val la pena discutere un attimo. Scifo

“… Il fatto è… il fatto è che tu sei lì… tu sei lì e guidi, ora dopo ora… che ci sia il sole o che sia notte… e vedi le macchine… indifferenti… che passano accanto. Guardi dall’alto, come se tu fossi… su un elefante… e tante formiche ti scivolassero accanto… e quello che fai non è meccanico, è un’abitudine…perché dopo tante ore di guida… ormai il tuo cervello è condizionato… a girare il volante, a cambiare le marce… a guardare negli specchietti per sorpassare o essere sorpassato… Il corpo va avanti quasi senza… bisogno di essere controllato… e intanto il tuo cervello pensa… Pensa! Ha tempo per pensare!… e ti vengono in mente tutte le cose più strane… e le ore non finiscono mai… e anche quando ti fermi un attimo per bere o per mangiare… prendere un caffè… appena torni sull’elefante, ecco… il tuo cervello vola! Vola a casa… vola ai problemi… vola alla tua incapacità di crearti un affetto stabile… vola al fatto che sei su quell’elefante, perché non avevi altre occasioni per fare di meglio… Ti senti crescere dentro l’insoddisfazione… ti senti… che quella vita è sempre uguale, monotona… e incominci a sentire qualcosa… che urla dentro di te… dice: basta! Devo fare qualcosa! Devo cambiare! Vorrei cambiare!… E vai con gli amici… Gli amici ti raccontano cose che tu non puoi fare… perché il tuo lavoro non te lo permette… o perché altri impegni ti fanno fare altre cose… che tu magari non vorresti neanche fare, perché… ti senti ancora giovane, ma vecchio internamente… E allora viene un momento in cui qualcuno ti avvicina… e ti prospetta una via d’uscita… e ti dice: con questo, vedrai… la tua vita cambierà colore, sarà diversa… Potrai fuggire al condizionamento della realtà… basta un po’ di questo, e la tua vita… si trasformerà!… E da un condizionamento… cadi in un altro… un condizionamento più pesante, in cui… se prima avevi la possibilità di essere… padrone o servitore… adesso diventi soltanto servitore!… E per quanto tu dica: questa è l’ultima volta che lo faccio!… per quanto tu dica, in giro, che da domani è finita con quella storia… che non ti lascerai più condizionare da niente e da nessuno, che vuoi vivere la tua vita… in modo normale… malgrado questo poi viene la volta che tu, amico mio, vieni da me… e mi dici:… ho due dosi… Ma sì! Ancora una volta, vai! Ancora una volta! Poi, da domani, la vita riprenderà… pesante… come prima… Allora festeggiamo insieme, amico mio: in fondo… in due può essere anche meglio!… E tu, condizionato dal bisogno d’affetto… condizionato dalla tua incapacità di stabilire un rapporto duraturo… condizionato dai tuoi bisogni… dal piacere di stare con un altro, di fare qualcosa con un altro… alla fine… alla fine… alla fine… ti senti male… e ti alzi… e vuoi chiamare… e scendi dalla macchina… e poi… ti manca il respiro… e cadi… cadi… e mentre cadi ti chiedi ancora… perché… che senso ha… tutto questo?… che senso ha?…» Calogero

Abbiamo lasciato che questo figlio intervenisse, uscendo per un attimo dalla sua condizione di ripensamento di quella che è stata la sua esperienza, da poco conclusa, sul vostro piano di esistenza, per permettergli di scaricare una parte della tensione che andava accumulando, ma anche per rendere utile, con l’esempio, il discorso del condizionamento. Certamente, dalle sue drammatiche parole, dalla sua drammatica esperienza, avrete avuto modo di comprendere quanto sia la mente stessa che possa essere la fonte principale del condizionamento dell’individuo.
Viene allora da chiedersi: come mai tutte le persone non sono indotte, dalla propria mente, dai propri bisogni, ad arrivare a soluzioni estreme, come quella vissuta dal giovane Calogero?
La questione è che ogni individuo in realtà ha un’evoluzione diversa da un’altro, e il condizionamento che dimostra è sempre diverso, a seconda della quantità di evoluzione (e quindi del tipo di sentire) che l’individuo possiede. Il condizionamento è reso possibile nella persona che è in condizione di essere condizionata; ma la persona che raggiunge un certo sentire interiore e, quindi, una certa ampiezza di consapevolezza, vedrà in qualche modo limitata la possibilità di essere condizionata o, quanto meno, le cose che comunemente condizionano la maggioranza degli altri suoi fratelli, su di lei non avranno alcun effetto o, tutt’al più, avranno un effetto marginale.
Questo significa che l’individuo evoluto sarà al di fuori da ogni condizionamento; questo significa – semplicemente – che man mano che l’individuo evolve, il suo condizionamento, le sue «fonti» di condizionamento, saranno diverse. Resteranno quelli che sono gli impulsi biologici, fisiologici, come ad esempio il fatto di respirare, quelli, cioè, essenziali per portare avanti l’esistenza del proprio corpo fisico; tuttavia gli altri condizionamenti, senza dubbio, sulla persona evoluta avranno un effetto molto minore di quello che avranno sulle persone meno evolute.
Si è parlato, ad esempio, di sessualità: la sessualità certamente influenza, in qualche modo, ognuno di voi. Bene: anche la sessualità ha un modo di condizionare, una possibilità, una capacità di condizionare diversa, a seconda che venga vissuta dall’individuo più evoluto o meno evoluto. L’individuo meno evoluto si lascerà possedere dalla propria sessualità: lascerà che essa governi le sue azioni, governi le sue simpatie, dia un indirizzo alle sue stesse giornate.
L’individuo che ha raggiunto, invece, un certo sentire, che ha raggiunto una certa evoluzione e, quindi, ha compreso meglio cosa sia la sessualità (e abbia superato quei problemi che essa comporta), non è detto che non avrà più alcuna forma di sessualità, ma questa volta non sarà più la sessualità a governare lui, ma sarà lui a governare la propria sessualità.
Tuttavia, come dicevo prima, anche per l’individuo evoluto esiste il condizionamento. Ecco perché il fratello Scifo ha parlato del Cristo come una delle persone più condizionate che mai siano esistite.
Voi sapete che noi consideriamo il Cristo un Dio, ma non nel senso comunemente inteso dalla vostra religione. Noi diciamo sempre che il Cristo è tanto un Dio quanto lo è, in potenza, ognuno di voi: l’unica differenza è che egli, allora, in quella personalità che voi conoscete perché tramandata dalla storia, dalla religione, dalle tradizioni, era arrivato ad un punto evolutivo a cui voi, ora, non siete ancora giunti, ma al quale – ripetiamo spesso – anche voi un giorno arriverete. Ora, l’individuo che arriva ad una evoluzione così alta, quindi ad un sentire così ampio, è l’individuo che è diventato consapevole dell’esistenza di una Realtà Assoluta, dell’esistenza di una divinità, dell’esistenza di un disegno che governa tutta la Realtà, dell’esistenza di un bene maggiore, che si muove anche quando sembra che nessun bene venga dall’azione. È un individuo, quindi, che riesce ad accettare di essere totalmente condizionato da quella che è la volontà dell’Assoluto.
Ecco quindi che, in questi termini, la famosa frase: «Sia fatta la Tua volontà e non la mia!», oltre ad essere una bellissima frase – perché testimonia comunque tutto l’abbandono che l’individuo deve avere allorché trova fiducia nella divinità, sia propria che altrui – oltre ad avere questo bellissimo significato, ha anche il significato dell’individuo che è consapevole di essere indirizzato (e quindi condizionato) nella sua esperienza e nella sua vita nel mondo fisico, da qualcos’altro che è al di sopra di lui, al quale non si ribella, del quale accetta la capacità di condizionarlo, perché la ritiene positiva e non negativa, al di là di quello che può essere l’effetto che si ripercuoterà, poi, su lui stesso. Moti
Se davvero aveste un’evoluzione tale da essere partecipi in queste cose degli altri, a quel punto capireste che quelle persone stanno attraversando quel tipo di condizionamento perché ne hanno bisogno. Quindi non sareste tristi: partecipereste, ma senza tristezza. Ricordate che il vero evoluto, quando vede una persona che soffre, non piange: non piange «per lui»…
L’individuo evoluto non piange «per» chi soffre, piange «con» chi soffre: è ben diversa, la cosa! Zifed

Ma sì, certo, capisco bene, è facile criticare… In fondo poi, l’esperienza, di essere madre… mica la vivono tutti. Io non credo, a ben guardare, che si possa fare la madre senza commettere errori… Ma che cosa è che impedisce ad un certo punto a questo amore che accompagna una gravidanza (ché, se analizziamo un attimo, ci rendiamo conto che, in genere, la gravidanza è tormentata ed implica un forte sentimento di amore altrimenti molte donne ne farebbero a meno!), di fluire allo stesso modo?
Cos’è che impedisce a questo amore (che accompagna quei lunghi-brevi nove mesi di gravidanza) di manifestarsi allo stesso modo, o addirittura lo porta a trasformarsi in qualche cosa di diverso che diventa possessività, passione, amore morboso e cose del genere che, senza bisogno di doverlo ripetere, sono cose dannose e deleterie? Io credo che, alla luce degli insegnamenti delle Guide, alla luce di tutto quanto è stato detto dagli psicologi, dai pedagogisti, dagli psichiatri, dai vari medici che si sono occupati dell’infanzia, io credo che fondamentalmente la «colpa» (se così la vogliamo chiamare perché in realtà di colpa vera e propria non si tratta), stia proprio nella figura materna.
Consideriamo un fatto: questa madre è stata abituata, fin dagli albori della vita umana, a dover essere in prima persona la responsabile di quelli che sono i problemi dei propri figli, ma facciamo un po’ il punto della situazione e mettiamo le cose in chiaro: qua si tratta di stabilire se in questa società (relativamente all’ambito in cui noi vogliamo indagare e quindi relativamente all’ambito italiano), la responsabilità del fatto di avere un figlio, quindi dell’educazione dello stesso, dipende esclusivamente dalla madre.
Non è così, e penso che siate d’accordo con me. Esistono infatti, per quanto riguarda lo Stato italiano, una legge che sancisce il matrimonio e una Santa chiesa che santifica il «matrimonio», matrimonio che vorrebbe significare l’unione di due individui i quali, uniti in questo matrimonio, dovrebbero condividere gioie e dolori di questa esperienza a cui vanno incontro. E questa non è una «invenzione» o una trovata degli ultimi anni, ma è un qualche cosa che si porta avanti da secoli.
Ma che cosa è successo? È successo che, osservando come sono andate le cose, così con una certa obiettività, cercando di non fare figli e figliastri, si è visto che, ad un certo punto, la maggior parte delle responsabilità dell’educazione dei figli, è caduta sulla madre. Allora dunque accadeva questo: la madre, una donna, quindi socialmente la più bistrattata, si ritrovava ad avere questa grossa, e veramente grossa, responsabilità dell’educazione dei figli. Questa povera donna cosa doveva fare? Doveva cercare di assumere una mentalità anche maschile, per poter dare un’educazione appropriata alle proprie creature.
Se queste creature poi erano, a loro volta, di sesso femminile, allora il problema diventava apparentemente relativo in quanto si trattava di insegnare a fare «i merletti», mentre se si trattava di creature di sesso maschile i problemi cominciavano a diventare un po’ più grandi. Ma a questo punto, trattandosi di creature di sesso maschile, poteva anche accadere che il padre si sentisse sollecitato ad intervenire, in quanto il padre desiderava «forgiare» questa sua creatura maschile, venuta dal suo seme, a sua «immagine e somiglianza», quindi con un certo carattere, quindi con una certa struttura mentale e – perché no – anche fisica.
Però il massimo del lavoro, il lavoro più pesante – e forse più penoso – veniva lasciato alla madre, la quale si trovava, dopo aver subito come figlia una determinata educazione che la portava ad essere strutturata in un certo modo, a dover affrontare una situazione contingente ben diversa da quella in cui era cresciuta, in quanto vent’anni di differenza dal momento in cui era bimba e quindi veniva educata, al momento in cui diventava madre, per quanto possano sembrare pochi, nella vostra società (e soprattutto nel vostro tempo fisico) in realtà sono tanti: sono tanti perché le cose cambiano, la mentalità cambia, gli stimoli sono diversi, i bisogni stessi diventano diversi.
Quindi una madre non poteva certamente – se non con grosse difficoltà – dire ad un figlio: «Frequenta una passeggiatrice per… magari superare quelli che eventualmente possono essere i tuoi problemi sessuali» (ammesso che ciò sia possibile), cosicché accadeva che doveva essere il padre, una volta che il figlio avesse raggiunto la giusta età, a portarlo a frequentare quelle passeggiatrici, all’insaputa della madre (perché l’onore e la dignità della famiglia non potevano essere offesi) affinché il figlio superasse i suoi, eventuali, problemi sessuali.
Ma se tutte queste barriere fossero cadute, e se la madre fosse riuscita fin dalla primissima infanzia ad essere col proprio figlio quella che sentiva veramente di essere (perché ricordate che la funzione biologica d’essere madre, quella intimità che lega la madre al figlio fin dalla gravidanza, se non fosse limitato dalle inibizioni sociali, verrebbe portato avanti con naturalezza e semplicità, con la stessa spontaneità con cui la gravidanza prosegue per i suoi nove mesi), io vi assicuro, miei cari, che tanti di quei problemi sessuali che affliggono la vostra società non esisterebbero.
Ma già, succede così: in sala parto o al momento del parto, relativamente ai periodi in cui le sale parto non esistevano ancora, la madre espelleva il proprio figlio dal ventre in nudità, necessariamente direi, e poi cosa accadeva… accadeva che il feto diventava infante, l’infante si nutriva dal seno materno, aveva la sua fisicità con il seno materno, poi l’infante diventava bambino e poi fanciullo, e via via che esso cresceva inibizioni sessuali diventavano sempre più forti in modo da far sì che mai più un seno potesse essere visto dal proprio figlio, ed è questo l’errore.
Per carità non vorrei essere frainteso: non intendo con questo dire di arrivare ad una eccessiva promiscuità, ma non è necessario vergognarsi della propria nudità, anche perché quella promiscuità c’è stata, anche se inconsapevole, e forse un buon numero di problemi sessuali nascono proprio da quella barriera che si è venuta a creare in quel rapporto di semplicità, di naturalezza, di libertà che aveva caratterizzato la gravidanza ed i primi mesi di vita della madre e del figlio.
Forse il discorso può essere diverso per il padre, ma relativamente, in quanto se si accettasse veramente la realtà del fenomeno che poi è un fenomeno meraviglioso, se si riuscisse a parlarne con la stessa semplicità con cui si dice «oggi c’è il sole, oggi piove», come sarebbe diversa la vita di tutti voi, come sarebbe più semplice, come non esisterebbero più quegli individui che soffrono, con piacere magari, nel parlare, nel dire o nel vedere determinate cose ancora tacciate per tabù!
In fondo coi propri figli si vive, si convive, si cresce insieme; l’esperienza del figlio è anche esperienza del genitore e viceversa se si riesce a trasmetterla; ma quanti figli, veramente, dopo una certa età, riescono a trasmettere intensamente ai propri genitori le esperienze vissute? Ecco perché nelle strade muoiono oggi tanti figli, cosa di cui vi rammaricate e per la quale magari vi fate venire anche le lacrime agli occhi, ecco perché oggi voi ai bordi delle strade vedete tante siringhe! Francesco

Ritrovarsi assieme, ritrovarsi uniti, ritrovarsi, ancora una volta, ai confini sottili tra mondo materiale e mondo spirituale… ritrovarsi ancora una volta sospesi tra cielo e terra, rinnovando un rapporto che dura da sempre, un rapporto che è vivo, che unisce e costruisce, che accompagna il cammino dell’evoluzione, il percorso evolutivo di ogni scaglione di anime che si incarna nel mondo fisico.
Anche questo fa parte delle tappe evolutive delle varie razze; anche queste esperienze costituiscono un gradino utile per imparare a conoscere e a comprendere la realtà, che può essere necessario, può essere attraversato da chi ha bisogno di osservare la Realtà in una certa prospettiva.
Questo non significa che ogni persona incarnata, ogni individualità che vive la sua avventura nel mondo fisico, debba necessariamente, prima o poi, venire a contatto anche con questo tipo di esperienza; significa soltanto che una parte dell’umanità si avvia alla comprensione e alla conoscenza seguendo quel determinato tipo di via che contempla l’approfondimento e il contatto con entità che intervengono con altri piani di esistenza, non lontani bensì uniti, compenetrati con quella che è la realtà e che, quindi, costituiscono un’altra sfaccettatura della Realtà.
Spesso coloro che si avvicinano a noi, a questi incontri, con una certa superficialità o senza ben ragionare, senza una convinzione vera o un sentire profondo, senza un interesse partecipe di quanto viene detto, tendono ad aver timore, ed il più delle volte questo timore si manifesta con la paura, di venire condizionati da quanto queste presunte entità, queste presunte Guide vengono a dire nel corso degli incontri.
Bene, io mi auguro – e così tutti gli altri fratelli – che voi non abbiate questo tipo di pensiero: certamente è fuori di ogni dubbio che noi vi condizioniamo e che l’esperienza che voi vivete accanto a noi lascia in voi dei segni. Le esperienze sempre costituiscono un condizionamento per ogni individuo, in quanto forniscono quei dati, quei supporti razionali, mentali e affettivi su cui poi modellare il proprio sentire e il proprio comportamento.
Ma ricordate che se anche noi possiamo condizionarvi con le nostre parole c’è sempre la possibilità da parte vostra di rendere questo «condizionamento» utile o negativo. Infatti è solo attraverso l’azione che l’individuo conferisce la caratteristica – in una direzione o nell’altra – del condizionamento che, in se stesso, in realtà, non ha nessuna caratteristica: il condizionamento non è altro che un substrato su cui l’individuo poi porta il suo agire ma non è mai quello che, da solo, può indurre l’individuo ad agire: è necessario che l’individuo recepisca e interpreti il condizionamento e decida da sé se conformarsi o meno a quanto gli viene proposto.
In fondo, questo, non è altro che la trasposizione di quanto noi, spesso e volentieri, vi ripetiamo, ovvero di ascoltare quello che vi diciamo ma di non prenderlo mai acriticamente, bensì di vagliarlo cercando di recepire la parte che a voi più si confà, estraendo dalle nostre parole tutto ciò che voi «sentite» inutile per voi. Moti

Condizionamento…
Quanto spesso si sente questa parola, ma quanto meno spesso gli individui che la pronunciano si sono chiesti chi è che condiziona e chi è che si lascia condizionare! Vito

Per poter rispondere a questa domanda è necessario, fratelli, ricordare tutta la parte di insegnamento che riguarda la costituzione dell’individuo.
Infatti – anche se comunemente si tende a pensare e ad affermare che sono gli elementi esterni quelli che condizionano il comportamento dell’essere umano – si può cercare in realtà colui che condiziona all’interno dell’individuo stesso.
Chiaramente non l’individuo come sua semplice espressione all’interno del piano fisico, ovvero non come persona incarnata stessa, bensì come individualità completata da tutte le sue manifestazioni nei vari piani di esistenza.
Questo cosa sta a significare? Sta a significare che i fattori che rispondono agli influssi esterni e che, quindi, inducono al condizionamento dell’individuo, risiedono proprio nell’individuo stesso ed è dall’individuo stesso che si dipartono, facendo sì che sia lo stesso individuo, in realtà, a condizionarsi e non che sia l’esterno a condizionare, da sé solo, l’individuo. Questo punto che, forse, dicendolo e ascoltandolo, può apparire molto semplice a prima vista, in realtà è essenziale che venga assimilato per poter comprendere poi tutto il discorso filosofico sulla libertà e sul libero arbitrio. Rodolfo

Prendiamo, dunque, l’individuo, la persona che voi vedete accanto a voi, di cui recepite la forma fisica e di cui sapete che esistono altri corpi di esistenza.
Ricapitoliamo velocemente tutto il discorso: l’individuo è costituito da un corpo fisico, uno astrale, uno mentale, uno akasico o della coscienza e da quelli che noi chiamiamo in blocco «corpi spirituali».
Il corpo fisico è quello che vedete sul piano fisico.
Il corpo astrale è quello che governa le emozioni e i desideri. Il corpo mentale è quello che dà la possibilità di pensare, di ragionare all’individuo.
Il corpo akasico è quello che dà la spinta all’azione dell’individuo attraverso quella che, comunemente, viene definita in senso più ampio «coscienza», e i corpi spirituali sono quelli che costituiscono, in fondo, la vera essenza dell’individuo.
Ora, è chiaro che se questi corpi esistono, oltre ad avere una funzione «meccanica» per aiutare l’individuo ad esprimersi nel piano fisico, debbono per forza avere anche degli altri perché: il corpo astrale non può esistere soltanto per permettere al corpo fisico di sentire il caldo, il freddo, il piacere, il dolore e via e via e via, ma questo corpo astrale deve avere anche delle altre funzioni… altrimenti si potrebbe arrivare a pensare che è uno spreco, in quanto sarebbe bastato concentrare nel solo corpo fisico tutte queste qualità senza andare a complicare troppo le cose!
Che necessità vi è degli altri vari corpi dell’individuo? Che necessità c’è di un piano astrale, di un piano mentale e così via quando avrebbe potuto esserci soltanto un piano fisico? Chiaramente è un discorso veramente complesso. Vediamo, quindi, di dare solo qualche spunto su cui pensare.
È evidente, prima di tutto, che se esistesse soltanto il piano fisico l’individuo avrebbe molte minori possibilità di fare esperienza. Questo perché vorrebbe dire che la consapevolezza dell’individuo sarebbe tutta soltanto sul piano fisico, d’accordo?
Se così fosse dovrebbe – per forza di cose – essere tutto alla coscienza.
Se fosse tutto alla coscienza l’individuo sarebbe statico, non avrebbe più molte dinamiche interne.
Se non avesse più molte dinamiche interne ecco che allora tenderebbe a cristallizzare, a fermarsi, a portare avanti i suoi giorni senza molte spinte.
Non soltanto, ma allorché incontrerebbe la possibilità di fare un’esperienza probabilmente si girerebbe dall’altra parte e si allontanerebbe tranquillamente.
Pensate quante volte un’esperienza – magari anche dolorosa – l’avete vissuta vostro malgrado, finendoci in mezzo spinti… da che cosa non lo sapete neppure voi.
Quindi, come minimo, gli altri corpi forniscono le spinte per spingere l’individuo incarnato verso l’esperienza e, quindi, verso la conoscenza, la comprensione, l’evoluzione e via e via e via. Sono, quindi, un mezzo per farvi fare esperienza a fini evolutivi.
Cosa c’entra il discorso del condizionamento con tutto questo, creature?
È evidente: questo sta a significare che, quanto meno il vostro corpo astrale e il vostro corpo mentale condizionano il vostro modo di pensare, di agire, di essere. Però, ricordate che il vostro corpo astrale e il vostro corpo mentale, così come quello fisico, sono diversi ad ogni incarnazione, quindi, in realtà, anch’essi sono condizionati, spinti da qualche cosa: basta pensare che ogni individuo al momento della nascita, un po’ alla volta, si costruisce quello e solo quel corpo astrale, corpo mentale, corpo fisico. Bene, queste direttive da dove arrivano?
Arrivano principalmente dalle esperienze che sono state fatte nelle vite precedenti e che risiedono nel corpo akasico, il quale è proprio preposto ad attrarre quel certo tipo di materia astrale, mentale e fisica per costruire quei corpi che sono necessari in quell’incarnazione per avere le esperienze adatte a conseguire altra evoluzione.
Allora questo significa, evidentemente, che il corpo akasico condiziona non soltanto il corpo fisico, ma anche quello astrale e quello mentale. Scifo

Il cammino evolutivo dell’individuo è tale per cui gli elementi esterni che, solitamente, influenzano e condizionano il comportamento della persona dalla bassa o dalla media evoluzione, un po’ alla volta non hanno più alcuna influenza sull’individuo stesso. Ecco così che, a mano a mano, che l’evoluzione diventa comprensione e sentire, allargandosi all’interno dell’individualità, tutti quei fattori che prima si riflettevano sulla condizione del sentire dell’individuo inducendolo a comportamenti quasi obbligati ora, con l’acquisizione di un sentire più ampio, penetrano nell’individuo ma non provocano più alcuna eco e, quindi, l’individuo non si lascia condizionare, non reagisce ad essi. Anonimo

Ed è così, fratelli, che il condizionamento non va più guardato solo con negatività, ma va anche riguardato esso stesso, e considerato, alla pari con tutto ciò che fa parte della crescita individuale e personale, nella sua giusta luce.
Ma guardate la vostra stessa vita, osservate i vostri figli e i bambini che crescono, ed osservate quanto in essi il condizionamento produca degli effetti positivi.
È per condizionamento, infatti, che essi imparano a parlare, fratelli, è per condizionamento che imparano a leggere e a scrivere, e, quindi, rimirato in questa luce, il condizionamento – considerato negativamente dalla maggioranza degli uomini – ha la sua validità.
Ciò che è più importante, in realtà, è l’essere consapevoli di quanto questo condizionamento ha importanza nella vostra esistenza e nel vostro agire; in qualsiasi vostra azione, sia essa la più semplice o la più sciocca, sia essa la più importante e la più determinante della vostra intera esistenza.
Non riguardate, dunque, il condizionamento soltanto negativamente, e tenete sempre presente il fatto che questo condizionamento, se vagliato adeguatamente, vi potrà portare a delle soluzioni, a delle conclusioni importanti per il vostro stesso bene. Baba

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 68-82, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

L’amore e il destino del sesso e dell’affetto

Commentando il post Amare non è possedere, Elena afferma: Ciò che mi fa riflettere è quando si divide il concetto di amore per il partner e l’idea di “fare solo sesso” con un altro che non sia il partner e che “non conta nulla”. Ma di chi stiamo parlando? Se ritengo di poter amare senza condizioni e con dedizione il mio partner, amo anche quando ritengo di fare solo sesso con un altro, altrimenti in nessuno dei due casi sono in amore. La differenza è che quando sono in coppia scelgo di sperimentarmi nel quotidiano. A mio modo di vedere, nell’espressione stessa del pensiero iniziale è racchiuso il concetto del possesso.
L’affermazione riportata all’inizio del post citato era riferita ad una persona che sta armeggiando con una materia di grande complessità.

continua..

Il superamento del condizionamento

Chiede Sandra nel commento al post Il coraggio di creare e la ricerca di sensoIl de-condizionamento non è il liberarsi da qualcosa di esterno, è il frutto del superamento di una limitazione nel sentire ma, nel quotidiano, all’umano può apparire come un liberarsi da condizionamenti esterni e interni?
All’umano tutto appare come un liberarsi dai lacci, o come un legarvisi ma, in realtà, la cosa è più complessa.
Ogni processo che viviamo è processo di comprensione, o di verifica di una comprensione e ogni fatto che a noi sembra tanto casuale, è sempre inserito in un processo: tutti i fatti parlano dunque di comprensioni in atto o in divenire.

continua..

Il totem della competizione

Di fronte al rito dei rigori, ieri sera durante Italia-Germania, ho visto il non senso.
La legge della competizione vuole che qualcuno vinca e, siccome è legge partorita in una visione ristretta, vince chi fa più goal.
E’ la stessa ristrettezza di visione cui facevo riferimento qualche giorno fa in merito all’istituto del referendum: si o no; un goal in più di te, uno in meno a me.
“Fammi le cose semplici sennò mi confondo”, questo sembra il mantra dominante, o forse è solo il risultato di non comprensioni molto vaste e di una mancanza di alternative impossibili perché nemmeno si riesce ad immaginarle.

continua..

Tra sentire e condizionamento

Dice Antonella: “La vera obbedienza non è verso gli altri ma verso la propria coscienza”.
Questa frase mi fa pensare: obbedisco sempre alla mia coscienza o a volte, rimanendo succube dell’identificazione, finisco per obbedire all’altro?
E’ poi quel senso di insoddisfazione che mi fa capire di aver obbedito all’altro..
Cosa è bene per me? In questa situazione, mentre l’altro dice e si manifesta in un certo modo, io mi ascolto?
Oppure opera in me quell’automatismo che mi porta ad essere stretto nella morsa accettazione/rifiuto, adeguatezza/inadeguatezza?
Sono consapevole di essere stretto in quella morsa? Perché se sono nella morsa e non sono consapevole di esservi, non posso disconnettere il condizionamento e se non lo disconnetto non può sorgere alcun ascolto.

continua..

Oltre la paura, il gioco

Dice Samuele nel suo commento a La gioia di andare oltre sé: “Come trasformare gli stimoli esterni che chiamano in causa il sé, in vita in cui dimenticarsi di sé e dedicarsi all’altro?”.
Essere chiamati in causa è la norma quando si vive: ci sentiamo coinvolti come identità e sentiamo che queste sono continuamente sotto esame, messe alla prova, giudicate e parametrate.
Siamo, normalmente, nella morsa del dover essere, del dover dimostrare: è possibile uscirne?
Si, quando si è compreso che ogni scena del quotidiano altro che non è che uno spezzone di un film dal nostro sentire prodotto.
Quando si ha chiaro che ogni accadimento è una possibilità di apprendimento e che la vita altro non è che ampliamento del sentire che ci crea e ci guida, allora si, possiamo rilassarci.

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La consapevolezza del condizionamento

Dice Sandra nel commento al post Il letamaio, il monachesimo nuovoSono nel letamaio, ma l’odore mi sta diventando insopportabile, sto cercando così di dare una svolta alla mia vita e dell’altra parte sento tutti i condizionamenti che mi urlano che sono sciagurata, che un lavoro come il mio non si può buttare […]
Il centro della questione è la consapevolezza del condizionamento che sorge solo ad un certo punto del nostro cammino evolutivo, solo quando il processo di disidentificazione è giunto a maturità: allora vediamo l’ambiente nel quale siamo immersi, i mille sentire che lo sostengono e in noi è chiaro che quel sentire non ci appartiene, che l’abbiamo conosciuto e integrato, ma anche superato in ampiezza. 

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Il letamaio, il monachesimo nuovo

Le menti sono organismi che si adattano, se vivono in un letamaio alla fine non ne sentono più l’odore.
Vi racconto un fatto, vero e semplice: due bambini, fratelli, si stanno azzuffando per gioco. La nonna interviene per separarli, il più grande dice: “Nonna, lasciaci liberi!”. La nonna: “Da grandi sarete liberi!”. Allora interviene il più piccolo, 5 anni: “Bella libertà la vostra, lavorate sempre!”.
All’inizio della mia vita, quando ero un ragazzo, mi era chiaro che non volevo vivere in batteria, come un pollo, stretto nella morsa dei ritmi del lavoro e dei bisogni da ignorante e inconsapevole, costretto ad una normalità abbruttente fatta di valori che per me non significavano niente.
Appena dopo pochi anni comincia la militanza politica, non a caso nell’anarchismo che si era configurato ai miei occhi come il primo orizzonte non condizionato dai miti del lavoro, della famiglia, della normalità.

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L’ingresso nel silenzio della mente: vivere nella contemplazione del reale

Un’immagine: uscire da un ipermercato e trovarsi immersi in un bosco di faggi.
Nella faggeta non c’è silenzio, inteso come assenza di stimoli, c’è una vita che si dispiega secondo ritmi dilatati, distesi.
Nell’ipermercato c’è l’eccesso di stimoli di ogni genere.
I due esempi sono metafora della realtà della vita nella contemplazione, il primo; della vita nella mente/identità, il secondo.
E’ possibile a tutti il passaggio dall’ipermercato alla faggeta? Non lo so, credo che dipenda dal sentire di coscienza acquisito.
Coloro per i quali è possibile lo faranno: a passi lenti, o rapidi, supereranno le porte automatiche dell’ipermercato e si inoltreranno nel sentiero nel bosco, disposti a fare i conti con le proteste più o meno accese di quella parte di sé legata all’esistenza del passato.

Immagine da: http://goo.gl/gkB9U6