Proteggere le proprie possibilità

Cos’è una possibilità? Ciò che si presenta nel quotidiano, nella ferialità dei giorni, ed anche, ovviamente, nell’eventuale straordinario.
Ciò che viene, che accade, offre una possibilità di esperienza, di consapevolezza, di comprensione, di contemplazione.
Ciò che viene è portato da coloro che abbiamo attorno: il partner, i figli, gli animali di casa, i compagni di viaggio, gli amici, i colleghi di lavoro.

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La conoscenza, la consapevolezza, la comprensione innazitutto

Accogliamo oggi una nuova amica nella nostra comunità, in questa officina esistenziale che ci vede impegnati nel cammino della conoscenza, della consapevolezza, della comprensione.
E’ un passo importante, non verso di noi, non per l’organismo comunitario che comunque si arricchisce di un altro sentire, di un’altra operaia, ma per ciò che significa per la persona che compie la scelta: essa si propone di porre al centro della propria esistenza, insieme alla cura di sé e della propria famiglia, il cammino interiore, la conoscenza di sé, la consapevolezza del proprio operare, la disponibilità ad imparare e, ogni giorno, a cambiare.

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Non difendere e fiducia

Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!

Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.

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imparare

Emozione e apprendimento

Siamo molto attenti a ciò che proviamo, durante le esperienze attiviamo un monitoraggio continuo: le gratificazioni, le delusioni, il grado di simpatia e di antipatia, di approvazione e di rifiuto.
Giudizio ed emozione procedono assieme e sono ciò che ci interessa: non di rado l’altro è solo colui/ei che è funzionale ai nostri processi e lo vediamo poco, lo ascoltiamo anche meno.
Direi che questa è la visione, l’esperienza egocentrica della realtà.
C’è un altro modo di procedere, di sperimentare: focalizzarsi sul processo esistenziale in corso, su quello che ci insegna, sull’imparare.
Questo modo di procedere, di interpretare la realtà, ha bisogno di una lettura simbolica dei fatti, ha necessità di una osservazione attenta dell’altro e delle nostre reazioni ad esso. Ha bisogno, in definitiva, di una consapevolezza lucida del portato della relazione: è qualcosa di molto diverso dall’essere noi il centro, è trarre insegnamento da ogni possibilità che la relazione offre, con al centro la relazione stessa, consapevoli che senza essa, e senza l’altro che in essa si presenta, nulla potremmo.
Quindi l’accadere non ha senso per ciò che ci permette di provare emotivamente, cognitivamente, ma per la possibilità di apprendimento che ci dischiude.

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Tutti procediamo assieme collaborando, cooperando, condividendo

Potremmo imparare qualcosa senza l’altro da noi?
Potremmo divenire persone diverse e migliori se non incontrassimo tutti i giorni qualcuno di diverso da noi che ci svela nei nostri limiti, che si svela nei suoi, che a volte ci è di esempio positivo, altre negativo?
Potremmo respirare senza l’aria?
Potremmo mangiare senza l’orto e chi lo coltiva?
Potremmo conoscere la dolcezza di un bambino che ci chiama se non avessimo aperto la nostra vita a lui?
Potremmo vedere il nostre egoismo se non incontrando qualcuno che ci chiede qualcosa?
Tutta la nostra vita è il frutto gratuito della relazione: sebbene noi si sia dato un prezzo ad ogni cosa, molte ancora sfuggono alla nostra ossessione di dividere, catalogare, valutare, giudicare. Non si compra, non si vende la possibilità di imparare.
Se osserviamo attentamente, quello che ci conduce nella vita è la possibilità di apprendere e trasformarci attraverso la relazione con ciò che ci è prossimo: dall’insalata che mangiamo, al nostro partner, al nostro collega di lavoro.
Abbiamo eretto su di un piedistallo la competizione, il giudizio, l’affermazione e non vediamo quanto essi avvelenino il nostro animo.
Non vediamo l’evidente: non si può procedere che assieme.
Se osassimo aprire gli occhi su questo, le nostre parole d’ordine diverrebbero: collaborazione, cooperazione, condivisione. Nella vita personale come in quella sociale.

Immagine da http://www.enghea.org/wordpress/?p=1604


L’importanza dei si e dei no ricordando che al centro c’è la possibilità di comprendere

Un’amica lamenta una parente che, pur non pagando l’affitto, al sette del mese ha già finito lo stipendio e bussa chiedendo soldi. La situazione è reiterata e per questo più faticosa.
Molti di noi hanno vissuto, o vivono, situazioni di questo genere e si sentono giustamente intrappolati.
Non voglio discutere di cosa vada fatto in simili situazioni, ma della sfida che si apre.
Sappiamo che troppi si creano nell’altro, a volte, un malcostume interiore; sappiamo che i no sono dolorosi e vanno motivati; ma per noi, la decisione da prendere che cosa comporta?
Che si dica sì o si dica no, dobbiamo necessariamente interrogarci sulla nostra motivazione, su quello che dal nostro punto di vista è il bene dell’altro, sul rapporto stesso con l’altro.
In questa interrogazione possiamo vedere i nostri egoismi, le nostre pretese e giudizi, le nostre arroganze e le nostre sudditanze: possiamo vedere un mondo, il nostro prima che quello dell’altro.
Alla fine, che noi si sia detto si o no, comunque avremo imparato dal processo vissuto.
Che cosa avremo imparato? Ad osservarci, ad interrogarci, a decentrare il punto di vista, a gestire la rabbia e la frustrazione, ad imporci, a piegarci.
Mille aspetti avremo visto di noi e dell’altro e, di certo, a processo terminato saremo diversi.
Sarà finalmente cambiata la situazione? Non necessariamente, dipende da molti fattori il principale dei quali è: abbiamo finito di apprendere da quella scena?

Immagine da:http://goo.gl/JhSif6


La natura della trascendenza, l’esperienza della disconnessione, l’equivoco della meditazione

Chi trascende che cosa?
Io trascendo il mio limite? Lo vedo, ne sono consapevole e poi? Appoggio la consapevolezza su altro? Mi focalizzo sul respiro, sulle sensazioni, su un contenuto concettuale, sapienziale, spirituale?
Prendo atto che il limite esiste: basta così?
Oppure osservo quel limite e cerco di imparare da quello che mi porta, che mi induce a fare, ad essere?
Se osservo ed imparo, inizia il cammino del capire che conduce all’essere consapevole e sfocia nel comprendere.
Se osservo e basta, che cosa inizia? Una disconnessione. Ma la disconnessione se non è legata all’analisi dell’insegnamento che quel limite porta, è semplice rimozione: vivo una vita di pratica della meditazione, della contemplazione – entrambe incernierate sulla disconnessione – e in me cambia poco, pochissimo.
Se la disconnessione non è associata in modo indissolubile alla via del “conosci te stesso” è pura rimozione.
Se la meditazione è solo pratica dell’adesso non germoglia in altro, se non in modo residuale.
Se la meditazione cammina assieme all’insegnamento che sorge dalla pratica del limite, fiorisce in contemplazione.
La contemplazione esiste solo nel ventre dell’immanente: nell’adesso illuminato dalla conoscenza, dalla consapevolezza, dalla comprensione fiorisce la scomparsa del soggetto che conosce, che è consapevole, che comprende.
Ha un senso la pratica della meditazione? Si, se è integrata nel complesso processo del conoscere, essere consapevoli, comprendere.
Si, se è integrata in un paradigma, in una lettura della realtà personale e sociale.
Ha senso relativo quando è consumata come esperienza tra esperienze, disgiunta dal processo di conoscenza-consapevolezza-comprensione, praticata per rilassarsi, concentrarsi, divenire efficienti.
In altri termini, ha funzione relativa tutte le volte che viene utilizzata e vissuta in un’ottica mondana e utilitaristica.
Un esempio. Anni fa tenevo delle meditazioni guidate tutti i sabati; venivano diverse persone e tornavano a casa rilassate e centrate: mi sentivo un bancomat del benessere, ho smesso.
Non mi interessava, non mi interessa far star bene le persone, mi interessa dare il mio minuscolo contributo perché possano trasformare se stesse e le proprie vite e questo non necessariamente avviene “stando bene”.

Immagine da: http://goo.gl/swaFVl


La stabilità affettiva ed economica nel cammino spirituale

Non siamo eroi ma piccole persone che necessitano di una piattaforma stabile su cui muovere i propri passi interiori.
La nostra vita affettiva deve tendere alla stabilità, le turbe del corpo emozionale e mentale devono essere limitate e questo in genere è garantito da un rapporto affettivo maturo e stabile, o dalla condizione di singletudine.
Lo stesso si può dire per le condizioni economiche: una preoccupazione continua, o frequente agita l’identità e le impedisce la focalizzazione su qualcosa di più profondo.
Ciò che perseguiamo nella via spirituale è un ampliamento di sguardo e di consapevolezza: le tensioni emotive e mentali indotte dai conflitti interiori, dalla instabilità nei rapporti affettivi, dalla indisponibilità di reddito ci distolgono da quello sguardo e ci focalizzano sui bisogni primari dell’identità.
E’ possibile la stabilizzazione affettiva ed economica? Ci si può lavorare, si può attivare un processo che ad esse conduce: se la persona è consapevole della propria necessità interiore, se questa ha fondamento e concretezza, a partire da questa disposizione di fondo tutto il resto verrà ordinato.
Perché? Perché il bisogno spirituale è uno “stato della coscienza” ed è questa che genera tutte le scene della vita: se la persona mette al centro la dimensione della coscienza il resto si ordinerà affinché la priorità di quel centro possa essere mantenuta stabile.

Immagine da: http://www.centrocoscienza.it/