Con il termine Maestro mi riferisco a quella figura storica, Gesù di Nazareth, attraverso la quale ha preso forma un insegnamento e una prassi di vita originati dall’ampiezza del sentire conseguito dalla coscienza che l’ha generato.
Con il termine Assoluto mi riferisco a quel Padre con cui Gesù si sentiva unito.
La compassione di cui parlo, è la pratica d’amore che da quella unione con l’Assoluto deriva.
cristo
Il latte per i bambini, il pane per gli adulti
Oggi i cristiani fanno memoria del Cristo risorto, di Colui che riconoscono come Figlio di Dio anche, e soprattutto, in virtù di questo evento.
Non sanno, i cristiani – avendo fatto macerie di tutta la conoscenza antica che non fosse la loro – che non c’è umano che non risorga in un’altra dimensione di coscienza una volta che il suo veicolo fisico muore.
Essi, per credere in Dio, nell’unità indissolubile del cosmo, nella vita che sopravvive alla morte hanno bisogno di un segno eclatante, segno che a suo tempo, evidentemente, gli è stato dato a misura della miseria della loro fede, affinché aprissero gli occhi su quell’Uomo che era venuto da loro e sull’insegnamento che gli aveva consegnato.
Appunti sulla trasmissione della comprensione spirituale
Formato pdf A4 per la stampa, 3 pagine.
Da una conversazione in chat su WhatsApp:
Samuele: Vi siete mai chiesti perché, con tutta l’importanza che ha dato alla parola, all’insegnamento, Gesù abbia scritto solo sulla sabbia?
Roberto: Interessante; non credo lui si ponesse più di tanto il problema della trasmissione sapendo come funziona. Bisognerebbe chiedere ai suoi millenari discepoli perché si sono aggrappati alle sue parole come cozze allo scoglio..
Paolo: Azzardo una risposta: perché hanno poca dimestichezza con lo Spirito?
Come avviene la trasmissione di un insegnamento?
Cosa viene trasmesso da insegnante a discepolo?
Per rispondere a questa domanda bisogna comprendere la natura di un insegnamento che è:
Non fare agli altri quello che vorresti non fosse fatto a te
Non fare agli altri. Dizionario del Cerchio Ifior
Ultimamente, c’è stato un messaggio in cui veniva spiegato come si vivono i rapporti con le altre persone e diceva che il modo migliore per costruire dei rapporti con gli altri è quello di seguire l’insegnamento del Cristo, quello che dice: «non fare agli altri quello che vorresti non fosse fatto a te».Io stavo a sentire come tutti e mi dicevo: io non riesco a capire perché questo pessimismo del Cristo! Perché dare un insegnamento in quella forma? Perché dire «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te»?Dire così, secondo me, vuol dire partire dal concetto che gli altri sono lì, pronti a farti di tutto… mi sembra… se capite quello che voglio dire.
Allora sono andata da papà Scifo e mi sono fatta spiegare il perché, e Scifo mi ha detto quello che si deve ricordare quando si leggono gli insegnamenti dell’antichità: gli insegnamenti dell’antichità erano rivolti all’umanità di quell’epoca, e l’umanità di quell’epoca era chiaramente un’umanità che aveva un’evoluzione molto diversa da quella di questa (a parte certi individui, questo è chiaro), ed era un’umanità che aveva proprio bisogno dell’indicazione di che cosa non doveva fare, non di che cosa doveva fare, perché doveva ancora capire che cosa non doveva fare.
Capite la sottigliezza?
Così, per esempio, non poteva essere detto: «Rispettate la vita», ma doveva venir detto «Non uccidete». La prima fase è quella dell’imposizione per abituare; poi, quando la cosa diventa naturale, allora si passa alla seconda fase.
Infatti, se si dovesse dare l’insegnamento del Cristo all’umanità attuale (alla maggior parte, almeno, di quest’umanità), invece di:
«Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te», si dovrebbe dire :«Fa’ agli altri ciò che vorresti che gli altri ti facessero!».
Sarebbe ottimista, a questo modo, l’insegnamento: i concetti sarebbero sempre gli stessi, ma la prospettiva è diversa, perché presuppone che la persona a cui stai parlando tenda a fare del bene, invece che del male.
E con questo bell’esempio della mia evoluzione io vi saluto tutti quanti. Zifed
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata
L’epica della sequela
Prendo le mosse da questo commento di Enzo Bianchi. Nella visione cristiana c’è qualcosa di epico nella scelta che la persona si trova a compiere quando si sente interpellata dal messaggio-sentire di Gesù.
A me sembra che non ci sia alcuna epicità nella scelta: le persone che sono pronte nel loro sentire ad accogliere un altro sentire, evidentemente prossimo al loro, non fanno alcuna difficoltà. Ciò che si presenta appare loro naturale, in fondo già conosciuto anche se non in quella forma.
Quelle persone, in effetti, non hanno alcuna scelta: quel sentire è già in vario modo loro patrimonio e possono dire si o no ad una certa forma che lo rappresenta, ma non dicono si o no a quel sentire, lo dicono alla forma in cui si presenta loro.
La via a Dio è operare il bene?
Da tempo avevo in mente questo post ma, per ragioni diverse, l’ho sempre rimandato. Oggi leggo, sull’ultimo numero dell’Espresso, un articolo di Sandro Magister, il vaticanista del settimanale, che riporta delle affermazioni di due importanti teologi valdesi, Paolo Ricca e Giorgio Tourn e da quanto essi dicono prendo le mosse per dire poche e semplici cose.
Dice Paolo Ricca: “La malattia è che siamo tutti volti al sociale, cosa sacrosanta, ma nel sociale esauriamo il discorso cristiano e fuori da lì siamo muti”:
Giorgio Tourn afferma: “È chiaro che la sola testimonianza dell’amore fraterno non porta automaticamente a conoscere Cristo. Non c’è oggi un silenzio di Dio, ma il silenzio nostro su Dio”.
Il cambiamento, la volontà, il non-agire
Chiede Caterina: Ma se le cose cambiano in continuazione e il cambiamento avviene anche quando si sta fermi, perché scegliere una cosa piuttosto che un’altra?
La domanda di Caterina viene dalla lettura di questa frase di Lao Tzu: La vita è una serie di cambiamenti naturali e spontanei. Non opporvi resistenza – avresti solo dispiaceri. Lascia che la realtà sia realtà. Lascia che le cose fluiscano naturalmente verso la propria direzione.
La frase di Lao Tzu si presta a diverse letture e, quando queste non tengono conto del paradigma entro cui quelle parole sono state generate, la confusione può essere grande.
L’abbandono di sé senza sforzo
Dio o Mammona, è questa la morsa dentro cui è stretto l’umano? C’è un modo naturale e privo di sforzo volitivo per andare oltre di sé, per intraprendere il lento cammino dell’abbandono delle identificazioni, dei bisogni, dei condizionamenti e addentrarsi nel processo dell’unificazione che da sempre opera in noi, e che da un certo punto in poi diviene più pressante?
Vi riporto un passo di Enzo Bianchi tratto da questo commento al vangelo domenicale: “Vi è un altro a cui Gesù dice: “Seguimi”, ma si sente rispondere: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Richiesta legittima, fondata sul comandamento che richiede di onorare il padre e la madre (cf. Es 20,12; Dt 5,16). Gesù però chiede che, seguendo lui, si interrompa il legame con l’ordine familiare e con la religione della legge, dei doveri: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”.