Le emozioni: osservarle per conoscersi e comprendersi

d-30x30Le emozioni: osservarle per conoscersi. Dizionario del

«Conosci te stesso».
Questa è forse una delle frasi più ripetute nelle varie forme di insegnamento e anche voi che partecipate da anni alle riunioni del Cerchio vi siete più volte scontrati con essa, arrivando ad avvertire la forza e la giustezza di tale imperativo ma trovandovi anche, di continuo, di fronte alla cruda realtà costituita dalla difficoltà di mettere in pratica quelle poche parole mentre il «voi stessi» che cercate di conoscere vi sfugge di continuo come un’inafferrabile fantasma.
Vedete, fratelli cari, conoscere se stessi è un compito che richiede pazienza, costanza, volontà e, soprattutto, coraggio perché molto spesso quello che viene alla luce non è edificante agli occhi di chi osserva. Il fatto è che il punto di partenza da cui, inevitabilmente, dovete muovervi è costituito dall’osservazione del vostro Io, il quale, per forza di cose, contiene tutti i vostri lati peggiori, quelli che derivano dalla vostre incomprensioni (ma anche qualche lato pregevole, se volete consolarvi, perché andando più a fondo riuscireste a trovare anche gli echi e i riflessi delle vostre comprensioni che, a loro volta, si proiettano sull’Io).
Se, poi, pensate che la vostra osservazione di voi stessi è fatta con gli occhi del vostro Io, vi renderete conto che il compito che vi aspetta è di impervia soluzione, perché l’Io tende a non essere obiettivo se non, addirittura, a falsificare e modificare la realtà oggettiva secondo le proprie aspettative. Mi sembra già sentire alcuni di voi pensare, demoralizzati, che allora cercare di conoscere se stessi, oltre ad essere faticoso e tormentoso, è qualcosa di impossibile e, in definitiva di inutile.
Fatevi coraggio, figli e fratelli, perché non è così: non dimenticate che l’interpretazione data dal vostro Io alle proprie azioni è certamente poco attendibile, tuttavia vi è un osservatore ben più attento che «sente» quali sono gli elementi importanti osservati, li ordina, li raccoglie, li confronta, li relaziona arrivando, comunque, a trarre da essi delle porzioni di comprensione; questo osservatore è, ovviamente, il vostro corpo akasico, il vostro corpo della coscienza, al quale non importa che arrivino dati confusi, apparentemente slegati, mal interpretati e via dicendo perché la sua necessità è che i dati arrivino ed è poi compito suo costruire con essi ciò che è utile per la crescita dell’individuo.
Questa seconda parte del ciclo va riguardata proprio in quest’ottica: il farvi osservare qualche vostro aspetto che, solitamente, osservate poco e male, per fornire nuove possibilità interpretative alla vostra coscienza e, perché no, nuove direzioni semisconosciute in cui muoversi alla ricerca del «conosci te stesso».
Cerchiamo di comprendere, nel modo più semplice e sintetico possibile, cosa significhi interpretare le emozioni e per quale motivo può essere utile farlo.
Come abbiamo visto in precedenza le emozioni nascono all’interno del corpo astrale dell’individuo sotto una triplice spinta: da un lato vi sono gli avvenimenti che l’individuo vive quotidianamente, grandi o piccoli che siano, dall’altro vi sono i desideri dell’Io che si sente più o meno insoddisfatto da quanto sta vivendo e, infine, vi è la vibrazione del desiderio di acquisire comprensione da parte del corpo della coscienza. Questa triplice spinta focalizza le emozioni individuali e fornisce ad esse, di volta in volta, connotazioni diverse, tant’è vero che accade di vivere in maniera emotivamente anche molto diversa un qualsiasi episodio ripetitivo.
Ora, osservare le proprie emozioni aiuta inevitabilmente a comprendere qualche cosa di più su se stessi perché all’occhio dell’osservatore (anche se, magari inespresse) sorgono delle domande dall’osservazione stessa e queste domande, ancorché, magari, represse dall’Io, attirano con le loro vibrazioni l’attenzione del corpo akasico su quanto sta accadendo cosicché questi può raccogliere elementi per aggiungere nuovi fattori di comprensione.

La conoscenza di sé, la contemplazione, la fiducia

Il nostro cammino appoggia sulla conoscenza di sé, ma non si esaurisce in essa.
Non basta leggere la propria vita in un’ottica esistenziale.
Non basta nemmeno cambiare lo sguardo sulla realtà e l’interpretazione di essa: tutto questo è propedeutico e prepara la disposizione contemplativa che può sorgere nella persona, insediarsi nel suo intimo e plasmarne le profondità dischiudendogli la comprensione di una vita radicalmente altra.
Se la conoscenza di sé non genera l’esperienza contemplativa, allora non parliamo di questo cammino, ma di altro.

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Il sale della terra è la conoscenza di sé

Matteo 5,13: Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini. (Traduzione Nuova riveduta)

“Siete il sale della terra”, per come le cose si sono messe alla fine del cammino terreno del Maestro e nel corso di questo, quando l’ottusità dei discepoli si mostrava nella sua evidenza, non sembra che il sale fosse di grande qualità.
Perché allora questa espressione?
È naturale tutte le volte che si incontra qualcuno che rivolge lo sguardo all’interiore, alla conoscenza di sé: non è la qualità della persona il sale, ma il volgere lo sguardo,

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Introspezione e conoscenza di sé

d-30x30Introspezione e conoscenza di sé. Dizionario del

Intanto, vorrei chiarire una cosa: introspezione non è sinonimo di psicoanalisi.
Le Guide hanno palesato più volte una certa cautela nei confronti della psicoanalisi, mai nei confronti dell’introspezione perché essa è senza dubbio indispensabile (senza però dimenticarsi di vivere la vita) per arrivare a conoscere se stessi.
Forse è il significato del termine introspezione che varia a seconda se si è in un contesto psicoanalitico o… di «insegnamento» delle Guide.
In senso psicoanalitico credo che si intenda andare alla caccia delle proprie streghe interiori, arzigogolando mentalmente fino allo spasimo, spesso finendo anche in balia delle ipotesi più inverosimili ed azzardate (famosi, in merito, gli eccessi… «sessuali» di Freud), il tutto finalizzato alla ricerca della felicità o, quanto meno, di una vita priva di grandi tormenti.
Secondo l’insegnamento, invece, l’introspezione (unita alla costante osservazione di se stessi) è intesa come il guardare i propri movimenti interiori che si traducono in comportamenti esterni come se si fosse un osservatore, quindi un porre l’attenzione a ciò che si fa, si dice e si sente, con la dichiarata finalità di far arrivare al corpo della coscienza gli elementi che gli sono necessari per raggiungere nuovi segmenti di comprensione

Messaggio esemplificativo (1)

È chiaro che su ciò che si vive ci si possa anche ragionare sopra per cercare di capire le proprie spinte più profonde, ma non è indispensabile per avere una vera comprensione: chi deve capire non è il corpo mentale ma è il corpo akasico e per il corpo akasico il fattore importante è proprio l’attenzione che si pone a questo scambio personale tra interno ed esterno, perché è in questo modo che gli pervengono i dati da elaborare per raggiungere ulteriori livelli di comprensione.
È inevitabile che l’uomo incarnato cerchi di comprendere con la mente e, armato di apparente buona volontà, cerchi di trovare una ragione a quello che lo turba.
Quello che, secondo me, dovreste capire è che il pensiero (dal momento che appartiene al corpo mentale) è una parte dell’Io, il quale tende a strutturarlo secondo i propri comodi, così, molto spesso, anche le cose più evidenti sfuggono all’attenzione della mente secondo quei meccanismi che così bene Freud (diamogli almeno questo merito!) ha codificato, quali la rimozione, la censura e così via. Ora, il discorso del «conosci te stesso» penso che debba essere osservato su due livelli diversi.

1  LIVELLO: conoscenza di se stessi a livello di consapevolezza di individuo incarnato all’interno del piano fisico.

A questo livello si può usare la mente per cercare le proprie motivazioni, basta rendersi conto che, comunque, si troveranno solo quelle più superficiali o quelle che, comunque, stanno già affiorando spontaneamente alla coscienza.
I problemi che si potranno risolvere non saranno mai i problemi più profondi, ma quelli più semplici e che, magari, porteranno a un comportamento esteriore diverso da quello che si era tenuto fino a poco prima.
Soltanto che sarà un cambiamento solo teorico, perché in profondità il problema di fondo, quasi certamente, esisterà ancora e sarà solo il suo manifestarsi nella vita di tutti i giorni che permetterà il cambiamento. Questo potrà portare a dei migliori rapporti con gli altri e con l’esterno, ma bisogna essere consapevoli che è soltanto un nuovo atteggiamento, nato principalmente dal tentativo di sfuggire delle situazioni di sofferenza, non una comprensione acquisita, e che il problema che stava alla base, comunque, è solo «costretto» a manifestarsi in maniera meno turbolenta.
È qualcosa di analogo all’ipocrisia anche se la motivazione è diversa: mentre l’ipocrita agisce in malafede per acquisire qualche tipo di vantaggio, la costrizione operata dall’Io ha il solo scopo di aiutare i rapporti ad essere una minor fonte di dolore di quanto erano in precedenza.

2  LIVELLO: conoscenza di se stessi a livello della coscienza.

A questo livello la mente diventa semplicemente un punto di passaggio dei dati che arrivano al corpo akasico e, anzi, le stesse reazioni della mente ai pensieri che elabora arricchiscono la mole di dati che il corpo akasico riceve.
Il corpo akasico non pone più che una leggera attenzione ai pensieri elaborati dal corpo mentale, perché il suo lavorio interiore non si basa sui pensieri ma sui concetti che nascono dall’osservazione delle azioni e delle reazioni di tutti i corpi inferiori alle situazioni affrontate.
Dalle sue osservazioni nascono delle ipotesi che il corpo akasico raggruppa e che ritiene giuste salvo successivi aggiornamenti.
È così che costituisce la sua comprensione, il suo sentire: ampliandolo gradatamente a mano a mano che nuovi elementi gli vengono forniti dall’esperienza sul piano fisico.
Fare quello che dicevo prima, ovvero porre attenzione a quanto accade nel corso di un’esperienza, focalizza il risultato di quello che si è vissuto e aiuta i dati ad arrivare più rapidamente al corpo akasico. In definitiva, quindi, accelera la possibilità di comprensione del corpo akasico. Naturalmente è a questo livello che i problemi possono veramente essere risolti e superati senza semplicemente metterli in disparte o nasconderli a se stessi per dare un’immagine migliore di se stessi a sé e agli altri.
Che le cose stiano davvero così è evidentissimo da quello che ci succede: quante volte, dopo aver sviscerato mentalmente tutti gli elementi di un problema che ci assilla, il problema continua ad esistere? Oppure sembra sparire per ripresentarsi poi, inaspettatamente, in un’occasione successiva?
Quante altre volte, invece, ci capita di accorgerci che quello che era un problema fino a ieri improvvisamente non lo è più e, magari, mentalmente non ce ne eravamo neppure resi conto?
Nel primo caso si è operato un fittizio «conosci te stesso» a livello di consapevolezza dell’individuo incarnato sul piano fisico.
Nel secondo caso il «conosci te stesso» è stato messo in atto con profitto dal corpo akasico che ha messo al posto giusto i tasselli di comprensione. Margeri

1  Messaggio pervenuto sulla mailing list del Cerchio.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Adolescenza e identità personale

d-30x30Adolescenza. Dizionario del

Uno dei momenti più difficili per chi fa il genitori incomincia solitamente quando i figli entrano nell’età adolescenziale, periodo di tempo in cui finiscono la strutturazione del corpo fisico e iniziano a predisporre una loro identità personale indipendente. Come si può facilitare ai giovani questo percorso? Secondo le Guide l’ideale sarebbe, senza dubbio, cercare di aiutarlo a portare l’attenzione su se stesso; questo è uno dei punti principali che difficilmente viene considerato; molto più facilmente i genitori, o gli educatori tendono più ad usare un sistema di premi-punizioni, oppure di colpa o approvazione, e via dicendo. Invece di usare queste dicotomie che, molte volte, forniscono delle scuse all’Io dell’adolescente per giustificare i propri comportamenti, sarebbe utile riuscire a riportare l’attenzione dell’adolescente sulle proprie motivazioni, sul proprio comportamento, sul perché delle proprie reazioni. L’interazione è quasi indispensabile. È importante, sottolineano le Guide, non lasciarsi condizionare da quelle che possono essere reazioni aggressive: molte volte l’adolescente respinge perché ha paura di dimostrarsi debole. Come intervenire? Si deve insistere senza forzare, senza dare l’impressione di scardinare quello che l’altro è, ma si può cercare di far arrivare lentamente, con gradi, a passettini a determinate conclusioni la persona con cui si sta parlando. Certo che, se partite a lancia in resta: «Stai sbagliando, la situazione è questa, questa e questa», l’adolescente sempre e comunque si ritirerà se non addirittura combatterà contestando quanto viene detto. Non si tratta soltanto di fornire delle alternative di pensiero o di modalità ma di cercare di mettere in atto un procedimento che porti l’adolescente stesso a comprendere che c’è un’alternativa alle sue reazioni aggressive e quale potrebbe essere.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Inconscio e conscio secondo il Cerchio Ifior

d-30x30Inconscio e conscio. Dizionario del

Negli anni le Guide hanno parlato spesso di psicoanalisi, cercando di indicarci cosa c’è di valido in essa e cosa c’è di sbagliato.
Riassumendo al massimo quanto ci hanno detto credo che il punto principale sia questo: se non si dà una vera disponibilità all’analisi non c’è nessuno che possa davvero aiutare la persona in difficoltà. D’altra parte, se davvero si «sente» che è giunto il momento di comprendere la propria interiorità, non c’è bisogno di intermediari con la propria coscienza, ma il lavoro può essere fatto dalla persona stessa, anche se un terapeuta che faccia da guida al paziente può rivestire una certa utilità, quanto meno per fornire al paziente stesso un metodo di autoanalisi e una sorta di «obbligo» a continuare.
Secondo le Guide resta il grande merito della psicoanalisi di aver individuato ed esaminato il gran numero di meccaniche interiori dell’individuo e le complesse interazioni tra di esse.

Messaggio esemplificativo (1)

Ciò che noi prospetteremo nel futuro è un inconscio da comprendere: un inconscio da sfrondare dal falso moralismo, dal perbenismo interessato, da tutti questi fronzoli che ponete voi stessi a voi stessi, sforzandovi in tutti i modi, attraverso quella creatura fittizia che è il vostro Io, per ricacciare dentro di voi quell’Amore che sentite premere e che vi fa paura.
Eppure giorno verrà che questo Amore riuscirà ad arrivare alla superficie e allora, in quel momento, non avrete più bisogno dell’Io, non avrete più bisogno dell’inconscio, non avrete più bisogno neppure della realtà fisica. Vi basterà quell’Amore ed esso sarà tutto per voi, così come voi sarete tutto per Lui. Scifo
Mi scuso anticipatamente per il mio imbarazzo e le mie difficoltà in quanto ho lasciato il mondo fisico da poco tempo e non sono molto abituato a questo tipo di cose.
Anche se qualcuno di voi ormai mi conosce (in quanto ho seguito insieme a voi l’insegnamento dei Maestri) io sono Willi. Sono stato invitato a venire e a parlare di quella che è stata la mia esperienza con una psicanalista.
Come avevo già detto, le Guide mi hanno detto di raccontare quelle che erano state le mie reazioni e le mie difficoltà nell’affrontare questo approccio con una persona che, in qualche modo, scava dentro di te e cerca di far affiorare quella che, apparentemente, sembra essere la tua vera personalità… questo per quanto riguarda la psicanalista, perché noi sappiamo che il discorso può essere diverso. Io cercherò di farlo, stasera, però ho bisogno di tutta la vostra collaborazione.
La cosa più difficile è stata il fatto che le Guide mi hanno suggerito di non dire quello che era il mio problema reale in quanto questo, secondo loro, non ha importanza, ma ha importanza, invece, il fatto di parlare di come io mi sentivo nel trovarmi di fronte a una persona che, per lo meno le prime volte, era completamente sconosciuta.
Non posso dire che questo approccio con la mia psicanalista sia stata una cosa facile, per due ragioni precise: prima di tutto perché non era stata una vera e propria scelta, in quanto andare dalla psicanalista è stata una soluzione da me adottata per acconsentire ad un desiderio, ad un bisogno dei miei genitori. La seconda difficoltà l’ho trovata nel fatto che, sebbene io fossi noto a tutti (ai miei fratelli, ai genitori, ai professori, a tutti coloro che in qualche modo mi conoscevano) come un irriducibile chiacchierone, quando mi sono trovato di fronte a questa persona non riuscivo a tirare fuori neanche una parola, le mie risposte erano molto concise e, molto spesso, si limitavano a dei sì o dei no. Questo, per lo meno, per quanto mi accadeva le prime volte.
Quando l’analista, che era una donna ed aveva un’impostazione tipicamente freudiana, mi faceva delle domande dirette e ben precise che toccavano un pochino quello che era il mio problema, riuscivo a sottrarmi dal dare delle risposte dicendo che non avevo capito che cosa mi aveva chiesto, oppure cercavo di prendere tempo facendomi cogliere da degli accessi di tosse che erano più o meno lunghi a seconda della domanda difficile che mi aveva posto, o della sua intensità emotiva.
Mi rendevo conto che, insomma, si stava creando praticamente, tra me e lei, un muro altissimo e, spesso, invalicabile e che non si riusciva ad abbattere; era quasi come se io fossi «geloso» della mia parte interiore. Gli incontri, che si svolgevano in sedute di un’ora due volte alla settimana, non erano i classici incontri che ognuno di voi può conoscere, col paziente sdraiato sul lettino e l’analista alle spalle, come osservatrice. No: i primi incontri erano fatti con noi seduti su comode poltrone che chiacchieravamo come se fossimo amici da lungo tempo. Inoltre questa persona, quest’analista, era un individuo che ispirava simpatia ma, nonostante questo, non riusciva a farmi parlare e questo andava contro a quello che io ero a conoscenza di me stesso, in quanto ero un tipo che facilmente parlava con chiunque, anche con degli sconosciuti, e parlavo proprio perché mi piaceva parlare; ma si era creato questo muro.
Da questa situazione io mi rendevo sempre più conto che questi incontri, questi colloqui, erano totalmente inconcludenti, non mi servivano a niente, e tutto questo portava la sfiducia in quello sforzo che io facevo nell’andare due volte alla settimana dall’analista a… chiacchierare.
Allora, un bel giorno, preso il coraggio a quattro mani, le ho detto che, secondo me, era perfettamente inutile continuare in quanto sentivo che tutto ciò non mi sarebbe servito praticamente a niente. Lei non ebbe nessuna reazione particolare e mi rispose semplicemente che se la mia impostazione era quella della sfiducia era veramente perfettamente inutile che io mi presentassi da lei.
Non vi dico la mia gioia quando mi disse queste parole, la salutai affettuosamente come se fosse una carissima amica e me ne andai convinto che non ci saremmo rivisti più, almeno per questo tipo di incontri. Ma, dopo una settimana, mi sono accorto che quell’incontro mi mancava; mi sono accorto che tutto sommato le sue parole (forse più delle mie) mi servivano veramente a qualche cosa. Allora sono stato io a ritornare da lei perché avevo capito che, tutto sommato, a lei non importava granché di come, in realtà, io ero fatto interiormente, di quelli che potevano essere i miei reali problemi: a lei importava, semplicemente, ricondurmi ad un comportamento «normale»; a lei importava che io superassi, e qua dico le sue parole, «quella attività fantasmatica più o meno organizzata che sta alla base del comportamento dell’uomo, dell’individuo, un comportamento non reale e che va al di là delle stesse aspettative dell’individuo».
Da quel momento incominciai a frequentarla con una certa regolarità e, poverina lei, cominciai veramente a parlare molto più apertamente, anche se devo ammettere che altre difficoltà, poi, mi si presentarono. Ma penso che per questa sera possa bastare e spero di essere stato chiaro. Vi saluto tutti, ciao. Willi

L’attività fantasmatica, per dirla alla Freud, o «i fantasmi della mente» come usiamo chiamarli noi, costituiscono una scena immaginaria in cui l’individuo si immerge come attore, o solo come spettatore, in conformità con quelli che sono i suoi bisogni o le sue pulsioni diverse. L’attività fantasmatica freudiana vuole dirci che l’individuo crea un comportamento fittizio non reale nel quale, appunto, tende a soddisfare i desideri o i bisogni repressi. Questi fantasmi che danno origine a tali comportamenti possono essere inconsci, preconsci (per dirla sempre alla Freud) e, a volte, consci, anche se esistono sempre dei «fantasmi originari» che hanno un’origine atavica. L’analisi e lo studio di questi fantasmi può aiutare a comprendere quelle che sono, appunto, le cose represse, le proiezioni… in poche parole, i problemi dell’individuo.
Ma cerchiamo un attimo di vedere in linea di massima (anche perché non possiamo certamente spendere delle ore a parlare delle teorie freudiane) com’era costituita la personalità secondo il caro amico Sigmund. In particolare cerchiamo di vedere che cos’era l’inconscio.
In una prima fase dei suoi studi l’inconscio rappresentava un complesso psichico che racchiudeva le pulsioni, i bisogni che non riuscivano a trovare l’estrinsecazione e una manifestazione a livello di comportamento, quindi tutto ciò che veniva dall’individuo represso fin da bambino.
In un secondo periodo, susseguente ad altri studi che Freud aveva fatto, l’inconscio non indicava più la sfera d’un complesso psichico, ma era soltanto un attributo di alcune (di due in particolare) delle tre istanze che costituivano il vero complesso psichico dell’individuo.
Questo complesso psichico era costituito da una prima istanza da lui chiamata Es o Id che non era propriamente l’inconscio anche se aveva le stesse caratteristiche della definizione da lui stesso data di inconscio nella fase precedente: l’Es rappresentava il serbatoio delle pulsioni dell’individuo, pulsioni che, in linea di massima, non riuscivano ad avere un’estrinsecazione e, quindi, ad arrivare alla fase precosciente e, ancor meno, alla fase cosciente. Tutto ciò che fa parte di questo serbatoio, di questo Es è inconscio, cioè inconsapevole.
La seconda istanza è rappresentata dall’Io: l’Io, secondo il buon Freud, è ciò che si vede praticamente dell’individuo; l’Io è preposto all’attività logico-mentale, l’Io è legato alle percezioni, quindi all’attività fisica del corpo, tuttavia anche l’Io ha una parte inconscia. Questo Io ha una certa autonomia anche se è strettamente legato all’Es da cui riceve gli impulsi per l’azione e all’altra istanza chiamata Super-Io che controlla la qualità di queste azioni.
L’ultima istanza, come vi ho appena detto, è quella da lui chiamata Super-Io. Il Super-Io sarebbe, per dirla proprio semplicemente, una specie di coscienza che si erge a giudice dei comportamenti messi in atto dall’Io.
Non vado oltre, anche perché diventerebbe una cosa noiosa, però voglio fare un piccolissimo raffronto con quanto noi siamo andati dicendo in questi lunghissimi anni.
L’Es di Freud potrebbe essere assimilabile ad una interazione tra il corpo fisico con i suoi bisogni e le sue pulsioni e il corpo astrale, in quanto sede del desiderio. Il Super-Io potrebbe essere paragonabile all’interazione tra la parte più sottile del corpo mentale e il corpo akasico, mentre l’Io potrebbe essere la risultante delle interazioni tra questi quattro corpi.
Freud nei suoi studi non poteva tenere conto di quelle che noi sappiamo essere le altre componenti dell’individuo, ovvero il corpo astrale, il corpo mentale e il corpo akasico, lasciando perdere gli altri corpi sugli altri piani per non complicarci le cose.
Ma ancora precedentemente era stato detto che ciò che noi abbiamo definito come «inconscio» se poi è possibile trovare questa definizione esiste sia a livello fisico, sia a livello astrale, sia a livello mentale, sia a livello akasico. Allora, io dico: «È possibile, a questo punto, che esistano un Es, un Io, e un Super-Io a livello fisico, un Es un Io un Super-Io a livello astrale, uno a livello mentale ed uno a livello akasico? Vito
Voi avete discusso, pensato, cercato in qualche modo di comprendere quanto io e Vito abbiamo affermato in precedenza, ed è evidente che questo ribaltamento della prospettiva in cui osservare il discorso riguardante l’inconscio, il conscio e il preconscio ha portato al vostro interno un vero e proprio sbilanciamento, creandovi delle difficoltà a fare delle connessioni logiche fra questa nuova prospettiva e quanto siamo andati dicendo nel corso degli anni precedenti.
È proprio per questo motivo che ho pensato bene di lasciare per qualche tempo da parte l’affrontare il discorso attraverso questa prospettiva, in quanto evidentemente non possedete ancora l’elasticità mentale giusta per poter mettere in atto alcuni degli insegnamenti più spesso ripetuti nel corso degli anni precedenti.
“Quali insegnamenti?», direte voi.
Uno di questi insegnamenti è sempre stato quello di ricordarvi di essere pronti a rinunciare, a mettere da parte le cognizioni acquisite, in quanto a mano a mano che si procede lungo il cammino della verità necessariamente certe verità, ampliandosi, assumono prospettive e connotazioni diverse, così diverse che a un certo punto possono apparire quasi in contrasto con quanto si sapeva fino a un momento prima: quella stessa cosa che fino a un momento prima sembrava una verità assoluta, certa, acquisita, risulta in qualche modo differenziabile.
Quindi l’insegnamento dell’essere pronti a rinnovarvi, a nascere ogni giorno diversi, ad accettare a mano a mano che vi si presentano questi allargamenti di orizzonte, perché è soltanto attraverso questi allargamenti di orizzonte, alla rinuncia del vecchio per arrivare ad una nuova verità, che veramente «il sentire» riesce ad acquisire quegli elementi sempre più complessi, quelle sfumature sempre più difficili da precisare che sono necessarie per completare la sua costituzione, il suo allargamento, il suo ampliamento all’interno della vostra coscienza; in quanto, senza questo ampliamento, senza questo allargamento, non riuscireste ad uscire da quel continuo morire e nascere che costituisce la croce individuale che ognuno di voi si porta a spasso da parecchie migliaia di anni.
Uno dei punti di maggior difficoltà è nato da due definizioni apparentemente diverse che abbiamo fornito a proposito di questi argomenti. Noi affermiamo che, partendo dal piano fisico, l’inconscio era tutto ciò che era «prima» del piano fisico; partendo dal piano astrale l’inconscio era tutto ciò che era «prima» del piano astrale; e tutto questo, insomma, era relativo a che cosa? Al punto del piano di esistenza sul quale l’individualità aveva la sua consapevolezza.
Ecco quindi che, a mano a mano che la consapevolezza dell’individualità si sposta attraverso i vari piani di esistenza, diventa inconscio tutto ciò che è al di fuori della sua consapevolezza; cosicché colui che ha la consapevolezza stabilita all’interno – che so io – del piano akasico, è inconsapevole in gran parte, o totalmente, di ciò che è sui piani precedenti, per arrivare alla famosa Scintilla e quindi, naturalmente, anche all’Assoluto.
A quel punto io, sempre «la pietra dello scandalo», sono arrivato affermando che se – come dicevamo nella prima definizione (e questo è un punto di contatto fra le due definizioni) – si può definire conscio tutto ciò che appartiene alla coscienza, che arriva alla coscienza, allora poiché noi per coscienza intendiamo il corpo akasico dell’individuo, cioè quel corpo nel quale le comprensioni si iscrivono dopo aver tratto i frutti utili dall’esperienza, ne conseguiva che il conscio non era sul piano fisico, ma che si poteva definire conscio ciò che è sul piano akasico.
E questo chiaramente ha cozzato contro la vostra rigidità mentale arrivando a mettervi in difficoltà e anche in imbarazzo in quanto, ad un osservatore esterno al Cerchio che non avesse la fede che voi potete nutrire – più o meno – per questi lunghi anni di insegnamento, quanto abbiamo affermato può sembrare un momento di pazzia delle Entità, un momento di auto contraddizione e quindi un momento di dubbio, cosicché certamente – se una persona esterna vi chiedesse spiegazioni su questo comportamento e queste apparenti contraddizioni – sono sicuro che la maggior parte di voi si troverebbe in imbarazzo nel dare una risposta comprensibile o accettabile.
In effetti il fatto che nella prima definizione avrei definito come conscio ciò che era sul piano fisico prima di tutto, e inconscio tutto ciò che non arrivava al piano fisico e quindi corpo astrale, corpo mentale, corpo akasico, e via e via, mentre invece ultimamente ho affermato che in realtà conscio è ciò che è alla coscienza, quindi ciò che appartiene al corpo akasico dell’individuo può sembrare una contraddizione.
E, certamente, potremmo continuare su binari molto più normali, continuando a fare lezione sulla psicanalisi ed esaminando qua e là quei punti che possono o meno avere dei contatti con il nostro insegnamento, prendendo – che so? – il discorso sulla libido e rapportandolo all’energia, alla vibrazione così come noi la concepiamo; possiamo prendere l’istinto di vita e di morte e rapportarlo alla spinta reincarnativa dell’individuo, e via dicendo, però al di là di questo confronto forse non riusciremmo ad andare.
È necessario, invece, cercare di vedere, nella realtà dell’individualità, del suo cammino, «come» questi elementi funzionano, come danno queste spinte, quali sono le meccaniche che aiutano l’evoluzione secondo gli schemi che possiamo aver dato.
Proviamo, adesso, a interpretare quel poco che è stato detto a proposito delle teorie freudiane cercando un raffronto, un parallelo, un punto di contatto o di distinzione da quanto noi abbiamo affermato in questi anni.
Conscio, naturalmente, è tutto ciò che è alla coscienza quindi, in teoria, esattamente all’opposto di inconscio. Ora diciamo che la terminologia usata in questo caso da Freud può essere usata anche da noi poiché come schematizzazione può avere un suo valore, tuttavia vi sono alcune cose che non coincidono, non combaciano con le teorie freudiane.
D’altra parte, come capiremo andando avanti, è impossibile che vi sia esattamente questa coincidenza in quanto Freud ha costruito il suo castello teorico non soltanto su osservazioni sperimentali (e per questo, in realtà, spesso soggettive) ma anche senza tenere conto, senza poter tenere conto di quella parte della realtà dell’individuo che non è riconosciuta dalla scienza e, quindi, naturalmente, ottenendo una visione parziale e restrittiva di quella che è la realtà individuale di ognuno di voi. Ora, ciò che noi intendiamo per conscio è sì qualche cosa che è alla coscienza dell’individuo, ma il problema è la diversa connotazione di questa frase. Infatti, quando noi diciamo «ciò che è alla coscienza dell’individuo» non intendiamo ciò che è alla mente dell’individuo, non intendiamo ciò che egli pensa o riesce a pensare o crede di aver capito ma, veramente ciò che appartiene alla coscienza dell’individuo, ovvero a quella sua parte più elevata nella quale vanno inscritte tutte le sue esperienze e le capacità di comprensione che egli ha acquisito nel corso delle sue varie vite. Quindi una capacità di coscienza che non passa necessariamente attraverso la comprensione mentale e, quindi, non necessariamente si affaccia all’interno del piano fisico.
Questo, se ci pensate bene, non è altro che ciò che noi andiamo affermando da molto tempo allorché diciamo che la comprensione che porta poi all’allargamento del sentire di ognuno di voi non necessariamente viene da voi riconosciuta, compresa e accettata nel corso della vostra vita, ma che la comprensione può esservi stata ed essersi inscritta nel vostro corpo akasico senza che voi ve ne rendiate conto.
A questo punto, naturalmente non può che essere diversa anche la definizione di ciò che è preconscio, ovvero la fase in cui i vari corpi elaborano i dati ricevuti (senza che, magari, l’individuo a livello fisico se ne renda conto se non attraverso a una sensazione di confusione interiore) e cercano una risposta. Nel momento in cui vi è questa ricerca da parte dell’individuo, ecco che si può parlare di fase preconscia, in quanto la risposta è lì, sta per essere trovata, può essere trovata ma… non è detto che lo sia, cosicché può restare preconscia senza riuscire, per lo meno in quel momento, ad iscriversi nel corpo akasico.
Mi sembra che il discorso sull’inconscio non possa essere che una logica conseguenza di tutto questo: se abbiamo definito come conscio la comprensione che si trascrive nel corpo akasico e che quindi diventa attiva, scritta, fissa nella coscienza, se abbiamo descritto come preconscio tutta quella zona in cui vi è il lavorio alla ricerca della comprensione, non può essere che definito come inconscio tutto l’insieme dei vari stimoli che provengono dai vari corpi dell’individuo prima di poter arrivare alla sua coscienza, ovvero quegli stimoli che influiscono attraverso l’esperienza, all’interno del piano fisico attraverso le situazioni (e che, quindi, stimolano qualcosa nell’individuo), quegli stimoli che muovono le emozioni e i desideri del suo corpo astrale mettendo in moto le forze che alterano l’equilibrio dell’individuo e che, quindi, gli fanno avvertire quella tensione, a volte dolorosa e insoddisfacente, che lo spinge a muoversi, a cercare una risposta per mutare la propria condizione, infine, quegli stimoli che smuovono le energie del suo corpo mentale facendo sì che, grazie a queste energie, egli esamini tutte le componenti che gli stanno arrivando e cerchi, veramente, di arrivare alla comprensione.
Senza dubbio il discorso è abbastanza rivoluzionario in confronto alle teorie solitamente divulgate e senza dubbio, anche, pur avendo la sua utilità, il dover schematizzare per aiutare la vostra comprensione, può far correre il rischio di far sembrare quanto noi diciamo un insegnamento settoriale, parziale, in cui le varie bamboline si incastrano automaticamente l’una nell’altra per formare quell’insieme che è l’individuo. In realtà, e noi ve lo diciamo sempre, le parole che noi usiamo sono fatte (così come gli esempi) per fornirvi un supporto mentale su cui poter ragionare, ma parlare dei vari corpi dell’individuo, parlare di corpo fisico, astrale, mentale e akasico, non significa parlare di quattro parti dell’individuo ma significa, invece, parlare di un’unica parte che è l’individualità la quale ha queste componenti.
Quindi quattro parti (anche se ve ne sono altre) che hanno delle influenze all’interno dell’intera individualità, ma che non sono a sé stanti, sono interagenti, ed è quello il punto che è difficile da farvi comprendere, da abituarvi a considerare, ovvero che queste varie parti dell’individualità (così come per quella schematizzazione che abbiamo dato in conscio, preconscio e inconscio) non sono settoriali, o ben definite tra di loro, ma sono interagenti, e quello che importa è la sintesi che questa loro interazione provoca, ciò che esce come risultato della sintesi della loro azione all’interno dell’individuo.
Per aiutarvi a entrare meglio nella prospettiva che cerchiamo di farvi comprendere posso aggiungere che dovete pensare che in realtà, non vi è nulla per l’individuo che possa mai essere per sempre preconscio o inconscio solamente, ma che vi è questo passaggio della comprensione dall’inconscio al preconscio al conscio; quindi uno stesso elemento passa attraverso questi tre «settori».
Il che significa che vi è uno scambio.
Il che significa che qualcosa che apparteneva al settore inconscio appartiene poi al settore preconscio, portando con sé qualche cosa; e, lo stesso, ciò che appartiene al settore preconscio passa poi al settore conscio; quindi vi è un movimento di energia, uno scambio di attività, per cui non vi è né chiusura né separazione di alcun tipo ma è un mescolarsi di fattori che si scambiano tra di loro interazioni. Scifo

(1) L’Uno e I molti, vol. I, pag. 386 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Conosci te stesso, secondo il Cerchio Ifior

d-30x30Conosci te stesso. Dizionario del

Alla base dell’insegnamento etico-morale del Cerchio Ifior sta il concetto del «conosci te stesso»: senza la conoscenza di se stessi non si può arrivare alla consapevolezza di quali che sono i nostri bisogni e i nostri errori e, se non si raggiunge questa consapevolezza non è possibile arrivare a quella comprensione che, sola, può non solo ampliare la nostra evoluzione ma, soprattutto, per chi è incarnato, stemperare il dolore e la sofferenza.
Purtroppo, quando si tratta di affrontare noi stessi, tendiamo a rimandare il farlo trovando mille pretesti e mille priorità «più urgenti» per evitare il più possibile di andare incontro alla nostra realtà. Questo, inevitabilmente, porta al dolore e alla sofferenza e quello che sul momento poteva essere più facilmente comprensibile, a distanza di tempo diventa sempre più difficilmente individuabile perché, nel frattempo, si sono aggiunti nuovi elementi e nuove situazioni.
Per questo motivo le Guide ci dicono che è meglio affrontare se stessi di volta in volta e che risulta più semplice e meno doloroso risolvere un elemento alla volta che trovarsi, successivamente, a dover sciogliere un’interiorità talmente intricata che finirà col costringere a prolungare il nostro ciclo reincarnativo.

Messaggio esemplificativo

Spesso, nei nostri discorsi, parliamo di consapevolezza, di auto conoscenza, di «qui e ora», ovvero di Eterno Presente, ma questi termini – così come li intendiamo noi – non sono facilmente comprensibili come potrebbe apparire ad un esame affrettato e superficiale.
Vediamo, allora, di trovare una serie di idee intorno a questi concetti, magari considerandoli nella stessa prospettiva, con la finalità di avere una visione d’assieme che, anche se parziale, possa fornire spunti di comprensione e di avanzamento lungo la via che porta alla liberazione interiore.
Ricordiamo, però, che il superamento di ciò che noi siamo soliti imputare all’Io – cioè tutti i fattori egoistici e la sensazione di essere una cosa separata e diversa sia dagli altri uomini che da Dio stesso – può avvenire solo grazie alla vostra opera e che noi possiamo soltanto avere, per ognuno di voi, la funzione che ha la mappa stradale per chi cerca la via che porta ad un dato posto.
Senza la comprensione di ciò che si è, senza la consapevolezza di ciò che di solito l’Io crea per nascondere il suo egoismo al fine di accrescere se stesso, l’uomo finisce col trovarsi a vivere in un mondo che non è reale poiché – essendo l’Io una cosa non reale, ma una creazione fittizia – anche i pensieri e le azioni che da esso scaturiscono non sono altro che irrealtà e finzioni, le quali mascherano e si sovrappongono a ciò che veramente si trova nell’intimo umano, nella sua parte più vera.
Ciò che più l’Io usa per continuare a creare una realtà interiore fittizia è la sensazione che l’uomo, all’interno del mondo fisico, ha di essere in divenire, cioè di avere un passato e un futuro facendo in modo, anzi, di renderli spesso così importanti che quello che è veramente importante, e cioè il presente, viene trascurato.
In realtà, al di là dell’illusoria percezione, all’interno del piano fisico, del tempo che scorre, l’uomo è immerso – attimo dopo attimo – sempre nel presente, ed è per questo motivo che noi vi diciamo che non è necessario – e che, anzi, può essere dannoso – attaccarsi al passato o proiettarsi nel futuro ma che, per conoscere se stessi e quindi migliorare, basta conoscersi nel presente, nel «qui e ora».
Affrontare il presente non è facile, perché vi sono meno possibilità di sfuggire alla propria realtà interiore ed è – anche a causa dell’opposizione dell’Io – in se stesso doloroso; ma deve essere esaminato ed accettato così com’è: non rassegnandosi ad esso con la speranza di un domani migliore, né cercando di negarlo e di giustificarlo in base ad azioni ed eventi passati, ma cercandone la causa interiore che lo fa essere così com’è.
Se, ad esempio, qualcuno stesse soffrendo un disagio economico, sarebbe inutile che egli maledicesse gli avvenimenti che gli hanno impedito di ottenere una maggiore agiatezza; così come sarebbe inutile che, con rassegnazione, chiudesse gli occhi per scordare il presente, con l’intenzione di aprirli solo allorché la situazione, un domani, fosse migliorata. Molto meglio sarebbe, invece, che egli guardasse bene nel presente non tanto il fatto del suo disagio economico, quanto la sofferenza che esso gli muove nel qui e ora. Se lo facesse attentamente, si accorgerebbe che la sua sofferenza è in gran parte ingiustificata poiché, in realtà, ciò che soffre è il suo Io, il quale si sente sminuito, si sente a disagio in rapporto agli altri esseri che lo circondano e che hanno più di lui.
Certo, il concetto di Eterno Presente è di difficile assimilazione perché contrasta con ciò che i vostri sensi sembrano percepire e – in realtà – esso va applicato da quella parte di voi stessi che non avete ancora raggiunto e che sta, inconsapevole per ora, al di là dell’Io e della sua manifestazione nel mondo fisico.
Il fine a cui tende il nostro parlare di «qui e ora», di Eterno Presente, è proprio quello di stimolarvi la consapevolezza, di aiutarvi a raggiungere quella parte inconsapevole di voi che sta al di là dell’Io, affinché riusciate a risvegliarla.
Essere consapevoli non vuol dire mettersi nei panni dell’Io ad auto analizzarsi, bensì porsi al di là dell’Io stesso e osservare le sue azioni e le sue reazioni come se egli fosse un’altra persona; vuol dire esaminarvi nel qui e ora cercando di essere consapevoli e di constatare quanto e quando è l’Io che vi spinge ad agire. Non dovete fare l’errore di considerare la consapevolezza un fine ultimo: essa non è altro che un mezzo per arrivare a conseguire il vero fine, che è quello di raggiungere la verità del vostro vero essere interiore. Spesso viene commesso l’errore di pensare che conoscere voi stessi significhi essenzialmente riesaminare le azioni che avete fatto e che vi hanno fatto soffrire o gioire, trovandone non la motivazione vera – che risiede nel vostro Io – ma le cause esterne che, invece, hanno avuto il solo compito di innescare in voi la reazione interiore del dolore o della gioia.
Non è così: conoscere voi stessi significa essere consapevoli che il dolore e la gioia non sono la causa o l’effetto di un’azione esterna, ma sono reazioni che ha l’Io a questa causa esterna; vuol dire, cioè, mettere a fuoco e riconoscere una parte di quest’Io prepotente. Infatti è solo a questo modo – rivelandone e riconoscendone le azioni, che potete impedirgli di soffocare la parte migliore e più vera di voi stessi.
Così, in realtà, non riveste grande importanza scoprire quanto un’azione sia stata buona o cattiva nei suoi effetti, ma ciò che importa è scoprirne la causa interiore, poiché scoprirla e riconoscerla significa trascendere i limiti che l’Io pone in continuazione all’allargamento della vostra coscienza.
Per fare un esempio pratico, sarebbe inutile che un pittore notasse solo che i colori, su alcune delle sue tele, hanno dei punti in cui vi sono delle macchie che egli non intendeva porre, e non si rendesse conto, invece, che ciò deriva dal fatto che non pulisce a dovere i pennelli che usa; in questo modo, infatti, ogni tela potrebbe essere bella o rovinata al di là della sua intenzione.
Per una buona riuscita in questo intento, l’attributo fondamentale è la sincerità con voi stessi, difficile da rendere costante ma assolutamente necessaria, per sfuggire alle trappole più o meno sottili che l’Io pone sul vostro cammino col fine di mettervi fuori strada, offrendovi scuse allettanti e maschere che è facile indossare ma che, poi, è molto difficile riuscire a togliere. Fortunatamente non siete abbandonati a voi stessi, ma l’esistenza vi offre un prezioso alleato che non vi tradisce, né vi abbandona mai: l’esperienza di tutti i giorni, la quale – in continuazione – vi offre molte possibilità di conoscervi mettendovi – spesso anche a viva forza – davanti alle vostre verità interiori, grazie alle situazioni con le quali cerca di far reagire il vostro Io. È proprio dall’esame di queste reazioni alle varie situazioni che il vostro Io si trova a dover affrontare, che potete risvegliare in voi stessi la consapevolezza e che potete riuscire a non mentire a voi stessi.
Accade anche spesso che voi cerchiate di esaminarvi e giungiate a delle conclusioni che, ad un’occasione successiva, si rivelano sbagliate. Ebbene, non demoralizzatevi per questo e siate certi che, prima o poi e poco per volta, riuscirete a superare anche gli ostacoli più duri.
Potreste chiedervi come essere sicuri che le conclusioni raggiunte siano esatte e non illusorie: un’ulteriore trappola che l’Io ha subdolamente messo per voi e in voi, e nella quale – ignari – siete caduti. Vi è un solo modo per esserne sicuri: l’esperienza. Infatti, allorché, sotto la stessa esperienza non reagirete più allo stesso modo errato, sarete sicuri che avete acquisito la consapevolezza di ciò che sentivate nei confronti di quegli stimoli e che, in modo automatico, quegli stimoli avranno perso la loro funzione di stimolo per divenire neutri rispetto al vostro intimo, che non reagirà più ad essi in modo sbagliato.
Tutto questo significa capire che in ogni attimo, in ogni «qui e ora», siete diversi da ciò che eravate nell’attimo precedente; tuttavia è necessario cercare di non crearsi l’illusione di essere o di non essere in un dato modo; quante volte avete pensato o creduto con convinzione, per esempio, di non essere possessivi, e quante volte l’esistenza è stata costretta a mettervi di fronte alla vostra possessività non superata, ma nascosta sotto una creazione illusoria e fittizia?
Abbandonarsi all’illusione, figli, vuol dire abbandonarsi ai limiti che l’Io vi impone, vuol dire creare con la vostra stessa inconsapevolezza motivi di sofferenza per voi e per gli altri.
Il primo passo, dunque, è scoprire che l’Io – per non sfigurare – pone dei limiti a seconda delle sue necessità; il secondo passo è quello di riconoscere e svelare questi limiti; il terzo passo non esiste ma consegue automaticamente allorché sono stati fatti i primi due, poiché riconoscere e svelare i limiti posti dall’Io vuol dire averli superati.
Non basta affermare, ad esempio, di sapere di essere possessivi se non sapete quando siete mossi dalla possessività e quanto è essa che vi muove; e la vostra affermazione, in queste condizioni, non resta altro che un’affermazione generica che non vale molto per farvi superare la vostra possessività e correte, anzi, il rischio che divenga una scusa per non indagare oltre, per continuare a non essere del tutto sinceri con voi stessi.
Dicevamo poco fa che ciò che più conta è essere consapevoli di ciò che si è nel presente, nel qui e ora.
“Ma allora – potreste dire – è inutile cercare le motivazioni, in quanto esse appartengono sempre al passato!»
No, non è così: certo il presente – pur essendo massimamente importante – può essere capito solo attraverso l’analisi del passato, ma ciò deve essere fatto non al fine di perdonare il passato, bensì al fine di superare nel presente le limitazioni del passato che – tenetelo bene a mente – non essendo state risolte a loro tempo esistono ancora nel presente e ne fanno parte. È un po’ come leggere l’ultima pagina di un libro: se non vi è la consapevolezza di ciò che l’ha causata, la pagina che rappresenta il presente non può essere letta con piena comprensione, in quanto la consapevolezza può limitarsi, al massimo, a constatare ciò che quella pagina dice, ma si ferma ad un’esperienza limitata che non è comprensiva della maggiore estensione della consapevolezza che dà il conoscere l’intreccio che ha portato a ciò che su quella pagina è scritto. Così, per quanto possa essere ben scritta, istruttiva o toccante, la pagina non può esserlo tanto quanto lo sarebbe se venisse letta sì nel presente, ma con la consapevolezza di ciò che l’ha portata ad essere situata in quel presente.
È dannoso anche rimuginare – come fanno molti – sulle azioni passate, poiché in questo modo il «qui e ora» viene trascurato, con il solo risultato che, se anche venisse superata un’azione passata trovandone la consapevolezza, nel frattempo sarebbe andata perduta la consapevolezza di molte azioni presenti cosicché – mentre veniva superata l’azione remota – contemporaneamente ne venivano accatastate parecchie altre, peggiorando e non migliorando di certo la situazione.
Esaminate invece ciò che fate e ciò che siete mentre lo state vivendo o subito dopo: ciò basta per trovare lo svincolamento dalle finzioni create dal vostro Io, poiché in continuazione e in ogni «qui e ora», vivete esperienze che vi offrono la possibilità di scoprire voi stessi sotto ogni punto di vista.
Superando un vostro limite nel presente, attraverso il presente, superate anche tutte le volte che lo stesso limite, nel passato, aveva costituito per voi un ostacolo.
Non è poi così difficile come può sembrare, figli cari, smascherare ed arrivare a conoscere il vostro Io; l’importante è riuscire a non farsi convincere da lui stesso a non farlo, è riuscire a non farsi convincere da lui stesso a mentirvi ancora. Certo egli, appena può, vi sfugge, oppure trova mille artifici per celarsi; così usa il vostro corpo e la vostra mente per creare distorsioni e diversivi, ma voi cercate di trovare in voi la consapevolezza che non siete il vostro Io e che ciò che egli usa contro di voi per tenervi soggiogati nell’illusione, può essere usato anche da voi per capire lui e, quindi, sconfiggerlo. Moti

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 84-90, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Conoscenza, consapevolezza e comprensione

d-30x30Conoscenza, consapevolezza e comprensione. Dizionario del

Come abbiamo già visto nel volume precedente le Guide intendono per «comprensione» il momento finale del processo individuale che – sperimentata un’esperienza nelle sue varie sfaccettature – si fissa in maniera definitiva all’interno della coscienza dell’individuo, entrando a far parte di quel grande patrimonio di elementi che l’individualità si porta con sé da un’incarnazione all’altra, via via ampliandolo con l’acquisizione di nuovi elementi di piccola o grande comprensione che vanno gradatamente a completarlo e a precisarlo anche nelle sfumature.

Messaggio esemplificativo

 Talvolta voi pensate che la comprensione si debba precipitare al vostro interno come una valanga inarrestabile, come un’intuizione improvvisa, e non vi rendete conto, invece, che la comprensione arriva dentro di voi – lungo i percorsi che fate singolarmente – goccia dopo goccia, costruendo la vostra coscienza, molte volte senza che neppure la vostra mente cosciente, di incarnati, se ne renda conto.
Comprendere è un processo che accompagna strettamente l’evoluzione in tutti i suoi termini; comprendere è quello che rende viva la vostra evoluzione, è ciò che la giustifica, ciò che dà una motivazione al vostro esistere, al vostro vivere e – perché no? – anche al vostro dolore e alla vostra sofferenza.
Bene, figli, rendetevi conto che la comprensione difficilmente è quella valanga che voi immaginate; che la comprensione difficilmente vi trasformerà, da un momento all’altro, da un essere pieno di dubbi e tormenti ad un angelo radioso ma che, tuttavia, se saprete osservare col vostro Io «nuovo» che si va formando attimo dopo attimo ai ritmi di questa vostra comprensione, guardando indietro dovreste riuscire a rendervi conto che quel «voi» di anche soltanto pochi giorni prima non è più la stessa persona, e questo vi può dare la misura di ciò che – piccolo o grande che sia – voi avete compreso, avete aggiunto al tassello della vostra coscienza, rendendola più completa, più profonda, più ricca di sfumature e, quindi, più capace di comprendere gli altri, di legarsi agli altri, di appartenere a quell’insieme di coscienze che compiono il cammino attraverso il piano fisico.
Certo, la vostra comprensione può arrivare attraverso mille strumenti diversi, può arrivare attraverso un ragionamento, può arrivare attraverso un sentimento, può arrivare attraverso una sofferenza, così come può arrivare attraverso una gioia. Tutti questi elementi sono strumenti che il Grande Disegno ha messo a vostra disposizione per permettervi di crescere e non vi è mai un momento in cui uno di questi elementi lavora al vostro interno da solo, ma tutti tra di loro si fondono, si accrescono l’uno con l’altro; da questo lavorio interno la vostra comprensione cresce.
Questo vi dia fiducia, figli, vi faccia essere ottimisti sul vostro domani, vi faccia affrontare le difficoltà che nel corso della vostra vita incontrate con un occhio diverso da quello che usate solitamente, consapevoli che, comunque sia, l’esperienza che vivrete, anche se magari inaspettata, drammatica e dolorosa, vi porta alla fine a quella perla dall’immenso valore che è una goccia in più di comprensione nella vostra coscienza.


Conoscenza, consapevolezza e comprensione

Come abbiamo già visto «conoscenza», «consapevolezza» e «comprensione» sono le tre fasi di acquisizione di un sentire, attraverso le quali viene inscritto nella coscienza in maniera permanente quello che l’individuo ha tratto dalle esperienze che conduce nel corso dell’incarnazione.

Messaggio esemplificativo

La prima fase che l’individuo attraversa nella scoperta di se stesso è quella che abbiamo definito con il termine conoscenza. Con esso si intende che l’individuo, nel corso delle varie vite, viene a contatto con tutte le motivazioni importanti da riconoscere per la sua crescita interiore ma, poiché non è ancora in grado di osservare con obiettività se stesso e i suoi modi di essere, le vede nelle persone che, di volta in volta, la vita gli mette a fianco.
In questa fase è importante l’influenza dell’Io. Esso, infatti, opera una selezione nelle cose che percepisce negli altri e, quasi sempre, rileva quei difetti che anch’esso possiede, puntando su di essi il dito accusatore in maniera tale da distrarre se stesso e gli altri da ciò che gli appartiene, stigmatizzando ed evidenziando la pagliuzza altrui in modo da apparire superiore e mancante di quello che, sotto sotto, riconosce come un difetto. In questa maniera l’individuo incarnato viene a trovarsi davanti il ventaglio di tutte le proprie non-comprensioni, riconoscendole in coloro che gli stanno attorno, e dal momento che aiutare gli altri, all’occhio dell’Io, è sinonimo dell’essere superiori e più potenti, l’individuo si trova ad esercitarsi sugli altri per cercare di smantellare le loro illusioni. È chiaro che in questa fase l’intenzione non può essere che egoistica: come potrebbe essere altrimenti, dal momento che è pressoché totalmente governata dall’Io?
I primi segnali di una possibile sconfitta dell’Io operata da parte dell’uomo di buona volontà si avvertono nel momento in cui vi è il passaggio alla seconda fase del processo, la consapevolezza.
Acquisita, infatti, la conoscenza delle varie tematiche interiori che lo riguardano più da vicino e personalmente, e del modo in cui sembrano manifestarsi negli altri, l’individuo può senza dubbio fare finta di niente e, per un certo tempo, continuare ad additare gli altri quali esempi di errori e di mal agire, ma, prima o poi, l’esistenza gli porrà davanti un’esperienza talmente lampante ed evidente che farà breccia nella presunzione del suo Io, costringendolo a piegarsi davanti all’evidenza che un particolare moto interiore, che tendeva a rilevare negli altri non gli è sconosciuto ma, anzi, gli appartiene senza alcuna ombra di dubbio. Pensate, per fare un esempio quotidiano, miei cari, a quante volte «bollate» con riprovazione un vostro compagno d’avventura sul piano fisico come presuntuoso e poi vi rendete conto che spesso vi comportate in maniera altrettanto presuntuosa!
Questo passaggio è un momento delicato: mentre nel corso della prima fase vi era un’apparente sicurezza e felicità sotto l’onda della soddisfazione dell’Io di sentirsi migliore degli altri, lo scoprire che si rientra nella mediocre fallacia fa traballare la sicurezza dell’Io con ripercussioni nella sua visione del mondo, facendolo sentire più instabile, più insicuro, più timoroso di ulteriori scoperte che potrebbero danneggiare la sua auto immagine. Se volete un esempio pratico di questa situazione ricordatevi il vostro passaggio dall’età infantile a quella adulta: l’immagine di voi stessi è dovuta, necessariamente, cambiare e avete dovuto abbandonare quella che era un’esistenza, per lo più, priva di responsabilità e felice perché eravate al centro dell’attenzione nel vostro piccolo ambito familiare. Il vostro Io, allora, ha dovuto radicalmente modificare la concezione di se stesso ed ha attraversato quei momenti di instabilità, dovuti al suo cercare di ricostruirsi un’immagine, che viene definita età puberale, nella quale all’Io persino il suo corpo fisico sembra diventare via via irriconoscibile come architettura e come percezioni.
La fase della consapevolezza è, dunque, quella più tormentata e, anche, la più lunga da attraversare perché accompagna tutta l’evoluzione dell’individuo come essere umano, mentre la fase della conoscenza si attua al novanta per cento nelle vite iniziali.
Il discorso si complica allorché si mette in atto la terza fase, quella della comprensione: dopo aver conosciuto le varie problematiche interiori negli altri ed essere giunti alla percezione che esse non ci sono estranee ma che agiscono anche in noi, l’accettazione di esse e la loro spiegazione è a portata di mano cosicché esse arrivano ad essere comprese e, in quanto tali, creano un ordine diverso nel sentire della coscienza, che si struttura in maniera più completa ad ogni comprensione raggiunta.
Come la conoscenza si esplica maggiormente nelle prime esistenze, la comprensione si attua in maniera più serrata verso le ultime esistenze.
Quello che non riuscite a comprendere, in questo discorso, figli nostri, è come mai nel momento in cui avete raggiunto una comprensione non sembrate diversi da un attimo prima. Ma non siete voi a non capire, è il vostro Io che cerca di strumentalizzare anche la comprensione aspettandosi da questi raggiungimenti un miglioramento della sua immagine e, quindi, un accrescimento di autostima. Non può essere così, e per vari motivi.
Prima di tutto perché la comprensione riguarda, solitamente, un aspetto del fattore e non tutto il fattore nella sua totalità (e questo dà ragione del fatto che difficilmente una comprensione raggiunta porta una modificazione radicale del proprio modo di essere). In secondo luogo perché ogni comprensione è collegata a tutte le altre attraverso sfumature in comune, cosicché, se queste sfumature non vengono a loro volta comprese, il comportamento resta incerto e non può modificarsi improvvisamente in maniera sentita. In terzo luogo i vostri corpi inferiori sono stati costruiti sulla base delle non-comprensioni che avevate prima di incarnarvi, cosicché è possibile che non abbiano i mezzi pratici per mettere in atto le nuove comprensioni raggiunte (ad esempio: se prima dell’incarnazione non avevate compreso che anche una carezza è un grande segno d’amore, nel momento in cui vi arriverà la comprensione di questo elemento il vostro corpo astrale potrebbe non essere strutturato per desiderare di manifestare, in questo modo fisico, il vostro amore per un’altra persona). In quarto luogo non è detto che voi vi rendiate conto dei cambiamenti dovuti all’allargamento del vostro sentire: ciò che avete compreso non è più un elemento disturbatore come era quando era non-compreso: fluisce tranquillamente, non vi provoca problemi e, quindi, l’Io non solo non lo ravvisa, ma non ha la necessità di farlo in quanto non costituisce un motivo di allarme per la sua esistenza.
Capiamo, figli e fratelli, le difficoltà insite in tutto questo: al contrario di quasi tutte le religioni vi diamo delle indicazioni etiche che non promettono il paradiso, ma sembra che vi prospettiamo l’idea di darvi da fare per modificare voi stessi col solo effetto di non accorgervi del risultato del vostro sforzo! Ma è l’Io, miei cari, che vi sussurra con furbizia di desistere dal fare, sulla base dell’errata idea di una ricompensa inesistente. La ricompensa esiste, amici, è insita in ogni passo che compite: forse che non è ricompensa abbastanza grande allontanare da voi la sofferenza o, quanto meno, riuscire a renderla meno aggressiva?
E se questo ancora non vi basta, tenete a mente, e serbatelo dentro i vostri cuori, che verrà il giorno in cui, dopo essere stati comparse prima e protagonisti poi, parteciperete alla grande regia che dà forma all’intero manifestato. Baba

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 57-62, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

 

 

Da ricercatore spirituale a monaco

Ricercatore spirituale: colui che indaga sé ed il proprio rapporto con la realtà con il fine della unificazione interiore.
Monaco: colui che ha trovato il proprio approdo, ha riconosciuto le coordinate del proprio procedere esistenziale e spirituale e dedica la propria esistenza all’unificazione interiore attuata in ogni momento del quotidiano e del feriale.
Il monaco ha riconosciuto, perché ho usato questo termine?
Il ricercatore indaga la realtà ed acquisisce elementi di conoscenza, di consapevolezza e di comprensione: quando questi elementi superano una certa massa critica, nella persona matura una consapevolezza nuova, una visione di sé prima non presente.

continua..