La vita mi ha fatto il dono di una compagna di via oltre che di vita; so che non tutti hanno questa benedizione e a maggior ragione sono grato per la mia situazione.
Dopo due mesi di silenzio, voglio ricominciare parlando dell’importanza del sostegno reciproco: in famiglia, nella comunità, in ogni ambiente caratterizzato dalla relazione.
Qui tratterò della via spirituale, ma il discorso è estendibile a qualsiasi ambito del vivere personale e sociale.
Molte sono le modalità del sostegno reciproco:
– attraverso il consiglio e il suggerimento;
conflitto
Patologicamente avvezzi alla disputa ideologica
La discussione sui vaccini, il bimbo morto per una otite e curato con l’omeopatia sono solo due degli ultimi casi in cui il carattere di un popolo purtroppo emerge nella sua incapacità di guardare i fatti con equilibrio, con il sufficiente distacco emotivo, con la capacità di valutare e ponderare le tesi e i fattori complessi in campo.
Tutto diventa elemento di un contendere, di una sfida, di una lotta tra il bene e il male, tra la ragione ultima e il torto ultimo.
Il nostro ambiente non è immune da questo e come nel pensiero convenzionale si usano ad arte i fatti per piegarli ai propri scopi, così nel nostro tende a risorgere l’ottica della vittima e del complotto.
Confusione interiore
Confusione interiore. Dizionario del Cerchio Ifior
Come sempre le Guide cercano di trasmettere, con le loro parole, elementi di positività. Infatti anche nel parlare dello stato di confusione interiore dell’individuo (che per l’incarnato è quasi sempre sinonimo di ansia, paure e forte travaglio interiore) hanno sempre sottolineato l’utilità di questo stato interiore, in quanto denota l’inizio di un cambiamento nello stato di coscienza dell’individuo o, quanto meno, l’insorgere di uno stimolo (appunto la confusione interiore) che spinge l’essere umano a cambiare invece di cristallizzare sulle posizioni che pensa di aver raggiunto. Infatti, affermano, nel suo cammino l’individuo deve sempre tendere ad una maggiore comprensione e questo comporta fare esperienze e non «accontentarsi» oltre il lecito di quanto si è riusciti a raggiungere.
Messaggio esemplificativo
Non si può riuscire a raggiungere nessuna certezza se prima non si riesce ad abbattere tutti i preconcetti che l’individuo ha dentro di sé; se prima, cioè, egli non riesce a piombare nella confusione più completa, se prima non riesce a mettere in discussione dentro di sé anche i valori che riteneva più acquisiti, più sicuri, e sui quali fondava la sicurezza, l’equilibrio e la stabilità della sua stessa esistenza.
Ogni ricercatore deve essere pronto a fare questo, deve essere conscio che vi saranno dei momenti in cui tutto ciò che prima gli appariva sicuro e acquisito diventerà in un attimo incerto, e franerà sotto il peso delle nuove esperienze.
Certo, vi sarà spesso, allora, la tentazione di afferrarsi al vecchio – perché il nuovo non dà sicurezza, perché c’è sempre la paura di non sapere affrontare le nuove esperienze, di non saperle capire, di non saperle rendere fruttuose – ma, passati quei momenti di panico e compreso che ciò si rende necessario se si vuole andare avanti, constatato il beneficio e il miglioramento che segue alla confusione, sarà poi facile affrontare gli altri momenti di difficoltà di cui è lastricata la via della ricerca spirituale.
Potete stringervi a ciò che vi sembra di avere acquisito, alla sicurezza che dà la costanza e la ripetitività delle vostre giornate, alle vostre vite tranquille, ai vostri affetti e nessuno può biasimarvi per questo: ciò significa semplicemente che non siete ancora pronti, maturi, per affrontare esperienze di quel tipo; significa che il vostro Io è ancora così forte da attaccarsi a ciò che gli dà senso di sicurezza, di potenza. Ma non pensate che ciò sia un fermarsi: anche se non ve ne rendete conto avanzerete lo stesso – magari illusoria- mente in modo più lento di altri che si gettano a capofitto in esperienze quasi traumatiche – tuttavia, prima o poi, in questa o in altre vite, anche voi arriverete al punto in cui vi tufferete non nel fiume tranquillo della vostra vita, ma nelle onde impetuose della vostra interiorità.
Potete accontentarvi di cose meravigliose alla ricerca di una compensazione a quella che vi sembra essere la mediocrità del vostro vivere, ma anche per questo nessuno può biasimarvi perché, anche attraverso a ciò, farete esperienze che, prima o poi, vi porteranno a ricercare quella confusione interiore che è sempre sorgente di mutamento e di evoluzione.
Ogni cosa e ogni uomo è un Maestro, che voi lo vogliate o meno, che ve ne rendiate conto o che non vogliate accorgervene. Di una cosa sola vi preghiamo: accettate ogni insegnamento, da qualunque parte provenga e non accada mai che pensiate: «Il mio Maestro è il Maestro migliore», poiché non vi è migliore o peggiore Maestro ma vi sono, invece, migliori o peggiori discepoli. Quale che sia il metodo di un Maestro per il suo insegnamento la meta è sempre la stessa, cosicché il metodo finisce col non avere alcuna importanza: forse che ha importanza piantare un chiodo con un martello o con un sasso? La tecnica è diversa ma il risultato è lo stesso.
Quindi non attaccatevi alla tecnica, ma tenete solo presente il risultato a cui volete tendere; non esiste una via che porta a Dio ma esiste Dio dentro ad ognuno di voi, cosicché il seguire una via per unirsi a Lui non è altro che un’illusione dell’uomo che non ha aperto abbastanza gli occhi per scorgere Dio, e brancola all’intorno, credendo di fare molta strada per avvicinarsi a Lui, mentre – se si fermasse e aprisse gli occhi – si accorgerebbe che Egli è lì, accanto a lui, e che lo tiene per mano. Moti
Non può conoscere la gioia chi non ha conosciuto il dolore,
non può apprezzare la felicità chi non è mai stato infelice,
non può sapere cos’è l‘amicizia chi non ha avuto nemici,
non può riconoscere l’amore, chi non ha provato odio,
non può trovare certezze chi non è stato confuso,
non può avere fede in Dio chi non è stato il diavolo.
Come la fiamma della candela dà dolore a chi vi posa le labbra
così la sua luce dà gioia a chi ha paura del buio. Labrys
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 82-84, Edizione privata
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior
Accettazione e gratificazione
Accettazione. Dizionario del Cerchio Ifior
Molta della sofferenza interiore dell’uomo nasce dall’incapacità di accettare se stesso, con i propri pregi ma anche, e soprattutto, con i propri difetti.
Riuscire a riconoscere e accettare le proprie caratteristiche è un primo punto di passaggio indispensabile per potersi osservare con sincerità e, di conseguenza, per provare a diventare migliori di quelli che si è.
Accettare gli altri ha la stessa importanza dell’accettare se stessi: se non si accettano gli altri per quello che sono, si finisce col volere a tutti i costi farli cambiare per renderli più aderenti a quello che si ritiene il modo in cui dovrebbero essere, spesso pretendendo cambiamenti che l’altro non è ancora in grado di accettare e di mettere in atto.
Questo porta, inevitabilmente, a far nascere conflitti, contrasti, incomprensioni, rancori, delusioni e, quando magari non si sa più cosa fare, indifferenza e allontanamento.
Per evitare tutto questo – ci suggeriscono le Guide – è necessario saper accettare anche le parti degli altri che non ci gratificano; ma questo non significa subirle passivamente, bensì condividere le proprie idee con l’altro e collaborare per trovare, assieme, quegli adeguamenti che sono necessari per rendere intimamente fertile qualsiasi rapporto d’amore.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag.18. Edizione privata
Tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere
C’è qualcuno che non vive questa tensione, almeno fino a quando l’identità non ha mollato la presa?
Leggo e sento in ambito spirituale fesserie immani sull’accettazione di sé e sul superamento di questa tensione: l’essere divisi è la nostra risorsa, è il processo di combustione che genera i chilowatt di potenza necessari al procedere e alla trasformazione.
Di più: c’è chi è giunto alla fine del suo processo di trasformazione e supera naturalmente il conflitto, e c’è chi del conflitto ha bisogno per procedere.
Il totem della competizione
Di fronte al rito dei rigori, ieri sera durante Italia-Germania, ho visto il non senso.
La legge della competizione vuole che qualcuno vinca e, siccome è legge partorita in una visione ristretta, vince chi fa più goal.
E’ la stessa ristrettezza di visione cui facevo riferimento qualche giorno fa in merito all’istituto del referendum: si o no; un goal in più di te, uno in meno a me.
“Fammi le cose semplici sennò mi confondo”, questo sembra il mantra dominante, o forse è solo il risultato di non comprensioni molto vaste e di una mancanza di alternative impossibili perché nemmeno si riesce ad immaginarle.
La radice della tenerezza
L’esperienza della tenerezza si colora di emozione e di affetto, ma la sua natura è altra: c’è tenerezza quando si comprende il fattore esistenziale in gioco.
C’è tenerezza perché c’è comprensione e quindi accettazione senza condizione.
Che l’esperienza della tenerezza sia suscitata da qualcosa che accade in noi, o nell’intimo dell’altro, poco cambia: se comprendiamo il processo esistenziale in atto, se a quella comprensione segue un inchinarsi e un ammutolire, lì sorge l’esperienza del così è, avvolto nel manto della tenerezza.
La coppia 6: il conflitto
Non voglio analizzare le ragioni del conflitto, mi interessa sottolinearne due aspetti:
– l’ineluttabilità;
– la funzione.
Ovunque esista identità, esiste conflitto: avendo l’identità la necessità di definirsi e di sentirsi esistente, nella relazione di coppia si confrontano due di queste necessità e un certo grado di attrito è inevitabile.
Come prende forma, si sviluppa e cosa produce il conflitto?
1- la levata di scudi, l’inalberamento, esperienza ben nota a tutti: di fronte ad una affermazione o ad un comportamento dell’altro si accende uno stimolo ad ergersi/manifestarsi/contrapporsi.
2- l’arroccamento: la costruzione del fortino e la difesa/attacco.
3- il riposizionamento: la rappresentazione delle rispettive istanze identitarie può condurre ad un ridimensionamento delle stesse.
Questo ultimo punto mi interessa: i due, dopo la prova muscolare si ammansiscono e si aprono ciascuno all’istanza dell’altro. Se non si aprono non c’è evoluzione e il conflitto permane divenendo risentimento od altro.
“Si aprono ciascuno all’istanza dell’altro”: vorrei farvi notare che per aprirci all’altro, alle sue ragioni, al suo punto di vista molto spesso dobbiamo passare per il pavoneggiamento della nostra singolare posizione.
Come evitare questo?
– Semplicemente vedendo la prova muscolare che si appresta;
– riconoscendola come manifestazione della propria percezione identitaria;
– dubitandola;
– disconnettendola, lasciandola andare.
Naturalmente questo ha valore all’interno di un rapporto, o di una dinamica identitaria, sani, non distorti patologicamente.
Se i due sanno che il conflitto appartiene alle cose, se sono dotati di un solido legame e di una buona dose di ironia, questa sarà la chiave determinante per detendersi quando gli scudi si alzano: sorridere di sé è la chiave. Quasi sempre.
Per non sviluppare conflitto persistente nelle relazioni è necessaria la consapevolezza piena delle proprie dinamiche egoiche: se si vede in tempo reale ciò che la propria mente aggiunge sul reale, il conflitto non sorge.
Per sviluppare questa consapevolezza è necessario che l’adesione alla propria spinta identitaria sia molto blanda.
Immagine tratta da: http://www.fotoarts.org/FA_immagine.php?id=45273