Onestà verso sé e coscienza

d-30x30Onestà. Dizionario del

Essere onesti non è certamente una cosa semplice da attuare, in maniera particolare nei propri confronti: sotto la spinta del nostro Io che vorrebbe essere perfetto e che tende a considerarsi il «meglio del meglio» facilmente perdiamo obiettività su noi stessi e sulle nostre intenzioni nell’agire di tutti i giorni.
Non ci vengono neppure molto in aiuto le regole della società in cui viviamo: malgrado le regole etico/morali siano tutte codificate nella concezione corrente di onestà è comune modo di pensare che il disonesto è riprovevole in particolar modo quando viene scoperto, altrimenti, sovente, è dichiarato, quasi con un’ombra di ammirazione, «furbo».
Il fatto è – ci dicono le Guide – che non dobbiamo valutare la nostra onestà sul metro di ciò che ci è esterno, bensì sui parametri dettati dalla nostra coscienza.
Chi ha davvero compreso cosa significhi veramente essere onesto lo sarà sempre e comunque, che gli altri lo riconoscano o meno, e non metterà mai in atto quei compromessi che così facilmente siamo in grado di escogitare per trovare giustificazione ai nostri comportamenti, spesso veramente difficili da giustificare.

Messaggio esemplificativo (1)

Eh già, creature; voi vi guardate attorno, restate a volte perplessi, a volte scioccati, a volte disgustati nel vedere la disonestà altrui. Nobili sentimenti, giusti; però… però… però… Nel corso di questi anni di insegnamento abbiamo fatto dell’intenzione uno dei cardini del nostro parlare, facendo risalire a questo aspetto dell’interiorità dell’individuo tutte le dinamiche che possono essere giustificate o meno nel comportamento dell’individuo stesso e, semplificando, abbiamo asserito che l’intenzione altruistica giustifica un’azione che apparentemente può sembrare egoistica, in quanto è chi osserva che può vedere l’egoismo in un’azione, ma in realtà chi compie l’azione può mettere in moto il suo agire spinto da un’intenzione benevola e altruistica. Ricordate questa parte dell’insegnamento? Un Maestro di secoli fa diceva, predicando: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Bene, creature, voi che siete giustamente pronti ad offendervi per la disonestà altrui, chi tra di voi in realtà è disposto a scagliare veramente una pietra? Chi tra di voi pensa davvero di essere onesto, quanto quelle persone che giudica e che critica non sono? Pensateci un attimo e poi chi tra di voi si sente onesto me lo dica, in modo da rallegrare questa serata.
C’è differenza tra ammazzare una persona o ammazzarne due?
Rubare una mela o rubare un diamante, cambia qualcosa?
No, non c’è diversità per il semplice fatto che, come abbiamo sempre detto, quello che voi vedete e vivete in realtà è un’illusione, e non è che abbia poi grande valore. Quello che conta è ciò che vivete voi all’interno, nella vostra coscienza; è quindi la vostra intenzione quella che conta, non l’azione che compite, non i risultati dell’azione che compite.
Questo è uno dei principali corollari dell’insegnamento. Tutto quello che accade, accade per voi; per farvi comprendere. Il problema è che voi aspettate sempre che siano «gli altri» a comprendere, pensando che ciò che accade agli altri accade soltanto per quelle persone mentre invece, se voi lo notate, in realtà accade per voi; perché voi in quella cosa dovete trovare qualche cosa per allargare il vostro sentire.
Senza dubbio le azioni disoneste che tutti voi, uno per uno compite, possono avere una ripercussione maggiore o minore nel mondo in cui vivete, sulle persone che vi circondano, sugli ambienti, e via e via e via, però – ripeto – non è quello che è importante; non dovete fermarvi su quell’aspetto della cosa, dovete fermarvi invece sul fatto che «voi» avete compiuto quell’azione e che quindi siete responsabili di quell’azione. Anche se gli altri non si accorgessero mai della vostra azione disonesta, ciò non toglie che voi interiormente l’azione l’avete compiuta. Se nessuno vi vedesse rubare, non per questo voi non sareste ladri! Vero? Quindi il fatto di essere ladri non è una cosa che è ratificata, sottoscritta e decisa dal fatto che gli altri scoprano il vostro furto, ma dal fatto che voi avete compiuto l’azione con l’intenzione di rubare e – ripeto – che rubiate un’arancia o rubiate un diamante l’intenzione è sempre la stessa; è soltanto la manifestazione poi nel mondo fisico, chiaramente, che cambia.
Motivazione e intenzione in gran parte si può dire che coincidano, come concetto. Certamente se tu rubi perché i tuoi figli stanno morendo di fame, per dar loro da mangiare perché non riesci a trovare un altro modo di sfamarli (anche se è abbastanza difficile che ciò accada perché, se uno vuole sfamare i figli, in qualche modo col sudore della fronte solitamente ci riesce; magari non dando loro caviale, ma dando loro patate!) tuttavia in questo caso allora l’intenzione di un furto potrebbe essere non dico giustificata al cento per cento ma quanto meno avere interiormente – di fronte al giudizio, di fronte a se stessi, che è quello poi che conta in realtà nel seguito dell’evoluzione dell’individuo – avere un peso diverso di un’azione compiuta in un altro modo, con un’altra motivazione.
Ipotizziamo (è un caso abbastanza reale) che un’azienda di trasporti aumenti i costi dei biglietti. Sappiamo benissimo che molte linee di trasporti hanno sperperato denaro pubblico. Se io non pago il biglietto e quindi risparmio mille lire e poi ne regalo duemila al povero che trovo sulla strada, ho rubato?
Io direi di sì, perché ritorniamo allo stesso punto: il fatto che chi ha predisposto quell’esosità del biglietto non autorizza ad andare contro una legge accettata, ritenuta giusta e valida se il prezzo fosse stato inferiore, e certamente non è una compensazione dare poi le duemila lire a un povero! Diventerebbe un po’ come l’assoluzione o le preghiere date in confessione per assolvere i peccati dell’individuo. Una specie di ricatto morale nei confronti della divinità, in fondo!
Se accetti di vivere in una società e accetti le sue leggi allorché ti sembrano giuste, il fatto che un particolare poi venga variato da individui disonesti non fa sì che le leggi diventino ingiuste! Fa sì soltanto che certi particolari individui le applichino in modo sbagliato, e non è evadendo la legge che compensi o ritorci qualche cosa contro quelle persone. Vi sembra? Anche perché un comportamento del genere alla fin fine si ripercuoterebbe come minimo sulle persone che devono prendere gli stipendi e che vi servono, così come voi servite per pagare la loro vita, il loro lavoro.
Sappiamo benissimo tutti che quello di moralità è un concetto molto relativo. Molto relativo perché dato dalle abitudini, dalle tradizioni, dai costumi, dal tipo di legge che viene promulgata, e via e via e via. La moralità, sotto un certo punto di vista, è anche poco definibile perché – volendo parlare in termini razionali e logici, aderenti all’insegnamento che abbiamo portato avanti fino a questo punto – la persona morale è quella che segue il proprio sentire, in quanto, seguendo il proprio sentire, è in pace con se stessa. Giusto, no? La persona morale non può che essere in pace con se stessa, tuttavia voi sapete che non vi sono due individui con la stessa evoluzione.
L’individuo non nasce già completamente evoluto, col suo corpo della coscienza strutturato, per cui commette molti errori, ha bisogno di imparare e quindi la morale varia già da individuo a individuo, quindi immaginiamoci da società a società! Si arriva, alla fine del discorso, ad affermare che una vera società morale difficilmente può esistere proprio per il fatto stesso che all’interno della società sono incarnate individualità che hanno evoluzioni differenti e quindi morali differenti.
Allo stesso modo è ben difficile che possa esistere una società veramente equa per tutti, se non forse all’ultima ondata di vita all’interno di un pianeta, all’ultimo scaglione di incarnazioni su un pianeta, finito il quale il pianeta ritornerà ad essere un enorme sasso senza vita.
Allora, in quel caso, quest’ultimo scaglione avrà raggiunto un’evoluzione tale per cui gran parte di quelli rimasti saranno quasi alla fine della ruota delle nascite, avranno quasi perfettamente strutturato il loro corpo akasico, non avranno tra di loro i primi incarnati della razza successiva e quindi più indietro come evoluzione, indietro quindi anche come morale, e avranno la possibilità di creare una società molto più equilibrata e molto più morale di quelle che l’hanno preceduta. Fa parte insomma dell’ultima fase della vita di un pianeta. Scifo

Come si può sviluppare meglio il sentire, allora, a proposito di questa presa di coscienza di onestà morale?
Compiere quell’opera è nel contempo facile e grandemente difficile, figli cari. Imparare ad essere onesti significa senza dubbio imparare a tener conto dei bisogni altrui, significa osservare se stessi e vedere se stessi di fronte alla realtà, alla realtà fisica in cui vi trovate immersi, significa non aspettarsi che siano gli altri a diventare onesti ma lavorare affinché il proprio intimo arrivi a comprendere che ciò che si possiede è già abbastanza, che ciò che si può dare è molto, perché tutti i doni che voi possedete non vi sono stati dati per tenerli chiusi nelle vostre mani ma per distribuirli attorno a voi; significa riuscire ad identificarsi con gli altri che sono attorno, riuscire a comprendere che se voi avete dei problemi e cercate di risolverli in modo disonesto, questo modo disonesto si ripercuote sugli altri facendo sì che i loro problemi non possano da essi stessi venire risolti; significa quindi domandarsi: «Se gli altri così facessero, io come mi sentirei?»; significa essere in grado di mettersi nei panni degli altri per riconoscere nel loro sguardo ciò che noi siamo; significa arrivare piano piano, lentamente, sbagliando – questo senza dubbio – ma con coraggio, ad affrontare se stessi osservandosi, e cercare di migliorare senza pretendere che siano gli altri a cambiare per noi, ma cercando in tutti i modi possibili di essere noi a cambiare per gli altri, rendendoci conto che, cambiando per gli altri, di conseguenza – come estremo passo logico e inevitabile – cambieremo anche per noi stessi. Non è facile certamente tutto questo, ma tutto questo è quello che dà la risposta ad una domanda che è sempre nelle vostre menti ed alla quale difficilmente riuscite a trovare una soluzione che vi soddisfi fino in fondo. La domanda è: «Perché siamo qua, perché viviamo, perché portiamo avanti le nostre vite all’interno di questo pianeta che molto spesso ci sovrasta con necessità e bisogni che ci fanno soffrire?» Rodolfo

E poi pensate un po’ alla disonestà! Per che cosa si è disonesti di solito? Forza, sentite voi, voi che siete così esperti in disonestà, piccole e grandi, ditemi – secondo voi – per cosa avete fatto i vostri fatti disonesti? In linea di massima per ottenere qualcosa, per avere qualcosa. E questo qualcosa – pensateci bene – il più delle volte in cosa si traduce? Si traduce in un credito nei confronti degli altri, in un vantaggio di qualche tipo, in un possedere qualcosa di più. E allora io mi faccio la cassaforte con i lingotti d’oro, i biglietti da visita con i diamantini sopra, la carta igienica tempestata di smeraldi (difficile da usare, quella; lo riconosco, ma non mi viene in mente altro in questo momento), diciamo di seta cinese (così va meglio!), e via e via e via direbbe Scifo, per avere ancora di più. Ancora di più! Pensate quante cose volete! Prima Rodolfo diceva che avete già tanto, che vi è stato dato tanto e questo tanto non vi è stato dato per tenerlo stretto, ma per dividerlo con gli altri quando c’è la necessità e il bisogno, eppure voi vi lamentate in continuazione .. e pagate troppe tasse, e il biglietto dell’autobus è aumentato, e il giornale costa caro, e il caffè è aumentato di ben 100 lire tutte in una volta e invece di prenderne 5 vi tocca prenderne 4 al giorno, e le sigarette guarda come sono aumentate e adesso come faccio a farmi venire un cancro! Tutte queste belle cose, e poi andate nelle vostre povere e miserabili case, vuote di tutto, e vi annoiate tremendamente, e non sapete che televisione guardare: se quella in sala, quella in cucina, quella nello studio, e non sapete se guardare un film comico, una videocassetta, una registrazione teatrale o un concerto; non sapete quale di quei 17 libri che avete lì, che avete comprato in un momento di crisi depressiva e tutti vi attirano, ma nessuno poi vi attira in modo particolare, e allora «Ma che noia in questa casa! Non ho proprio niente! Mi ci vorrebbe qualcosa di diverso: un cioccolatino!
Per comprare questo cioccolatino cosa fate? Andate fuori e imbrogliate qualcuno perché almeno trovate quelle 1000 lire per comprarvi il cioccolatino! Anni e anni fa c’è stato un bellissimo messaggio di Viola che parlava di quello che uno ha o quello che uno non ha, e diceva, molto più o meno: «Vi lamentate sempre che vi mancano tante cose, ma se voi dimezzaste le cose che già possedete in casa, e poi le dimezzaste ancora e poi le dimezzaste ancora, quello che resta sarebbe ancora più che sufficiente per garantirvi una vita dignitosa».
Pensateci, se non è vero! Quante cose in più avete in casa? Basta che apriate uno dei vostri armadi: quante camicie, quanti vestiti, quante gonne, quante scarpe, quanti calzini, ecc. ecc. ecc. possedete, e magari poi mettete sempre gli stessi?
Certamente la vita bisogna viverla perché se no non sarebbe stata data, però uno dice: «Bisogna viverla e allora, se si vive, se si è disonesti, sembra un po’ il serpente che si morde la coda, si continua a girare in circolo». No non è vero, perché se tu ti osservi, stai attento a quello che fai anche nel momento in cui fai l’azione disonesta che il più delle volte per l’individuo che la compie non è disonesta, intendiamoci eh! Mentalmente è giustificata da un milione di motivi, questo non dimenticatevelo, eh! Voi pensate che quel signore della cassaforte coi lingotti non avesse delle giustificazioni, dei motivi mentali per cui faceva tutto quello? Magari aveva già pensato che, nel momento in cui moriva e non aveva più bisogno di tutta quella roba, l’avrebbe lasciata ad un orfanotrofio e quindi lo faceva per quei poveri orfani! Voi siete e siamo stati anche noi, specialisti nel trovare delle scuse per giustificare il proprio operato! Ed è li che c’è il punto importante: sapendo che siete e siamo tutti così pronti a trovarsi queste giustificazioni, allora cerchiamo di osservarci quando compiamo l’azione.
Cerchiamo di osservarci e di eliminare queste giustificazioni, che basta un’osservazione leggermente più accurata per dimostrare quanto siano sciocche e pretestuose per quello che si compie. E allora un po’ alla volta, con l’esperienza, osservando quello che si compie, il corpo akasico riesce a comprendere quali sono le cose giuste da farsi e quelle da non farsi, e quindi un po’ alla volta l’onestà – che è poi dal corpo akasico che parte – da quel sentire del corpo akasico arriverà veramente ad essere unita in tutte le sue parti, in tutti i suoi frammenti e l’individuo comincerà ad essere sempre meno disonesto fino a diventare veramente un santo. Zifed

Infine, figli, ancora una volta non possiamo fare altro che esortarvi non a fare i rivoluzionari, non a combattere contro i mulini a vento, non a diventare delle piccole bombe all’interno del sistema, ma a cambiare, impegnandovi fino in fondo, ciò che voi siete; perché, se è vero che la società è lo specchio delle persone che la compongono, voi fate parte di quella società e anche voi avete le vostre buone responsabilità per come la società è diventata. E allora ricordate che il vero cambiamento non parte mai dall’alto per arrivare in basso, non vi è mai stato un cambiamento buono, utile e positivo che venga deciso da chi comanda e che poi abbia portato dei benefici duraturi alla base della società. I veri cambiamenti sono quelli che partono dalla base, e la base della società non è il popolo ma è l’individuo. Ricordate perciò che l’unico vero modo per modificare le cose è che tutti gli individui cambino, ognuno per se stesso, senza guardare se e quanto stan cambiando gli altri, ma accontentandosi di osservare e comprendere se e quanto egli stesso sta cambiando. Soltanto in quel momento veramente vi sarà la possibilità di creare non un’utopia ma una società quanto meno accettabile e che garantisca i principali diritti a tutti gli individui che la compongono.
Questa non è una speranza, non è un augurio, non è un’imposizione; è una consapevolezza del fatto che è ineluttabile che ciò sia perché rientra nella stessa logica dell’evoluzione che questi fatti accadano, e che da questi fatti ognuno di voi – uno per uno – tragga la comprensione per farli mutare in qualcosa di positivo. Moti

1  L’Uno e i molti, Vol. IV, pag. 33 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Maschere, coscienza, Io

d-30x30Maschere. Dizionario del

La maschera è semplicemente un atteggiamento, il modo in cui ci si pone di fronte alla realtà che si va ad affrontare. Questo cosa significa? Significa che, volendo analizzare le maschere personali, si può notare che vi sono maschere utili, maschere meno utili, maschere che hanno un effetto positivo e maschere che hanno un effetto negativo; però la maschera in se stessa non ha alcuna connotazione, è semplicemente un modo di porsi dell’individuo di fronte all’esperienza quotidiana che si trova a dover attraversare. Ovviamente, la maschera non è una cosa concreta, ma è un risultato, un effetto, qualche cosa che l’individuo si trova a mettere in atto – da cui il fatto di riferire la maschera all’atteggiamento – sotto le varie spinte che riceve dall’interno e dall’esterno, cioè sotto le spinte che riceve dalla sua coscienza e le spinte che riceve dall’esterno e dall’esperienza che sta facendo all’interno del piano fisico. In una certa misura, può essere considerata l’aspetto visibile dell’Io dell’individuo. Si può quindi considerare la maschera come la facciata dell’Io nel momento in cui l’Io si trova a sperimentare la realtà fisica.
Ma attenzione: la maschera non è semplicemente un frutto dell’Io, pur essendo ad esso direttamente correlata e, proprio come era stato detto dell’Io, può denotare quello che non si è compreso ma può anche denotare quello che in realtà si è compreso, poiché tutto nella realtà ha sia un aspetto positivo che un aspetto negativo. Esistono, quindi, delle maschere che vengono messe dall’individuo – vuoi consapevolmente, vuoi inconsapevolmente – le quali possono avere un’origine molto positiva.
Voi direte: «Però, comunque sia, la maschera – per concetto stesso – è un coprire se stessi, un non mostrarsi così come si è; giusto? Quindi sembra, ragionandoci un attimo, che la maschera non sia mai positiva, perché impedisce all’individuo di essere ciò che veramente è!». Questo è fermarsi alle apparenze, creature, perché l’individuo molto evoluto, ad esempio, che si impone un certo tipo di comportamento per aiutare un altro, quest’individuo si mette, sì, una maschera diversa da ciò che veramente è, però è una maschera creata sotto la spinta della sua comprensione, della sua coscienza; è quindi una maschera che ha un’origine positiva, non un’origine negativa; copre, ma copre una realtà che l’altro non potrebbe comprendere; e allora, per far sì che vi possa essere un rapporto tra le due persone, la persona con una certa evoluzione è costretta magari a limitare se stessa, limitando il proprio modo di essere, di sentire, di rapportarsi con la realtà, in modo tale da poter interagire con l’altro, altrimenti, diventerebbe per l’altro magari l’immagine del santone irraggiungibile, con il quale è impossibile interagire e, tuttalpiù, ci si può affidare per chiedere una grazia, ma non si riesce ad avere uno scambio e, quindi, a crescere dinamicamente.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

Le sollecitazioni interiori e la volontà

Sorgono dall’intimo sollecitazioni di varia natura e coinvolgono gli ambiti più diversi dello sperimentare, attivate dal richiamo di un certa situazione, di determinate sensazioni ed emozioni, di certe fantasie e fascinazioni.
Sorgono come sussurri, sottotraccia, con una spinta lieve eppure evidente e persistente: da dove provengono?
E’ un argomento affrontato tante volte e ci ritorno perché mai è esaurito e mai un umano finisce di confrontarsi con quelle spinte che lo attraversano.
Abbiamo detto in passato che possono sorgere da comprensioni non completate, che dunque abbisognano di un approfondimento, come possono derivare da un moto proprio e residuale dell’identità, da abitudini, ad esempio.

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Il lutto della mente nella via spirituale

Mi dice un’amica e sorella in questo cammino, di come le sia cambiato l’umore da quando pratica senza sosta la disconnessione, il ritorno a zero, al presente che accade: la pervade uno stato di neutralità con l’umore mai acceso, ma piuttosto colorato da una lieve malinconia e apatia.
E’ una condizione che ben conoscono le persone che hanno una lunga confidenza con la via interiore e spirituale e che accomuna tutti coloro che coltivano senza sosta la consapevolezza del presente e, con essa, l’incessante disconnessione dal contenuto mentale ed emozionale e dall’identificazione con ciò che accade.

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Ascolto, osservazione, abbandono e marginalizzazione di sé

E’ questo il passaggio, o per lo meno l’inizio, di una inversione (radicale) dal “protagonismo” egoico  ( le esperienze di unificazione, le vedo sempre più in questa prospettiva: corroborano il desiderio di centralità dell’io, esse dicono “guarda quanto sono profondo ed elevato”) alla marginalizzazione proprio di questo “protagonismo”?
Questo chiede Leonardo nella sezione Domande e Risposte del sito.
E’ un lungo processo di marginalizzazione quello che inizia una volta che in noi si sono create le basi di una stabilità.

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Senso di colpa, secondo il Cerchio Ifior

d-30x30Senso di colpa. Dizionario del

Sensazione interiore di aver commesso delle azioni o omissioni che hanno provocato danni o problemi a se stessi o agli altri.

Messaggio  esemplificativo

 Io vorrei occuparmi del «vero» senso di colpa, quello che non nasce da influenze più o meno esterne all’individuo ma che nasce, invece dalla sua interiorità.
Nel corpo akasico non esistono «se» e «ma» e «forse», il corpo akasico è più realista del re ed in esso hanno posto soltanto le certezze: fino a quando una certezza non è stata raggiunta in maniera definitiva non è entrata veramente a far parte del corpo akasico dell’individuo.
Voi vi chiederete: «Come fa il corpo akasico a essere certo di essere nel giusto»?
Lo abbiamo già detto in precedenza ma vale senz’altro la pena ripeterlo: il corpo akasico non pensa ma lavora in termini di sentire, di vibrazioni di sentire. È come un direttore d’orchestra che senta suonare tanti strumenti a lui collegati e cerchi di farli suonare perfettamente in accordo con una musica che sente suonare esternamente a se stesso e che «sente» essere perfettamente giusta. Questa musica esterna è costituita dalle vibrazioni emesse in continuazione dagli archetipi permanenti e la certezza della comprensione giusta il corpo akasico la ricava nel momento in cui la vibrazione tipica di quella comprensione diventa indistinguibile dall’analoga vibrazione che appartiene a un archetipo transitorio.
Capisco che vi possa sembrare che tutto questo mio discorso con il senso di colpa non c’entri poi molto, ma non è così, miei cari!
Se guardate il vostro passato vi accorgerete di aver fatto più di una volta delle azioni terribili: tuttavia non tutte vi hanno provocato, poi, dei veri sensi di colpa.
Questo perché gli errori fatti erano causati da un’incomprensione: certamente ci si può sentire in colpa se, inavvertitamente, si fa del male a un’altra persona ma il senso di colpa che ne deriva è un senso di colpa che influirà molto relativamente su di voi. Pensate al bambino piccolo: se rompe un oggetto piangerà perché l’oggetto non è più come lo voleva o a seguito delle reazioni del possessore dell’oggetto che, magari, lo sgriderà per averlo rotto, ma il suo senso di colpa finirà lì, nelle reazioni immediate del suo Io alla situazione. Questo accade perché il bimbo non ha ancora acquisito se non in minima parte i collegamenti con tutto ciò che riguarda l’akasico (ovvero la sua coscienza e gli stessi archetipi, sia transitori che permanenti).
Quelli che, invece, costituiranno un macigno per la vostra coscienza saranno i sensi di colpa conseguenti a un’azione che sapevate di dover compiere in maniera diversa e che invece, sotto l’influenza del vostro Io, avete compiuto in maniera sbagliata.
Nel momento in cui il vostro Io non vi sovrasterà più con le molteplici invenzioni che riesce a creare per giustificare il vostro comportamento e il suo «sbagliare sapendo di sbagliare», in quel momento il senso di colpa affiorerà alla vostra coscienza.
E già, creature: sono distinguibili due diversi momenti nell’influenza che il senso di colpa ha su di voi e sulla vostra vita: c’è infatti una prima fase in cui la vostra coscienza si accorge che ciò che state facendo è sbagliato e non riesce ad arrivare al vostro Io per impedirgli di commettere l’errore e c’è la seconda fase in cui l’errore è stato compiuto e, finalmente, il vostro corpo akasico riesce a renderne consapevole anche la vostra coscienza di individui incarnati.
A quel punto il senso di colpa che, prima, aveva lavorato sotterraneamente, disturbandovi in mille modi diversi (dalle ansie, alle paure, alle fobie, agli psicosomatismi), adesso viene a galla nella vostra consapevolezza e vi trovate di fronte alla realtà del vostro agire.
È in questo preciso momento che si dovrebbe inserire uno degli insegnamenti che più spesso vi abbiamo citato negli ultimi tempi: «non lasciatevi sovrastare dai sensi di colpa».
Con queste parole non abbiamo mai inteso dire che dovete mettere da parte i vostri sensi di colpa con una scrollata di spalle o qualcosa del tipo: «Be, ormai è fatta» bensì che dovete prendere atto dell’errore fatto e, approfittando della presa di coscienza raggiunta, operare al vostro interno per comprendere al meglio possibile il vostro errore in maniera da non commetterlo più.
Ciò che, invece, l’uomo incarnato tende a fare è colpevolizzarsi per gli errori fatti e rende questa colpevolizzazione un motivo di immobilismo che, magari, appaga il suo senso di autopunizione, ma, comunque, non serve a migliorare la situazione per quanto riguarda la comprensione.
In ultima analisi il senso di colpa può essere considerato alla luce della legge dell’ambivalenza: se da un lato danneggia l’individuo limitandolo nella conduzione di una vita serena, dall’altro lo aiuta sventolandogli sotto il naso le bandierine di allarme e gridandogli a gran voce che, con un po’ di buona volontà e sincerità con se stesso, può arrivare a comprendere fino in fondo ciò che aveva, evidentemente, compreso solo in maniera parziale o, quanto meno, in una maniera che non teneva conto di sfumature meno trascurabili di quanto potevano apparire. Scifo

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 45-47, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Censura e meccanismi di difesa

d-30x30Censura e meccanismi di difesa. Dizionario del Cerchio Ifior

Le Guide hanno parlato a lungo di psicoanalisi e delle teorie freudiane, chiarendo i molti equivoci e le eccessive speranze riposte nella terapia psicoanalitica. La loro opinione è che buona parte della teoria psicoanalitica è condivisibile, in special modo per quanto riguarda i vari meccanismi individuati da Freud, Jung e Adler a proposito dello sviluppo e della costituzione della personalità dell’individuo.
Uno di quei meccanismi che le Guide ritengono esistere e operare in continuazione è la «censura». Nei loro insegnamento, però, hanno ampliato molto questo concetto, rapportandolo ai vari corpi dell’individuo: ora collegato al tentativo, da parte dell’Io, di difendersi da ciò che gli è esterno e che gli sembra possa minacciarlo, ora, invece, alla coscienza che attua meccanismi di censura (sempre a scopo difensivo) quando accade qualche cosa che l’individuo non è necessario che affronti perché non correlato ai suoi bisogni evolutivi, oppure che implica la non ancora adeguata evoluzione dell’individuo per vivere consapevolmente determinate esperienze.
Vi sono diversi tipi di censure all’interno dell’individuo: vi sono le censure che l’Io, ad esempio, cerca di imporre per nascondere a se stesso e anche agli altri, ciò che non vuole sapere.
Ma vi sono anche dei meccanismi quasi automatici di difesa, all’interno dell’individualità e dei vari corpi che mettono in essere in maniera pressoché automatica delle censure.
Per esempio, quando vi sono cose che l’individuo non è ancora pronto a sapere, perché saperlo prima di essere pronto ad accettarlo potrebbe essere più dannoso che utile, ecco che all’interno di uno dei suoi corpi, scatta un meccanismo che blocca la consapevolezza dell’individuo.
Si può affermare, allora, che anche per la censura si può applicare la «legge dell’ambivalenza», perché può avere sia valenza positiva che negativa.

Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag. 43, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Bisogni, desideri e loro superamento

L’umano è qualificato dall’avere bisogni e desideri, ovvero dalla necessità di soddisfazione nel presente e dalla sua proiezione nel futuro.
Se togliamo bisogni e desideri, dell’umano non rimane molto.
E’ questo un argomento che ho trattato più volte ma sul quale ritorno, perché mai abbastanza è chiarito.
Esistono bisogni e desideri del corpo fisico, del corpo emozionale, di quello mentale e della coscienza.
Cosa sorge dalla coscienza come bisogno e desiderio? Niente, in quei termini, perché la coscienza non ha bisogni e desideri ma, essendo il terminale dei corpi spirituali che in ampiezza di sentire la precedono, è di essi il capolinea, il corpo deputato ad articolare un’intenzione che sorge a monte, che lei interfaccia e decodifica conducendola a rappresentazione tramite i suoi tre veicoli transitori: la mente, l’emozione, il corpo fisico – azione.

continua..