In merito alla lotta interiore e all’esperienza della conoscenza

Ho letto il testo di Enzo Bianchi “La libertà nasce dalla lotta interiore“, curiosa perché avevo sentito parlare molto bene di questo monaco, e confesso che a un primo approccio mi è risultato assolutamente incomprensibile e non perché usasse un linguaggio complesso, o i concetti espressi fossero difficili.
Mi sono interrogata riguardo questa sensazione e credo che il problema stia nel fatto che dice tutto e niente, come se l’autore desse per scontate molte cose, usasse le parole nella generalità del loro significato, segno di un dire senza il peso dell’esperienza soggettiva, della responsabilità soggettiva.

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La conoscenza, la consapevolezza, la gratuità, la fiducia

Dice Ivana nel commento al post Desiderare, attendersi, sperare nella preghiera: “Io sento che nessun tipo di preghiera né nessuna forma di meditazione è sufficiente se non affronto la paura di esprimere con autenticità il mio quotidiano vivere; mi accorgo che ogni momento della giornata che sto vivendo mi interroga sul rispetto e sul tradimento di me stessa, e il mio stato d’animo varia in relazione alle azioni che faccio o non faccio”.
Considerazione molto condivisibile. Vivere è innanzitutto fare esperienza e divenire consapevoli: da questo sorge il comprendere e il superamento progressivo del limite.

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Oltre il vedere, la realtà sentita

Normalmente l’umano non vede che un film prodotto, sceneggiato, diretto, fruito a suo uso e consumo.
Trascorre la grande parte delle sue innumerevoli vite all’interno del set, nella cittadella delle produzioni cinematografiche, tra attori e attrici, costumisti, scenografi, truccatrici confliggendo, spesso e volentieri, con il regista, con lo sceneggiatore e, naturalmente, con se stesso.
Non sa di vivere in un teatro di posa, gli stanno bene quello e quella ignoranza. Non di rado è pieno di sé.

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I tempi e le necessità della crescita interiore

Prima scena. L’altro giorno Caterina mi ha mandato un video di suo figlio adolescente mentre annaffia l’orto e canta una canzone popolare. Il ragazzo, come i suoi due fratelli, è stato educato in casa, niente scuola: la madre si è caricata sulle spalle la consapevolezza dell’inadeguatezza della scuola e ha detto: “Li crescerò tra le capre e i libri, tra l’orto e il computer, tra le storie della campagna e la città, tra l’interiore e l’esteriore, secondo i loro tempi e il loro modi”.
Seconda scena. Primi anni ’70, con un amico accompagniamo al porto di Venezia una ragazza tedesca nostra coetanea, conosciuta sul treno durante il viaggio che dalla Germania ci portava in Italia. La ragazza, ventenne, andava in Israele a vivere in un kibbuz.

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Le basi della stabilità interiore

Un genitore fornisce ai figli la piattaforma affettiva, educativa, spirituale, sociale ed economica su cui appoggiare durante tutto il periodo dei loro ripetuti tentativi di costruirsi una manifestazione credibile e sostenibile – ai loro e agli altrui occhi – nel mondo.
Lo stesso dovrebbe fare un insegnante con i suoi allievi: essere colui che crea l’ambiente formativo adeguato affinché ciascuno possa esprimere la ricchezza interiore di cui è portatore, colmando, nel contempo, quei limiti che più possono ostacolarlo nel processo di manifestazione e di realizzazione della propria autonomia di individuo.

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Proteggere le proprie possibilità

Cos’è una possibilità? Ciò che si presenta nel quotidiano, nella ferialità dei giorni, ed anche, ovviamente, nell’eventuale straordinario.
Ciò che viene, che accade, offre una possibilità di esperienza, di consapevolezza, di comprensione, di contemplazione.
Ciò che viene è portato da coloro che abbiamo attorno: il partner, i figli, gli animali di casa, i compagni di viaggio, gli amici, i colleghi di lavoro.

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La conoscenza, la consapevolezza, la comprensione innazitutto

Accogliamo oggi una nuova amica nella nostra comunità, in questa officina esistenziale che ci vede impegnati nel cammino della conoscenza, della consapevolezza, della comprensione.
E’ un passo importante, non verso di noi, non per l’organismo comunitario che comunque si arricchisce di un altro sentire, di un’altra operaia, ma per ciò che significa per la persona che compie la scelta: essa si propone di porre al centro della propria esistenza, insieme alla cura di sé e della propria famiglia, il cammino interiore, la conoscenza di sé, la consapevolezza del proprio operare, la disponibilità ad imparare e, ogni giorno, a cambiare.

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Non difendere e fiducia

Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!

Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.

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imparare

Emozione e apprendimento

Siamo molto attenti a ciò che proviamo, durante le esperienze attiviamo un monitoraggio continuo: le gratificazioni, le delusioni, il grado di simpatia e di antipatia, di approvazione e di rifiuto.
Giudizio ed emozione procedono assieme e sono ciò che ci interessa: non di rado l’altro è solo colui/ei che è funzionale ai nostri processi e lo vediamo poco, lo ascoltiamo anche meno.
Direi che questa è la visione, l’esperienza egocentrica della realtà.
C’è un altro modo di procedere, di sperimentare: focalizzarsi sul processo esistenziale in corso, su quello che ci insegna, sull’imparare.
Questo modo di procedere, di interpretare la realtà, ha bisogno di una lettura simbolica dei fatti, ha necessità di una osservazione attenta dell’altro e delle nostre reazioni ad esso. Ha bisogno, in definitiva, di una consapevolezza lucida del portato della relazione: è qualcosa di molto diverso dall’essere noi il centro, è trarre insegnamento da ogni possibilità che la relazione offre, con al centro la relazione stessa, consapevoli che senza essa, e senza l’altro che in essa si presenta, nulla potremmo.
Quindi l’accadere non ha senso per ciò che ci permette di provare emotivamente, cognitivamente, ma per la possibilità di apprendimento che ci dischiude.

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